Il danno patrimoniale e non patrimoniale alla luce della responsabilità ex art. 2043 c.c.

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Indice

1. Il danno “evento e il danno “conseguenza”

E’ noto che essenziale per la configurabilità della responsabilità extracontrattuale è il danno (ingiusto).
La dottrina distingue i due profili del danno contemplato dall’art. 2043 c.c. in:

  • danno evento”, con ciò dovendosi intendere il danno contra ius di un interesse tutelato dall’ordinamento[1];
  • danno conseguenza”, con ciò dovendosi intendere i pregiudizi sofferti dal danneggiato quale conseguenza del “danno evento”[2]

Anche la giurisprudenza ha recepito la bipartizione del danno.
In questo senso, Cass., Sez. VI-3, ord. 31 marzo 2021, n. 8861, per cui: “Va infatti ribadito che nei reati di danno, la decisione di condanna generica al risarcimento emessa dal giudice penale contiene implicitamente l’accertamento del danno evento e del nesso di causalità materiale tra questo e il fatto-reato, ma non anche quello del danno conseguenza, per il quale si rende necessaria un’ulteriore indagine, in sede civile, sul nesso di causalità giuridica fra l’evento di danno e le sue conseguenze pregiudizievoli”; Cass., Sez. III, ord. 5 maggio 2020, n. 8477, per cui: “deve concludersi nel senso che, quando si afferma che l’esistenza del danno, nei cosiddetti reati di danno, è implicita nell’accertamento del “fatto-reato”, il riferimento, sulla base delle regole di diritto civile, è al danno evento, avvinto al fatto da un nesso di causalità materiale, ma non al danno conseguenza, per il quale l’indagine da compiere è quella del nesso di causalità giuridica fra l’evento di danno e le sue conseguenze pregiudizievoli (art. 1223 c.c.)”.
 
Dall’ultima sentenza citata, si deriva inoltre che il “danno evento” è il presupposto del “danno conseguenza”, essendo quest’ultimo ad essere oggetto del risarcimento (in questo senso, anche Cass., Sez. III, ord. 22 giugno 2020, n. 12123).
Interessante è Cass., Sez. III, ord. 6 maggio 2020, n. 8494, la quale sancisce che “Emerge evidente, a tale stregua, come pur nell’accertata sussistenza dell’an del danno, la corte di merito ha in realtà sostanzialmente escluso la ricorrenza nella specie del danno conseguenza, che giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità della composita nozione di danno costituisce invero l’unico aspetto risarcibile, se e in quanto provato da chi lamenti di averlo subito e ne domandi il ristoro”.
La sentenza stabilisce che anche qualora vi sia un danno evento, ma non un danno conseguenza, l’agente non sarà sottoposto ad alcun obbligo risarcitorio[3].

2. Il danno patrimoniale e il danno non patrimoniale: il sistema cd. “bipolare”

Il danno si ripartisce poi, secondo un cd. “sistema bipolare”, in danno patrimoniale e danno non patrimoniale (così anche Cass., Sez. III, sent. 17 ottobre 2019, n. 26304, per cui: “Deve ribadirsi che sul piano del diritto positivo, l’ordinamento riconosce e disciplina (soltanto) le fattispecie del danno patrimoniale (nelle due forme del danno emergente e del lucro cessante: art. 1223 c.c.) e del danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.; art. 185 c.p.)”).
In base al sistema bipolare, il danno si articola in:

