Il curatore fallimentare è legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale

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Il fatto

 

Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecco dichiarava inammissibile l’opposizione proposta dal curatore del fallimento e del fallimento B.A. avverso l’ordinanza del 1/9/2017, emessa dallo stesso Ufficio quale giudice dell’esecuzione, con la quale era stata rigettata la richiesta di revoca della confisca per equivalente disposta con decreto penale di condanna divenuto irrevocabile.

 

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

 

Proponevano congiuntamente ricorso per cassazione il fallimento (omissis) s.a.s. ed il fallimento B.A., in persona del curatore fallimentare, deducendo i seguenti motivi: 1) violazione dell’art. 321 c.p., comma 2, art. 322-ter c.p., comma 2, L. Fall., art. 42 in quanto il Giudice avrebbe errato nell’affermare il difetto di legittimazione del curatore fallimentare a proporre l’opposizione avverso l’ordinanza del 1/9/2017, atteso che dalla giurisprudenza della Cassazione, ampiamente richiamata, ben emergerebbe, in termini contrari, la legittimazione stessa, anche in forza della L. Fall., art. 42 e della conseguente privazione – che il fallito subirebbe con la dichiarazione di fallimento – della disponibilità dei propri beni; con la precisazione, peraltro, che nel caso di specie – a differenza della vicenda esaminata dal Supremo Collegio con la sentenza n. 11170 del 25/9/2014, citata nell’ordinanza impugnata, le dichiarazioni di fallimento avevano preceduto, non seguito, la confisca per equivalente disposta, ai sensi dell’art. 322-ter c.p., su beni comunque riferibili all’imputato B. , destinatario di un decreto penale di condanna non opposto, quindi irrevocabile; 2) la stessa violazione di legge era stata poi dedotta con il secondo motivo di ricorso poichè il Giudice non avrebbe considerato che, al momento dell’applicazione della confisca, i beni interessati non sarebbero stati più nella disponibilità del fallito perché già acquisiti alla massa fallimentare non potendosi dunque tout court affermare un giudizio di prevalenza del sequestro finalizzato a confisca rispetto allo “spossessamento” fallimentare di cui al citato L. Fall., art. 42; il profilo decisivo, infatti, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto essere individuato nella attuale disponibilità dei beni, di certo non più rinvenibile in capo all’indagato B. e, al riguardo, peraltro, si lamentava la carenza di motivazione dell’ordinanza con riguardo all’art. 322-ter c.p.; 3) violazione dell’art. 2741 c.c., art. 189 c.p., art. 316 c.p.p. giacchè la tesi sostenuta nel ricorso – ossia l’applicazione automatica della confisca per equivalente ai beni del fallito – genererebbe per la difesa forti dubbi, anche di legittimità costituzionale, in merito alla disciplina prevista per i privilegi dei crediti; in particolare, attesa la natura pacificamente sanzionatoria della confisca in esame, ad avviso del legale, apparirebbe del tutto irragionevole non poter tutelare, nell’ambito della procedura fallimentare, gli interessi dei creditori aventi diritto ad essere soddisfatti in forma concorsuale sui beni assoggettabili a confisca e che possono essere assistiti da privilegi superiori a quello riconosciuto allo Stato; 4) violazione dell’art. 676 c.p.p., art. 322-ter c.p., comma 2, per non aver il Giudice provveduto sull’istanza di riduzione della confisca, da contenere al più nel valore di 355.373,00 Euro, in luogo del complessivo valore dei beni sottoposti a vincolo, erroneamente stimato in 760.044,00 Euro, ossia secondo un valore di mercato.

 

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

 

L’impugnazione risultava essere fondata con riguardo ai primi due decisivi motivi, strettamente connessi, con evidente assorbimento dei successivi.

Si osservava a tal proposito prima di tutto come, successivamente alla proposizione dell’impugnazione, le Sezioni Unite avessero pronunciato una fondamentale sentenza (n. 45936 del 26/9/2019, Fallimento M. P. s.r.l., Rv. 277257) con la quale avevano affermato la legittimazione del curatore fallimentare a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale; legittimazione che, per contro, era stata negata dal Tribunale di Lecco, che aveva infatti dichiarato inammissibile – proprio in tale ottica – l’istanza di revoca della confisca ex art. 322 – ter c.p. proposta dallo stesso curatore.

