Il diritto al risarcimento del danno con riguardo alla programmazione di uno spettacolo blasfemo

Filippo Franze 24/05/17
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La programmazione di uno spettacolo intorno al quale vertono le accuse di ledere l’altrui sentimento religioso deve ritenersi espressione di una libertà garantita dalla Carta Costituzionale le cui finalità risiedono nello sviluppo della cultura e nella promozione dell’arte ai sensi degli artt. 9 e 33 Cost. Si è, così, pronunciata la prima Sezione della Cassazione Civile la quale ha respinto la domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali conseguenti alla omessa censura di una manifestazione artistica svoltasi durante un evento organizzato dalla fondazione “La Biennale di Venezia”.

Il ricorrente sosteneva che la rappresentazione del suddetto spettacolo all’interno di un festival di danza avrebbe urtato il comune sentire medio del cittadino cattolico il quale, pur decidendo di non assistere all’esibizione considerata blasfema, trarrebbe un pregiudizio morale dalla sola promozione dell’opera sui cartelloni pubblicitari. L’asserita funzione pubblica della Biennale di Venezia imporrebbe all’ente di stabilire la programmazione artistica in osservanza dei doveri ex artt. 97 e 98 Cost. che, incombendo sul funzionario, richiedono un contemperamento degli interessi imparziale nei confronti di tutti i cittadini, ivi compresa la comunità credente. Lo stesso invito ad esibirsi da parte della fondazione organizzatrice l’avrebbe resa corresponsabile per l’oltraggio civico e l’offesa della libertà religiosa scaturita in seguito al mantenimento del balletto in programma. Sarebbe, altresì, leso il principio di laicità dello Stato in forza del quale è vietato qualsiasi atto dell’ordinamento teso a screditare, così come a sostenere, un determinato orientamento religioso.

La Suprema Corte, in contrasto con le predette argomentazioni, ha invero ritenuto lecita la condotta tenuta dalla Biennale di Venezia, non avendo questa cagionato alcuna lesione dei diritti esaminati in ricorso né essendo contravvenuta a pretese disposizioni di natura amministrativa.

La pronuncia emessa dalla prima Sezione della Cassazione Civile ha riguardato, sostanzialmente, due ordini di questioni. Nel decidere sulla natura giuridica della funzione esercitata dalla Biennale, si è ritenuto irrilevante il fatto che l’ente appartenga al novero degli organismi di diritto pubblico di cui all’art. 3, co 26, del d.lgs. n. 163 del 2006, dovendo esaminarsi piuttosto se l’inserimento dell’opera nella programmazione artistica abbia costituito o meno un adempimento oggettivamente amministrativo. A tale quesito, il Giudice di legittimità ha fornito una risposta negativa qualificando come privata l’operazione della Biennale che, difatti, avrebbe posto in essere un “mero atto interno volto a favorire la maggiore rappresentatività dell’evento culturale in programma ed il suo maggior successo”. La tesi del ricorrente in ordine al rispetto del criterio di imparzialità non avrebbe potuto, comunque, trovare accoglimento giacchè l’obbligo di non discriminazione espresso dal principio sopra richiamato differisce da un generalizzato dovere per il pubblico funzionario di inibire la partecipazione all’evento di ogni manifestazione artistica che sia sospettata di offendere il sentimento religioso.

Con riferimento, invece, all’interpretazione fatta dell’art. 19 Cost., si è adottato un giudizio favorevole nei confronti della fondazione “La Biennale di Venezia” la cui scelta di non censurare il balletto è stata considerata legittima nonostante fosse stata assunta dal ricorrente la compressione della propria libertà religiosa individuale. La Cassazione si è conformata all’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 63 del 2016; n. 508 del 2000, n. 329 del 1997, n. 440 del 1995, n. 203 del 1989) per il quale il principio di laicità dello Stato “comporta equidistanza e imparzialità della legislazione rispetto a tutte le confessioni religiose, e, dunque il dovere di garantire, rimanendo neutrale ed imparziale, l’esercizio delle diverse religioni, culti e credenze e di assicurare la tolleranza anche nelle relazioni tra credenti e non credenti (artt. 19 Cost. e 9 della CEDU; cfr. sent del 18 marzo 2011 – ricorso n. 30814/06 – L. e altri e. Italia, e giurisprudenza richiamata)”. I soli limiti sono stati, quindi, ravvisati nel rispetto del buon costume, nella rilevanza penale dei fatti e nell’osservanza dell’ordine pubblico. Ulteriori applicazioni del principio di laicità, neutralità ed imparzialità religiosa devono, poi, scorgersi in esplicazione degli artt. 9 e 33 Cost. che, come detto, assicurano la libertà delle arti e delle scienze nonché la promozione dello sviluppo della cultura in quanto scevro da qualsivoglia limite e/o condizionamento.

Si configura, così, il diritto in seno agli organizzatori di poter valutare il contenuto delle manifestazioni artistiche senza che le idee sulle quali esse si basano e/o le loro forme espressive acquisiscano una valenza dirimente al parere della direzione esaminatrice. È necessario osservare, ancora, che l’esenzione dal visto di censura per le opere effettuate nell’ambito della Biennale di Venezia è prevista in maniera specifica dall’art. 16, co 4, dello stesso d.lgs. n. 19 del 1998.

Alla luce di tali motivazioni, il Giudice di legittimità ha ritenuto non sussistere il requisito dell’ingiustizia del danno rilevante ai sensi della normativa sulla responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., atteso che lo stesso pregiudizio asserito dal ricorrente sarebbe stato inferto in presenza di una causa giustificativa e, dunque, non sarebbe suscettibile di risarcimento alcuno da parte della fondazione privata. La programmazione di una manifestazione artistica (a cominciare dall’invito a partecipare inoltrato agli artisti) è stata, infatti, espressione, di una libertà garantita dalla Carta costituzionale per il disposto degli artt. 9 e 33 Cost.

Sentenza collegata

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