“Il divieto di spese per sponsorizzazioni di cui all’art. 6, comma 9, del d.l.78/2010 e la salvaguardia dell’associazionismo locale”

Russo Pasquale 27/01/11
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-Inquadramento dell’istituto

La sponsorizzazione può essere definita come la forma di pubblicità con la quale un soggetto consente allo sponsor di promuovere la propria immagine, marchio, simbolo in occasione dello svolgimento di una propria attività. In genere, la sponsorizzazione si sostanzia nell’associare il logo che individua lo sponsor con un evento culturale o un intervento di promozione di beni culturali oppure con spettacoli di vario tipo. Essa può assumere forme differenti, sia con riferimento all’oggetto sia con riferimento alla dimensione economica: si passa da modeste sponsorizzazioni legate a eventi locali minori a sponsorizzazioni milionarie che coinvolgono eventi culturali di richiamo nazionale od internazionale.

Negli ultimi anni, le amministrazioni locali hanno spesso fatto ricorso alle sponsorizzazioni per le più varie finalità: culturali, sportive, di utilità sociale, anche se l’assenza di una compiuta disciplina legislativa ha indotto ad una applicazione dell’istituto con modalità del tutto atipiche ed affatto omogenee, dando luogo a prassi differenti ritenute più o meno legittime dalla giurisprudenza amministrativa (1).

Nell’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, il contratto di sponsorizzazione viene definito, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1322, 1350 e 1174 c.c., un contratto atipico (non espressamente disciplinato dal codice civile), a forma libera, di natura patrimoniale, a prestazioni corrispettive e a carattere oneroso, in forza del quale lo sponsorizzato (sponsee) si obbliga a consentire ad altri (lo sponsor) l’uso della propria immagine pubblica e del proprio nome, per promuovere un marchio o un prodotto specificamente marcato, dietro corrispettivo di una somma di denaro o della prestazione di beni o servizi ovvero di entrambi, da erogarsi da parte dello sponsor, direttamente o indirettamente.

La prima disposizione legislativa dell’ordinamento contemporaneo che si è occupata di sponsorizzazioni si rinviene nell’art. 43 della legge n. 449 del 1997, che, nel prevedere la possibilità per tutte le Pubbliche Amministrazioni di ricorrere alla sponsorizzazione, al comma 1 stabiliva che: “Al fine di favorire l’innovazione dell’organizzazione amministrativa e di realizzare maggiori economie, nonché una migliore qualità dei servizi prestati, le pubbliche amministrazioni possono stipulare contratti di sponsorizzazione ed accordi di collaborazione con soggetti privati ed associazioni, senza fini di lucro, costituite con atto notarile”.

La predetta norma, intitolata “Contratti di sponsorizzazione ed accordi di collaborazione, convenzioni con soggetti pubblici o privati, contributi dell’utenza per i servizi pubblici non essenziali e misure di incentivazione della produttività”, era inserita in un contesto di disposizioni di finanza pubblica (legge finanziaria per il 1998) intese, evidentemente, a consentire alle Amministrazioni di conseguire risparmi di spesa. La possibilità, infatti, per le pubbliche amministrazioni di ricorrere alle sponsorizzazioni veniva prevista, in tale contesto, al fine di innovare l’organizzazione amministrativa, di realizzare maggiori economie e di migliorare la qualità dei servizi erogati alla collettività. Tali finalità venivano condizionate al limite per cui le iniziative realizzate a tale scopo dovevano essere dirette al perseguimento di interessi pubblici e comportare risparmi di spesa rispetto agli stanziamenti disposti (comma 2 del citato articolo art. 43) e dovevano riguardare il finanziamento di interventi, servizi o attività non inseriti nei programmi di spesa ordinari, laddove si fosse inteso fare ricorso ad una parte dei proventi per l’incentivazione del personale.

