Tutela del diritto d’autore sui social network

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È ormai notoria la pervasività che i social network hanno raggiunto nel tempo, andando a coinvolgere ogni ambito di influenza dell’utente. A tal fine, rileva analizzare i fenomeni che coinvolgono la tutela del diritto d’autore, attenzionati dalla giurisprudenza di merito, non mancando anche interventi da parte della Suprema Corte di Cassazione. Il pericolo che si è andato manifestando negli anni è stata la mancanza di un’efficacie attuazione della tutela legislativa riconosciuta al diritto d’autore dei contenuti inseriti sulle piattaforme social, in particolare con riferimento al diritto di paternità ex art 20 L. 633/1941 (nota come Legge sul diritto d’autore, da qui in poi indicata con l.aut.) e ai vari diritti di utilizzazione economica. L’ostacolo che si è presentato dinnanzi al legislatore è infatti stato trovare strumenti normativi che consentissero di limitare al massimo l’abusivismo che si è diffuso sui social network con riguardo ai contenuti pubblicati, amplificato dalla sempre più capillarità e facile raggiungibilità degli account. Al riassunto dei tentativi di governance del diritto d’autore, abbiamo dedicato il volume: “Il nuovo diritto d’autore -La tutela della proprietà intellettuale nell’era dell’intelligenza artificiale”

