Il danno all’immagine della P.A.: lo stato dell’evoluzione giurisprudenziale secondo gli ultimi pronunciamenti della Corte dei conti

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Il tema del danno all’immagine della Pubblica Amministrazione è stato un oggetto di un sintetico, ma significativo, passaggio della relazione orale del Procuratore Generale della Corte dei conti, dott. Alberto Avoli, presentata in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2019:

“Le recenti disposizioni in materia previdenziale, che facilitano i percorsi di pensionamento del personale, suscitano notevoli preoccupazioni circa le ricadute sulla organizzazione degli uffici per i vuoti negli organici che presumibilmente si apriranno copiosi nel breve termine. Tali vuoti, tuttavia, costituiscono una occasione unica da non perdere per promuovere il ricambio generazionale nei quadri pubblici con l’immissione in ruolo di risorse portatrici di professionalità specifiche, maggiormente aperte all’innovazione dei processi di gestione e al corretto utilizzo delle tecnologie. Sarà importante consentire ai nuovi assunti la fruizione di adeguati percorsi di formazione e di aggiornamento e, soprattutto, far maturare in loro il senso di appartenenza, l’orgoglio di servire il pubblico interesse. Motivare il personale, del resto, significa valorizzarne la professionalità e contrastarne tutte le condotte che esprimono disaffezione, apatia, passività, quando non giungono agli estremi di comportamenti assenteisti, passibili di censura disciplinare, penale e contabile. A questo riguardo – tornando al presente – le Procure regionali, quasi tutte, hanno dovuto anche nello scorso anno promuovere indagini in materia di assenteismo fraudolento (timbratura del cartellino al posto di colleghi, allontanamento dal servizio senza autorizzazione, simulazione di infermità, svolgimento di attività extraistituzionale in orario di lavoro). Il fenomeno dell’assenteismo può considerarsi endemico ed è difficile da estirpare. Si sono susseguite nel tempo normative sempre più stringenti, ma i risultati conseguiti non sono stati pari alle aspettative. Si fa riferimento all’articolo 69 del decreto legislativo 27 ottobre 2009 n. 150 al decreto legislativo 20 luglio 2017 n. 118. L’assenteismo costituisce il presupposto per la responsabilità amministrativa dell’impiegato infedele, sotto il profilo del danno patrimoniale per omessa prestazione e del danno all’immagine (per il quale è anche sufficiente il solo clamor interno all’amministrazione di appartenenza ed ai soggetti attorno ad essa gravanti). In alcuni casi, le Procure hanno ravvisato una corresponsabilità dei dirigenti o dei funzionari che non hanno attuato con sufficiente attenzione le doverose verifiche sulla presenza del personale. Le Sezioni riunite della Corte sono intervenute al riguardo con una interessante pronuncia affermando che la condanna per danno all’immagine dovuto a fenomeni di assenteismo non presuppone necessariamente, in ossequio alla regola generale, una condanna penale passata in giudicato (Ordinanza n. 6/18)”.

Già da queste poche righe su un tema, quello del danno all’immagine della P.A., al centro da anni di un acceso dibattito dottrinale ed una dirompente evoluzione giurisprudenziale, si possono ricavare importanti e numerosi spunti sullo stato dell’arte di detto istituto ed, in particolare, circa l’incertezza applicativa che ancora circonda tale tipologia di responsabilità in termini di pregiudizialità e ambiti oggettivi e soggetti di possibile estensione.

Perseguibilità del danno

La “pregiudizialità penale”[1] è l’ultimo baluardo, de jure condendo, delle iniziali scelte restrittive del legislatore in materia di perseguibilità del danno in oggetto. Si richiamano, in somma sintesi, le disposizioni che sono state prima insediate dalla propensione giurisprudenziale espansive e poi travolte da interventi abrogativi del legislatore:

  • La legge n. 97 del 2001 all’art. 7, punto 1, prevedeva: “La sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati nell’art. 3 per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro II del codice penale è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova entro trenta giorni l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato”.
  • Il D. L. n. 78 del 2009, “Decreto anticrisi”, che fu convertito con modifiche nella legge n. 102/2009 inserendo all’art. 17 il comma 30-ter (c.d. “Lodo Bernardo”): “Le procure regionali della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine subito dall’amministrazione nei soli casi previsti dall’articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97. […]. L’azione è esercitabile dal pubblico ministero contabile, a fronte di una specifica e precisa notizia di danno, qualora il danno stesso sia stato cagionato per dolo o colpa grave”.