Successivamente, il legislatore è intervenuto con la previsione dell’art. 119 del D.lgs. n. 267/2000, T.U.O.E.L., rubricato “Contratti di sponsorizzazione, accordi di collaborazione e convenzioni”, il quale, in applicazione dell’articolo 43 della legge n. 449/1997, recita che “al fine di favorire una migliore qualità dei servizi prestati, i comuni, le province e gli altri enti locali, possono stipulare contratti di sponsorizzazione ed accordi di collaborazione, nonché convenzioni con soggetti pubblici o privati diretti a fornire consulenze o servizi aggiuntivi”.

E sulla scia di tale conferma normativa la contrattazione collettiva nazionale si è poi attrezzata per disciplinare le modalità di integrazione del fondo di produttività da attribuire ai dipendenti che avessero partecipato alle specifiche iniziative dell’Amministrazione (2).

 

– L’art. 6, commi 8 e 9, del D.L. n. 78/2010: le sponsorizzazioni e le spese per rappresentanza e pubblicità –

Già l’art 61 del D.L. n. 112/2008, nella versione della legge di conversione n. 133/2008, al comma 6 aveva stabilito che, a decorrere dall’anno 2009, le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) ai sensi del comma 5 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, non potevano effettuare spese per sponsorizzazioni per un ammontare superiore al 30 per cento della spesa sostenuta nell’anno 2007 per la medesima finalità. La predetta disposizione, invero, era stata definita, poi, come norma di principio per gli enti locali dal successivo comma 15 del medesimo articolo.

Appare ovvio che nel legislatore finanziario inizia a maturare la convinzione che l’istituto delle sponsorizzazioni, nella risultanza della summenzionata disciplina, non aveva sortito il triplice effetto sperato: innovare l’organizzazione amministrativa, realizzare maggiori economie e migliorare la qualità dei servizi e che esso, al contrario, si era di fatto prestato per realizzare iniziative non dirette al perseguimento di interessi pubblici o, quantomeno, in conflitto di interesse tra attività pubblica e privata. Esso, comunque, non aveva concretizzato gli attesi risparmi di spesa rispetto agli stanziamenti disposti, secondo quanto previsto dal secondo comma del citato art. 43 della legge n. 449/1997.

Coerentemente con il predetto primo approccio teso a limitare la pratica delle sponsorizzazioni, pertanto, a sostegno di misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, si pone la recente disciplina dettata dall’art. 6, comma 9, del D.L. n. 78/2010, convertito in L. n. 122/2010, che prevede il divieto, a decorrere dall’anno 2011, per le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’ISTAT ai sensi dell’art. 1 comma 3 della legge n. 196/2009, e quindi anche per i Comuni, di effettuare spese per sponsorizzazioni.

In aggiunta al suddetto netto divieto, vale la pena ricordare che lo stesso legislatore, al comma 8 del surrichiamato art. 6, ha anche stabilito che, a decorrere dall’anno 2011, le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell’articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, non possono effettuare spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza, per un ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta nell’anno 2009 per le medesime finalità.

A tal proposito, al fine di comprendere gli elementi differenziali tra le due anzidette disposizioni, appare utile chiarire gli elementi propri delle sponsorizzazioni e quelli delle spese di rappresentanza e di pubblicità. Infatti, in assenza di chiare definizioni normative, le spese per sponsorizzazione possono o meno essere classificate fra le spese di pubblicità o di rappresentanza in funzione di una serie di variabili, inerenti i contenuti, il soggetto beneficiario, il contesto generale di riferimento.

Secondo un orientamento ministeriale e giurisprudenziale “per spese di rappresentanza si intendono quelle sostenute dall’impresa per offrire al pubblico un’immagine positiva di se stessa e della propria attività in termini di floridezza, efficienza ….. E’ questa certamente la caratteristica principale di tali spese, alla quale si aggiunge di norma quella della loro “gratuità”, vale a dire della mancanza di un corrispettivo o di una specifica controprestazione da parte dei destinatari, cioè di un obbligo di “dare” o “facere” a carico dei destinatari, se non quello generico di porre all’attenzione del pubblico la prestazione finanziaria dell’impresa erogante, ovvero quella di un’evidente sproporzione tra prestazioni e controprestazioni previste(3).