Nel dettaglio, il Supremo Collegio, ricostruito il quadro giurisprudenziale di riferimento, anche con riguardo alla citata sentenza summenzionata, aveva sottolineato la centralità della disciplina normativa vigente e da questa aveva poi ricavato il principio generale che rilevava nella vicenda in esame.
Più in particolare, si era evidenziato che “l’art. 322-bis c.p.p., nel disciplinare l’appello avverso le ordinanze in materia di sequestro preventivo indica quali soggetti legittimati a proporre l’impugnazione, oltre al pubblico ministero, all’imputato e al difensore di questi, anche “la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione”; una disposizione, questa, peraltro già dettata nel precedente art. 322, in materia di riesame del decreto di sequestro preventivo, e puntualmente riportata nel successivo art. 325, a proposito del ricorso per cassazione avverso le ordinanze che decidono nelle procedure di riesame e di appello.
Da questa formulazione la Corte di Cassazione giungeva alla conclusione secondo la quale risultava essere in primo luogo evidente il riferimento del legislatore alla persona alla quale le cose sono state sequestrate, ed a quella che avrebbe diritto alla loro restituzione, come soggetti diversi e non coincidenti per cui l’avente diritto alla restituzione, come del resto riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, può essere individuato in una persona diversa da quella a cui il bene è stato sequestrato (Sez. 2, n. 51753 del 03/12/2013; Sez. 2, n. 39247 del 08/10/2010).

L’avente diritto ha pertanto, nella previsione normativa, ad avviso del Supremo Consesso, una sua distinta fisionomia quale soggetto portatore di un proprio interesse meritevole di tutela (Sez. 6, n. 2599 del 27/05/1994).

In secondo luogo, si osservava che se di tali soggetti la “persona alla quale le cose sono state sequestrate” è testualmente identificata in base ad una circostanza di fatto, la “persona che avrebbe diritto alla loro restituzione” ha assunto, nell’interpretazione che a tale nozione è stata data in sede giurisprudenziale, una configurazione estesa all’esistenza di un rapporto di fatto della persona con il bene, non essendo necessario che sullo stesso la persona vanti un diritto reale nel senso che è sufficiente, a tali fini, che tale situazione di fatto sia tutelata dall’ordinamento e che la stessa dia luogo ad una posizione giuridica autonoma del soggetto rispetto al bene (Sez. 6, n. 3775 del 04/10/1994); condizioni, queste, riconosciute in fattispecie di possesso o detenzione qualificata, come nei casi del conduttore di un immobile (Sez. 3, n. 26196 del 22/04/2010) o del promissario acquirente già immesso nel possesso del bene (Sez. 3, n. 42918 del 22/10/2009).

La persona avente diritto alla restituzione della cosa sequestrata, legittimata all’impugnazione dei provvedimenti dispositivi o confermativi del sequestro, secondo gli Ermellini, è dunque identificata dalla disponibilità autonoma e giuridicamente tutelata del bene.

Tanto premesso, le Sezioni Unite avevano quindi affermato come una disponibilità rispondente a queste caratteristiche sia senza dubbio esistente in capo al curatore rispetto ai beni del fallimento.
Difatti, come disposto dalla L. Fall., art. 42, comma 1, “la sentenza che dichiara il fallimento priva dalla sua data il fallito dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento” e la disponibilità di tali beni, da quel momento, si trasferisce dal fallito agli organi della procedura fallimentare.

Di essi, dunque, il curatore è incaricato dell’amministrazione della massa attiva nella prospettiva della conservazione della stessa ai fini della tutela dell’interesse dei creditori, come indiscutibilmente affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, n. 17749 del 17/12/2018, dep. 2019; Sez. 5, n. 48804 del 09/10/2013), ed in questa veste, la L. Fall., art. 43 gli attribuisce la rappresentanza in giudizio dei rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento (Sez. 2 civ., n. 11737 del 15/05/2013).

Ciò posto, a sua volta la giurisprudenza civilistica qualifica esplicitamente il curatore come detentore dei beni del fallimento (Sez. 2 civ., n. 16853 del 11/08/2005) trattandosi senz’altro di una detenzione qualificata anche per il carattere pubblicistico della funzione per la quale la stessa è attribuita tenuto altresì conto che la stessa sentenza Uniland ammette la natura pubblica della figura del curatore nella gestione dei beni del fallimento; e su questo aspetto è concorde con quanto già affermato nella sentenza Focarelli, peraltro richiamando consolidati principi civilistici (Sez. 1 civ., n. 2570 del 06/03/1995) in ordine alla qualificazione del curatore come organo che esercita una pubblica funzione nell’ambito dell’amministrazione della giustizia.

La disponibilità dei beni del fallimento, di cui il curatore è titolare, per i giudici di piazza Cavour, è dunque riconosciuta dall’ordinamento e oggetto di una posizione giuridicamente autonoma nell’esercizio dei poteri di amministrazione e di rappresentanza in giudizio che al curatore sono per quanto detto conferiti ed è, sulla base di queste considerazioni, che la giurisprudenza di legittimità, del resto, ha espressamente ricondotto la posizione del curatore a quella della persona avente diritto alla restituzione dei beni sequestrati, ai fini della previsione di cui all’art. 322-bis c.p.p. (Sez. 2, n. 24160 del 16/05/2003).

