Il danno non patrimoniale.

Cito Monica 14/02/08
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In data 21 dicembre 2007, presso il Rondò Hotel in Bari, si è tenuto un incontro di studio dal titolo Il danno non patrimoniale. Strutture sostanziali e modelli di accertamento, organizzato da IQ (Scuola di formazione giuridica avanzata) e l’Ordine degli Avvocati in loco.
Introduceva i lavori l’Avvocato Francesco Monaco (Presidente del C.d.O.) e moderava l’Avvocato Emmanuele Virgintino. Relazionavano: il Consigliere di Stato Francesco Bellomo, il Prof. Guido Ponzanelli (ordinario di diritto processuale civile nell’Università di Brescia), l’Avvocato dello Stato Giovanni Cassano, il Prof. Giampiero Balena (ordinario di diritto processuale civile nell’Università di Bari), l’Avvocato Michele Laforgia.
Per estrema sintesi ed in paragrafi dedicati, si riportano di seguito gl’interventi nel loro ordine di apparizione.
 
1.       IL DOPPIO DANNO NELL’ILLECITO NON PATRIMONIALE (dalla relazione del Dottor Bellomo)
Nella disposizione normativa ex art. 2043 c.c. il termine danno compare due volte.
La prima, quale legame di causalità fattuale con l’illecito e, in questa veste, con l’attribuzione d’INGIUSTIZIA. La seconda, all’interno dell’obbligazione risarcitoria.
Servendoci d’un tipico strumento penalistico, il metodo analitico, notiamo subito che il riferimento al fatto è da rimirare in ragione della condotta causativa del danno ingiusto. Anche se, secondo alcuni, l’accadimento materiale sarebbe il danno-evento.
Una è la certezza: l’indubbia essenza dell’evento di danno in ragione della tipizzazione d’illiceità del danno e, prima ancora, del palesarsi d’un evento storico.
La figura di danno-evento configura, al contrario, il danno risarcibile; distinto sia dalla lettera della norma sia dalla logica del danno ingiusto.
In una impostazione originaria, il rapporto tra danno ingiusto e danno risarcibile era ricollegabile alla causalità materiale. Oggi si fa riferimento alla causalità giuridica.
In una pronuncia del 1986 fu “coniata” dalla Corte Costituzionale la figura del danno-evento; ricomprendente nell’evento dannoso il danno risarcibile. Così la Corte, non negando la struttura plurima dell’art. 2043, lo ha letto in armonia con l’art. 83 Cost. L’opzione, resistente per un certo tempo, ha alimentato le sentenze dei giudici di merito, qualificando ancor più il danno biologico.
Nel 1994, la giurisprudenza costituzionale si concentra, virando sul concetto d’entità del danno.
Comunque sia, è rilevante osservare che, dopo la pronuncia dell’86, l’operatore ha visto la “novazione” giurisprudenziale del doppio danno, per il tramite della riesumata figura del danno-evento.
Il binario precettivo sul quale insistere è dato dal SE VERIFICATO e dal SE VERIFICABILE.
In area extracontrattuale, i limiti sono dettati dall’art. 2059 c.c. : casi-reato. Eppure, la tutela dei diritti fondamentali non può subire delle limitazioni. In altri termini, non si può limitare la tutela dei diritti fondamentali riconducendo il danno patrimoniale all’illecito penalistico. E, per rivalutare armonicamente il concetto, abbiamo a leggerlo-spostarlo in quell’altro del danno-evento; rimodellando il danno da consequenziale ad evento.
Comprendiamo anche come l’interpretare la struttura di cui all’art. 2043 abbia, in tempi recenti, assunto una posizione mediana, rifacendosi a nozioni di matrice penalistica (per la definizione d’illecito) e civilistica (con l’adesione alla causalità giuridica). Inserendosi in questo dibattito anche le disposizioni europee, che vanno a radicare la giurisdizione nel luogo dell’evento; e le SS. VV. intendendo il concetto come luogo dell’evento di danno, spostano l’attenzione sugli effetti.
