Il decreto rilancio e la normativa sull’emersione del lavoro irregolare. Un primo commento.

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1. Premessa

Dopo settimane di discussione serrata, il Governo è riuscito a raggiungere un accordo per la regolarizzazione dei migranti presenti sul territorio dello Stato. L’accordo tra le diverse sensibilità politiche è stato trasfuso nell’art. 110 bis del Decreto Rilancio denominato “Emersione dei rapporti di lavoro”. Si tratta di un testo piuttosto complesso che prevede la regolarizzazione soltanto per alcune precise categorie di persone, che lavorano o intendono lavorare nei settori più problematici: agricoltura e allevamento, assistenza agli anziani e cura della casa.
L’accordo è stato confermato nel corso della conferenza stampa tenutasi nella serata del 13 maggio e i contenuti dello stesso sono stati illustrati per sommi capi dal Ministro Bellanova prima che la bozza definitiva del testo iniziasse a circolare.
La ratio dichiarata dell’art. 110 bis è “garantire livelli adeguati di tutela della salute individuale e collettiva in conseguenza della contingente ed eccezionale emergenza sanitaria connessa alla calamità derivante dalla diffusione del contagio da Covid-19 e favorire l’emersione di rapporti di lavoro irregolari …”
L’articolo 110 bis del Decreto Rilancio si presenta come un testo molto corposo, composto di 22 commi. Una norma che delinea due canali per attuare la regolarizzazione.
Il primo canale prevede che i datori di lavoro possano regolarizzare i lavoratori attualmente irregolari. Nel caso di migranti irregolari, questi riceveranno automaticamente un permesso di soggiorno.
Il secondo canale prevede – per i migranti irregolari che già avevano lavorato nei settori interessati ma hanno perso il lavoro – un permesso temporaneo di sei mesi per cercare un nuovo impiego nei settori concordati.
In altre parole, quella che è stata annunciata come una sanatoria per i lavoratori irregolari soprattutto stranieri (ma non solo), è in verità una sanatoria anche per i datori di lavoro che utilizzano manodopera irregolare.

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2. Cosa prevede l’art.110 bis

La normativa si rivolge sia ai datori di lavoro sia ai lavoratori irregolari.
In forza del comma primo dell’art. 110 bis, i datori di lavoro italiani o cittadini di uno Stato membro dell’Unione Europea, ovvero i datori di lavoro stranieri in possesso di un titolo di soggiorno ex art. 9 Decreto Legislativo n 286 del 1998, possono presentare istanza per concludere un contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti nel territorio italiano o per dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare ancora in corso con cittadini italiani o cittadini stranieri.

Allo stesso modo, invece, il comma secondo prevede che i cittadini stranieri, con permesso di soggiorno, possono richiedere un permesso di soggiorno temporaneo, valido solo nel territorio italiano della durata di 6 mesi. Tale termine inizia a decorrere dalla presentazione dell’istanza.
Le istanze suddette possono essere presentate previo pagamento di un contributo forfettario di euro 400 da parte del datore di lavoro per ciascun lavoratore che si intende far emergere, mentre di euro 160 per le ipotesi di cui al comma secondo.

Come già detto in precedenza, i casi contemplati dalla normativa in commento sono limitati ai settori espressamente indicati ovvero agricoltura, allevamento e zootecnia, pesca e acquacoltura e attività connesse; assistenza alla persona per se stessi o per componenti della propria famiglia, ancorché non conviventi, affetti da patologie o handicap che ne limitano l’autosufficienza; lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare.

Per quanto riguarda i datori di lavoro si prevede che l’istanza debba contenere anche l’indicazione della durata del contratto di lavoro e la retribuzione convenuta (comma 4).
Le istanze devono possono essere presentate ai sensi del comma 5:
– all’INPS nel caso di lavoratori italiani o cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea;
– allo Sportello Unico per l’immigrazione, nel caso di lavoratori stranieri;
– alla Questura se riguardano il rilascio di permessi di soggiorno temporaneo.
Nei casi di istanze presentate allo Sportello Unico per l’immigrazione, questo deve verificare l’ammissibilità delle dichiarazioni contenute e acquisire il parere della Questura sulla insussistenza di motivi ostativi e il parere dell’Ispettorato del lavoro territorialmente competente in ordine alla capacità economica del datore di lavoro e alla congruità delle condizioni di lavoro. Dopo queste verifiche preliminari, lo Sportello unico dell’immigrazione convoca i soggetti interessati per la stipula del contratto di soggiorno, per la comunicazione obbligatoria di assunzione e la compilazione del permesso di soggiorno per lavoro subordinato.

