Il divieto concerne testualmente il “rinnovo tacito” e la comminatoria di nullità si riferisce, del pari testualmente, ai contratti stipulati in violazione di tale specifico divieto

Lazzini Sonia 10/06/10
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L’art. 6, co. 2, della legge 24 dicembre 1993 n. 537, come sostituito dall’art. 44 della legge n. 724 del 1994 (ora abrogato dall’art. 256 del d.lgs. n. 163 del 2006), disponeva: “è vietato il rinnovo tacito dei contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, ivi compresi quelli affidati in concessione a soggetti iscritti in appositi albi. I contratti stipulati in violazione del predetto divieto sono nulli”; e, col periodo seguente, poi soppresso dall’art. 23, co. 1, della legge – comunitaria 2004 – 18 aprile 2005 n. 62: “Entro tre mesi dalla scadenza dei contratti, le amministrazioni accertano la sussistenza delle ragioni di pubblico interesse per la rinnovazione dei contratti medesimi e, ove verificata detta sussistenza, comunicano al contraente la volontà di procedere alla rinnovazione”.

Il successivo co. 4 (oggi art. 115 del cit. d.lgs. n. 164 del 2006) prevedeva, inoltre, l’obbligo di inserimento in tutti i contratti a esecuzione periodica o continuativa della clausola di revisione periodica del prezzo, stabilendo altresì che la revisione venga operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili della acquisizione di beni e servizi sulla base di dati rilevati ed elaborati dall’ISTAT.

Riguardo al co. 2, la giurisprudenza ne ha rinvenuto la “ratio” nell’esigenza di impedire rinnovi automatici dei contratti di durata, inizialmente sostituiti con l’eventuale scelta consapevole della singola amministrazione di rinnovare o meno il contratto (cfr., in particolare, Cons. St., Sez. V, 6 settembre 2007 n. 4679).

Del resto, non v’è dubbio che il divieto concerne testualmente il “rinnovo tacito” e la comminatoria di nullità si riferisce, del pari testualmente, ai contratti stipulati in violazione di tale specifico divieto.

Quanto alla proroga, da cui il rinnovo si differisce per consistere in un nuovo rapporto giuridico frutto di un diverso esercizio dell’autonomia negoziale delle parti (vedasi in tal senso Cons. St., Sez. V, 11 gennaio 2006 n. 39), il già richiamato art. 23 della legge n. 62 del 2005 così statuisce al co. 2: “I contratti per acquisti e forniture di beni e servizi, già scaduti o che vengano a scadere nei sei mesi successivi alla data di entrata in vigore della presente legge, possono essere prorogati per il tempo necessario alla stipula dei nuovi contratti a seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica”, dettando in proposito puntuali condizioni. Tuttavia, diversamente dall’art. 6, co. 2, della legge n. n. 537 del 1993, in tale disposizione è assente la comminatoria di nullità dei contratti stipulati in contrasto con la medesima.

Nella specie, all’originario contratto del 3 dicembre 2002, valevole dal 1° novembre 2002 al 31 dicembre 2003 e modificato dal 1° aprile 2003, hanno fatto seguito le deliberazioni del Consiglio di amministrazione dell’AMIU 17 febbraio 2003 n. 49, di “proroga” al 31 dicembre 2004, e 7 dicembre 2004 n. 244, di “proroga” al 31 dicembre 2005, poi il nuovo contratto del 6 marzo 2006, valevole dal 1° gennaio al 31 dicembre 2006 e recante “migliorie” del servizio, “prorogato” dal 1° gennaio 2007 per quindici giorni con nota dirigenziale 29 dicembre 2006 n. 13236, quindi altro contratto di “rimodulazione” del servizio per il periodo dal 16 gennaio al 15 novembre 2007 autorizzato con deliberazione dello stesso Consiglio di amministrazione 18 gennaio 2007 n. 8, a sua volta seguito dalle “proroghe” fino al 31 marzo 2008 (nota presidenziale 3 gennaio 2008 n. 0098) e fino al 31 luglio 2008 (nota presidenziale 31 marzo 2008 n. 3145).