Ci si domanda, analizzando più approfonditamente la questione, se assegnare rilevanza al luogo dell’evento illecito, al luogo del verificarsi delle conseguenze dell’atto, o se – indipendentemente dal danno – conta l’effetto prodotto sul territorio in cui il danno esplica conseguenze. Pare che si vogliano escludere i danni ulteriori mediati.
In tema di danno non patrimoniale è, inoltre, da indagare se l’art 2059 sia norma precipuamente intesa sul danno o sull’illecito. Quest’indagine-quesito è stata sciolta dalle sentenze di Cassazione numeri 8827 e 8828 del 2003.
Il 2059 prevede una riserva di legge, sempre intesa verso la natura illecita causativa del fatto. La Cassazione, nelle sentenze testé citate, afferma la necessità di salvare la conformità della norma civile, facendo rientrare il dettato nei principî costituzionali e non vederne, così, limitata la possibilità di accesso della stessa alla risarcibilità del danno.
Gli articoli di referenza costituzionale sono il 48 e l’82. Queste norme, nell’affermare l’interesse al bene della vita sottostante, implicano la loro soggezione alla Costituzione al tempo della formulazione codicistica; e su queste basi la figura del danno-evento vede la propria cessazione sul piano formalistico.
Contrariamente ad una lettura costituzionalmente orientata della Cassazione, che entra nella definizione del concetto esistenziale oggi ampiamente dibattuto, bisogna indagare la natura del danno ingiusto, arrivando a riconoscere nell’art. 2059 c.c. una norma sui danni e non sugli illeciti.
Rapportando l’art. 2043 al 2059 (e viceversa), per il tramite di due livelli (il primo aderente alla causalità materiale e strutturale, ed il secondo alla causalità giuridica) e per mezzo dei possibili nessi tra evento dannoso e danno risarcibile, abbiamo una classificazione tripartita su: salute, diritti della personalità, diritti patrimoniali. Il danno ingiusto (art. 2043) riferito alla lesione del diritto alla salute comprende i seguenti danni non patrimoniali risarcibili (art. 2059): danno biologico, danno esistenziale, danno morale. Il BIOLOGICO è conseguenza ordinaria dell’evento, e può essere provato con presunzioni. L’ESISTENZIALE è assorbibile nel danno biologico relazionale. Il MORALE è configurato, ai fini della risarcibilità, se occorra accertare la natura di reato dell’illecito.
Il danno ingiusto da lesione di diritti della personalità può essere (anch’esso) biologico, esistenziale o morale, ed inerire al danno non patrimoniale. Se ESISTENZIALE, è conseguenza ordinaria dell’evento e può essere provato con presunzioni, ammesso che siano risarcibili i danni futili (artt. 1223, 1322 c.c.). È BIOLOGCO se sia empiricamente configurabile e giuridicamente risarcibile (art. 1223 c.c.) a seguito della lesione di valori personali non attinenti all’integrità fisica. È MORALE, infine, se per la sua risarcibilità occorra accertare la natura di reato dell’illecito.
I diritti patrimoniali lesi e il danno non patrimoniale da essi discendente riveste la qualità di essenziale se sia empiricamente configurabile e giuridicamente risarcibile (artt. 2059 e 1223 c.c.) a seguito della lesione di beni di valore affettivo. Riveste la qualifica di biologico nel caso in cui vada esclusa la sua configurabilità per difetto del rapporto causale. Riveste – da ultimo – la qualità di morale se ai fini della sua risarcibilità occorre accertare la natura di reato dell’illecito.
Il danno biologico, non essendo diretto, presuppone un fatto presupponente: il fatto-lesione. La Cassazione ammette le presunzioni quale dimostrazione. Va meglio asserita, tale ammissione, considerando che la presunzione, essendo sempre opponibile, agevola la dimostrabilità. L’evento di danno sta alla base della salute, e possono verificarsi degli eventi fonte formulanti una doppia risarcibilità, creando pertanto l’anomalia della RISARCITA CONSEGUENZA DELLA CONSEGUENZA.
