Il danno tanatologico

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1. Premessa

La risarcibilità del danno non patrimoniale è il tema che maggiormente ha animato i dibattiti giurisprudenziali e dottrinali degli ultimi anni.

Al fine d’ampliare lo spettro d’applicabilità dell’art. 2059 c.c. i giudici hanno dato la stura ad un insensato proliferare di categorie di danno1. Proprio per porre fine a questa ingiustificata poiesi le Sezioni Unite2 sono intervenute operando una reductio ad unum: il danno non patrimoniale, ex art. 2059 c.c. non deve e non può essere suddiviso in diverse voci risarcitorie. Le distinte denominazioni (danno morale, danno biologico, danno esistenziale, danno da perdita del rapporto parentale o tanatologico), ha precisato la Corte, devono essere lette come mere sintesi descrittive adottate dalle sentenze gemelle del 20033 dal momento che «il danno non patrimoniale» si presenta come una «categoria generale non suscettiva di suddivisione in sotto categorie variamente etichettate»4. E’ il giudice a dover «accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione»5, procedere a un’«adeguata personalizzazione della liquidazione»6 e valutare, infine, «le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso»7 nella loro «effettiva consistenza, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza»8 ed evitare duplicazioni. La pronuncia conferma, poi, il consolidato atteggiamento di chiusura della Suprema Corte italiana nei confronti della figura dei danni punitivi: «Il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre»9.

 

2. Il danno tanatologico

Quanto al danno tanatologico le Sezioni Unite precisano che «Il giudice potrà invece correttamente riconoscere e liquidare il solo danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l’agonia in consapevole attesa della fine. Viene così evitato il vuoto di tutela determinato dalla giurisprudenza di legittimità che nega, nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall’evento lesivo, il risarcimento del danno biologico per la perdita della vita (sent. n. 1704/1997 e successive conformi), e lo ammette per la perdita della salute solo se il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile, al quale lo commisura (sent. n. 6404/1998 e successive conformi). Una sofferenza psichica siffatta, di massima intensità anche se di durata contenuta, non essendo suscettibile, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di degenerare in patologia e dare luogo a danno biologico, va risarcita come danno morale, nella sua nuova più ampia accezione»10.

Il danno da morte, originato dal combinato disposto dell’art. 2059 c.c. con l’art. 2 cost., designa il danno subito dal soggetto che muore a causa di una condotta illecita altrui.

Con il sintagma danno tanatologico si descrivono, in realtà, due distinte ipotesi di danno, originate dal medesimo evento: il danno da morte iure hereditatis e il danno tanatologico iure proprio.

Il primo definisce il danno subito dalla vittima primaria dell’illecito che può essere rivendicato dai suoi eredi; il danno tanatologico iure proprio, invece, ha ad oggetto la violazione, patita dai parenti della vittima, dell’interesse all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci. Quest’ultimo interessa la lesione di due beni della vita, inscindibilmente collegati: il bene dell’integrità familiare, con riferimento alla vita quotidiana della vittima con i suoi familiari, (artt. 2, 3, 29, 30, 31, 36 cost.); il bene della solidarietà familiare, sia in relazione alla vita matrimoniale che in relazione al rapporto parentale tra genitori e figli e tra parenti prossimi conviventi (artt. 2, 3, 29, 30 cost.)11.

Illuminante al fine di comprendere tale distinzione è una recente pronuncia della Cassazione12. La Corte riconosce che alla morte della vittima consegue insieme al «massimo sacrificio del diritto personalissimo (…) l’estinzione del rapporto parentale con i congiunti della vittima, a loro volta lesi nell’interesse all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci ed alla scambievole solidarietà che connota la vita».

Sotto la stessa voce di danno (tanatologico) sono state spesso sussunte anche le figure del danno biologico terminale e del danno morale terminale (o catastrofico).

Il danno biologico terminale è quello che sorge in capo alla vittima nel caso in cui tra la lesione della salute e la morta intercorra un apprezzabile lasso di tempo; dopo la morte del danneggiato si trasmette, per successione, ai suoi eredi13.

Per danno catastrofico14 si intende il danno psichico subito dalla vittima, dopo il decorso di un intervallo di tempo anche molto breve tra le lesioni e la morte, quando si accerta una sofferenza di tale intensità da configurare nella percezione della vittima un danno (catastrofico) consistente nella lucida percezione della morte imminente.