Indice

1. Analisi delle condizioni d’uso di Instagram

2. La tutela della fotografia nel social network


Dopo questa disamina del contenuto dei regolamenti contrattuali cui ogni utente sottostà, si è ritenuto di approfondire in modo casistico la tutela effettiva che è stata riconosciuta dalla prassi giurisprudenziale, in particolare in riferimento ad una particolare opera creativa così definita dagli artt. 1[15]e 2 l.aut.[16], ovvero la fotografia, che costituisce altresì il contenuto creativo maggiormente pubblicato sulle piattaforme social.
2.1 Cenni della normativa contenuta nella legge d’autore
Sin dal 1941 con la l.aut., il legislatore ha ritenuto meritevole di normativa ad hoc il fenomeno della tutela della fotografia come opera creativa. Occorre, però, sin da subito delineare una differenziazione normativa a seconda della tipologia di fotografia di cui si tratta. Da un’analisi comparatistica dell’art 2 n. 7 l. aut. e gli artt. 87 ss. l. aut., per individuare correttamente la disciplina giuridica da applicare, rileva qualificare la fotografia in una delle due possibili categorie tipologiche: le “fotografie semplici” e le fotografie intese come opere dell’ingegno.  Per quanto riguarda le prime, la definizione che l’art 87 l.aut. ne dà è “immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita naturale e sociale, ottenute col processo fotografico o con processo analogo, comprese le riproduzioni di opere dell’arte figurativa e i fotogrammi delle pellicole cinematografiche”. È la giurisprudenza che negli anni è intervenuta a delineare la differenza rispetto alle fotografie considerate opere creative: in primo luogo la Suprema Corte di Cassazione ha affermato che la differenza tra questi due tipi di fotografia è da ricondurre alla verifica della sussistenza o meno di un atto creativo, che sia espressione di un’attività intellettuale preponderante rispetto alla tecnica materiale[17]. Gli Ermellini hanno poi aggiunto come la tipizzazione di fotografia come opera intellettuale importa che l’interpretazione, ovvero la modalità di riproduzione del dato fotografico, “trasmetta un messaggio ulteriore rispetto alla visione oggettiva di esso, rendendo una soggettiva interpretazione che permetta di individuare l’opera tra le altre analoghe”[18], questo grazie ad una precisa attività del fotografo tesa a dar valore agli effetti ottenibili con l’apparecchio o la scelta del soggetto, purché emerga una prevalenza del profilo artistico sull’aspetto prettamente tecnico[19]. In summa – ribadisce il Tribunale di Firenze del 16 febbraio 1994 – la fotografia è creativa quando è capace di evocare suggestioni o comunque di lasciare trasparire l’apporto personale del fotografo e non si limiti a riprodurre e documentare determinate azioni o situazioni reali.
Orbene, dopo aver delineato la differenza sostanziale tra fotografie semplici e quelle rientranti nell’alveo protettivo degli artt. 1 e 2 l.aut., analizziamo la protezione giuridica riconosciuta all’una e all’altra fattispecie. Semplice è il caso della fotografia come opera dell’ingegno, per cui si applica la tutela classica dell’opera autoriale, ovvero il diritto di utilizzazione economica ex art 12 l.aut. e il diritto morale d’autore ex art 20 l.aut. Nel caso di fotografie semplici, al contrario, la disciplina è quella delineata al capo V del titolo II, all’art 88 l.aut., che recita che “spetta al fotografo il diritto esclusivo di riproduzione, diffusione e spaccio della fotografia [20], diritto che dura 20 anni dalla data di produzione della fotografia ex art 92 l.aut.
2.2. Tutela della paternità della fotografia nella giurisprudenza
Sarebbe parziale tale trattazione se fosse priva dell’analisi della giurisprudenza, che si è espressa più volte in relazione a controversie sorte sulla paternità o meno di fotografie contenuti sui social network, dando origine, alcune di esse, a indirizzi giurisprudenziali consolidati. Tanta è l’attenzione al fenomeno dell’uso abusivo delle fotografie pubblicate sui social network[21] che, a titolo esemplificativo, anche nelle Condizioni d’uso di Instagram è specificato che costituisce violazione del diritto d’autore “quando qualcun altro carica una tua foto o un tuo video, ha creato una copia di quella foto o quel video. Lo stesso vale se qualcuno usa una canzone per la colonna sonora di un video, anche se ha acquistato una copia di quella canzone su un altro servizio”.