  • a)     danno patrimoniale, ossia quello che si concretizza nella lesione di interessi di carattere economico del danneggiato[4]. Il danno patrimoniale può riguardare sia la lesione di un bene[5] (Ciò avviene ad es. in caso di occupazione abusiva di un bene, v. Cass., Sez. III, sent. 26 settembre 2019, n. 23987) o della persona[6], in riferimento alla diminuzione dei vantaggi e delle utilità che trae da se stessa, purchè suscettibili di valutazione economica[7] (v. Cass., Sez. II, sent. 5 luglio 2022, n. 9740, per cui: “Il carattere patrimoniale del danno riguarda non solo l’accertamento di un saldo negativo nello stato patrimoniale della vittima, ma anche l’incidenza in concreto di una diminuzione dei valori e delle utilità (suscettibili secondo una valutazione tipica, che si riflette altresì sul quantum risarcitorio, di commisurazione in denaro) di cui il danneggiato può disporre, costituendo il patrimonio, ai fini della tutela aquiliana, quell’insieme di beni, valori e utilità tra loro collegati sotto il profilo e mediante un criterio funzionale. Per cui la patrimonialità del danno non implica sempre e necessariamente un esborso monetario da parte della vittima né una perdita di reddito o prezzo, potendo configurarsi anche come diminuzione dei valori o delle utilità economiche del danneggiato, fermo restando che il requisito normativo della patrimonialità attiene al danno e non al bene leso dal fatto dannoso”).
  • b)     danno non patrimoniale, ossia quello che si articola nella lesione di interessi del danneggiato non caratterizzati da rilevanza economica[8]. Inoltre, il danno non patrimoniale è unitario anche qualora si manifesti sotto forma di molteplici pregiudizi, come ad esempio di cd. danno morale e biologico, “che non sono sottocategorie autonome di danno, ma pregiudizi diversi del danno non patrimoniale[9] (V. Cass., Sez. Un., sent. 11 novembre 2008, n. 26972 che afferma: “Si è già precisato che il danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c., identificandosi con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, costituisce categoria unitaria non suscettiva di suddivisione in sottocategorie. Il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno”).

Il medesimo danno evento può portare ad un danno conseguenza consistente sia di danni patrimoniali che non patrimoniali[10].
Lo stesso fatto illecito, inoltre, può essere fonte di danno a soggetti diversi, ossia di una vittima “primaria” (in  quanto subirebbe in maniera più diretta il danno) e una vittima “secondaria” (che subirebbe il danno in via riflessa)[11].
La giurisprudenza stessa ha chiarito che dovrebbe parlarsi più propriamente di “illecito plurioffensivo”, ossia di un atto illecito che lede contestualmente le situazioni giuridiche di diversi soggetti, senza necessità di distinguere tra vittima prima e secondaria (così Cass., Sez. Lav., 13 giugno 2017, n. 14655).
 
Sono comunque da escludersi i danni che non siano “conseguenza immediata e diretta” del fatto illecito in base al combinato disposto degli articoli 2056 c.c. e 1223 c.c. (con l’attenuazione della portata di tali norme secondo il criterio della “causalità adeguata” di matrice giurisprudenziale)[12].

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3. La compensatio lucri cum damno

Il danneggiato deve ricevere un risarcimento pari al danno patito, deve cioè ottenere un risarcimento integrale[13]. Si ritiene perciò che ai fini della quantificazione della somma dovuta a titolo risarcitorio, si debbano detrarre gli effetti positivi per il danneggiato superiori al risarcimento integrale del suo danno e che siano conseguenza immediata e diretta dello stesso (cd. compensatio lucri cum damno)[14] (in questo senso, Cass., Sez. I, ord. 9 marzo 2018, n. 5841 che afferma che: “come esattamente rilevato dalla Corte d’appello, l’effetto della “compensatio lucri cum damno”, che si riconnette al criterio di determinazione del risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1223 c.c., si verifica esclusivamente allorché il vantaggio ed il danno siano entrambi conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento, quali suoi effetti contrapposti, e non quando il fatto generatore del pregiudizio patrimoniale subito dal creditore sia diverso da quello che invece gli abbia procurato un vantaggio”; Cass., Sez. Un., sent. 25 novembre 2008, n. 28056)[15].

