Il diritto di esistere? – Individualità e sua rappresentazione nella blogosfera

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“ Il soggetto nella propria crescente individualità è diventato “schiuma”, freddo, isolato, incapace di guardare in sé e dietro di sé – Sloterdijk”

Ogni persona è un sé costituito al contempo dall’individualità delle proprie caratteristiche e dalla consapevolezza più o meno marcata di appartenere a un gruppo sociale; come ricorda Perrone, nel richiamare Tajfel, vi è un rapporto tra processo cognitivo di identificazione con il gruppo e l’identità che si percepisce del gruppo stesso, tale identificazione corrisponde alla necessità di soddisfazione del bisogno di autostima e di riduzione dell’incertezza determinata dai rapporti sociali ed economici questo indipendentemente dall’accettazione etica dei codici comportamentali dei vari gruppi a cui ci si riferisce, l’importante è l’integrazione ed il sostegno che ne può derivare.

Vi è eticamente la ricerca del bene del singolo attraverso la coesione del gruppo basata sullo scambio, il quale può ridursi solo all’aspetto economico e materiale o diventare anche al contempo culturale e morale quindi come il fine ultimo nella condotta umana, da considerare accanto a quella che Abbagnano definisce la “scienza del movente” al fine di dirigere e disciplinare la condotta stessa, secondo un rapporto kantiano dell’ essere e del dovere essere da condividere nel gruppo, in un tentativo di adattamento alle condizioni ambientali (Spencer) artefattamente create dall’uomo stesso nella sua evoluzione tecnologica.

Si creano due infiniti etici, uno proprio dell’individuale, risolutore in sé stesso, in cui vi è l’istinto a rimanere fedeli nel privato solo a sé stessi, l’altro collettivo del gruppo come strumentale al singolo ma anche fornito di una propria vitalità, sì che in termini economici nascono due realtà, una della produttività immediata l’altra della sostenibilità, la prima rivolta a un’utile con un orizzonte generazionale l’altra nella creazione di una ricchezza intergenerazionale e di gruppo, si evidenzia pertanto la necessità della definizione dei confini del gruppo e quindi per traslazione del sociale in un insieme di rapporti sempre più complessi per la compressione tecnologica dello spazio e del tempo.

La riduzione in pochi definiti e semplici valori risultano necessari per la sostenibilità dell’organizzazione e i rapporti che in essa intercorrono, la coerenza degli stessi è oggetto di una pratica quotidiana della leadership che nel suo rapportarsi deve legittimarli agli occhi dei membri del gruppo, in questo vi è la difficoltà del cambiamento in coerenza senza il dissolvimento dei confini del gruppo stesso in modo da mantenere una forte identificazione con la propria comunità.

Ridurre i membri a pure espressioni dei centri di costo esasperando oltre il dovuto la funzione pratica puramente finanziaria del budget, senza vedere al di là del numero l’essere, può portare al dissolvimento prima etico e poi materiale della comunità, così come la perdita del controllo del valore della moneta da parte delle realtà pubbliche a favore di potentati finanziari sovranazionali privati dissolve la coesione della comunità statuale, essendo la moneta nonché l’aspetto finanziario che ne consegue la manifestazione tangibile della comunità nazionale e delle realtà valoriali che la sottendono, il suo controllo espressione di un potere riconosciuto e potenzialmente sostenibile nel tempo.

Come sottolinea V. Perrone : “Solo uno stato forte, prestigioso e rispettato, alle cui regole e ai cui valori tutti sono tenuti può permettere la coesistenza di gruppi con identità differenti, trasformando il conflitto e il confronto fra le parti in un meccanismo evolutivo per il tutto”, tanto da far nascere una “ cittadinanza organizzativa”.

Le sfere pubbliche, quale luogo di vero dibattito e non solo di proscenio per accordi segreti, possono quindi assumere un ruolo civilizzatore da sovrapporre alla prerogativa civilizzatrice propria del diritto già esaltata da Kant quale limite all’arbitrio, anche se come tutto l’umano manipolabile, quello che deve emergere chiaramente è comunque la trasparenza della genesi dell’atto creativo della norma seppure sempre sottoposta al rischio della sua interpretazione comunicativa; ritorna la necessità, il dovere civico e la responsabilità delle elitè culturali quale cinghia di trasmissione tra i gruppi sociali, fornitrice di chiavi di lettura, ancor più in un quadro nel quale la comunicazione avviene in termini rissosi di spot forti e unidirezionali come in una competizione di pugilato senza che vi sia la definizione di un chiaro modello progettuale del sociale se non in termini generici di esaltazione di un singolo e del tutto particolare aspetto.

Il rischio è quello che è stato definito “effetto sedimentazione” per cui certi argomenti parziali e non effettivamente dibattuti nella sua interezza, come i comportamenti vengano nel ripetersi quotidiano ad essere naturalmente accettati e così a modificare progressivamente il DNA dell’agire pubblico, non vi è quindi la necessità o l’obbligatorietà di modificare le norme, basta offrire una lettura sedimentata del senso fino a modificarne gli effetti e questo ancor più nelle norme costituzionali; dobbiamo considerare che vi è sempre una costruzione rappresentativa dei fatti e dei valori (Chartier) nonché la possibilità di fornirne un dato significato.

 

Bibliografia:

 

  • N. Abbagnano, Storia della filosofia, Utet, 1974;
  • R. Chartier, La rappresentazione del sociale. Saggi di storia culturale, Boringhieri, 1989;
  • R. Giardina, Biografia del Marco tedesco. D.M. uber alles, Giunti,1996;
  • V. Perrone, Nella sfida col mondo ci giochiamo la carta dell’identità, 3-9, in E&M Sda Bocconi, Etas, 1/2010;
  • P. Sloterdijk, Sfere-Bolle, Melteni, 2009.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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