Se per i danni morali conseguenti a lesioni biologiche occorre accertare l’illiceità penale, sia pure incidentalmente, la lesione dei diritti della personalità differisce dalla lesione del diritto alla salute: è conseguenza ordinaria dell’evento dannoso che vada ad impattare su un danno previsto e garantito costituzionalmente; escludendo il danno bagattellare.
È risarcibile – ci si è chiesto – il danno esistenziale, o è un’obbligazione troppo lieve?
Il rischio è aprire le porte ad obbligazioni scarsamente significative. Il limite c’è, esiste nel rischio di amplificazione del danno risarcibile. Le norme a soccorrerci sono quelle ex articoli 1222 e 1223 c.c.
L’art. 1222 costituisce il primo livello e l’art. 1223 il secondo livello della fattispecie risarcitoria. Il primo livello di accesso alla tutela risarcitoria non è negato a chi faccia incursione in entità di natura penalistica. Il secondo livello vieta la risarcibilità per danni che appaiano scarsamente meritori. In più, se un danno è fatto, bisogna accertarsi ch’esso non sia troppo lontano dall’evento illecito, nel caso della di esso sempre accertata illiceità.
La distinzione tra danni patrimoniali e non patrimoniali è dubbia, in area non contrattuale. La errata qualificazione denega il danno esistenziale ed apre alla possibilità di quello morale. Il problema è risolto in dottrina anche nel senso opposto, ossia con l’ammissibilità non configgente delle due figure, entrambe risarcibili. E la Cassazione si pone il problema del criterio causale da applicarsi nel danno risarcibile.
Si porta ad esempio-emblema la questione della responsabilità medica. Quando si agisce a titolo contrattuale per responsabilità medica, bisogna ben evidenziare l’evento di danno, il danno ingiusto, da collegarsi con l’inadempimento (artt. 41 e 42 c.p.c.); ma in questo modo annulleremmo la classica distinzione tra danno contrattuale ed extracontrattuale.
Per l’art. 533, co. 1, c.p.p. , il giudice può condannare «oltre ogni ragionevole dubbio»; il criterio d’accertamento è lo stesso?
Sul piano tecnico, con analogia legis o juris, il trasporto dell’art. 533 è semplice. Posto che la causalità di fatto presupponga l’accertamento d’ogni dubbio ragionevole, il principio non opera in sede civile, e le conseguenze si riverberano nella sede “naturale” penale, sulla costituzione di parte civile. Specificando, si ha che: il giudice civile non è vincolato all’attenzione rispetto al 533 c.p.p. se l’azione civile viene aperta in sede civile, dato che il legislatore avrebbe per questo dovuto prodigarsi in un collegamento, che non s’è avuto e che, allo stato, deficita.
2.       IL DANNO ESISTENZIALE (dalla relazione del Prof. Ponzanelli)
La Cassazione nega l’exequatur in tema di danni non riparatori e riparatori (negli USA definiti punitivi), ed avanza l’assunto del dover guardare al danneggiato e non al danneggiante.
All’interno della critica del danno esistenziale, si comprende che esso ricopre una lacuna del danno morale, ed entrambi vanno ad arricchire la categoria del danno non patrimoniale, e che – pur essendo di fatto sinonimi – nella prassi del disquisire non si può non pensare ad un pati di breve durata e a un non facere (eterna durata).
Si pone, anche, all’attenzione l’idea che nel pati c’è il non facere.
La svolta del danno esistenziale (sintagma puro: danno non patrimoniale) risiede nell’invito al superamento-allargamento, non abrogazione, dell’art. 2059 c.c. , dando spazio a questioni non ricompresse nella lettera della norma.
Per questa via arriviamo a non considerare più la sintattica dell’art. 2059 come una riserva di legge. La Cassazione si esprime, facendo scattare il danno non patrimoniale all’esistere dell’interesse della persona alla protezione dei diritti inviolabili. Così, dal luglio 2003, il danno non patrimoniale non è più legato al danno morale e, quale interesse di rango costituzionale, porta alla risarcibilità.