La giurisprudenza dominante ammette la risarcibilità, iure successionis, del danno biologico terminale e del danno catastrofico15. Sul primo è necessaria, tuttavia, una precisazione. Per la Suprema Corte il danno biologico terminale è risarcibile al danneggiato e trasmissibile agli eredi solo nel caso in cui, tra le lesioni subite dalla vittima dell’illecito e la morta causata dalle stesse, intercorra un «apprezzabile lasso di tempo»16.

Altrettanto consolidato è l’orientamento giurisprudenziale che nega cittadinanza nel nostro ordinamento al danno da privazione della vita in sé considerato (c. danno tanatologico iure hereditatis) e ammette al contempo la risarcibilità del danno tanatologico iure proprio ai familiari della vittima.

Giurisprudenza e dottrina maggioritarie ritengono, infatti, che non si possa risarcire il danno tanatologico iure hereditatis dal momento che il titolare del preteso diritto non è più in vita quando esso dovrebbe sorgere17. La perdita della vita impedirebbe ab origine che la lesione subita a seguito del fatto illecito si trasformi in un danno per la persona che tale pregiudizio ha patito. Il venir meno della personalità giuridica a seguito della morte renderebbe il soggetto incapace di diventare titolare del diritto al risarcimento, pertanto, nessuna perdita può derivare dall’evento in capo ad un soggetto che – nel momento stesso del verificarsi dell’accadimento lesivo – non risulti più titolare di soggettività giuridica perché non più in vita18. Si ritiene che nel patrimonio dell’offeso non sorga alcun diritto al risarcimento per la perdita della vita trasferibile, iure successionis, agli eredi, poiché, nel nostro sistema di responsabilità civile, l’oggetto del risarcimento deve conseguire a una perdita cagionata dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva, che in questo caso difetterebbe del proprio titolare. Ove si ammettesse la configurabilità di un simile danno, infatti, si avrebbe un diritto al risarcimento adespota. Con la morte la persona offesa perde la capacità giuridica in difetto della quale è logicamente e giuridicamente impossibile l’acquisto del diritto al risarcimento e, a fortiori, la sua trasmissibilità agli eredi della vittima.

La tesi non appare condivisibile: anche nell’ipotesi di morte immediata è possibile riscontrare un nesso di causalità tra la causa (evento) e la conseguenza (la morte della persona offesa) che impedisce di dubitare della scissione cronologica dei due momenti19. La sussistenza di un lasso temporale tra la lesione e la morte consente al diritto al risarcimento di far ingresso nel patrimonio della vittima e divenire suscettibile di essere trasmesso, per intero, agli eredi. Questa soluzione ha ricevuto il placet giurisprudenziale con la sentenza della III sezione della Cassazione (civile) del 12 luglio 2006, n. 15760, che non solo ha riconosciuto, in un obiter dictum, la risarcibilità dal danno tanatologico iure hereditatis ma ha rilevato anche, sulla scia di quanto affermato da autorevole dottrina20 che i rapporti giuridici non sono regolati dal tempo bensì dalla logica, ed è, perciò, sempre possibile distinguere la lesione dalla morte. In tal modo si evita, inoltre, di far sì che nel nostro ordinamento sia economicamente più vantaggioso uccidere che ferire una persona21. V’è un’ulteriore considerazione che evidenzia la necessità di ammettere tale ricostruzione. Basti porre la mente all’ipotesi in cui l’evento che cagiona la morte della persona offesa sia un sinistro stradale. In tal caso, laddove nell’incidente restino danneggiati o vengano distrutti beni materiali appartenenti alla vittima, per effetto della lesione della proprietà, sorge un obbligo al risarcimento in capo al danneggiante trasmissibile, iure successionis, agli eredi della vittima. Tuttavia in quest’ipotesi nessuno dubita che sorga un diritto di credito. Eppure il pregiudizio alla proprietà si verifica contemporaneamente alla lesione del bene vita. Anche in tal caso dunque ci troviamo dinanzi a un diritto adespota, che nasce privo di titolare. Delle due l’una: o ammettiamo la risarcibilità del danno tanatologico, iure hereditatis, anche in difetto di un apprezzabile lasso di tempo ovvero dovremo negare il ristoro dei danni prodotti ai beni materiali della vittima.