La tassatività delle ipotesi in cui risultava ingabbiata l’azione di responsabilità per danno all’immagine viene meno con l’entrata in vigore nell’ottobre del 2016 del D. L.gs. n. 174/2016, “Codice della giustizia contabile”, pubblicato nella G.U. n. 209 del 7.9.2016, all’art. 4 dell’Allegato 3 del decreto, ha abrogato il predetto art. 7 della L. n. 97/2001, per cui di fatto anche il richiamo di cui all’art. 17, comma 30-ter, del D.L. n. 79/2009. Oggi in materia di danno all’immagine, infatti, il caposaldo è l’art. 51 d. lgs. n. 174/2016 che al comma 6 prevede: “La nullità per violazione delle norme sui presupposti di proponibilità dell’azione per danno all’immagine è rilevabile anche d’ufficio”, ed al comma 7: “La sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché degli organismi e degli enti da esse controllati, per i delitti commessi a danno delle stesse, è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato. Resta salvo quanto disposto dall’art. 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271”.

Come detto, la ristrettezza dell’alveo in materia di danno all’immagine della P.A. in cui erano stati relegati i Giudici contabili, che sono stati coloro che hanno curato tale fattispecie prima della consacrazione normativa, fu messa sotto accusa da parte di diverse sezione della Corte di conti[2] che attraverso questioni di legittimità costituzionale chiedendo l’autorevole pronunciamento della Corte Costituzionale che però dichiarò le questioni proposte in parte inammissibili e in parte infondate con la sentenza n. 355 del 15 dicembre 2010 e con le ordinanze nn. 219, 220 e 221 del 2011.

Tra i profili portati all’attenzione della Corte vi era proprio quello della previsione legislativa di limitare la possibilità di essere chiamati a rispondere del danno all’immagine della P.A. per i dipendenti pubblici solo in caso di condanna penale passata in giudicato riferita ad alcuni reati e cioè quelli contro la pubblica amministrazione, di cui al capo I del titolo II del libro II del codice penale. Limite che come visto poi decadde per intervento abrogativo.

Le condanne ai dipendenti pubblici

A tal proposito, dunque, con esemplari e magistrali sentenze, i Giudici contabili hanno preso a condannare dipendenti pubblici per il vulnus cagionato all’immagine della P.A. derivante dalla commissione di reati comuni, e non solo specifici, come ad esempio truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, violenza sessuale, sempre previa condanna penale.

Alcuni dei recenti e significati esempi: Corte dei conti, sez. giur. Emilia Romagna, 5 gennaio 2018, n. 7 con la quale è stato condannato a versare venticinquemila euro di risarcimento del danno cagionato all’immagine dell’Accademia Militare di Modena un docente della stessa P.A. fu condannato nel 2008 a un anno e dieci mesi per violenza sessuale di cui all’art. 609-bis c.p. (sentenza confermata dalla Cassazione nel 2013) in quanto si era reso protagonista di abusi e molestie sessuali nei confronti di due cadetti nell’aula degli esami.

Si legge nella sentenza:

“8.6. Tanto premesso, sebbene il reato ascritto al convenuto sia costituito dalla condotta di “violenza sessuale” (art. 609-bis c.p.), decisivo rilievo, e cioè al fine di ritenere sussistente, nella specie, un’ipotesi di condanna per un reato “a danno” dell’immagine dell’Accademia Militare di Modena (cfr. citato art. 51, comma 7, del CGC), assumono nella specie la qualifica di esercente funzioni di pubblico ufficiale rivestite dal convenuto nel compimento dei comportamenti contestati e i luoghi ove la stessa condotta risulta essere stata consumata (l’aula degli esami dell’Accademia Militare di Modena), tant’è che nella specie sono stati riconosciuti i presupposti per la procedibilità d’ufficio (art. 609-septies, comma 4, n. 3, c.p.) e quelli per la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61, n. 9, c.p. Quanto precede induce il Collegio a concludere circa la sussistenza nel caso in esame di un reato “a danno di una pubblica amministrazione”, come si è visto, non più da circoscrivere nel tassativo ambito di cui al “Capo I del Titolo II del Libro Secondo del Codice penale” (cfr., anche, Cass. sentt. nn. 5481/14; 4605/14, già prima dell’intervenuta abrogazione delle previgenti restrittive disposizioni), risultando vulnerati, a seguito del reato consumato, il prestigio e la credibilità dell’Accademia Militare di Modena ad opera di un professore, qui convenuto, che nell’esercizio delle sue pubbliche funzioni di docente consumava il reato di violenza sessuale nei confronti di due cadetti all’interno dell’aula dell’Accademia adibita allo svolgimento degli esami”.

Altra sentenza della medesima Corte dei conti, sez. giur. Emilia Romagna, degna di nota sotto il profilo in argomento è la n. 56 del 7 marzo 2018. Protagonista è un ausiliario del Tribunale di Modena con la mansione di commesso addetto al dibattimento penale, che da anni falsificava le marche da bollo che, contraffatte o alterate, vendeva a terzi, in particolare ad avvocati del foro di Modena, a prezzi di favore, e che nel 2015 fu arrestato in fragranza di reato dalla Guardia di Finanza. Ebbene, condannato per il reato di all’art. 459 c.p. in sede penale ove ha patteggiato per due anni e sei mesi (la sentenza del Tribunale di Modena è divenuta irrevocabile il 26 novembre 2016”, la Corte dei conti ha condannato l’uomo, un 56enne nato in provincia di Napoli e residente nella nostra modenese, a risarcire la P.A. versando 166.260,62 euro di danno all’immagine, che sommati agli 83.130,31 euro da restituire per l’illecito profitto, fanno in totale 249.390,93 euro.

Cosi anche con sentenza n. 148/2018 del 13 luglio 2018 la Corte dei conti della Lombardia ha condanna un ex dipendente di un comune alle porte di Milano, riconosciuto colpevole del reato di corruzione per favori, autorizzazioni, concessioni, il disbrigo di varie pratiche edilizie, fino a incarichi di consulenza alla stessa pubblica amministrazione, al risarcimento del danno all’immagine, quantificato in 20.000 in linea con la sentenza penale di condanna dove si legge che l’ex dipendente otteneva da una società la ristrutturazione di un immobile di sua proprietà, consapevole di non aver la possibilità di sostenerne le spese, ma offrendo in cambio la modifica delle conclusioni di una relazione idrogeologica di un piano di lottizzazione.

Restando sempre in Lombardia, rilevante è stata anche la sentenza n. 143 del 6 ottobre 2017 della Corte dei conti, in cui un dipendente del Comune addetto alla mensa scolastica è stato condannato ad euro 400.000,00 (quattrocentomila/00), per il danno all’immagine della P.A., a seguito dei “minori versamenti degli incassi della mensa scolastica”, mentre nella vicenda penale lo stesso aveva patteggiato (sentenza n. 975 del 18 settembre 2014, divenuta poi irrevocabile in data 6 novembre 2014).

Nei casi citati ai fini della quantificazione del danno all’immagine della P.A. si è usato per lo più quello del doppio del danno patrimoniale o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente, accertato in sede penale, ai sensi del già richiamato comma 1-sexies dell’art. 1 della legge n. 20/1994, introdotto dall’art. 1, comma 62, della legge n. 190/2012, che in realtà prevedere l’applicazione di una presunzione iuris tantum con un criterio di calcolo meramente orientativo.

Ma più in generale, da una lettura più ampia delle pronunce delle Corti, si può altresì affermare che ormai sotto tale profilo trovano larga ed uniforme applicazione gli ordinari criteri di quantificazione in via equitativa, ex art. 1226 c.c., del danno all’immagine in concreto risarcibile con riferimento alla gravità della condotta, alla qualifica rivestita dall’autore del danno, alla rilevanza nel settore di servizio delle istanze di legalità e di correttezza dell’agire dei dipendenti pubblici ed, infine, anche al c.d. clamor fori, i quali sono tutti utilizzabili per la stima delle somme necessarie a risarcire il danno e che conducono ugualmente a prospettare l’entità del danno all’immagine in una componente economica che confluisce nel valore risarcibile.