Un primo caso meritevole di interesse è la sent. del Tribunale civile di Milano, sez. speciale in materia di imprese, del 10 maggio 2021, n. 3933. Il caso afferisce ad un soggetto, che ha citato in giudizio D.G. srl per aver apposto la riproduzione di una sua opera raffigurante una Madonna con un foulard rosa con bambino, su pantofole e borse, pubblicizzate poi sui diversi canali social dell’impresa e presentate anche alla sfilata “D.G. Spring Summer 2018 Fashion Show”. Durante l’istruttoria, l’attore ha dimostrato che tale raffigurazione era peraltro stata pubblicata sul suo account Facebook in data 25 settembre 2010 (ovvero otto anni prima del presunto uso improprio), mentre, al contrario, la convenuta ha addotto che le immagini erano state rielaborate ed applicate ad un singolo esemplare di pantofola e di borsa, peraltro non destinate alla produzione e commercializzazione. Il Tribunale di Milano però ha rigettato tutte le richieste della parte attorea motivando come segue: in primo luogo si rammenta come l’art 6 l.aut. non richiede alcuna formalità per riconoscere il titolo originario dell’acquisto del diritto morale d’autore, che sorge infatti al momento della creazione dell’opera. Secondariamente i giudici milanesi ricordano che ex art 8 l.aut.[22] sussiste una presunzione di paternità dell’opera in capo a chi è indicato come tale nelle forme d’uso, seppur nel caso concreto, sulla base degli elementi offerti nell’istruttoria dall’attore, il Tribunale ha ritenuto che “la sola pubblicazione della fotografia sull’account del social network Facebook – come prodotta in giudizio – sia insufficiente a provare la paternità dell’opera”. A fortiori, i giudici adducono la mancanza della firma dell’artista, ovvero di altre sigle o segni convenzionali che, ove siano notoriamente conosciuti, possono consentire il riconoscimento della paternità dell’opera[23].
Molto più laboriosa e ampia è la sentenza emessa dal Tribunale civile di Roma, sezione speciale in materia di impresa, del 1° giugno 2015, n. 12076. Il fatto alla base della causa riguardava varie fotografie – caricate poi sul proprio social network Facebook – realizzate da un minorenne, che raffiguravano uno spaccato delle abitudini della gioventù romana, essendo infatti state effettuate all’interno di alcuni locali notturni di Roma. La parte attorea ha citato in giudizio il quotidiano “Il Messaggero” per aver usato, in palese violazione della legge sul diritto d’autore, tali fotografie scaricandole da Facebook e ponendole a corredo di un articolo pubblicato qualche giorno dopo contenente un’intervista sul fenomeno delle cd. baby cubiste. La parte convenuta ha fondato però la propria linea difensiva sul fatto che, una volta pubblicate le fotografie su Facebook, la stessa piattaforma “ha automaticamente concesso l’autorizzazione al loro sfruttamento commerciale, con la conseguenza che lo stesso non può lamentare il fatto che esse siano riprodotte dalla stampa e da alcune trasmissioni televisive”.
La sentenza del Tribunale romano parte dall’assunto – ribadito, come già detto, anche dalla sent. del Trib. Milano del 10 maggio 2021, n. 3933 – che la mera pubblicazione di una fotografia nella pagina personale di un social network non è prova della titolarità dei diritti di proprietà intellettuale, aggiungendo però che “tale elemento, in mancanza di altre emergenze probatorie di segno contrario  può assurgere a presunzione grave, precisa e concordate della titolarità dei diritti fotografici in capo al titolare della pagina del social network nella quale sono pubblicate” ex art 2729 cc. Infatti nel caso in cui ci siano tali indizi, si ottiene una “inversione dell’onere della prova per cui la titolarità dei diritti fotografici si presume in capo a colui che ha pubblicato il contenuto” e conseguentemente spetta al riproduttore dimostrare che il suo utilizzo si basa su un file digitale non coperto da diritti d’autore in capo a colui che ha pubblicato la fotografia su Facebook. Ed è per tale ragione che i giudici accertano la paternità delle fotografie alla parte attorea, tesi suffragata anche da prove testimoniali concordanti. Dopo aver poi delineato le differenze ontologiche e giuridiche delle “fotografie semplici” e di quelle rientranti tra le opere dell’ingegno[24], il Tribunale passa in rassegna alla argomentazione principale del convenuto, ovvero quella inerente alla cessione automatica dei diritti d’autore a Facebook di ogni contenuto pubblicato. Passando in esame alle clausole principali delle Condizioni d’uso di Facebook – analoghe a quelle analizzate nel par. 2. –  i giudici si convincono del fatto che, alla luce di una lettura completa delle Condizioni d’uso ex art 1362 ss. cc, la pubblicazione di contenuti sul social network Facebook non comporta mai la cessione integrale dei diritti d’autore a terzi, in quanto si riconosce solo alla piattaforma stessa una licenza “non esclusiva, non soggetta a royalty, trasferibile, conferibile in sublicenza e globale per la conservazione, l’uso, la distribuzione, la modifica, l’esecuzione, la copia, la pubblica esecuzione o la visualizzazione, la traduzione e la creazione di opere derivate dei propri contenuti”. Per tale ragione è stata ritenuta infondata la tesi addotta dal convenuto e pertanto deve concludersi che “in quanto autore delle immagini fotografiche in questione, è rimasto titolare dei diritti fotografici nonostante la pubblicazione delle stesse sulla propria pagina personale del sito Facebook ed è quindi legittimato a tutelare in sede giudiziaria i diritti esclusivi su tali fotografie, riconosciuti dagli artt. 88 ss. l.aut.”. Per ulteriori approfondimenti sulle ultime evoluzioni del diritto d’autore, consigliamo il volume: “Il nuovo diritto d’autore -La tutela della proprietà intellettuale nell’era dell’intelligenza artificiale”