4. Le componenti del danno patrimoniale: il danno emergente e il lucro cessante

Il danno patrimoniale, come si deriva dal disposto degli articoli 2056, co. 1, c.c. e 1223 c.c., comprende:

  • Il “danno emergente”, con ciò dovendosi intendere la diminuzione del patrimonio del danneggiato[16]. Ad esempio, Cass., Sez. III, ord. 4 novembre 2020, n. 24481, afferma che: “il rimborso delle spese di assistenza stragiudiziale ha natura di danno emergente, consistente nel costo sostenuto per l’attività svolta da un legale in detta fase pre-contenziosa”.
  • Il “lucro cessante”, dovendosi con ciò intendere il guadagno che il danneggiato avrebbe presumibilmente conseguito – e che al contrario non ha ottenuto – a causa dell’illecito di cui è stato vittima[17]. Così Cass., Sez. VI-3, ord. 28 febraio 2020, n. 5458, per cui: “in presenza di un danno da perdita della capacità lavorativa sofferto da persona che aveva già, al momento dell’illecito, un reddito da lavoro – la liquidazione debba avvenire sommando due voci tra loro diverse: da un lato i redditi perduti dalla vittima “dal momento dell’illecito a quello della liquidazione”, danni per i quali il lucro cessante è ormai certo; dall’altro la capitalizzazione dei redditi futuri “che la vittima presumibilmente perderà, dal momento della liquidazione in poi, in base ad un coefficiente di capitalizzazione corrispondente all’età della vittima al momento in cui si compie l’operane di liquidazione”. Ciò in adempimento della regola fondamentale per cui il danno passato, cioè già compiuto, è soggetto alla rivalutazione, mentre il danno futuro deve essere capitalizzato[18].

In base poi all’art. 2056, co. 2, c.c. il lucro cessante va valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso concreto[19] (v. Cass., Sez. I, ord. 13 dicembre 2021, n. 39762; Cass., Sez. III, sent. 20 novembre 2018, n. 29830, per cui: “il danno patrimoniale da mancato guadagno configura un danno futuro, da valutarsi con criteri probabilistici, in via presuntiva e con equo apprezzamento del caso concreto e da necessariamente valutarsi in via equitativa (artt. 1226, 2056 c.c.).”; Cass., Sez. III, sent. 25 maggio 2007, n. 12247, per cui: “il danno patrimoniale da lucro cessante, per un soggetto privo di reddito e a cui siano residuati postumi permanenti in conseguenza di un fatto illecito altrui, configura un danno futuro, da valutare con criteri probabilistici, in via presuntiva, e con equo apprezzamento del caso concreto”).
 
Il danno emergente e il lucro cessante devono essere provati dal danneggiato (cfr. Cass., Sez. III, ord. 17 maggio 2022, n. 15732 per la prova del danno emergente; Cass., Sez. III, sent. Sent. 31 maggio 2017, n. 13718, per cui: “In conformità al più recente orientamento, va dunque riaffermato il principio secondo cui il danno derivante dall’indisponibilità di un autoveicolo durante il tempo necessario per la riparazione, deve essere allegato e dimostrato da colui che ne invoca il risarcimento, il quale deve provare la perdita subita dal suo patrimonio in conseguenza della spesa sostenuta per procacciarsi un mezzo sostitutivo (danno emergente) oppure il mancato guadagno derivante dalla rinuncia forzata ai proventi che avrebbe conseguito con l’uso del veicolo (lucro cessante)”).
 