Dall’analisi delle relazioni elaborate in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziari 2019 di alcune Corte dei conti Regionali, si evince che nel corso dell’anno 2018 l’attività delle stesse si è di molto incrementata in materia di danno all’immagine, e nell’ambito di essa numerosi sono stati i procedimenti aventi ad oggetto le fattispecie di assenteismo truffaldino dei dipendenti pubblici di cui all’art. 55 quinquies, comma 2, del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in cui le condanne sono state inflitte sia sotto il profilo del risarcimento del danno patrimoniale per l’indebita percezione della retribuzione in assenza della corrispettiva prestazione del servizio, sia per il danno all’immagine della P.A.

Altre pronunce

Ebbene, proprio circa tale fattispecie sanzionatoria si deve registrare un iniziale configurazione di due diversi ed opposti orientamenti sostenuti entrambi da numerose decisioni delle sezioni giurisdizionali delle Corti dei conti territoriali.

Da un lato vi sono delle sentenze della sezione giurisdizionale per l’Emilia Romagna, nn. 172, 202 e 203 del 2018, con le quali si ha affermato che in applicazione di ciò che è stata individuata la precipua fonte normativa e cioè l’art. 1, comma sexties, della legge n. 20 /1994, come introdotto dalla legge n. 190/2012, che in merito alla quantificazione del danno erariale all’immagine della P.A. così statuisce: “Nel giudizio di responsabilità, l’entità del danno all’immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente”, traendone come conseguenza che per la perseguibilità del danno all’immagine è necessaria la commissione di un reato contro la pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato. Ma va rilevato che vi sono molti più pronunciamenti di segno contrario.

Per tutte si citano le seguenti sezioni di Appello della Corte dei Conti della Sicilia: n. 177/2018, sezione III appello n. 161/2018, sezione II appello n. 523/2018, sezione I appello n. 391/2018 che richiama la sentenza della sezione II appello n. 662 del 2017 oltre le sezioni territoriali della Toscana n. 258/2018, Sardegna n. 111/2018, Puglia n. 711/2018, i cui estensori ritengono che la disposizione di cui all’art. 55 quinquies del citato decreto legislativo, modificato a seguito dell’espandersi del fenomeno dell’assenteismo (meglio conosciuto come “furbetti del cartellino”) con l’intervento normativo del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75 (GU 130 del 7/6/2017), costituendo la risposta del legislatore al dilagare del predetto fenomeno e della conseguente perdita di prestigio e decoro della P.A., proprio per la stretta normativa spiegata per osteggiare con forza la condotta illecita perpetrata dai dipendenti infedeli minante la credibilità e la fiducia dei consociati, va trattata in modo diverso e più  severo arrivando a ritenere siffatti incriminati comportamenti lesivi ex se dell’immagine della P.A., tant’è che la condanna erariale per danno all’immagine può essere pronunciata anche in assenza di un reato contro la pubblica amministrazione accertato con una sentenza passata in giudicato.

Una tale lettura della normativa, è stata corroborata proprio nel 2018 dall’ordinanza n. 6/2018 dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti in sede giurisdizionale. Tale pronuncia ha messo in evidenza il superamento del principio della pregiudizialità, per affermare il riconoscimento della piena autonomia del giudizio contabile rispetto al processo penale, civile o amministrativo. Infatti si legge nell’autorevole provvedimento:

“L’ipotesi di danno all’immagine prevista dall’art. 55 quater, comma 3 quater, del d.lgs. 165 del 2001, oggetto del processo sospeso[3], ha natura speciale rispetto alle ipotesi di danno all’immagine derivante da reato”, in quanto “la condotta è descritta direttamente dal legislatore nell’ambito dell’art. 55 quater, comma 3 bis; viceversa, negli altri casi di danno all’immagine da reato la condotta rilevante è la medesima descritta dalle fattispecie di reato contro la pubblica amministrazione”.