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3. Digital watermarks: strumenti a tutela della fotografia digitale


L’ultimo passo deduttivo svolto nel ragionamento dei giudici milanesi nella sentenza sopracitata introduce uno strumento che si sta sempre più diffondendo a tutela della paternità delle fotografie digitali. Prima di analizzare questa ultima parte del provvedimento, occorre introdurre le ultime norme contenute nella l.aut. essenziali ai fini della corretta comprensione del ragionamento giuridico. In tema di tutela del diritto di paternità delle immagini fotografiche, è essenziale porre attenzione all’art 90 l.aut. che prescrive che gli esemplari di fotografie devono riportare le seguenti indicazioni: “1) il nome del fotografo, o, nel caso previsto nel primo capoverso dell’art. 88, della ditta da cui il fotografo dipende o del committente; 2) la data dell’anno di produzione della fotografia; 3) il nome dell’autore dell’opera d’arte fotografata”. Qualora l’esemplare non mostri tali informazioni – recita l’art 90 co 2 l.aut. – non è ritenuta abusiva la sua riproduzione[25]. Interessante è però segnalare la recente pronuncia del Tribunale di Roma del 11 marzo 2021, con cui si pone rilievo al rispetto del dovere di buona fede e correttezza per cui, nel caso di utilizzo di un’immagine pubblicata su Facebook non contenente le informazioni ex art 90 l.aut., la scriminante riconosciuta verso tale comportamento deve esser subordinata agli adeguati accertamenti inerenti a eventuali diritti autoriali, oneri che incombono comunque sul riproduttore[26].
La modernizzazione dei tempi e la vasta diffusione di opere in formato digitale ha imposto al legislatore nazionale un’innovazione della l.aut., avvenuta con d.lgs. 68/2003, su impulso ed in attuazione della direttiva 2001/20/CE. All’interno del titolo II ter emergono infatti due norme fondamentali ai fini dell’introduzione di nuovi strumenti a tutela dell’immagine digitale, ovvero l’art 102 quater el’art 102 quinquies. Il primo riconosce in capo ai titolari di diritti d’autore la facoltà di “apporre sulle opere o sui materiali protetti misure tecnologiche di protezione efficaci che comprendono tutte le tecnologie, i dispositivi o i componenti che, nel normale corso del loro funzionamento, sono destinati a impedire o limitare atti non autorizzati dai titolari dei diritti”, misure di protezione che, a norma del co 2, sono ritenute efficaci “nel caso in cui l’uso dell’opera o del materiale protetto sia controllato dai titolari tramite l’applicazione di un dispositivo di accesso o di un procedimento di protezione, quale la cifratura, la distorsione o qualsiasi altra trasformazione dell’opera o del materiale protetto, ovvero sia limitato mediante un meccanismo di controllo delle copie che realizzi l’obiettivo di protezione”. Specifica ancora di più l’art 102 quinques co 1 che è possibile inserire le informazioni elettroniche sul regime dei diritti “sulle opere o sui materiale o possono essere fatte apparire nella comunicazione al pubblico degli stessi”, a condizione del co 2, ovvero che tali informazioni identifichino l’opera o il materiale protetto, nonché l’autore o qualsiasi altro titolare del diritto[27].
Queste misure tecnologiche di protezioni del diritto d’autore che possono essere apposte sulle opere digitali comprendono anche i famosi “digital watermarks”, o noti come filigranatura elettronica, che consiste nella tecnica di inclusione di informazioni all’interno di un file multimediale o di altro genere[28], che può essere successivamente rilevato o estratto per trarre informazioni sulla sua origine e provenienza[29]. A seconda della tecnologia adottata, possiamo classificare i watermarks in diverse categorie: si parla di watermark visuale o visibile, quando è usato per essere palesemente notato, mediante ad esempio la sovrapposizione di un’immagine o di un suono all’interno del media; si parla al contrario di watermark invisibile, qualora il detentore del diritto d’autore intenda donare informazione supplementari, ma nascondendo il marchio nel documento od utilizzando delle impronte digitali. In questo caso la filigranatura non deve avere alcun effetto evidente sul file per evitare che gli utilizzatori abusivi ne rilevino la presenza e la possano quindi rimuovere dal sistema: in tale maniera il titolare dei diritti utilizza il watermark per identificare la fonte della copia, con lo scopo di scansionare la presenza dell’impronta sul file per riconoscerne la paternità, e sgamare invece gli utilizzatori abusivi[30]. Connessa a questa distinzione si ricollega anche la differenza che sussiste tra watermarks pubblici e privati, ove i primi sono quelli visibili a tutti gli utenti di un file, e quindi sono rilevabili anche senza conoscere il contenuto e senza l’ausilio del documento originale; mentre sono privati i watermarks che possono essere estratti solo se si conosce il contenuto a priori e se si possiede il documento originale non marchiato[31].
Alla luce di ciò detto, il Tribunale di Milano si è interrogato se fosse lecita la riproduzione di immagini pubblicate sui social network in cui non siano contenuti i requisiti delineati ex art 90 l.aut., necessari per considerare la riproduzione abusiva. I giudici milanesi, con un’interpretazione teleologica – basata sulla ratio della norma che rinvengono nel “considerare lecita la riproduzione delle fotografie quando il riproduttore non è in grado o non può conoscere con l’ordinaria diligenza il nome del titolare dei diritti cui chiedere l’autorizzazione alla pubblicazione ”- arrivano a paragonare i digital watermarks, filigrane digitali o impronte digitali alla stregua delle informazioni richieste ex art 90 l.aut. Non solo, il Tribunale, per evitare interpretazioni con conseguenze eccessivamente onerose in capo al riproduttore in buona fede, come del resto per scongiurare delle linee ermeneutiche eccessivamente formalistiche alla luce degli sviluppi della tecnologia, delinea un modus operandi preciso da seguire per evitare la violazione del diritto d’autore in relazione all’uso di fotografie digitali. Occorre in primo luogo distinguere la fonte da cui si ottiene la fotografia: il caso in cui sia avvenuto un trasferimento mediante scambio di file digitali ovvero download da pagine web. Nel primo caso, vista la possibilità di ignoranza dell’identità dell’uno e dell’altro soggetto, è ritenuta abusiva la riproduzione della fotografia digitale scambiata se questa non presenta i caratteri richiesti dall’art 90 l.aut., mentre nel secondo caso, ovvero il download della fotografia da una pagina web, i magistrati, con una artificiosa impostazione, introducono una ulteriore differenziazione delle casistiche, a seconda infatti che “la pagina web da cui si scarica la fotografia non sia riconducibile all’autore dell’immagine” ovvero “non sia indicato in maniera chiara e immediatamente visibile il nome del fotografo e l’anno di riproduzione”. Nel primo caso la riproduzione non può esser considerata abusiva, mentre nella fattispecie in cui la fotografia sia stata “pubblicata su una pagine web riconducibile al titolare dei diritti o nella quale siano chiaramente indicati a fianco della fotografia il nome di colui che è titolare dei diritti fotografici e la data dello scatto”, allora la riproduzione è illecita.