Del resto, osservava sempre la Suprema Corte, il tema dell’attribuibilità al curatore della legittimazione ad impugnare i provvedimenti cautelari reali adottati sui beni del fallimento, in quanto persona avente diritto alla restituzione di essi in caso di dissequestro, non veniva affrontato nella sentenza Uniland. Come opportunamente osservato nell’ordinanza di rimessione, invero, le conclusioni formulate in quella sede si limitavano ad escludere che il curatore fosse titolare di diritti reali sui beni in questione; titolarità che, come si è detto, non esaurisce le situazioni nelle quali il soggetto assume la posizione di avente diritto alla restituzione del bene secondo al previsione normativa fermo restando che nella stessa sentenza, peraltro, si dava atto della funzione gestionale svolta dal curatore nell’interesse dei creditori ma la rilevanza di tale funzione, anche nella sua pur riconosciuta dimensione pubblicistica, non veniva esaminata nell’ottica della configurabilità di un diverso ed autonomo titolo di legittimazione del curatore all’impugnazione.

Guardando invece il problema da questo punto di vista, il Supremo Consesso rilevava come le conclusioni appena raggiunte sulla qualificazione del curatore, come persona avente diritto alla restituzione dei beni, nella sua funzione di conservazione e reintegrazione della massa attiva del fallimento ai fini del soddisfacimento delle ragioni dei creditori a cui la procedura fallimentare è istituzionalmente destinata, consentissero di riconoscere a tale soggetto la legittimazione all’impugnazione in materia di sequestri di beni facenti parte del compendio fallimentare derivante dalla predetta posizione secondo l’espressa previsione delle norme del c.p.p. deducendo però al contempo che, d’altra parte, il curatore si appalesa anche in termini di fatto come l’unico soggetto destinatario dell’eventuale restituzione del bene, nelle sue funzioni di rappresentanza del fallimento e di amministrazione del relativo patrimonio.

Tanto appena enunciato, per gli Ermellini, supera altresì i dubbi espressi nella sentenza Uniland sulla ravvisabilità di un concreto interesse della curatela ad impugnare provvedimenti non immediatamente pregiudizievoli dell’integrità della massa fallimentar, in quanto appositivi di un vincolo a tutela di diritti che lo Stato potrà far valere sui beni solo alla conclusione della procedura fallimentare nel senso che, nella prospettiva dell’inclusione o meno del curatore fra i soggetti legittimati all’impugnazione, la descritta funzione di salvaguardia della massa fallimentare esercitata dallo stesso non consente di escludere l’attualità di un siffatto interesse nella rimozione di vincoli comunque potenzialmente incidenti sulla valutazione della consistenza patrimoniale dell’attivo.

Oltre a ciò, veniva infine evidenziato come la sentenza succitata avesse evidenziato che la risposta al quesito proposto alle Sezioni Unite, nei termini nei quali è specificamente formulato, imponeva da ultimo di precisare come non avesse fondamento, nella ricostruzione appena esposta, la limitazione della legittimazione del curatore alle impugnazioni riguardanti beni sequestrati successivamente alla dichiarazione di fallimento, prospettata dall’indirizzo giurisprudenziale formatosi successivamente alla sentenza Uniland, dal momento che la legittimazione all’impugnazione del curatore, in quanto derivante dalla sua posizione di soggetto avente diritto alla restituzione dei beni sequestrati, investe necessariamente la totalità dei beni facenti parte dell’attivo fallimentare e ciò corrisponde peraltro al dato normativo rinvenibile nel già rammentato contenuto della L. Fall., art. 42, per il quale la dichiarazione di fallimento, privandone il fallito, conferisce alla curatela la disponibilità di tutti i beni di quest’ultimo esistenti alla data del fallimento e, quindi, anche di quelli già sottoposti a sequestro.

Da ciò se ne faceva conseguire come non possa essere quindi impedito al curatore di far valere le ragioni della procedura fallimentare con riguardo a tali beni, essi pure facenti parte dell’attivo fallimentare entrato nella disponibilità della curatela, avverso il vincolo apposto sugli stessi.

La Suprema Corte, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, giungeva a postulare il principio di diritto in forza del quale il curatore fallimentare è legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale.

 

Conclusioni

 

La decisione in questione è assai interessante in quanto in essa, con una motivazione assai articolata e ben argomentata, si formula il principio di diritto secondo cui il curatore fallimentare è legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale.

Pertanto, ben potrà il curatore fallimentare chiedere questa revoca e impugnare tali provvedimenti alla stregua di tale criterio ermeneutico.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, proprio perché fa chiarezza su tale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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