Pertanto, a prescindere dalla qualificazione come “rinnovi” o “proroghe” delle riferite manifestazioni di volontà dell’AMIU dirette alla conferma della permanenza dei rapporti in essere con l’attuale appellante, è indubbio che in nessun caso si è trattato di rinnovo tacito, sicché non opera nei confronti dei rispettivi contratti la nullità sancita dal ripetuto art. 6, co. 2, della legge n. 537 del 1993. Conseguentemente, è erroneo il presupposto sul quale il primo giudice si è basato per escludere la sussistenza del rivendicato diritto alla revisione al quale si riferisce l’art. 244, co. 3, del d.lgs. n. 163 del 2006 e, di qui, per negare che la controversia rientri nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo stabilita dallo stesso art. 244, co. 3.

Ne deriva che, in accoglimento dell’appello e senza che, ovviamente, possa scendersi all’esame nel merito della pretesa azionata, la sentenza va annullata con rinvio della causa al Tribunale amministrativo regionale ai sensi dell’art. 35, co. 1, della legge 6 dicembre 1971 n. 1034.

 

 

A cura di *************

 

Riportiamo qui di seguito la decisione numero 3019 del 14 maggio 2010 pronunciata dal Consiglio di Stato

 

N. 03019/2010 REG.DEC.

N. 04595/2009 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)


ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 4595 del 2009, proposto da:
Ricorrente S.p.A., rappresentata e difesa dall’avv. **********, con domicilio eletto presso lo studio **** in Roma, corso Vittorio Emanuele II n. 18;

contro

Azienda Multiservizi e Igiene Urbana – AMIU – S.p.A. di Taranto, rappresentata e difesa dall’avv. *************, con domicilio eletto presso l’avv. *************** in Roma, via Gregorio VII n. 154;

per la riforma

della sentenza del TAR PUGLIA, sezione staccata di LECCE, SEZIONE III, n. 00257/2009, resa tra le parti, concernente RICONOSCIMENTO ADEGUAMENTO ISTAT SUI CANONI SERVIZIO DI VIGILANZA..

 

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Azienda Multiservizi e Igiene Urbana S.p.A. di Taranto;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 febbraio 2010 il Cons. ****************** e uditi per le parti gli avvocati **** e *****, quest’ultimo su delega dell’avv. *******;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

Con atto notificato il 18 maggio 2009 e depositato il 30 seguente la RICORRENTE S.p.A., già esecutrice dell’appalto di servizi di vigilanza dal settembre 2002 al luglio 2008, affidato dall’AMIU a seguito di gara pubblica e poi ripetutamente prorogato, ha appellato la sentenza 21 febbraio 2009 n. 257 del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, sezione terza.

L’appellante ha premesso che con tale sentenza è stato dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione il suo ricorso avverso la nota AMIU n. 7409/08, di reiezione della sua richiesta di riconoscimento dell’adeguamento ISTAT sui canoni concordati, nel rilievo che trattavasi di proroghe contra legem, dunque nulle per contrasto con norme imperative, sicché non si versava nell’ipotesi di revisione dei prezzi “contrattuali” ricadente nella giurisdizione amministrativa esclusiva ex artt. 6 l. 537/93 e 244 d.lgs. 163 del 2006. Ciò in considerazione del divieto di rinnovo di cui all’art. 6 della legge n. 537 del 1993, reso ancor più stringente dall’art. 23 della legge n. 62 del 2005 con specifico riferimento all’ipotesi della proroga.