Le spese di sponsorizzazioni, invece, possono essere accomunate a quelle di pubblicità, nei limiti in cui sono connesse ad un contratto, di regola, caratterizzato da un rapporto sinallagmatico tra lo sponsor e il soggetto sponsorizzato, in base al quale le parti interessate fissano le clausole contrattuali in relazione agli scopi che intendono raggiungere. Mediante tale contratto lo sponsor si obbliga ad una prestazione in denaro o in natura nei confronti del soggetto sponsorizzato, che, a sua volta, si impegna a pubblicizzare e/o a propagandare il prodotto, il marchio, il servizio, o, comunque, l’attività produttiva dello sponsor.

Mentre con la pubblicità si porta a conoscenza della generalità dei consumatori l’offerta del prodotto, stimolando la formazione o l’intensificazione della domanda, con le spese di rappresentanza viene offerta al pubblico un’immagine positiva del soggetto finanziatore e della sua attività in termini di organizzazione e di efficienza. Secondo tale prospettazione, si è in presenza di spese di rappresentanza qualora manchi il corrispettivo o una specifica controprestazione da parte dei soggetti beneficiari; per contro, si parla di spese di pubblicità in presenza di un contratto sinallagmatico tra due parti e di un conseguente corrispettivo per le prestazioni.(4)

In ogni caso, comune al divieto di spese per sponsorizzazioni ed all’obbligo di riduzione delle spese per rappresentanza, mostre, pubblicità, ecc., stabiliti dai due surrichiamati commi dell’art. 6 del D.L. n. 78/2010, è, senza dubbio, la limitazione per le Amministrazioni locali di finanziare eventi promozionali sia direttamente che indirettamente attraverso le attività di terzi soggetti cui, eventualmente, attribuire risorse in termini di mezzi o risorse finanziarie comunque superiori al limite stabilito dalla norma in argomento.

 

– Le sponsorizzazioni e l’associazionismo locale nel contesto della disciplina dell’ordinamento costituzionale. Profili di criticità –

Non vi è dubbio che il netto divieto stabilito dall’art. 6, comma 9, del D.L. n. 78/2010 e la forte limitazione di spesa disposta dal comma 8 del medesimo articolo inducano, prima facie, a ritenere che si sia pervenuti alla fine delle esperienze delle sagre paesane e di tutte le altre forme di promozione del territorio, queste ultime almeno sotto forma di sponsorizzazione di manifestazioni ed eventi di rilevanza cittadina o di tradizione culturale.

A tal proposito, però, allo scopo di dare la giusta collocazione sistematica alla recente normativa di cui si tratta, è necessario, preliminarmente, fare cenno ad un principio fondamentale che sovrintende l’azione degli Enti locali e che si sostanzia nella funzione propria degli stessi, garantita dall’art. 118 della Costituzione, di favorire, in quanto enti esponenziali degli interessi delle collettività che rappresentano,“l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.

Ebbene, le disposizioni del legislatore finanziario in oggetto si pongono in dissonante contrasto con la possibilità che il Parlamento, nell’approvare leggi finanziarie, possa introdurre norme di dettaglio, immediatamente applicabili nell’assetto ordinamentale degli enti locali, e, pertanto, vanificare il principio testé riferito, il cui rispetto registra un consolidato orientamento giurisprudenziale della Corte costituzionale, secondo il quale “le norme che fissano vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle regioni e degli enti locali non costituiscono princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., e ledono pertanto l’autonomia finanziaria di spesa garantita dall’art. 119 Cost.“. Inoltre, “la legge statale può stabilire solo un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa» ed, infine, “un precetto specifico e puntuale sull’entità della spesa e si risolve perciò «in una indebita invasione, da parte della legge statale, dell’area […] riservata alle autonomie regionali e degli enti locali, alle quali la legge statale può prescrivere criteri […] ed obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica) ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi». (5)