Tra le ragioni che ostacolano il riconoscimento del danno da perdita della vita compaiono il carattere personalissimo e intrasmissibile del diritto leso e la tradizionale funzione assolta dalla responsabilità civile nel nostro ordinamento.
Quanto al primo profilo è evidente l’errore generato dalla confusione tra diritto alla vita e diritto al risarcimento per lesione del bene giuridico della vita: ciò che si trasmette non è il diritto bensì l’obbligazione risarcitoria sorta in capo alla persona offesa.

In relazione alla funzione della responsabilità aquiliana la vexata quaestio investe l’esclusività della funzione compensativa22 ovvero la sua possibile concorrenza con la funzione sanzionatoria23. Il risarcimento del danno serve a reintegrare il soggetto leso nel suo patrimonio24 e non a sanzionare l’autore dell’atto illecito25. A differenza della giurisprudenza26 la dottrina sembra riconoscere, accanto alla finalità riparatoria e di reintegrazione anche una funzione sanzionatoria al risarcimento27.

Vi sarebbe un ulteriore motivo che non consente il risarcimento di tale voce di danno. E’ noto che la responsabilità civile assolve una funzione riparatoria e satisfattiva28: il risarcimento mira a ricostruire, in forma specifica o per equivalente, la consistenza del patrimonio (inteso in senso lato, comprensivo anche dei diritti della persona) del soggetto vittima dell’illecito. In caso di decesso della persona offesa, tuttavia, ciò non sarebbe possibile né in forma specifica né per equivalente, a causa della mancanza del soggetto che dell’utilità sostitutiva del bene perduto possa giovarsi29. L’impossibilità di risarcire la privazione della vita discenderebbe, quindi, dalla peculiare natura del diritto alla vita, che ha ad oggetto un bene del quale solo il titolare può godere, e può fruirne soltanto in natura, non essendo concepibile un godimento per equivalente. A ben vedere tale assunto non è condivisibile. Non si vuole negare che la vita sia godibile soltanto in natura, soltanto evidenziare come la lesione del bene «vita» facente parte del patrimonio del soggetto offeso, può concretamente essere riparato per equivalente. Il risarcimento per equivalente, infatti, non deve sopperire al mancato godimento del bene specifico con un altro equivalente bene, bensì mirare alla reintegrazione del patrimonio della persona lesa.

 

3. La giurisprudenza successiva alle Sezioni Unite

Come già sottolineato le Sezioni Unite nelle note sentenze dell’estate di San Martino hanno ricondotto i danni risarcibili nell’ambito della classificazione bipolare prescritta dal legislatore (racchiudendoli tutti nelle due categorie dei danni patrimoniali e non patrimoniali) e hanno rilevato la mera funzione descrittiva delle varie denominazioni formulate da dottrina e giurisprudenza. Nondimeno si è stabilito che nel liquidare il danno non patrimoniale in un’unica voce il giudice pur evitando duplicazioni risarcitorie dovrà comunque procedere a un risarcimento integrale del danno. In relazione al danno tanatologico ad avviso delle Sezioni Unite nel quantificare la somma dovuta a titolo di danni morali si deve tener conto «anche della sofferenza psichica subita dalla vittima di lesioni fisiche alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l’agonia, in consapevole attesa della fine» sì da colmare «il vuoto di tutela determinato dalla giurisprudenza di legittimità che nega (…) il risarcimento del danno biologico per la perdita della vita»30.

La giurisprudenza successiva a questa pronuncia non sempre si è uniformata alle linee guida tracciate dai giudici supremi: le sentenze sul tema non hanno fornito alcuna uniformità nell’indicazione dei criteri applicabili.

Se da un lato diverse pronunce hanno percorso la via tracciata dalla Cassazione dall’altro molti giudici hanno continuato ad avvalersi del criterio dell’apprezzabile lasso di tempo quale condizione imprescindibile per la liquidazione del danno tanatologico (o morale iure hereditatis nella nuova più ampia accezione delineata dalle s.u.).