Si può ritenere in buona fede, e quindi illudendosi, che le squadre opposte degli esistenzialisti e degli antiesistenzialisti siglino una pace, essendo il danno non patrimoniale onnicomprensivo a prescindere dal pati o non pati, facere o non facere. La pace si realizza per un solo anno, e la domanda post identificazione del contra jus costituzionale si formula quasi automaticamente: la lesione di un diritto patrimoniale determina una lesione di diritto non patrimoniale? La risposta è negativa, e l’esempio classico è dato dalla compravendita immobiliare. Non c’è danno non patrimoniale, nella lesione di un diritto di proprietà.
Il contra jus costituzionale è identificato nell’interesse della persona. Le sentenze citate dal Bellomo contengono sette volte l’avvertimento a prestare attenzione ad evitare richieste risarcitorie ripetitorie e, nella prassi, l’avvocato “sbaglia” duplicando con BIOLOGICO, MORALE, NON PATRIMONIALE.
Se il biologico e il morale coprono tutto il danno, non abbiamo bisogno d’una terza voce. Nel danno biologico è ricompressa ogni conseguenza, per diritto vigente, alla relazione (attività quotidiana) del soggetto; il c.d. NON FACERE centonsiano.
Il risarcimento integrale non ha bisogno del danno esistenziale, dato che questa categoria è una categoria inutile; dato che non si può con esso aumentare il chiedibile. È oggi il codice delle assicurazioni a permettere l’abbandono della categoria del danno esistenziale, comprendendo (esso) le possibilità risarcitorie, data, in area di responsabilità civile, l’impossibilità della risarcibilità del tutto.
3.       IL DANNO NON PATRIMONIALE ALLE PERSONE GIURIDICHE (dalla relazione dell’Avv. Cassano)
Gli artt. 2043 e 2059 hanno fornito all’operatore gli strumenti atti all’integrale risarcibilità del danno.
L’art. 2059 è una norma non rozza nella struttura, ma con una sorta di paura al suo interno, e si presenta come norma speciale rispetto al 2043.
Il legislatore costituzionale, colto dal timore dell’eccesso in ragione della patologicità dello stesso, arrecante nocumento alla collettività, ha lasciato scoperta la posizione del danneggiato in particolari casi di lesione e morte.
Il 2043 utilizza, quindi, una terminologia amplissima; mentre il 2059 rivela il NON PATRIMONIALE solo nei casi stabiliti dalla legge.
Quando vogliamo catalogare cose e persone, possiamo farlo in diversi modi. Il legislatore non manicheo copre la materia con il BUONO e il NON BUONO, ma il legislatore del ’42, avendo voluto coprire tutto, ed avendo contemporaneamente avuto timore, ha tassativizzato.
In senso oggettivo, non s’è più limitato il danno non patrimoniale al danno morale. In senso soggettivo, ci si è chiesti se si potesse limitare il risarcimento, in tema di danno non patrimoniale, alle persone fisiche. Scognamiglio asseriva che la persona giuridica non potesse soffrire e che, quindi, non fosse destinataria di un risarcimento per danno non patrimoniale. occorreva uno sforzo mentale nel dare fisicità a ciò che, come l’ente, non ne aveva, e si fece riferimento ai singoli associati. Pur sottolineandosi, inoltre, la diversità ontologica tra giustizia civile e penale, lo sviluppo del riconoscimento del danno non patrimoniale all’ente era inarrestabile; pur sussistendo delle distorsioni.
La legge Pinto, per il ritardo nel processo e le norme sull’ingiusta detenzione, sono esempi legislativi pregnanti di riconoscimento del danno patrimoniale.
Gli esempi giurisprudenziali si formano e susseguono. Nel 2000 (sent. n. 2367), la Cassazione s’occupa del danno da articolo diffamatorio come danno non patrimoniale, e riconosce il danno morale quale diverso dal danno non patrimoniale. siamo di fronte ad un danno derivante ad una società avente funzione parapubblica, e il cui danno patrimoniale prescindeva dalla fisicità sofferente. Ed ancora: l’esercizio abusivo della professione è fonte di risarcimento per l’associazione professionale portatrice degl’interessi di categoria.
Anche la Corte dei Conti s’occupa della questione-quesito. La stessa Corte fino ad un certo punto s’era occupata del danno patrimoniale, poi alcune nuove questioni – come tangentopoli – ampliano all’analisi del non patrimoniale.