Sotto un altro profilo, non va neanche sottaciuto che il legislatore, nel sopprimere in un sol colpo tutta la disciplina dettata con la legge n. 449/1997 in materia di sponsorizzazioni, di fatto avrebbe finito con il travolgere anche l’art. 119 del Testo Unico EELL n. 267/2000, a mente del quale, al fine di favorire una migliore qualità dei servizi prestati, i comuni, le province e gli altri enti locali possono stipulare contratti di sponsorizzazione ed accordi di collaborazione, nonché convenzioni con soggetti pubblici o privati diretti a fornire consulenze o servizi aggiuntivi.

Ma, a tal proposito, non può non evidenziarsi che la disposizione contenuta nell’art.119, seppure formulata in chiave applicativa dell’art.43 della L. n. 44971997, riveste il carattere di norma ordinaria “rinforzata” in virtù della chiara formulazione dell’art. 1, comma 4, del TUOEL ed, in quanto tale, non può essere modificata o abrogata se non per espressa statuizione da una norma di pari rango che non si ponga in contrasto con il sistema di regolazione delle fonti offerto dal nuovo impianto del titolo V della Carta Costituzionale.

Indipendentemente dalla sorte dell’art. 119 del T.U.O.E.L., stante il suaccennato quadro ordinamentale, soccorre, in merito, un autorevole parere della Corte dei Conti Sezione Regionale di controllo per la Lombardia che ha precisato che “ciò che assume rilievo per qualificare una contribuzione comunale, a prescindere dalla sua forma, quale spesa di sponsorizzazione (interdetta post D.L. n. 78/2010) è la relativa funzione: la spesa di sponsorizzazione presuppone la semplice finalità di segnalare ai cittadini la presenza del Comune, così da promuoverne l’immagine. Non si configura, invece, quale sponsorizzazione il sostegno di iniziative di un soggetto terzo, rientranti nei compiti del Comune, nell’interesse della collettività anche sulla scorta dei principi di sussidiarietà orizzontale ex art. 118 Cost.”

In particolare, la Corte ha precisato che il divieto di spese per sponsorizzazioni non può ritenersi operante nel caso di contributi ad associazioni che erogano servizi pubblici in favore delle fasce deboli della popolazione (anziani, fanciulli, etc.), oppure a fronte di sovvenzioni a soggetti privati a tutela di diritti costituzionalmente riconosciuti, quali i contributi per il c.d. diritto allo studio, etc. Sicché, tra le molteplici forme di sostegno all’associazionismo locale l’elemento che connota, nell’ordinamento giuscontabile, le contribuzioni tutt’ora ammesse (distinguendole dalle spese di sponsorizzazione ormai vietate) è lo svolgimento da parte del privato di un’attività propria del Comune in forma sussidiaria. L’attività, dunque, deve rientrare nelle competenze dell’ente locale e viene esercitata, in via mediata, da soggetti privati destinatari di risorse pubbliche piuttosto che (direttamente) da parte di Comuni e Province, rappresentando una modalità alternativa di erogazione del servizio pubblico e non una forma di promozione dell’immagine dell’Amministrazione. Questo profilo teleologico, idoneo ad escludere la concessione di contributi dal divieto di spese per sponsorizzazioni, deve essere palesato dall’ente locale nella motivazione del provvedimento. L’Amministrazione dovrà avere cura di evidenziare i presupposti di fatto e l’iter logico alla base dell’erogazione a sostegno dell’attività svolta dal destinatario del contributo, nonché il rispetto dei criteri di efficacia, efficienza ed economicità delle modalità prescelte di resa del servizio (6).

