Il divieto di sublocazione previsto in un contratto di locazione non implica il divieto di ospitalità (Cassazione civile, sez. III, 18 giugno 2012, n. 9931)

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Con la sentenza n. 9931/2012 la Suprema Corte interviene in materia di locazioni, affrontando il delicato tema della sublocazione.

A tal riguardo, la Cassazione era già intervenuta nel 2010 con la pronuncia n. 16111 a chiarire la questione relativa agli effetti, sulla permanenza del vincolo contrattuale, della violazione del divieto di sublocazione dell’immobile a uso abitativo. Si è specificato, in tale circostanza, che una siffatta violazione non importa automaticamente la risoluzione del contratto di locazione in quanto è necessario l’accertamento circa la gravità del suddetto inadempimento ex art. 1455 c.c. a norma del quale il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra. In altre parole, gli Ermellini hanno chiarito che la violazione del divieto di sublocazione dell’immobile, pur costituendo inadempimento, non è di per sé sufficiente a giustificare la risoluzione del contratto di locazione ove non rivesta il carattere di gravità richiesto dall’art. 1455 c.c. da valutarsi con riferimento all’interesse dell’altra parte e alle circostanze del caso concreto.

A tal proposito, grande rilevanza in materia assunse anche la sentenza n. 14343/09 della sezione terza della Corte di Cassazione, che ha ritenuto nulla la clausola contrattuale nella quale, oltre alla previsione del divieto di sublocazione, fosse contenuto il riferimento al divieto di ospitalità non temporanea di persone estranee al nucleo familiare. Una siffatta previsione contrasterebbe con l’adempimento dei doveri di solidarietà che si manifesta , tra le altre, attraverso l’ospitalità offerta per venire incontro ad altrui difficoltà.

Nel solco tracciato dalla sentenza del 2009, si inserisce la pronuncia in commento, con la quale la medesima sezione della Corte specifica che l’ospitalità – anche non temporanea e protratta nel tempo – non concreta ipotesi di presunzione di sublocazione e se da essa neppure è dato presumere una detenzione autonoma dell’immobile locato derivante da un concesso comodato, si deve necessariamente ritenere che la semplice durata di tale permanenza, in assenza di altre circostanze, non può essere assunta ad indizio grave e determinante idoneo a provare l’esistenza di una sublocazione o di un contratto di comodato.

La questione in oggetto genera dalla domanda di risoluzione del contratto di locazione presentata al Tribunale di Roma dall’Ente Nazionale di previdenza ed Assistenza Medica, che aveva concesso in locazione un immobile sito in Roma, chiedendo che fosse dichiarato risolto il vincolo locatizio per inadempimento del conduttore.

Il tribunale di Roma rigettava la domanda, sulla motivazione che carente risultava la prova dell’inadempimento consistente nella sublocazione dell’immobile, nel quale la conduttrice ospitava i suoi familiari per un periodo abbastanza lungo, non costituendo tale ospitalità una violazione degli accordi contrattuali.

Appellata tale decisione del Giudice di primo grado, la Corte d’Appello di Roma accoglieva l’appello proposto dal locatore, dichiarando risolto il contratto.

Tale questione viene sottoposta all’attenzione dei Giudici della Suprema Corte, che con la sentenza in commento fissano due principi: a) se l’ospitalità, anche temporanea e protratta nel tempo, non assume caratteri tali da indurre alla presunzione del verificarsi in concreto della sublocazione, allora si deve ritenere che la semplice durata di una tale permanenza non costituisce indizio grave e determinante sufficiente a provare una violazione degli accordi intercorsi tra le parti; b) è nulla la clausola di un contratto di locazione con cui, nel vietare la sublocazione, si voglia includere anche il divieto di ospitalità, ribadendo il medesimo concetto già affermato in precedenti pronunce, così confermando il proprio orientamento in tema di sublocazioni.

Di Micco Antonella

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