Nel primo senso si è riconosciuto che «anche se tra la lesione (…) e il decesso non sia intercorso un intervallo temporale significativo, il relativo risarcimento del danno c.d. tanatologico va senz’altro riconosciuto agli stretti congiunti del deceduto in seguito all’altrui illecito»31 e stabilito che «la sofferenza patita dalla vittima durante l’agonia è autonomamente risarcibile, non come danno biologico, ma come danno morale iure hereditatis, a condizione però che la vittima sia stata in grado di percepire il proprio stato»32. Ad avviso della Corte però «il danno morale, in ogni caso, non può prescindere da un lasso di tempo apprezzabile, parametrabile “in giorni”, non “in ore”»33. In applicazione di questo principio è stata esclusa la risarcibilità del danno non patrimoniale iure hereditario nel caso in cui la vittima abbia sofferto intensamente per meno di un’ora «circostanza che, sebbene toccante sotto un profilo “morale”, non integra i presupposti richiesti dal Supremo Collegio per ritenere entrata nella sfera giuridica del soggetto leso il diritto di credito: un apprezzabile lasso di tempo (…) si può affermare che un lasso temporale inferiore ad un’ora non sia “apprezzabile”»34. Due recenti sentenze della Suprema Corte35 (entrambe del 28 novembre 2008) sono, infine, emblematiche della disomogeneità che informa la materia de qua: la prima riconosce il danno morale terminale, iure hereditatis, ai parenti di un motociclista deceduto a distanza di ventotto ore dall’evento, la seconda, invece, lo nega ai parenti di un soggetto deceduto a distanza di quaranta ore dall’evento36.

 

4. La recentissima soluzione adottata dalla Cassazione

La controversa questione è stata, di recente, nuovamente affrontata dal Supremo Collegio37.

La pronuncia ha ad oggetto il decesso di un agricoltore colpito da una scarica elettrica durante un lavoro su un albero di noce; le fronde dell’albero (situato sotto la linea elettrica), infatti, erano cresciute a tal punto da giungere a toccare i fili dell’alta tensione. Nel giudizio penale relativo all’infortunio erano stati dichiarati colpevoli e condannati sia il proprietario del terreno sia l’impiegato dell’Enel, responsabile dell’area sulla quale passa la linea elettrica. Contro questi gli eredi della vittima hanno proposto domanda di risarcimento dei danni, patrimoniali e non, subiti. Il Tribunale38 ha accolto le domande attrici e ha riconosciuto agli eredi della persona offesa il risarcimento del danno non patrimoniale, a titolo di danno biologico iure successionis.

La Corte d’appello39, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha negato il risarcimento del danno biologico iure hereditario riducendo la somma liquidata in risarcimento dei danni non patrimoniali perché, a suo avviso la morte era stata pressoché immediata. Contro questa decisione gli eredi della vittima ricorrono in Cassazione lamentando «vizi di motivazione e violazione degli artt. 2043, 2056, 2059, 1223 e 1226 c.c., nella parte in cui la Corte di appello ha negato loro il diritto di conseguire iure haereditario il risarcimento del danno biologico subito dal defunto per effetto dell’incidente»40. In particolare «Le ricorrenti censurano l’interpretazione della Corte di appello, secondo cui – ove la morte sopraggiunga immediatamente o a breve distanza di tempo dall’evento lesivo – la lesione viene a colpire non il diritto alla salute, ma il diritto alla vita, del quale ultimo non può essere attribuita riparazione alcuna, qualora venga a mancare, con la morte, il soggetto che dovrebbe soffrire la perdita»41. La pronuncia della Corte d’appello prende le mosse da una decisione della Corte costituzionale del 199442 ove si traccia una netta distinzione tra la vita e la salute quali «beni giuridici diversi, oggetto di diritti distinti» con il corollario che «la lesione dell’integrità fisica con esito letale non può considerarsi una semplice sottoipotesi di lesione alla salute in senso proprio, la quale implica la permanenza in vita della vittima, sia pur con menomazioni invalidanti»43. Tale assunto è divenuto il fondamento per negare la sussistenza di un danno quando la morte segue con immediatezza, o dopo breve tempo, la condotta illecita. La morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute bensì incide sul diverso bene giuridico della vita, la cui perdita, a causa del venire meno del soggetto non può tradursi nel contestuale acquisto al patrimonio della vittima di un corrispondente diritto al risarcimento, trasferibile agli eredi. Necessitando il danno biologico di una proiezione futura e di una durata della vita, questo non è configurabile nel caso di decesso del soggetto leso. Il danno è risarcibile alla persona offesa e trasmissibile da questa agli eredi solo nell’ipotesi in cui intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni subite dalla vittima del sinistro e la morte causata dalle stesse.