A sostegno dell’appello ha poi dedotto che:

– poiché né il contratto né alcun atto di gara prevedevano la revisione dei prezzi, il suo diritto deriva direttamente dalla norma imperativa di cui al cit. art. 6;

– tale diritto non è escluso dalle proroghe, atteso sia che la revisione opera anche nei casi di rinnovo di contratti d’appalto di servizi (costituenti contratti ad esecuzione continuata) quando, come nella specie, le parti non abbiano pattuito un nuovo prezzo, sia che il divieto di cui allo stesso art. 6 riguarda il rinnovo tacito e non l’espressa manifestazione di volontà dell’amministrazione di spostare in avanti il termine finale dell’appalto, mentre la legge n. 62 del 2005 è di recepimento di una direttiva comunitaria che ha inteso porre fine alle ipotesi di rinnovo previste di volta in volta dalla legislazione nazionale;

– circa le modalità di calcolo stabilite dall’art. 6, co. 6, non rileva la mancata redazione dall’ISTAT delle previste tabelle, in mancanza applicandosi l’indice F.O.I. sempre calcolato dall’ISTAT.

Con memoria del 13 luglio 2009 la RICORRENTE ha insistito nelle proprie tesi e pretese.

In data 14 luglio 2009 l’AMIU si è costituita in giudizio ed ha eccepito l’inammissibilità dell’appello in quanto privo dell’indicazione analitica dei motivi di doglianza. Nel merito, ha condiviso la soluzione del TAR.

A sua volta, l’appellante ha replicato con memoria dell’8 febbraio 2010.

L’appello è stato introitato in decisione all’odierna udienza pubblica, previa trattazione orale.

Ciò posto, in via preliminare va disattesa l’eccezione di inammissibilità per genericità, sollevata da parte appellata nella considerazione che l’appellante non contesterebbe l’affermazione del TAR secondo cui non esisterebbero contratti validi. Difatti, come risulta dall’esposizione in fatto che precede, la RICORRENTE ha invece svolto espressamente tale contestazione, sostenendo – in estrema sintesi – che si tratti di contratti validi perché non in violazione del divieto di rinnovo tacito e che, quindi, sussista il rivendicato diritto alla revisione dei prezzi, la cui cognizione rientrerebbe nella giurisdizione esclusiva amministrativa, al contrario di quanto ritenuto dal primo giudice.

Risulta perciò osservato l’onere della specificità dei motivi, da intendersi non, in senso formalistico, nella formulazione di rubricati vizi, bensì nella chiara esposizione delle doglianze avanzate nei riguardi della sentenza gravata e delle domande rivolte al giudice d’appello, mediante indicazione delle ragioni della chiesta riforma in contrapposizione alle ragioni evincibili dalla sentenza stessa (cfr. in tal senso, tra le più recenti, Cons. St., Sez. IV, 28 gennaio 2010 n. 363).

L’appello è dunque ammissibile, ma anche fondato.

L’art. 6, co. 2, della legge 24 dicembre 1993 n. 537, come sostituito dall’art. 44 della legge n. 724 del 1994 (ora abrogato dall’art. 256 del d.lgs. n. 163 del 2006), disponeva: “è vietato il rinnovo tacito dei contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, ivi compresi quelli affidati in concessione a soggetti iscritti in appositi albi. I contratti stipulati in violazione del predetto divieto sono nulli”; e, col periodo seguente, poi soppresso dall’art. 23, co. 1, della legge – comunitaria 2004 – 18 aprile 2005 n. 62: “Entro tre mesi dalla scadenza dei contratti, le amministrazioni accertano la sussistenza delle ragioni di pubblico interesse per la rinnovazione dei contratti medesimi e, ove verificata detta sussistenza, comunicano al contraente la volontà di procedere alla rinnovazione”. Il successivo co. 4 (oggi art. 115 del cit. d.lgs. n. 164 del 2006) prevedeva, inoltre, l’obbligo di inserimento in tutti i contratti a esecuzione periodica o continuativa della clausola di revisione periodica del prezzo, stabilendo altresì che la revisione venga operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili della acquisizione di beni e servizi sulla base di dati rilevati ed elaborati dall’ISTAT.

Riguardo al co. 2, la giurisprudenza ne ha rinvenuto la “ratio” nell’esigenza di impedire rinnovi automatici dei contratti di durata, inizialmente sostituiti con l’eventuale scelta consapevole della singola amministrazione di rinnovare o meno il contratto (cfr., in particolare, Cons. St., Sez. V, 6 settembre 2007 n. 4679).