Il danno patrimoniale che non può essere provato nel suo preciso ammontare (o la cui prova è troppo gravosa) è determinato dal giudice attraverso un giudizio d’equità (in base al richiamo effettuato dall’art. 2056 c.c. all’art. 1226 c.c.)[20].
In motivazione il giudice dovrà evidenziare le ragioni poste alla base del giudizio di equità[21] (Cass., Sez. I, sent. 19 marzo 1991, n. 2934 sancisce che il giudice può (rectius deve) procedere a valutazione equitativa, anche d’ufficio, “non solo nell’ipotesi in cui sia mancata interamente la prova del preciso ammontare del danno per l’impossibilità della parte di fornire congrui ed idonei elementi al riguardo, ma anche nella ipotesi che, pur essendosi svolta un’attività processuale della parte volta a fornire questi elementi, il giudice, per la notevole difficoltà di una precisa quantificazione, non li abbia tuttavia riconosciuti di sicura efficacia”).
La valutazione equitativa del giudice, riguarda poi solo l’ammontare del danno, mentre l’an deve essere provato, anche per presunzioni, dal danneggiato[22] (Così Cass., Sez. I, ord. 6 giugno 2020, n. 10750, la quale stabilisce che: “In tale prospettiva è stato condivisibilmente affermato che, quando, come nella specie, si tratti di danni consistenti nel mancato sorgere di una situazione di vantaggio, gli stessi devono essere risarciti non solo in caso di assoluta certezza, ma anche quando sulla base della proiezione di situazioni già esistenti, sussista la prova, sia pure indiziaria, della utilità patrimoniale che, secondo un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità), il creditore avrebbe conseguito se l’illecito non fosse stato commesso; e possono, perciò venir esclusi soltanto per quei mancati guadagni che sono meramente ipotetici perché dipendenti da condizioni incerte”; sempre sulla necessaria prova dell’an circa il danno emergente e il lucro cessante, v. Cass., Sez. II, sent. 17 dicembre 2019, n. 33439, per cui: “Ora, certamente la compressione o la limitazione del diritto di proprietà o, come nel caso in esame, di usufrutto di un immobile, che siano causate dall’altrui fatto dannoso (nella specie, infiltrazione di acqua proveniente da terrazze di copertura dell’edificio condominiale) sono suscettibili di valutazione economica non soltanto se ne derivi la necessità di una spesa ripristinatoria (cosiddetto danno emergente) o di perdite dei frutti della cosa (lucro cessante), ma anche se la compressione e la limitazione del godimento siano sopportate dal titolare con suo personale disagio o sacrificio. In ordine alla sussistenza e quantificazione di tale danno, mentre resta a carico del proprietario o dell’usufruttuario il relativo onere probatorio, che può essere assolto altresì mediante presunzioni semplici”)[23].

FORMATO CARTACEO

Manuale del risarcimento per il danno alla persona

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Giuseppe Cassano (a cura di) | Maggioli Editore 2017

  1. [1]

    A. Torrente, P. Schlesinger, Manuale di diritto privato, Giuffrè, Milano, 2021, p. 948.

  2. [2]

    A. Torrente, P. Schlesinger, op. cit., p. 948.

  3. [3]

    Cfr. anche A. Torrente, P. Schlesinger, op. cit., p. 949.

  4. [4]

    A. Torrente, P. Schlesinger, op. cit., p. 949; A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, CEDAM, Padova, 2015, p. 1160 – 1161; F. Galgano, Trattato di diritto civile, Vol. II, CEDAM, Padova, 2009, p. 1031.

  5. [5]

    F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2021, p. 736.

  6. [6]

    F. Galgano, op. cit., p. 1031.

  7. [7]

    V. P. Trimarchi, La responsabilità civile: atti illeciti, rischio, danno, Giuffrè, Milano, 2017, p. 546 afferma che si tratta di danno patrimoniale anche la lesione di un interesse non patrimoniale, ma che viene soddisfatto da prestazioni suscettibili di una valutazione economica.
    E’ il caso, ad es., dell’atto illecito che abbia impedito la partecipazione di un soggetto ad una rappresentazione teatrale, ledendo così un interesse culturale/ludico di quest’ultimo e quindi non suscettibile di per sè di valutazione economica. Tale interesse potrà però essere soddisfatto dal danneggiato comprando un nuovo biglietto, sostenendo un costo fonte di un danno patrimoniale (P. Trimarchi, op. cit., p. 546).

  8. [8]

    A. Torrente, P. Schlesinger, op. cit., p. 949; A. Trabucchi, op. cit., p. 1160 – 1161; M. Bianca, Diritto civile – la responsabilità, Vol. V, Giuffrè, Milano, 2012, p. 189; F. Galgano, op. cit., p. 1031.