La prima apertura alla risarcibilità del danno da perdita della vita va rintracciata in una pronuncia della Cassazione44 che, seppur in un obiter dictum, ha ammesso l’integrale risarcibilità del «danno da morte come perdita dell’integrità e delle speranze della vita biologica, in relazione alla lesione del diritto inviolabile alla vita, tutelato dall’art. 2 Cost. ed ora anche dall’art. II-62 Cost. europea, nel senso di diritto ad esistere». Pochi mesi dopo la Corte45 si spinge sino ad affermare che la brevità del periodo di sopravvivenza della vittima alle lesioni patite, in conseguenza di un sinistro stradale, non esclude che la medesima abbia potuto percepire le conseguenze catastrofiche delle lesioni subite e patire sofferenze. In questo caso il diritto al risarcimento, sotto il profilo del danno morale, risulta, pertanto, già entrato a far parte del patrimonio della vittima al momento della morte e può conseguentemente essere fatto valere iure hereditatis.

L’atteso intervento delle Sezioni Unite, non ha fornito una risposta esplicita in merito al danno tanatologico46. Ad avviso della Corte nel quantificare la somma dovuta in risarcimento dei danni morali si deve tenere conto «anche della sofferenza psichica subita dalla vittima di lesioni fisiche alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l’agonia, in consapevole attesa della fine». Percorrendo tale via si evita «il vuoto di tutela determinato dalla giurisprudenza di legittimità che nega (….) il risarcimento del danno biologico per la perdita della vita»47.

La sentenza in commento accoglie la soluzione proposta dalle Sezioni Unite e stabilisce che «Il giudice deve personalizzare la liquidazione dell’unica somma dovuta in risarcimento dei danni morali, tenendo conto anche del c.d. tanatologico, ove i danneggiati ne facciano specifica e motivata richiesta e le circostanze del caso concreto ne giustifichino la rilevanza»48. Rilevato il contrasto della sentenza di secondo grado con detti principi il Supremo Collegio cassa la sentenza impugnata limitatamente al capo relativo alla mancata liquidazione delle somme richieste a titolo di risarcimento del danno morale subito dal defunto (erroneamente definito come danno biologico)49.

Ad avviso della Corte, dunque, la domanda di risarcimento dei danni morali subiti dalla vittima nel tempo che ha preceduto la morte, proposta dai ricorrenti a titolo ereditario, deve essere accolta50: l’agonia seppur di breve durata dev’essere risarcita qualora la vittima sia rimasta lucida «in consapevole attesa della fine».

La sentenza in commento si pone, dichiaratamente, nel solco tracciato dalle Sezioni Unite nelle sentenze di San Martino51 e ribadisce la risarcibilità del danno tanatologico sussumendolo sotto la voce di danno morale, trasmissibile iure hereditatis, «nella sua nuova più ampia accezione»52.

1 Sul punto v. Cass. s.u., 11-11-2008, n. 26972, in Resp. civ. e prev., 2009, 1, 38. Non meritano alcuna tutela i «diritti del tutto immaginari, come il diritto alla qualità della vita, allo stato di benessere, alla serenità: in definitiva il diritto ad essere felici». In dottrina cfr. F. Gazzoni, L’art. 2059 c.c. e la Corte costituzionale: la maledizione colpisce ancora, in La resp. civ., 2003, 1292 s.

2 Cass. s.u., 11-11-2008, n. 26972, cit.

3 Cass. 31-5-2003, nn. 8827 e 8828, in Danno e resp., 2003, 816, con nota di F.D. Busnelli, Chiaroscuri d’estate: la Corte di Cassazione e il danno alla persona, G. Ponzanelli, Ricomposizione dell’universo non patrimoniale: le scelte della Corte di Cassazione e A. Procida Mirabelli di Lauro, L’art. 2059 c.c. va in paradiso; in Corr. giur., 2003, 1031, con nota di M. Franzoni, Il danno non patrimoniale, il danno morale, una svolta per il danno alla persona, 1031 s.; Cass., 31-5-2003, n. 8828.