Nella diversa ipotesi di istanza per il rilascio di permesso di soggiorno temporaneo avanzata dal cittadino straniero presentata direttamente al Questore tra il 1 giugno e il 15 luglio del 2020, questa deve contenere anche tutta la documentazione comprovante l’attività lavorativa svolta nei settori indicati in precedenza. Al momento della presentazione della domanda, viene consegnata una attestazione all’interessato che consente a questi di soggiornare legittimamente nel territorio italiano fino alle ulteriori determinazioni dell’Autorità. Tale attestazione consente anche lo svolgimento di lavoro subordinato, sempre nei settori indicati, nonché la possibilità di convertire la domanda di permesso di soggiorno temporaneo in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
Naturalmente, nelle more della definizione dell’iter procedimentale appena richiamato, lo straniero non può essere espulso dal territorio italiano.

3. I limiti previsti

La normativa che si sta analizzando non si applica in maniera indiscriminata a tutti i lavoratori stranieri presenti sul territorio nazionale.
Innanzitutto, come già evidenziato, la normativa prevista dal c.d. Decreto Rilancio si applica solo per i settori indicati nel comma 2 e richiamati in premessa del presente articolo.
Ma non solo.

L’art. 110 bis comma 1° infatti si applica solamente agli stranieri che siano stati sottoposti a rilievi foto dattiloscopici prima dell’8 marzo 2020 o che abbiano soggiornato in Italia precedentemente alla suddetta data attraverso la prova di aver fatto la dichiarazione di presenza.
Si tratta di una previsione che rischia di creare molti problemi perché sono numerosi i cittadini stranieri che non sono mai stati sottoposti a rilievi foto dattiloscopici o che non hanno reso la dichiarazione di presenza. Soggetti che quindi rischiano di non poter dare prova della loro presenza sul territorio prima della data indicata nel decreto e che pertanto non potranno regolarizzare la loro posizioni.
Allo stesso modo, invece, la possibilità di richiedere un permesso di soggiorno temporaneo è limitata ai cittadini stranieri con permesso di soggiorno scaduto successivamente al 31 ottobre 2019.
Sono naturalmente esclusi i lavoratori stranieri nei confronti dei quali è stato emesso un provvedimento di espulsione ai sensi dell’art. 13 commi 1 e 2 del Decreto Legislativo 25 luglio 1998 n. 286, a quelli che risultino segnalati in base ad accordi o convenzioni internazionali ai fini della non ammissione nel territorio italiano; condannati, anche in via non definitiva, per reato in flagranza o per delitti contro la libertà personale o per reati inerenti gli stupefacenti, il favoreggiamento della immigrazione clandestina, il reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento in altre attività illecite. Sono infine esclusi tutti i soggetti considerati una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato.

4. Chi rimane fuori

Come abbiamo visto, il percorso di regolarizzazione immaginato dall’art. 110 bis non è un percorso aperto a tutti. Si tratta di una regolarizzazione che potremmo definire parziale e settoriale.
Sono numerose le categorie di lavoratori stranieri irregolari che sono esclusi da questa sanatoria, basti pensare, a titolo di esempio, ai tanti lavoratori utilizzati nell’edilizia.
Questa scelta settoriale fa pensare che in fondo la vera ragione che soggiace al provvedimento in questione è la necessità di forza lavoro nelle campagne italiane per i prossimi mesi.
Esiste poi un problema relativo alla interpretazione delle c.d. “attività connesse” ai tre settori principali indicati. E’ evidente che la interpretazione più o meno larga di questa locuzione può fare la differenza per tantissimi lavoratori.
In attesa dei dovuti chiarimenti sulla corretta interpretazione di tale espressione, rimane un’area grigia che deve ancora essere riempita e non sarà semplice farlo.
A titolo di esempio, possiamo considerare attività connessa un’attività imprenditoriale che si occupa di produzione di mangimi?
Come deve essere considerato il lavoratore che si occupa del trasporto di prodotti agricoli?

5. Cosa manca?

Il decreto all’interno del quale è stata inserita la misura sulla regolarizzazione contiene quasi esclusivamente misure economiche. Ed infatti anche la misura prevista dall’art. 110 bis si pone come un intervento economico volto a risolvere i problemi concreti di alcuni settori produttivi del nostro Paese.
Manca però una concreta risposta alla esigenza principale da cui muove il provvedimento in discussione. Nel comma 1 infatti si legge che l’art. 110 bis mira sostanzialmente a “garantire livelli adeguati di tutela della salute individuale e collettiva” in un momento particolarmente grave, quello attuale, caratterizzato da una emergenza sanitaria in corso.
E’ evidente che se così è, non possono certo bastare le misure di emersione dal lavoro irregolare così come individuate nell’articolo citato sia per il loro carattere parziale e settoriale, sia perché non risolvono affatto i problemi profondi che attanagliano la stragrande maggioranza dei lavoratori irregolari presenti sul nostro territorio. Problemi ancora più evidenti se pensiamo ai lavoratori stagionali occupati in agricoltura (mancanza di adeguate soluzioni abitative, precarie condizioni igienico sanitarie, sfruttamento). Così la regolarizzazione si traduce esclusivamente in un intervento che trova la sua ragion d’essere nelle esigenze economiche e produttive di ampi settori del nostro Paese ma che dimentica il tema più ampio e complesso dei diritti. Una questione non secondaria che mette a nudo due contrapposte visioni sulla regolarizzazione, ma anche due visioni opposte del mondo.