  9. [9]

    F. Gazzoni, op. cit., p. 736.

  10. [10]

    A. Torrente, P. Schlesinger, op. cit., p. 949.

  11. [11]

    A. Torrente, P. Schlesinger, op. cit., p. 949.

  12. [12]

    A favore anche Galgano, per cui: “l’art. 2056, comma 1°, nel rinviare a questi principi (si intendono gli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c.), omette di richiamare l’art. 1225; si ritiene, perciò, comprenda anche il danno non prevedibile al momeneto del fatto illecito” (F. Galgano, op. cit., p. 1032). Cfr. anche C. Salvi, La responsabilità civile, Giuffrè, Milano, 2019, p. 263, il quale sostiene che le conseguenze immediate e dirette debbano trarsi alla luce del criterio della causalità giuridica o regolarità causale.

  13. [13]

    Così, Cass., Sez. III, sent. 3 ottobre 1987, n. 7389, per cui: “il risarcimento del danno da fatto illecito ha, com’é noto, la funzione di porre il patrimonio del danneggiato nello stesso stato in cui si sarebbe trovato senza l’evento lesivo e, quindi, trova presupposto e limite nell’effettiva perdita subita da quel patrimonio, in conseguenza del fatto stesso, indipendentemente dagli esborsi materialmente effettuati”. Il principio è stato riaffermato da Cass., Sez. III, sent. 8 marzo 2004, n. 4689, nonchè dalla recentissima pronuncia di Cass., Sez. II, ord. 11 novembre 2022, n. 33369, per cui: “Il motivo è infondato. Questa Corte, invero, ha più volte affermato che: – il risarcimento del danno da fatto illecito ha la funzione di porre il patrimonio del danneggiato nello stesso stato in cui si sarebbe trovato senza l’evento lesivo e, quindi, trova presupposto e limite nell’effettiva perdita subita da quel patrimonio in conseguenza del fatto stesso, indipendentemente dagli esborsi materialmente effettuati”.

  14. [14]

    V. C. Salvi, op. cit., p. 261.

  15. [15]

    Per una più completa disamina del principio della compensatio lucri cum damno, v. Cass., Sez. Un., sent. 22 maggio 2018, n. 12564. Brevemente, circa la compensatio lucri cum damno bisogna distinguere:
    i. da un lato, l’ipotesi in cui l’agente-danneggiante sia obbligato nei confronti del danneggiato, oltre che al risarcimento del danno, anche alla corresponsione di altro importo avente la stessa finalità compensativa del danno del risarcimento (è l’ipotesi dell’ente pubblico datore di lavoro che, a fronte di una malattia causata al dipendente dal suo impiego con lastre di amianto, gli debba non solo il risarcimento del danno, bensì anche un indennizzo per infermità di servizio). In questo caso opera senza dubbio il principio della compensatio lucri cum damno (A. Torrente, P. Schlesinger, op. cit., p. 952);
    ii. dall’altro lato, l’ipotesi in cui dallo stesso fatto illecito, il danneggiato abbia diritto, oltre che al risarcimento del danno da parte dell’agente, anche di una prestazione indennitaria da parte di un terzo.

  16. [16]

    A. Torrente, P. Schlesinger, op. cit., p. 955, che fa l’esempio della distruzione di una cosa, delle spese mediche necessarie a seguito di un sinistro stradale, etc.; P. Trimarchi, op. cit., p. 551; V. anche F. Galgano, op. cit., p. 1033.

  17. [17]

    A. Torrente, P. Schlesinger, op. cit., p. 955, che fa l’esempio della perdita di capacità reddituale che può conseguire da una lesione all’integrità fisica; P. Trimarchi, op. cit., p. 551, che fa l’esempio del mancato conseguimento di un reddito. P. Trimarchi, op. cit., p. 551, afferma che: “La distinzione fra danno emergente e lucro cessante corrisponde alla distinzione fra i casi in cui il flusso di cassa o di utilità sia o non sia incorporato in un bene venuto bene. Se questo ha un prezzo di scambio accertabile sul mercato, il danno derivante dalla sua perdita può determinarsi direttamente per questa via; altrimenti (…) occorrerà procedere alla stima e all’attualizzazione delle utilità attese e venute meno: lo stesso procedimento, dunque, che occorre per il lucro cessante”.