In una datata sentenza (anno 1979), la Corte Costituzionale concluse che rientrava nella disponibilità del legislatore adottare trattamenti differenziati. La Corte, allora, avvertì l’esigenza di trovare una chiave scardinante che fosse, in nuce, la base per il successivo sviluppo.
Spostiamo adesso l’attenzione su “altro” problema: quello della giurisdizione inerente ai danni non patrimoniali da persona giuridica pubblica. Occorre trovare il giudice competente, e la Corte dei Conti ha competenza specifica per il danno erariale e può inserire nella propria competenza la causa petendi del danno non patrimoniale; ma alcune sentenze prevedono l’esclusione di competenza anche nel caso in cui il danno non patrimoniale sia unito al patrimoniale. Due sono le opinioni prevalenti:
A.      La necessità di provocare comunque il risvolto patrimoniale, collegato storicamente alla competenza materiale della Corte dei Conti. Per il danno all’immagine si mirerà, dunque, alla di esso sensibilità e tangibilità;
B.      la giurisprudenza che si fonda sul dato del CLAMOR FORI è in re ipsa (prevalente), ed il problema è di quantificazione. Il giudice adopererà la via equitativa. 
4.       DOMANDA RISARCITORIA E PRECLUSIONI DI MERITO (dalla seconda relazione del Dott. Bellomo)
Le norme da considerare sono quelle ex artt. 163, 168, 184 c.p.c.
Alle preclusioni di merito si collega lo jus variandi: la facoltà di variazione di domanda dell’attore in corso di causa.
Per quanto concerne l’illiceità del fatto causativo (art. 2043 c.c.), i fatti sono censurati nel caso in cui siano realmente risarcibili. La portata lesiva non instà sul diritto di credito, ma sull’interesse in quanto tale. In area extracontrattuale, il tema vive del/sul concetto d’ingiustizia. Non occorre, qui, negare per eliminazione la figura del danno non patrimoniale. Unico serio argomento per negare il danno non patrimoniale, noto come danno esistenziale, è la sua utilità.
Le questioni si pongono nell’ampia area dell’art. 2 della Carta costituzionale, e d’altre “sue” disposizioni inerenti la persona. La teoria mediana, diversa dal possibilitare un risarcimento ad interessi costituzionalmente protetti della persona e diversi dal danno alla salute, si poggia tra due scuole di pensiero: quella degli esistenzialisti e quella dei non esistenzialisti; e si basa sulla non risarcibilità, a meno che non sia riscontrato un concreto danno alla vita.
Qualora il danno soggettivo non possa assorbire il danno non patrimoniale, ha senso la distinzione tra esistenzialisti e non esistenzialisti. Sulla causa petendi il dibattito è sterminato, e si va dalla teoria della sostanziazione a quella dell’individuazione; che, per quanto classicamente sostenuta, è in giurisprudenza del tutto minoritaria.
Gli schemi utili vedono il passaggio da una causa petendi di danno extracontrattuale ad una condotta/evento/condotta causale/danno/conseguenza. È la c.d. teoria del danno-evento, oramai abbandonata.
Il passaggio può essere, pure, da causa petendi contrattuale a lesione di diritti patrimoniali, in conseguenza dei quali si sviluppino danni non patrimoniali che consentano la loro risarcibilità. Le azioni extracontrattuale e contrattuale possono, così, coincidere: ipotesi di coincidenza della vicenda storica suscettibile di essere qualificata contemporaneamente come contrattuale ed extracontrattuale. Si ha, invece, alternatività quando il fatto storico può essere qualificato o nell’una o nell’altra figura (contrattuale o extracontrattuale).
L’attore potrà, agendo per via contrattuale, individuare la fonte di questa nell’extracontrattuale. Ma l’attore potrà cumulare, in giudizio ordinario aperto con atto di citazione, le due azioni?
Non potrà. E la motivazione al diniego è data sia in senso sostanziale che processuale. L’alternatività fa accedere ad un rapporto di esclusione, dato che l’azione extracontrattuale muove da un postulato formativo diverso dalla contrattuale, che presuppone uno stretto rapporto intercorrente tra le parti.