A ciò si aggiunga che “la… descrizione normativa, nel tener fermo quanto previsto dal codice penale, denuncia l’esistenza di una classica clausola c.d. ‘di specialità’, usuale nella configurazione dei rapporti tra fattispecie penali speciali rispetto a ipotesi di reato generali (v. art. 15 c.p.)”.

Pertanto, “gli elementi di specialità…(descrizione normativa della fattispecie; criteri di determinazione del danno; disciplina procedurale e processuale) inducono il Collegio ad escludere che all’ipotesi di danno all’immagine prevista dall’art. 55 quater, comma 3 quater, del d.lgs. 165 del 2001 possa applicarsi la disciplina generale dei danni all’immagine derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione e, quindi, l’ipotesi di sospensione necessaria ex art. 106 c.g.c. che deriva dall’espressa previsione di legge contenuta nell’art. 1 sexies l. n. 20 del 1994 e s.m.i.”

Dunque, così come il superamento della visione restrittiva della risarcibilità del danno all’immagine ai soli reati contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro II del codice penale, previa sentenza di condanna passata in giudicato, così ci si avvia verso il superamento del principio della pregiudizialità, per affermare il riconoscimento della piena autonomia del giudizio contabile rispetto al processo penale, civile o amministrativo. In tal senso si stanno avviando i Giudici contabili seguiti da recenti innovativi interventi di un accorto legislatore, si ricorda, oltre a quello appena richiamato, l’art. 46, comma 1, del D. lgs. n. 33 del 14 marzo 2013, come modificato dall’art. 37, comma 1, lett. B), del D. Lgs. 25 maggio 2016, n. 97 (Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), che disciplina “l’inadempimento degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente e il rifiuto, il differimento e la limitazione dell’accesso civico…. costituiscono…. Eventuale causa di responsabilità per danno all’immagine dell’ammirazione”.

Da più parti, dunque, si spinge affinchè si continui sulla strada dell’abbandono della necessità del presupposto dell’approdo ad una sentenza penale irrevocabile ai fini dell’avvio dell’azione contabile per danno all’immagine della Pubblica Amministrazione, correlando tale tipo di danno direttamente ai fatti commessi, e non all’accertamento che ne fa il giudice penale, allineando tale fattispecie risarcitoria a alle altre ordinarie vigenti per gli altri tipi di danni erariali per i quali non è prevista la previa esistenza, e conseguente comunicazione ai giudici contabili, di una sentenza penale passata in giudicato.

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Note

[1]  Subordinazione del corso e della sorte dei giudizi extra-penali rispetto alla formazione del giudicato penale vincolante. Nel caso della fattispecie de qua il giudizio contabile può essere avviato solo dopo il passaggio in giudicato del sentenza penale.

[2] Tra le tante: Sezione giur. Umbria con ordinanza del 16 novembre 2009 n. 331, Calabria (reg. ord. n. 24 del 2010), Campania (reg. ord. n. 25, n. 26 e n. 27 del 2010), Siciliana (reg. ord. n. 44 del 2010), Toscana (reg. ord. n. 145 del 2010), Lombardia (reg. ord. n. 125 del 2010).

[3] Si era nell’ambito di un giudizio per regolamento di competenza, promosso dal Procuratore regionale presso la Sezione giurisdizionale della regione Abruzzo, avverso l’ordinanza n. 10/2017, resa dalla stessa Sezione territoriale, con la quale è stata disposta, per pregiudizialità penale, la sospensione del giudizio contabile iscritto al n. 19401/R, ex art. 106, comma 1, c.g.c. La questione si è risolta con “l’annullamento dell’ordinanza di sospensione del giudizio contabile per insussistenza dei presupposti previsti dall’art. 106, comma 1, c.g.c., atteso che il fatto di assenteismo, che qualifica la fattispecie, trova la sua regolamentazione nella norma speciale dell’art. 55 quater d.l.gs. 165/2001 che ne impone un’autonoma valutazione, diversamente da quanto accade per le ipotesi generali di danno all’immagine, per le quali è necessario attendere il passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna”.

Dott. Silvio Garofalo Quinzone

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