  18. [18]

    Un ulteriore esempio atto a spiegare le due voci di danno patrimoniale di cui sopra è rappresentato da Cass., Sez. II, sent. 17 dicembre 2019, n. 33439, per cui: “Ora, certamente la compressione o la limitazione del diritto di proprietà o, come nel caso in esame, di usufrutto di un immobile, che siano causate dall’altrui fatto dannoso (nella specie, infiltrazione di acqua proveniente da terrazze di copertura dell’edificio condominiale) sono suscettibili di valutazione economica non soltanto se ne derivi la necessità di una spesa ripristinatoria (cosiddetto danno emergente) o di perdite dei frutti della cosa (lucro cessante), ma anche se la compressione e la limitazione del godimento siano sopportate dal titolare con suo personale disagio o sacrificio”.

  19. [19]

    Così F. Galgano, op. cit., p. 1033, per cui: “Specifica del fatto illecito è la norma, dettata dall’art. 2056, comma 2°, secondo il quale «il lucro cessante è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso»; norma che viene applicata con questo principio-guida: il lucro cessante è risarcibile quando, sulla base della proiezione di situazioni già esistenti, appare ragionevole prevedere che il danno si produrrà nel futuro”. Cfr. Cass., Sez. II, sent. 5 luglio 2002, n. 9740, per cui: “il carattere patrimoniale (e quindi la risarcibilità, ma anche la misura) del danno, sia nell’ipotesi dell’illecito (art. 2043 c.c.) che dell’inadempimento (art. 1218 c.c.), trova la sua regolamentazione nella normativa comune dell’art. 1223 c.c., il quale statuisce che il risarcimento deve comprende così la perdita subita (danno emergente) come il mancato guadagno (lucro cessante), in quanto siano conseguenza immediata e diretta dell’illecito (cd. nesso di causalità). (…) la patrimonialità del danno non implica sempre e necessariamente un esborso monetario da parte della vittima né una perdita di reddito o prezzo, potendo configurarsi anche come diminuzione dei valori o delle utilità economiche del danneggiato, fermo restando che il requisito normativo della patrimonialità attiene al danno e non al bene leso dal fatto dannoso”.

  20. [20]

    P. Trimarchi, op. cit., p. 552.

  21. [21]

    M. Bianca, op. cit., p. 187.

  22. [22]

    M. Bianca, op. cit., p. 187 – 188.

  23. [23]

    Nel senso che il lucro cessante possa essere provato anche tramite presunzioni semplici, Cass., Sez. Lav., ord. 22 gennaio 2018, n. 1492, per cui: “è legittimo il ricorso alla prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno; alla stregua dì un giudizio di probabilità basato sull’id quod plerumque accidit (in virtù della regola dell’inferenza probabilistica), il giudice può trarre il suo libero convincimento dall’apprezzamento discrezionale di elementi indiziari, purchè dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza; spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso a presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità”. Nel senso che anche il danno emergente possa essere provato per presunzioni, Cass., Sez. II, sent. 17 dicembre 2019, n. 33439, per cui: “Ora, certamente la compressione o la limitazione del diritto di proprietà o, come nel caso in esame, di usufrutto di un immobile, che siano causate dall’altrui fatto dannoso (nella specie, infiltrazione di acqua proveniente da terrazze di copertura dell’edificio condominiale) sono suscettibili di valutazione economica non soltanto se ne derivi la necessità di una spesa ripristinatoria (cosiddetto danno emergente) o di perdite dei frutti della cosa (lucro cessante), ma anche se la compressione e la limitazione del godimento siano sopportate dal titolare con suo personale disagio o sacrificio. In ordine alla sussistenza e quantificazione di tale danno, mentre resta a carico del proprietario o dell’usufruttuario il relativo onere probatorio, che può essere assolto altresì mediante presunzioni semplici”.

Andrea Olivieri