Distinguiamo il concorso apparente dal concorso materiale ed asseriamo che, quando due fattispecie giuridiche sono astrattamente poste in dubbio, la relazione s’instaura sulla base degli elementi residuali. Tali elementi possono, tuttavia, risultare incompatibili: o c’è l’obbligazione o essa non esiste; ed allora vi sarà illecito extracontrattuale.
Azione contrattuale ed extracontrattuale sono processualmente inammissibili, dato che l’azione è preceduta dalla valutazione della fattispecie legale, che delimita l’oggetto processuale (fuori, naturalmente, dei casi di concorso). Se l’attore intende contestualmente proporre azione di danno contrattuale e di danno illecito, dovrà farlo alternativamente. Qualora non si riesca a provare il danno contrattuale, si proverà l’azione extracontrattuale. In assenza di detta gradazione, la domanda sarà improponibile. In ipotesi di concorso, il cumulo è ammissibile, ciò nondimeno la gradazione si rende necessaria nel caso in cui vi sia possibile ripetizione della risarcibilità del danno.
Il problema di coprire danni non copribili in via contrattuale concerne i cc. dd. danni imprevedibili. Porremo azione di danno contrattuale e, limitatamente ai danni imprevedibili, azione di danno extracontrattuale. È giusto il caso di ricordare che il petitum viene dalla dottrina distinto in mediato ed immediato.
Il danno biologico definito dal codice dell’assicurazione è confinato al sistema di quel codice, ed è chiaro che l’assolutezza del danno biologico non possa essere valutata in base ad uno strumento settoriale.
Se il danno esistenziale va assorbito, indipendentemente dal codice delle assicurazioni, nel danno biologico, è sufficiente un’affermazione generale o l’attore deve entrare nello specifico?
L’attore deve assolvere agli oneri di allegazione e, pertanto, deve indicare tutti i profili di cui chiede il risarcimento.
Altro problema è se tale qualificazione (ad es. esistenziale invece che morale) condizioni, e come, il giudice. Intanto, anche il giudice, in base al principio dello jure novi curia, può qualificare, e la sua qualificazione è “decisoria”, ma non totalmente alternativa a quella dell’attore: è una qualificazione strettamente processuale, questo sì.
Si può cambiare il titolo da contrattuale in extracontrattuale? È evidente che viene spostata la costituzione, dei diritti costitutiva; ma una parte residuale della dottrina non rinviene l’atto quale MUTATIO, ma lo valuta mera EMENDATIO LIBELLI. Il titolo dell’azione risarcitoria non sarebbero i fatti costitutivi, ma il diritto alla richiesta risarcitoria, e lo spostamento dall’una all’altra azione sarebbe semplice modifica; essendo, le stesse, in rapporto di alternatività.
Analizziamo come nella prassi si verifichi il passaggio (IUS VARIANDI INTERNO) dal danno biologico al danno esistenziale. Casi:
A.      Petitum iniziale di danno biologico da lesione della salute variato in esistenziale: i fatti costitutivi non sono modificati, perché l’attore non deduce la lesione della salute, ma in pregiudizio alla persona, si avrà un danno esistenziale.
B.      Petitum iniziale di danno biologico da lesione della persona variato in esistenziale: i fatti costitutivi non sono modificati, ma riqualificati correttamente (emendatio).
C.      Petitum iniziale di danno esistenziale da lesione della persona variato in biologico: si ha emendatio in biologico relazionale o mutatio in anatomico se, rispettivamente, i fatti costitutivi non sono modificati, perché l’attore non deduce un pregiudizio alla persona, ma la lesione della salute.
D.      Il passaggio dal danno esistenziale da lesione della salute al biologico comporta emendatio: i fatti costitutivi non sono modificati, ma riqualificati.
E.       Dal biologico-esistenziale al morale si ha emendatio, poiché i fatti costitutivi non sono modificati, ma ne vengono aggiunti di secondari. L’attore deduce una lesione suscettibile di scaturire da un pregiudizio biologico o esistenziale.