4. Conclusioni


Alla luce di questo studio incentrato sull’analisi delle pattuizioni previste dalle Condizioni d’uso di Instagram e Facebook, ciò che più preoccupa – ma più per l’ignoranza che per il contenuto – sono le clausole contrattuali, liberamente accettate da tutti i proprietari degli account, che vanno a limitare fortemente i diritti riconosciuti ad ogni utente sulla base della legge d’autore. Basti pensare alla licenza che consciamente – si spera – cediamo ad Instagram e Facebook, autorizzandoli a disporre dei contenuti pubblicati sui nostri account. Ma proprio a tal riguardo, non si può non sottolineare un particolare che solo con una lettura attenta delle Condizioni d’uso emerge, ovvero la genericità e l’astrattezza dei termini linguistici utilizzati, in particolare in riferimento alla licenza d’uso che riconosciamo. Questo carattere si manifesta ad esempio nell’unico limite riconosciuto alla cessione a terzi dei nostri contenuti, cioè il generico “rispetto delle impostazioni di app e privacy”, a cui rimanda un link di approfondimento, della cui natura giuridica e contrattuale si ignora (è parte del contratto?). Non solo, la licenza – si legge – si estende ai contenuti “in relazione o in connessione con il nostro Servizio”: ci si interroga dunque se un contenuto in connessione con la piattaforma si manifesti solo con la pubblicazione dello stesso su un account esistente, oppure si riferisca anche altre attività di natura diversa che non comportino la creazione di un post in senso tecnico. A questo quesito, forse, una risposta potrebbe esser fornita nella parte iniziale delle Condizioni d’uso, che recita “Creando un account Instagram o usando Instagram, l’utente accetta le presenti Condizioni”, da cui si evince che il mero utilizzo della piattaforma, anche senza la creazione di un account, comporta l’accettazione di questi vincoli e limitazioni appena delineati. Se si adottasse questa impostazione, allora l’apertura di un link a Facebook avvenuta anche per errore consente alla piattaforma di trasferire a terzi delle nostre informazioni. Ma forse l’aspetto più inquietante, che è ignoto al grande pubblico, è la pacifica ed espressa concessione alla piattaforma a cedere a terzi la licenza – appunto definita “trasferibile” – che contrattualmente si stipula con il social, consistente nella “conservazione, l’uso, la distribuzione, la modifica, l’esecuzione, la copia, la pubblica esecuzione o la visualizzazione, la traduzione e la creazione di opere derivate dei propri contenuti”. Quindi, non solum nell’atto di creazione di un account si consente ad Instagram di utilizzare i propri contenuti in maniera illimitata nel tempo (con il limite della cancellazione dell’account) e nel contenuto, sed etiam si permette anche che la piattaforma ceda tale licenza, così estesa nelle facoltà dispositive, anche a terzi. Questo è l’“assegno in bianco” che firmiamo quando utilizziamo un social network.
Da questa ultima osservazione nasce il mio più profondo auspicio a che si diffonda sempre più e sempre prima, sin dalla tenera età con cui ai giorni d’oggi ci si imbatte in un account social, la conoscenza negli utenti dei propri diritti e doveri in rete, che, aimè, non è molto approfondita. Solo con efficaci azioni divulgative – e spero che nel mio piccolo questo contributo possa avere effetto – e con l’uso consapevole degli strumenti cautelativi resi pubblici[32] è possibile poter ottenere un risultato conoscitivo sufficiente in questo ambito, chiarendo sin da subito però che la finalità, a mio parere, di questa attività non è disincentivare l’utilizzo di queste piattaforme, ma semplicemente rendere l’utente consapevole di tale uso. Non di meno, però, questo nobile obiettivo dovrebbe appartenere e muovere gli animi dei colossi multimediali proprietari dei social network, che, per l’onestà intellettuale e buona fede, dovrebbero dar avvio campagne informative in tal senso rivolte agli utenti, almeno ai minorenni.

