Il copyright nei paesi di Common Law

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Il copyright è un vocabolo di lingua inglese che letteralmente significa “diritto di copia”.
Identifica il diritto d’autore nei paesi di Common Law, dal quale però differisce sotto vari aspetti.
Nonostante questo, viene comunemente utilizzato anche per indicare genericamente la normativa sul diritto d’autore degli ordinamenti di Civil Law.

Indice

1. Le Origini

Le prime norme sul diritto di copia (copyright) furono emanate nel XVI secolo dalla monarchia inglese al fine di compiere un controllo sulle opere pubblicate nel territorio nazionale.
Con il diffondersi dei primi torchi tipografici, fu molto ampliata la diffusione tra la popolazione di scritti e volumi di ogni argomento e genere.
Il governo, siccome la censura all’epoca era una funzione amministrativa legittima come la gestione della sicurezza pubblica, avvertì il bisogno di controllare e autorizzare la libera circolazione delle opinioni.
Ragione per la quale fondò una corporazione privata di censori, la London Company of Stationers (Corporazione dei librai e stampatori di Londra), i quali profitti dipendevano da quanto fosse stato efficace il loro lavoro di censura filo-governativa.
Il 19 marzo 1474 a Venezia ai Provveditori de Comun fu assegnato il compito di sovrintendere alla registrazione di brevetti.
 Agli Stationers (categoria che comprende librai e stampatori) furono concessi i diritti di copia (copyright) su ogni stampa, con valenza retroattiva anche per le opere pubblicate in precedenza.
La concessione prevedeva il diritto esclusivo di stampa e quello di potere ricercare e confiscare le stampe e i libri non autorizzati e di bruciare quelli stampati illegalmente.
Ogni opera, per essere stampata, doveva essere registrata nel registro della corporazione, registrazione che era effettuabile esclusivamente dopo un attento vaglio da parte del Censore della corona o dopo la censura degli stessi editori.
La corporazione degli editori esercitava funzioni di polizia privata, dedita al profitto e controllata da parte del governo.
 Ogni opera veniva annotata nel registro della corporazione sotto il nome di uno dei membri della stessa, il quale ne acquisiva il copyright, vale a dire, il diritto esclusivo sugli altri editori di pubblicarla.
Una corte risolveva le eventuali dispute tra membri.
Il diritto sulle copie (copyright) nasce come diritto specifico dell’editore, sul quale il reale autore non può recriminare alcunché e neanche guadagnare.
 Nel successivo secolo e mezzo la corporazione dei censori inglesi generò benefici nei confronti del  governo e per gli editori.
Nei confronti del governo, esercitando un potere di controllo sulla libera diffusione delle opinioni e delle informazioni, nei confronti degli editori, traendo profitto dal proprio monopolio di vendita.
Sul finire del XVII secolo, l’imporsi di idee liberali nella società frenò le tradizionali politiche censorie e causò una graduale fine del monopolio delle caste editrici.
 Temendo una liberalizzazione della stampa e la concorrenza da parte di stampatori indipendenti e autori, gli editori fecero valere la propria moral suasion sul Parlamento.
Basandosi sull’assunto che gli autori non disponessero dei mezzi per distribuire e stampare le proprie opere (attività all’epoca molto costosa e riservata a pochi), mantennero i privilegi acquisiti in passato con un’astuzia, attribuire ai veri autori diritti di proprietà sulle opere prodotte, ma con la clausola che questa proprietà potesse essere trasferita agli altri attraverso contratto.
Gli editori non avrebbero più generato profitto dalla censura sulle opere, ma dal trasferimento dei diritti firmato (più o meno volontariamente) dagli autori, necessario per la molto costosa pubblicazione delle opere.
 Su queste basi, nel 1710 venne emanata la prima norma moderna sul copyright,
The Statute of Anna, lo Statuto di Anna.
A partire dallo Statuto di Anna, gli autori, che non avevano ancora detenuto nessun diritto di proprietà, ottennero il potere di bloccare la diffusione delle proprie opere, mentre la corporazione degli editori incrementò i profitti grazie alla cessione obbligatoria per ottenere stampa e distribuzione, da parte degli autori dei vari diritti sulle opere.