F.       Dal morale al biologico esistenziale essendovi una modificazione dei fatti costitutivi, c’è mutatio. L’attore domanda risarcimento dei danni biologici e, in corso di causa, richiede, in luogo del danno biologico, il danno esistenziale. Guarderemmo ai fatti costitutivi e potremmo, allora, notare una emendatio o una mutatio libelli.
La riqualificazione non potrà andare oltre l’emendatio.
Si dovrà, se del caso, allegare i nuovi fatti costitutivi e si avrà, dunque, mutatio libelli.
Se abbiamo un’iniziale richiesta di danno esistenziale, dato il dedotto danno alla persona, si avrà emendatio nel caso di danno biologico in senso statico e mutatio se venga dedotto un danno biologico in senso psicofisico: danno biologico dinamico o relazionale.
Possiamo anche essere colti o cogliere la necessità d’una mera precisazione.
5.       DOMANDA RISARCITORIA E PRECLUSIONI ISTRUTTORIE (dalla relazione del Prof. Balena)
Negli ultimi dieci anni s’è fatta strada una distinzione dottrinaria tra diritti autodeterminati ed eterodeterminati.
Una volta determinato in maniera sufficientemente certa il diritto dedotto in giudizio, in modo da evitarne duplicazioni, variando saremmo in tema di emendatio.
Una volta individuati sufficientemente i fatti costitutivi, si potrebbe individuare altra fonte di danno e constatare se la stessa rientri nell’ambito della prima formulazione. In ambito contrattuale non si può escludere il danno non patrimoniale, pur se si dovesse correre il rischio della sua limitazione al rapporto delle parti; e l’illecito contrattuale dovrebbe essere lesivo sia del contenuto dell’accordo sia dell’interesse soggettivo.
In molti casi, il risarcimento del non patrimoniale va formulato su norma costituzionale, e saremo nell’ambito di una domanda nuova nel caso in cui non si sia assolto all’onere della prospettazione del fatto indicato.
Il tema del danno non patrimoniale non presenta particolari esigenze dal punto di vista della prova. Il danno morale è in re ipsa (psicologico ed interno), ed è sufficiente che sia stato richiesto. Le altre categorie di danno non patrimoniale necessitano l’allegazione dei fatti e la loro prova. Sul piano probatorio si procederà caso per caso. Nel danno biologico in senso stretto, si potrebbe assolvere all’onere tramite richiesta di accertamento tecnico, mentre il danno di relazione abbisogna di una più fine argomentazione, e la prova fornita sia per via ordinaria che per presunzioni dà ampio spazio di discrezionalità al giudice.
Le presunzioni nascono da fatti noti (indizi), che conducono a fatti ignoti, per mezzo della causalità. Naturaliter, l’attore ha l’onere di fornire la prova dei fatti noti; e la quantificazione del danno non patrimoniale avviene inevitabilmente in via equitativa. L’impressione è che non vi possa essere una vera e propria duplicazione del diritto quando parliamo di valutazione equitativa; che riveste carattere unitario.
La domanda relativa al danno non patrimoniale segue il rito del lavoro, che è rigido con riguardo a richieste ed istanze, con al sola eccezione delle prove che, ex art. 421, non si sono potute produrre.
Un tema attuale e scottante, noto come svolta nel processo del lavoro, è il tema della non contestazione: i fatti non contestati non rientravano nella valutazione.
Nel 2001, relatore Evangelisti, la Cassazione a Sezioni Unite s’occupa dell’ipotesi di una mancata contestazione dei conteggi. La Corte fa un complesso ragionamento e finisce col dire che, nella specie, non potevano essere considerati non esatti i conteggi, ma conclude sulla necessitata contestazione, fondamentale nel processo del lavoro. Inoltre, il silenzio in quel rito vale come NON CONTESTATO.
Riguardo al processo ordinario, la giurisprudenza è perplessa e la dottrina ha negato la contestazione per i soli fatti principali, avanzando la necessità d’essa su tutti i fatti. In più, non distinguendo la dottrina fra fatti principali e secondari, si aprono le vie a più possibili teorizzazioni.