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Note

  1. [1]

    Nella prima parte delle Condizioni d’uso di Instagram è espressamente previsto che “Le presenti Condizioni d’uso costituiscono un contratto tra l’utente e Meta Platforms Ireland Limited”.

  2. [2]

    Le Condizioni d’uso di Instagram recitano “ Non rivendichiamo la proprietà dei contenuti pubblicati dall’utente sul Servizio o tramite lo stesso e l’utente è libero di condividere i propri contenuti con chiunque, in qualsiasi momento ”.

  3. [3]

    Sempre più diffusi sono i contratti di licensing con cui il titolare di un marchio, di diritti su un’opera dell’ingegno, di diritti d’autore o di tecnologia (ovvero il know-how) concede in uso tali beni a un terzo, dietro pagamento di un corrispettivo, senza privarsi della titolarità di tali diritti.

  4. [4]

    Preme però evidenziare come le Condizioni d’uso riconoscano un generico limite del “rispetto delle impostazioni di app e privacy”.

  5. [5]

    Per sinteticità, in questa trattazione si è omessa l’analisi puntuale delle Condizioni d’uso di Facebook, che però, dal punto di vista contenutistico, sono analoghe a quelle di Instagram, in particolare in relazione ai diritti connessi alla tutela della proprietà intellettuale.

  6. [6]

    A tal riguardo nelle Condizioni d’uso di Instagram si legge “Se l’utente usa contenuti coperti da diritti di proprietà intellettuale di cui siamo titolari e resi disponibili nei nostri Servizi (ad es. immagini, progetti, video o suoni che forniamo e vengono aggiunti dall’utente ai contenuti creati o condivisi da questo), ci riserviamo tutti i diritti relativi a tali contenuti (esclusi quelli dell’utente)”. E poi continua con “L’utente può usare i nostri diritti di proprietà intellettuale e i nostri marchi o elementi simili solo secondo quanto espressamente consentito dalle nostre Linee guida sull’uso del brand o dopo aver ottenuto la nostra previa autorizzazione scritta”.