4 «Le menzionate sentenze, d’altra parte, avevano avuto cura di precisare che non era proficuo ritagliare all’interno della generale categoria del danno non patrimoniale specifiche figure di danno, etichettandole in vario modo (n. 8828/2003), e di rilevare che la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. doveva essere riguardata non già come occasione di incremento delle poste di danno (e mai come strumento di duplicazione del risarcimento degli stessi pregiudizi), ma come mezzo per colmare le lacune della tutela risarcitoria della persona (n. 8827/2003)»: Cass. s.u., 11-11-2008, n. 26972, cit.

5 Cass. s.u., 11-11-2008, n. 26972, cit.

6 Cass. s.u., 11-11-2008, n. 26972, cit.

7 Cass. s.u., 11-11-2008, n. 26972, cit.

8 Cass. s.u., 11-11-2008, n. 26972, cit.

9 Cass. s.u., 11-11-2008, n. 26972, cit. La formula riecheggia quanto affermato in Cass. 30-10-2007, n. 22884, in Resp. civ. e prev., 2008, 1, 80: «non è possibile creare nuove categorie di danni ma solo adottare per chiarezza del percorso liquidatorio, voci o profili di danno con contenuto descrittivo, in virtù del fatto che il danno subito deve essere liquidato in toto, non lasciando privi di risarcimento profili del danno non patrimoniale».

10 Cass. s.u., 11-11-2008, n. 26972, cit.

11 V. Cass. 12-07-2006, n. 15760.

12 Cass. 12-06-2006, n. 13546.

13 Sul punto v. Cass. 31-5-2003, n. 8828, cit.; Cass. 13-01-2006, n. 517; Cass. 22-03-2007, n. 6946; Cass. 17-01-2008

14 Cfr. Cass. 02-04-2001, n. 4783; Trib. Palermo 04-07-2007.

15 App. Milano 14 febbraio 2003, in Giur. milanese, 2003, 305, «Secondo l’esperienza medico legale e psichiatrica le lesioni mortali, qualora non conducano a morte istantanea, producono, nell’intervallo di tempo fra le lesioni medesime e la morte, un danno “catastrofico” (per intensità) a carico della psiche del soggetto che, lucidamente, attende l’estinzione della propria vita. Detto danno (qualificabile non già come dolore, ma essenzialmente come “sofferenza esistenziale”), in quanto danno psichico può essere apprezzato dal soggetto danneggiato, in tutta la sua intensità, pur nel breve intervallo delle residue speranze di vita, essendo in tal caso non solo e non tanto il fatto della durata a determinare la patologia, ma la stessa intensità della sofferenza e della disperazione. Esso è quindi risarcibile ai familiari della vittima “iure hereditatis” e deve essere liquidato con riferimento al momento dell’evento dannoso senza che vi incidano fatti ed avvenimenti successivi, quali la morte del soggetto leso».

16 Cass. 22-03-2007, n. 6946, in Mass. Giust. civ., 2007, 3, «La lesione dell’integrità fisica con esito letale, intervenuta immediatamente o a breve distanza dall’evento lesivo, non è configurabile come danno biologico, poiché la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma incide sul diverso bene giuridico della vita, a meno che non intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni subite dalla vittima del danno e la morte causata dalle stesse, nel qual caso è configurabile un danno biologico risarcibile in capo al danneggiato, che si trasferisce agli eredi, i quali potranno agire in giudizio nei confronti del danneggiante “iure hereditatis”».

17 La soluzione trae origine da una pronuncia della Corte costituzionale. La Corte dopo aver riconosciuto che la vita e la salute sono «beni giuridici diversi, oggetto di diritti distinti» stabilisce che «la lesione dell’integrità fisica con esito letale non può considerarsi una semplice sottoipotesi di lesione alla salute in senso proprio, la quale implica la permanenza in vita della vittima, sia pur con menomazioni invalidanti»: Corte cost. 27 ottobre 1994 n. 372. Sulla scia tracciata dalla Consulta si pongono Cass. 10-09-1998, n. 8970, in Danno e resp., 1999, 306; Cass. 17-11-1999, n. 12756, in Danno e resp., 2000, 321; Cass., 14-02-2000, n. 1633, in Mass. Giust. civ., 2000, 331; Cass. 02-04-2001, n. 4783, in Corr. giur., 2001, 876.