La corte ha anche evidenziato la differenza offerta dalla giurisprudenza civile tra l’accordo di patrocinio dal contratto di sponsorizzazione, all’uopo precisando che il soggetto, pubblico o privato, che consente che l’attività di altri si svolga sotto il suo patrocinio, non è un imprenditore commerciale, sicché quand’anche egli si impegni a finanziare in qualche misura l’attività, tale obbligazione non trova corrispettivo nel vantaggio atteso dalla pubblicizzazione della sua figura di patrocinatore. In tal caso si configura, dunque, una donazione modale piuttosto che un contratto a prestazioni corrispettive (7).

Infatti, il patrocinio si differenzia dalla sponsorizzazione in quanto manca il rapporto sinallagmatico di prestazione/controprestazione, tipico di soggetti pubblici quali gli Assessorati degli Enti Locali, e consiste in un sostegno economico diretto (finanziario) o indiretto (es.: riduzione del canone di concessione di un’area o un immobile, utilizzo gratuito di beni dell’amministrazione, presenza del logo del Comune sul manifesto di pubblicizzazione dell’iniziativa) da parte del soggetto pubblico (patrocinante), che, nell’ambito istituzionale proprio, intende sostenere l’attività condotta dal soggetto privato o pubblico realizzatore, conferendo in tal modo una sorta di “investitura d’interesse pubblico” all’iniziativa proposta.

 

(1) Con sentenza n. 6073 del 4.12.2001 il Consiglio di Stato ha affermato l’ammissibilità dell’utilizzazione dei contratti di sponsorizzazione nella Pubblica Amministrazione con particolare riferimento al servizio di tesoreria degli enti locali. L’Autorità di vigilanza sui Lavori Pubblici con determinazione n. 24 del 5.12.2001 è intervenuta su alcuni quesiti posti in particolare dalle amministrazioni locali, relativamente alla possibilità di applicare il contratto di sponsorizzazione alla realizzazione delle opere pubbliche.

(2) L’art. 4 comma 4 del ccnl del 2000-2001 del personale del comparto delle regioni e delle autonomie locali stabiliva l’integrazione delle risorse di cui all’art. 15 lett. d) del CCNL dell’1.4.1999 nel modo di seguito indicato: “La lett. d) del comma 1 dell’art.15 del CCNL dell’1.4.1999 è sostituita dalla seguente: “d) La quota delle risorse che possono essere destinate al trattamento economico accessorio del personale nell’ambito degli introiti derivanti dalla applicazione dell’art.43 della legge n.449/1997 con particolare riferimento alle seguenti iniziative:

a. contratti di sponsorizzazione ed accordi di collaborazione con soggetti privati ed associazioni senza fini di lucro, per realizzare o acquisire a titolo gratuito interventi, servizi, prestazioni, beni o attività inseriti nei programmi di spesa ordinari con il conseguimento dei corrispondenti risparmi;

b. convenzioni con soggetti pubblici e privati diretti a fornire ai medesimi soggetti, a titolo oneroso, consulenze e servizi aggiuntivi rispetto a quelli ordinari;

c. contributi dell’utenza per servizi pubblici non essenziali o, comunque, per prestazioni, verso terzi paganti, non connesse a garanzia di diritti fondamentali”.

Il CCNL 2002-2005 conferma il possibile ricorso a forme di incentivazione del personale che procura sponsorizzazioni all’Ente (art. 31, comma 2: integrazione delle risorse con importi aventi caratteristiche di eventualità e di variabilità … nel rispetto dei criteri e delle condizioni prescritte: art.15, comma 1, lett. d).

(3) Risoluzione Min. Fin. n.9/204 del 17.06.19; Cass. Civ. Sez. I n. 428 del 19.1.1996.

(4) Risoluzione Min. Fin n.148/E del 17.09.1998.

(5) Corte Costituzionale sentenze n. 417/2005, n. 36 del 2004, n. 390 del 2004.

(6) Deliberazione Corte Conti Sez. contr. Lombardia n. 1075/2010/PAR.

(7) Cass. Civ., sez. III, 21 maggio 1998, n. 5086.

 

Russo Pasquale

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