  7. [7]

    Tale intento è ancora marcatamente affermato in un link di approfondimento sulla proprietà intellettuale, ove si legge “Instagram si impegna ad aiutare persone e organizzazioni a proteggere i loro diritti di proprietà intellettuale. Le Condizioni d’uso di Instagram non consentono di pubblicare contenuti che violano i diritti di proprietà intellettuale di un’altra persona, compresi quelli relativi al diritto d’autore e al marchio registrato”. Ed ancora le Linee guida della Community riportano “Condividi solo le foto e i video acquisiti da te o che hai il diritto di condividere: come sempre, sei titolare dei contenuti che pubblichi su Instagram. Ricorda di pubblicare contenuti autentici e non elementi copiati o scaricati da Internet che non hai il diritto di pubblicare”.

  8. [8]

    Il link al modulo online per le segnalazioni di violazioni del diritto d’autore è https://help.instagram.com/contact/372592039493026

  9. [9]

    Nel link di approfondimento sul diritto d’autore contenuto nelle Condizioni d’uso si legge “Il metodo più semplice e veloce per inviare una segnalazione relativa a una violazione del diritto d’autore è tramite il nostro modulo online”.

  10. [10]

    Tale legge riguarda i contenuti segnalati e rimossi perché violano il diritto d’autore degli Stati Uniti.

  11. [11]

    Nel dettaglio l’utente che subisce la rimozione di un contenuto riceve le seguenti informazioni in riferimento all’utente segnalante: numero di segnalazione; nome del detentore dei diritti; indirizzo e-mail fornito dalla parte che ha effettuato la segnalazione; dettagli della segnalazione; istruzioni su come presentare ricorso.

  12. [12]

    Nel link di approfondimento sul diritto d’autore contenuto nelle Condizioni d’Uso si legge: Se rimuoviamo un contenuto che hai pubblicato in seguito a una segnalazione di violazione della proprietà intellettuale inviata tramite il nostro modulo online, riceverai una notifica da Instagram che potrebbe includere il nome e l’indirizzo e-mail del detentore dei diritti che ha effettuato la segnalazione e/o altri dettagli della stessa. Se non ritieni opportuna la rimozione del contenuto, puoi rispondere direttamente alla persona in questione per tentare di risolvere il problema”. Per tale ragione si specifica poco sotto che “La persona il cui contenuto è stato rimosso potrebbe contattarti usando le informazioni che hai fornito. Per tale motivo, ti consigliamo di fornire un indirizzo e-mail aziendale o professionale generico valido”.

  13. [13]

    Infatti si legge che “Se hai inviato una segnalazione di violazione della proprietà intellettuale, ma successivamente hai raggiunto un accordo con la persona che ha pubblicato il contenuto oppure se hai segnalato il contenuto per sbaglio, puoi ritirare la tua segnalazione di violazione della proprietà intellettuale. Il modo migliore per farlo è inviarci un’e-mail all’indirizzo ip@instagram.com riportando il numero della segnalazione originale”.

  14. [14]

    Nel link di approfondimento sul diritto d’autore contenuto nelle Condizioni d’uso nella rubrica “Normativa sulle violazioni ricorrenti”, si legge “Se pubblichi ripetutamente contenuti che violano i diritti di proprietà intellettuale di un’altra persona, quali diritti d’autore e marchi registrati, il tuo account potrebbe essere disabilitato oppure la tua Pagina potrebbe essere rimossa ai sensi della normativa sulle violazioni ricorrenti di Instagram. Secondo questa normativa, potrebbe essere limitata la tua capacità di pubblicare foto o video e potresti anche perdere l’accesso a determinate funzioni o funzionalità su Instagram ”.

  15. [15]

    L’art 1 l.aut. si riferisce alle “opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono  alle arti figurative”.

  16. [16]

    L’art 2 n. 7 l. aut. si riferisce espressamente alle “opere fotografiche e quelle espresse con procedimento analogo a quello della fotografia nell’elencazione in sede di specificazione dell’art 1 delle opere tutelate.

  17. [17]

    vedi Cass. sez. 1° del 23 gennaio 1969, n. 175.

  18. [18]

    vedi Cass.  sez. 1° del 5 luglio 1990, n. 7077.

  19. [19]

    vedi Cass. sez. 1° del 7 maggio 1998, n. 4606, ribadita poi anche dalla sent. del Trib. Catania del 11 Settembre 2001, R.I. 2002, 1236.