18 V. Cass. 16-05-2003, n. 7632 «In tema di danno biologico, richiesto iure hereditatis (ma il discorso è identico per la richiesta di danno da perdita del diritto alla vita, detto anche danno tanatologico), la lesione dell’integrità fisica con esito letale, intervenuto immediatamente o a breve distanza di tempo dall’evento lesivo, non è configurabile quale danno biologico, dal momento che la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma incide sul diverso bene giuridico della vita, la cui perdita, per il definitivo venir meno del soggetto, non può tradursi nel contestuale acquisto al patrimonio della vittima di un corrispondente diritto al risarcimento, trasferibile agli eredi, non rilevando in contrario la mancanza di tutela privatistica del diritto alla vita (peraltro protetto con lo strumento della sanzione penale), attesa la funzione non sanzionatoria ma di reintegrazione e riparazione di effettivi pregiudizi svolta dal risarcimento del danno, e la conseguente impossibilità che, con riguardo alla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del suo titolare e da questi fruibile solo in natura, esso operi quando tale persona abbia cessato di esistere»; Trib. Milano 11 giugno 2007, n. 7305 «Non è fondata la domanda di risarcimento del danno da “perdita del diritto alla vita”, o danno tanatologico, proposta iure hereditatis dagli eredi, poiché la lesione dell’integrità fisica col verificarsi dell’evento letale immediatamente o a breve distanza di tempo dall’evento lesivo non è configurabile come danno tanatologico. Quella lesione infatti comporta la perdita del bene giuridico della vita in capo al soggetto, che non può tradursi nel contestuale acquisto al patrimonio della vittima di un corrispondente diritto al risarcimento, trasferibile agli eredi, attesa la funzione non sanzionatoria ma di reintegrazione e riparazione degli effettivi pregiudizi svolta dal risarcimento del danno, e la conseguente impossibilità che, rispetto alla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del suo titolare e da questi fruibile solo in natura, esso operi quando la persona abbia cessato di esistere, essendo inconcepibile un risarcimento per equivalente che operi quando la persona più non esiste. I congiunti quindi non hanno diritto al risarcimento di alcun danno a titolo creditorio, bensì unicamente al risarcimento del loro personale danno».

19 Le cognizioni scientifiche hanno accertato che la morte conseguente ad una lesione traumatica non è mai immediata (con le sole eccezioni della decapitazione e dello spappolamento del cervello).

20 V. P.G. Monateri, La Babele delle vittime di rimbalzo: i limiti strutturali dell’illecito e il “lavoro del lutto”, http://www.jus.unitn.it/cardozo/review/Torts/Monateri-1995/17.html. L.’A. commentando la sentenza del Trib. Firenze 18-11-1991, in Arch. giur. gircolaz., 1992, 39 sottolinea che «il decesso per quanto ravvicinato all’evento lesione non può che porsi ontologicamente, prima che temporalmente, fra le conseguenze del fatto. In parole povere, ma con estremo rispetto della coerenza funzionale, non può convenire uccidere una persona piuttosto che renderla inferma».

21 Hanno riscontrato tale paradosso oltre a P.G. Monateri, v. nt. 20, G. Giannini, Il danno biologico in caso di morte, in Resp. civ. prev., 1989, 385; R. Foffa, il danno tanatologico e il danno biologico terminale, in Danno e resp., 2003, 11, 1092 nonché A. Procida Mirabelli di Lauro, Il danno ingiusto(Dall’ermeneutica “bipolare” alla teoria generale “monocentrica” della responsabilità civile) Parte I – Ingiustizia, patrimonialità e risarcibilità del danno nel “law in action”, in Riv critica dir. priv. 2003, 17.

22 Ritiene che la responsabilità civile abbia quale effetto giuridico la nascita dell’obbligazione di ristorare il danno C. Castronovo, Del non risarcibile aquiliano: danno meramente patrimoniale, c.d. perdita di chance, danni punitivi, danno c.d. esistenziale, in Europa dir. priv., 3, 2008.