La disciplina riformata nel 2005-2006 vede regole codificate negli artt. 183, 184 e 187 c.p.p. ; i quali toccano termini ed ordinanze – in quei termini – emanabili; oltre che l’esautorazione delle richieste istruttorie.
Dal co. 8 dell’art. 183 sembrerebbe capirsi che il giudice possa disporre mezzi di prova d’ufficio soltanto con la stessa ordinanza con la quale dispone dei mezzi di prova delle parti. I poteri istruttori del giudice, però, hanno ragione in caso di esaurimento delle richieste di parte; e questa norma un po’ esautora il giudicante.
Il codice, inoltre, sconta un equivoco di fondo sulla consulenza tecnica, non considerata come mezzo di prova ma come strumento ausiliario per il giudice, che ne attinge ai fini della prova. E la dottrina si è affannata su definizioni di «indispensabilità». Per le SS. VV. la prova indispensabile è o non può essere quella che può portare ad un rovesciamento delle conclusioni raggiunte dal giudice di primo grado. Facile sarebbe però argomentare che, in quest’ottica, ogni prova potrebbe strumentalmente essere inquadrata dalla parte come indispensabile. Fondamentale è osservare che, dal punto di vista della valutazione dei documenti, non cambierà tantissimo e, se il documento è dato alle cure d’un magistrato attento, esso sarà concretamente vagliato, prima d’essere considerato irrilevante.
6.       IL DANNO NON PATRIMONIALE DA REATO (dalla relazione dell’Avv. Laforgia)
Il petitum doloris relativo al sistema codicistico penale ricavasi con il concetto di prevenzione, ma col tempo sparirà quel punto di partenza della discussione volente l’illecito penale come fonte esclusiva o, perlomeno, privilegiata del risarcimento del danno non patrimoniale.
Questa nuova concettualizzazione rimira ai cc. dd. danni punitivi ed alle nascende azioni collettive. Il danno morale è pagato per rafforzare la sanzione, ed è IN SÉ, reato. Da un lato un’estensione, e dall’altro una chiara restrizione sui valori non patrimoniali… sui quali si sconta una concezione poco dominante, ma presente nella giurisprudenza sia penale sia civile, e secondo la quale i valori monetari in sé considerati non portano ak concreto ristoro della lesione. Ad esempio giurisprudenziale più che “illuminante”, si porta il caso di un “ristoro” d’euro cinquecento, dato in conseguenza di perpetrata violenza sessuale ai danni d’un minore.
A volte, danni minori conseguono, nel confronto, ristori enormi. Siamo, però, in tema di distonie classiche del diritto penale, qui, ad esempio continuato, i concetti presi in considerazione dalle norme previgenti erano l’onore e la pudicizia, ma – si sa – il diritto penale in senso stretto prende vita migliore e più dinamica nel momento in cui diviene diritto pubblico penale.
Il diritto penale pubblico tutela sul piano di cittadinanza il diritto leso. L’azione in sede penale è un’azione civile, che può essere esercitata e liberamente trasferita dalla sede penale alla civile e viceversa. L’azione è unica. Ancora compare lo spettro-specchio del diritto penale pubblico: il potere d’azione in via di primo principio codificato, del soggetto passivo e di qualsiasi interessato. È chiaro che l’effettività d’un diritto comprende anche la sua limitazione, e quell’INTERESSATO diviene un interessato diretto ed immediato.
In sede civile, nessuna norma subordina l’ammissibilità dell’azione. Ben presto si ammette la risarcibilità di tutti i danni in entrambe le sedi, alternativamente; e ancora abbiamo la limitazione suestesa.
E così prova ad esprimersi la dottrina: «La lesione al bene supremo della tranquillità è da considerarsi espressione del danno non patrimoniale». Bisogna vi sia però – ribatte la Cassazione – un danno psichico di rilevante gravità. Il mero interesse (ad esempio quello del denunciante nel reato di favoreggiamento) non dà diritto alla costituzione di parte civile, perché il diritto soggettivo deve rivestire grado di diritto di rilievo costituzionale.
 
a cura dell’Avv. Monica Cito
 

Cito Monica

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