6. L’esperienza del portogallo

Ancor prima del nostro Paese, il problema della regolarizzazione dei lavoratori stranieri è stato posto con forza in Portogallo. Numerose associazioni avevano dichiarato, con una lettera indirizzata al Primo Ministro, le loro preoccupazioni per la sorte degli irregolari presenti sul territorio portoghese in relazione alla pandemia da Covid 19 in corso.
Il Governo Portoghese ha risposto in tempi brevi con un decreto che ha di fatto regolarizzato tutti i migranti che avevano fatto in precedenza una domanda per ottenere un permesso di soggiorno (qualsiasi tipo di permesso di soggiorno). Nel sistema messo in piedi dal Governo portoghese, la domanda di permesso in possesso dello straniero diviene un permesso di soggiorno temporaneo e dà accesso a tutti i servizi pubblici come il Servizio Sanitario Nazionale e i servizi sociali.
In sostanza la logica adottata dal Governo portoghese è stata quella di garantire diritti a tutti i cittadini stranieri con procedimenti pendenti per il riconoscimento di un permesso di soggiorno, indipendentemente dal loro utilizzo all’interno delle filiere produttive. A tale riguardo, infatti, Eduardo Cabrita, Ministro degli Interni portoghese, ha dichiarato: “In uno Stato di emergenza la priorità è la difesa della salute e della sicurezza collettiva. È in questi momenti che diventa ancora più importante garantire i diritti dei più fragili come i migranti. Garantire l’accesso dei cittadini migranti alla salute, alla sicurezza sociale e alla stabilità del lavoro e dell’alloggio è un dovere di una società solidale in tempi di crisi” .

7. Conclusioni

Anche se potenzialmente si tratta di un intervento che potrebbe interessare moltissime persone che lavorano stabilmente come colf, badanti o braccianti agricoli, non pochi dubbi si possono sollevare sulla possibilità concreta che venga utilizzato.
Per un verso non convincono le procedure particolarmente farraginose immaginate dal legislatore che rappresentano un serio ostacolo per chi si trova a vivere in condizioni di grande difficoltà sotto tutti i punti di vista. Per altro verso, invece, si è portati a dubitare anche sulla reale intenzione e/o convenienza del datore di lavoro di procedere alla regolarizzazione o assunzione di lavoratori soprattutto in un momento di grave crisi sanitaria, sociale ed economica come quella attuale. Sono diversi gli osservatori che in queste ore stanno evidenziando la possibile inefficacia della sanatoria messa in campo dal legislatore. Soprattutto appare probabile che in mancanza di incentivi ai datori di lavoro non vi sarà molta disponibilità a provvedere alle regolarizzazione.
Ma non solo.
Dall’altro versante, quello dei rappresentanti dei datori di lavoro, si invita naturalmente a fare presto e si paventa il rischio che il meccanismo messo in piedi non riuscirà a dare risposte concrete alle necessità dei datori di lavoro perché i tempi dello Stato non combaciano con quelli delle imprese. Una paura comprensibile da parte di chi si appresta ad affrontare una stagione molto complicata come quella attuale tra mille incertezze e punti di domanda.
In generale, possiamo dire che in fondo quello che si sta analizzando era un provvedimento necessario ma alla fine non rappresenta la soluzione dei problemi che erano stati posti sul tavolo della politica. Un accordo che non convince e che lascia molte perplessità anche rispetto alla concreta applicabilità.

Naturalmente, come per tutti gli interventi legislativi, per comprendere se e come avrà funzionato questa sanatoria dovremo attendere almeno qualche mese per iniziare a valutare i numeri delle regolarizzazioni e gli effetti concreti sul miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori “invisibili”. Vedremo, ad esempio, quanti migranti si presenteranno in Questura accettando in sostanza di autodenunciarsi e fornire allo Stato una serie di dati sensibili come l’indirizzo di residenza e le proprie generalità con il forte rischio di trovarsi fra sei mesi senza lavoro e in una condizione di maggior rischio di espulsione.

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Arturo Raffaele Covella

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