23 La natura sanzionatoria del rimedio risarcitorio è affermata, invece, da C. Salvi, La responsabilità civile², Milano, 2005, 37 s. nonché da A. di Majo, La tutela civile dei diritit4, Milano, 2003, 173 s. Colora l’art. 2059 c.c. con sfumature punitive anche A. Procida Mirabelli di Lauro, Il danno ingiusto (Dall’ermeneutica “bipolare” alla teoria generale “monocentrica” della responsabilità civile) Parte I – Ingiustizia, patrimonialità e risarcibilità del danno nel “law in action”, in Riv critica dir. priv. 2003, 53.; Id. Il danno ingiusto (Dall’ermeneutica “bipolare” alla teoria generale “monocentrica” della responsabilità civile) Parte II – Ingiustizia, patrimonialità, non patrimonialità nella teoria del danno risarcibile, in Riv critica dir. priv., 2003, 219 s.

24 Sul punto v. C. Castronovo, Il risarcimento del danno, in Riv. dir. civ., II, 2006, 94 s.

25 Come già sottolineato (v. Premessa) «Il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre»: Cass. s.u., 11-11-2008, n. 26972, cit.

26 Cass. 19-01-2007, n. 1183, in Europa dir. priv., 4, 2007 con nota di G. Spoto, I punitive damages al vaglio della giurisprudenza italiana

27 Cfr. di Majo, La tutela civile dei diritit4, cit. nonché Salvi, La responsabilità civile², cit.

28 Ex multis Cass. 25-02-1997, n. 1704; Cass. 20-01-1999, n. 491.

29 V. Corte cost. 24-10-1994, n. 372 e Cass. 20-01-1999, n. 491.

30 Cass. s.u., 11-11-2008, n. 26972, cit.

31 Trib. Terni 4 marzo 2008.

32 Cass. 13-01-2009, n. 458, in Mass. Giust. civ., 2009, 1, 40.

33 Cass. 28-09-2009, n. 23053.

34 Trib. Rovigo (sez. di Adria) 2 marzo 2010.

35 Cass. 28-11-2008, n. 28407 e 28423.

36 Altrettanto ambigue le pronunce della giurisprudenza di merito lombarda. Nel febbraio 2009 si ammette la liquidazione del danno biologico terminale per quattordici ore di sopravvivenza, pur in assenza di lucidità (Trib. Milano 16 febbraio 2009) e la si nega, un mese più tardi, per la morte di un bimbo a distanza di sei giorni dal sinistro per il “breve” lasso di tempo intercorso per risarcire il danno biologico e per liquidare il danno morale, atteso che il bimbo era già in coma al momento dei primi soccorsi ed era rimasto incosciente fino al decesso (Trib. Busto Arsizio 24 marzo 2009).

37 Cass. 08-042010, n. 8360.

38 Trib. Nocera Inferiore sent. n. 1098, 2002.

39 Corte App. Salerno 15 marzo 2005.

40 Cass. 08-042010, n. 8360.

41 Cass. 08-042010, n. 8360.

42 Corte cost. 27 ottobre 1994, n. 372.

43 Corte cost. 27 ottobre 1994, n. 372.

44 Cass. 12-07-2006, n. 15760.

45 Cass. 6-08-2007, n. 17177.

46 Cass. s.u., 11-11-2008, n. 26972, cit. Nel commentare tale pronuncia A. Procida Mirabelli di Lauro, Il danno non patrimoniale secondo le Sezioni Unite. Un de profundis per il danno esistenziale, in Danno e resp., I, 2009, 39 rileva come «probabilmente il diritto alla vita, a differenza di quello alla salute, non è, secondo la Suprema Corte, un “diritto inviolabile” della persona».

47 Cass. s.u., 11-11-2008, n. 26972, cit.

48 Cass. 08-042010, n. 8360.

49 «Nella specie la Corte di appello, in contrasto con i suddetti principi, ha del tutto negato ai ricorrenti il risarcimento, a titolo ereditario, dei danni morali subiti dalla vittima, a causa delle gravi sofferenze che hanno preceduto la morte.
La somma liquidata in risarcimento dei danni morali risulta infatti quantificata con esclusivo riferimento al compenso spettante ai superstiti per i danni morali subiti iure proprio, a causa della perdita del rapporto parentale», Cass. 08-042010, n. 8360.

50 Sul punto v. anche Cass. 28-11-2008, n. 28423; Cass. 30-09-2009, n. 20949; Cass. 19-01-2010, n. 702.

51 Cass. s.u., 11-11-2008, n. 26972 e ss.

52 Così Cass. s.u., 11-11-2008, n. 26972.

Cerri Francesca

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