Del resto, non v’è dubbio che il divieto concerne testualmente il “rinnovo tacito” e la comminatoria di nullità si riferisce, del pari testualmente, ai contratti stipulati in violazione di tale specifico divieto.

Quanto alla proroga, da cui il rinnovo si differisce per consistere in un nuovo rapporto giuridico frutto di un diverso esercizio dell’autonomia negoziale delle parti (vedasi in tal senso Cons. St., Sez. V, 11 gennaio 2006 n. 39), il già richiamato art. 23 della legge n. 62 del 2005 così statuisce al co. 2: “I contratti per acquisti e forniture di beni e servizi, già scaduti o che vengano a scadere nei sei mesi successivi alla data di entrata in vigore della presente legge, possono essere prorogati per il tempo necessario alla stipula dei nuovi contratti a seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica”, dettando in proposito puntuali condizioni. Tuttavia, diversamente dall’art. 6, co. 2, della legge n. n. 537 del 1993, in tale disposizione è assente la comminatoria di nullità dei contratti stipulati in contrasto con la medesima.

Nella specie, all’originario contratto del 3 dicembre 2002, valevole dal 1° novembre 2002 al 31 dicembre 2003 e modificato dal 1° aprile 2003, hanno fatto seguito le deliberazioni del Consiglio di amministrazione dell’AMIU 17 febbraio 2003 n. 49, di “proroga” al 31 dicembre 2004, e 7 dicembre 2004 n. 244, di “proroga” al 31 dicembre 2005, poi il nuovo contratto del 6 marzo 2006, valevole dal 1° gennaio al 31 dicembre 2006 e recante “migliorie” del servizio, “prorogato” dal 1° gennaio 2007 per quindici giorni con nota dirigenziale 29 dicembre 2006 n. 13236, quindi altro contratto di “rimodulazione” del servizio per il periodo dal 16 gennaio al 15 novembre 2007 autorizzato con deliberazione dello stesso Consiglio di amministrazione 18 gennaio 2007 n. 8, a sua volta seguito dalle “proroghe” fino al 31 marzo 2008 (nota presidenziale 3 gennaio 2008 n. 0098) e fino al 31 luglio 2008 (nota presidenziale 31 marzo 2008 n. 3145).

Pertanto, a prescindere dalla qualificazione come “rinnovi” o “proroghe” delle riferite manifestazioni di volontà dell’AMIU dirette alla conferma della permanenza dei rapporti in essere con l’attuale appellante, è indubbio che in nessun caso si è trattato di rinnovo tacito, sicché non opera nei confronti dei rispettivi contratti la nullità sancita dal ripetuto art. 6, co. 2, della legge n. 537 del 1993. Conseguentemente, è erroneo il presupposto sul quale il primo giudice si è basato per escludere la sussistenza del rivendicato diritto alla revisione al quale si riferisce l’art. 244, co. 3, del d.lgs. n. 163 del 2006 e, di qui, per negare che la controversia rientri nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo stabilita dallo stesso art. 244, co. 3.

Ne deriva che, in accoglimento dell’appello e senza che, ovviamente, possa scendersi all’esame nel merito della pretesa azionata, la sentenza va annullata con rinvio della causa al Tribunale amministrativo regionale ai sensi dell’art. 35, co. 1, della legge 6 dicembre 1971 n. 1034.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie l’appello in epigrafe e, per l’effetto, annulla con rinvio la sentenza appellata.

Spese al definitivo.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 febbraio 2010 con l’intervento dei Signori:

***********************, Presidente FF

***************, Consigliere

Carlo Saltelli, Consigliere

***************, Consigliere

Angelica Dell’Utri, Consigliere, Estensore

 

 

L’ESTENSORE      IL PRESIDENTE

 

Il Segretario

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 14/05/2010

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Dirigente della Sezione

Lazzini Sonia

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