  20. [20]

    Per completezza si cita l’eccezione rispetto al co 1 introdotta sia dal co 2 del medesimo articolo – per cui “se l’opera è stata ottenuta nel corso e nell’adempimento di un contratto di impiego o di lavoro, entro i limiti dell’oggetto e delle finalità del contratto, il diritto esclusivo compete al datore di lavoro” – sia dall’art 91 l.aut. che recita “La riproduzione di fotografie nelle antologie ad uso scolastico ed in generale nelle opere scientifiche o didattiche è lecita, contro pagamento di un equo compenso, che è determinato nelle forme previste dal regolamento”.

  21. [21]

    cfr. Elena Falletti, I social network: primi orientamenti giurisprudenziali, in Il corriere giuridico, 2015, VII, 996: “L’uso di massa dei social network porta con sé una equivalente diffusione delle fotografie pubblicate attraverso i social media, indipendentemente dalla qualità dell’immagine riprodotta ovvero dalla professionalità o dilettantismo dell’autore. A questo proposito è sorta in giurisprudenza la controversia sulla liceità della pubblicazione senza appropriato consenso da parte di una testata giornalistica di rilevanza nazionale di foto condivise sul proprio profilo Facebook da parte dell’autore”. Il riferimento giurisprudenziale è alla sent del Trib. Roma, sez. speciale in materia di impresa del 1° giugno 2015, n. 12076.

  22. [22]

    L’art 8 co 1 l.aut. recita “È reputato autore dell’opera, salvo prova contraria, chi è in essa indicato come tale nelle forme d’uso, ovvero, è annunciato come tale nella recitazione, esecuzione, rappresentazione o radio-diffusione dell’opera stessa”.

  23. [23]

    L’art 8 co 2 l.aut. afferma che “Valgono come nome lo pseudonimo, il nome d’arte, la sigla o il segno convenzionale, che siano notoriamente conosciuti come equivalenti al nome vero”.

  24. [24]

    vedi paragrafo 3.1.

  25. [25]

    Continua il co 2 così: “e non sono dovuti i compensi indicati agli artt. 91 e 98 a meno che il fotografo non provi la mala fede del riproduttore”.

  26. [26]

    Nel caso di specie il Tribunale di Roma ha condannato una gioielleria convenuta per violazione del diritto d’autore avendo la stessa pubblicato sulla propria pagina Facebook una fotografia raffigurante il centro storico di Frosinone, immagine prelevata da un’altra pagina Facebook.

  27. [27]

    Il secondo periodo dell’art 102 quinquies co 2 continua con “Tali informazioni possono altresì contenere indicazioni circa i termini o le condizioni d’uso dell’opera o dei materiali, nonché qualunque numero o codice che rappresenti le informazioni stesse o altri elementi di identificazione”.

  28. [28]

    Cfr. Lisi E, Maio E, Diritto d’Autore in rete: le immagini sul web, KnowIT, 2016, 12: Tecnicamente, il cosiddetto digital watermark è costituito da una sequenza di bit inserita nel documento digitale; tale sequenza garantisce l’illiceità della riproduzione del file senza il consenso del titolare del diritto d’autore e un idoneo compenso”.

  29. [29]

    Un esempio di apposizione di digital watermarks in relazione a file fotografici consiste nella sovrapposizione di un logo o di un testo su un documento o un’immagine.

  30. [30]

    Questo tipo di watermark invisibile è largamente utilizzato per tutelare l’autenticità di film e musica per scovare le copie pirata

  31. [31]

    Si conoscono anche altre distinzioni di watermarks che vedono la distinzione tra watermarks fragili, semi-fragili e robusti, in relazione alla facilità o meno di manipolazione della filigrana elettronica. Esistono anche watermarks non ciechi o ciechi, se per verificarne la loro presenza è necessario rispettivamente il documento originario o meno.

  32. [32]

    Cfr. Lisi E, Maio E, Diritto d’Autore in rete:le immagini sul web, KnowIT, 2016, 10“Probabilmente, però, la percezione che hanno gli utenti dei propri diritti e doveri in rete non è molto elevata. La facilità di incorrere in reato può essere comunque limitata dal singolo attraverso la conoscenza e l’uso consapevole degli strumenti cautelativi resi pubblici.”

Francesco Uncini

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