 Il rafforzamento successivo dei diritti d’autore su pressione delle corporazioni, generò gradualmente il declino di altre forme di sostentamento per gli autori, come il patronato e la sovvenzione, legando e sottoponendo indissolubilmente il sostentamento degli stessi al profitto dell’editore.
 Nel corso dei successivi due secoli anche la Francia, la Repubblica Cisalpina, il Regno d’Italia, il Regno delle Due Sicilie e il resto d’Europa emanarono legislazioni per l’istituzione del copyright o del diritto d’autore.
 Nel 1836 il codice civile albertino per la Sardegna
Nel 1840 il decreto di Maria Luigia, per il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla
Nel 1865 nel Regno d’Italia, con legge 2337.
 Alcune con ispirazioni più illuministe e democratiche rispetto a quella anglosassone ma con la stessa radice.
 Nel 1886 per coordinare i rapporti in questo campo dei paesi iscritti fu costituita l’Unione internazionale di Berna, ancora oggi operante.
 Nel XX secolo il diffondersi delle memorie di massa, come videocassette e musicassette, e dei riproduttori ha reso molto difficile la tutela del copyright inteso in modo tradizionale, e creato altri spazi per gli autori.
A questo proposito nel 1976 la Disney e gli Universal Studios intentarono una causa legale contro Sony, che avrebbe favorito la libera diffusione di opere in violazione del copyright. Successivamente il diffondersi del personal computer e di internet, ha sottratto uno dei cardini alla base del copyright in senso classico, vale a dire, il costo e la difficoltà di riprodurre e diffondere sul territorio le opere, aspetti sino a quel momento gestiti dalla corporazione degli editori dietro congruo compenso o cessione dei diritti da parte degli autori.
Il primo episodio con eco internazionale, si è avuto a cavallo tra il XX e il XXI secolo con il cosiddetto caso Napster, uno dei primi sistemi di condivisione gratuita di file musicali, oggetto di enorme successo a cavallo del millennio.
La chiusura di Napster, avvenuta nel 2002 e generata dalle denunce degli editori, che vedevano nel sistema un concorrente ai propri profitti, non ha risolto se non per breve tempo gli attriti.
Altri programmi di file sharing gratuito sono sorti rimpiazzando l’originale Napster e vanificando gli scopi della chiusura.
Secondo gli operatori del mercato dell’intrattenimento, una costante diminuzione delle vendite di cd musicali è scaturita dalla diffusione di questi sistemi e dalla progressiva obsolescenza della precedente tecnologia, dovuta principalmente all’eccessivo costo di acquisto di materiale originale, che avrebbe danneggiato principalmente il sistema corporativo e ingessato dell’industria discografica.
Ci vi sono però autorevoli studi che sostengono il contrario.
 Il file sharing (scambio e condivisione di file) di materiale protetto dal copyright, si è sviluppato e diffuso con l’imporsi delle tecnologie informatiche e del web, e in particolar modo grazie al sistema del peer-to-peer.
La velocità di questa diffusione e sviluppo, ha reso difficile per il diritto industriale internazionale aggiornarsi con la stessa prontezza.
Molti studiosi internazionali accusano la presenza di vuoti normativi non omogeneamente colmati.
 Ted Nelson nella sua opera Literary machines del 1981, introduce il progetto Xanadu nel quale è contenuto il concetto di transcopyright, legato alla possibilità di includere in un proprio lavoro collegamenti e relazioni attraverso dei micro-pagamenti in base ai quali verranno pagati gli editori dell’opera menzionata e verranno menzionati gli autori originali, in modo da preservare anche i diritti morali d’autore.
Nelson afferma che questa soluzione potrà venire utilizzata non esclusivamente per i testi, ma anche per progetti improntati su audio o video.
 Il transcopyright si basa su una licenza che si differenzia dalle licenze open source in base al fatto che un contenuto redatto con il transcopyright non è concepito per essere ridistribuito e modificato.
 Questa idea non è stata ben accolta, sia perché difficile da implementare, sia perché molti insistono che i contenuti debbano essere liberi e gratuiti.
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2. Le deroghe ai diritti per pubblica utilità

La proprietà intellettuale può essere oggetto di esproprio per scopi di pubblica utilità che prevalgono sull’interesse del privato.
In un caso del genere rientra la distruzione o lo spostamento in un altro sito di un’opera d’arte anche contemporanea, per realizzare un’autostrada o una ferrovia, oppure la produzione di un farmaco che è molto costoso acquistare dal legittimo produttore, non riconoscendo validità al brevetto sul territorio nazionale e non pagando il copyright allo scopritore in deroga a un brevetto internazionale depositato all’estero.
 La definizione di pubblica utilità, anche se ampia e discrezionale, di solito è relativa a prodotti tangibili, non la fruizione di servizi, come potrebbe essere un intrattenimento musicale. 

3. La disciplina giuridica e il diritto

A sostegno di una disciplina giuridica dei brevetti sorgono una serie di considerazioni in particolare nel settore delle arti.
 Le arti (scultura, pittura,) sono considerate un fattore di crescita della società e del cittadino, al quale ognuno ha diritto di accesso in base a un diritto all’istruzione e di un diritto, da questo indipendente, alla fruizione della bellezza, quale bisogno dell’uomo, perché la legge non si deve limitare a garantire il soddisfacimento delle necessità primarie della persona, ma la possibilità di una sua completa realizzazione.
 Altri sostengono che l’arte non è mai il prodotto di un singolo individuo, e che non è quantificabile il contributo e i condizionamenti che qualunque artista ha avuto, anche in modo inconsapevole, da altri artisti e uomini comuni, passati e contemporanei, e il debito dell’autore nei loro confronti.
In questo senso, l’opera è prodotto e proprietà di una società e di un’epoca, più che di un individuo e dei suoi eredi.
 Il principio di un diritto collettivo alla fruizione della bellezza e all’apprendimento dall’arte, nelle loro opere originali sono state idee che portarono nel Settecento alla nascita dei primi musei che erano concepiti come il luogo nei quali l’arte veniva valorizzata e doveva essere conservata nelle collezioni private gelosamente custodite.
 Anche per la musica, nonostante sia un’arte non tangibile, alcune considerazioni spingono per un diritto di accesso collettivo che ci può essere esclusivamente a titolo gratuito oppure a basso costo. Il fatto che la musica è cultura e i cittadini hanno diritto di accesso ai livelli più alti dell’istruzione, il diritto allo studio nei conservatori che richiedono spese notevoli per lo strumento e il materiale didattico musicale, la bellezza come bene comune e valore apartitico. 

4. Il dibattito sulle pene per la violazione del copyright

Nelle legislazioni internazionali è frequente una tendenza all’equiparazione tra la violazione del copyright e il reato di furto.
 Esiste un dibattito non esclusivamente sull’entità delle pene che una simile equiparazione comporta, ma anche sulla reale opportunità di accomunare i due tipi di reato.
L’equiparazione al furto comporta un considerevole inasprimento delle pene.
 Analogo dibattito investe il rispetto del proporzionalismo tra le pene rispetto alla gravità del reato.
Il plagio prevede pene inferiori al furto, nonostante  l’utilizzo commerciale sia un’aggravante nella violazione di copyright.
Chi copia e vende opere in forma identica all’originale commette un reato punito molto più severamente del plagio, rispetto a chi apporta lievi modifiche e si appropria di una qualche paternità sull’opera, traendone profitto.

>>>Per approfondire<<<
Questa nuova edizione dell’Opera è aggiornata alle più recenti modifiche della materia, a seguito dell’entrata in vigore dei decreti legislativi n. 177/2021 e n. 181/2021, con cui si è data attuazione alle due ultime direttive sul tema.
Il testo si configura come lo strumento più completo per la risoluzione delle problematiche riguardanti il diritto d’autore e i diritti connessi.

Dott.ssa Concas Alessandra

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