Il coordinamento della politica economica europea dopo il Fiscal Compact

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1. Riflessioni sui vincoli comunitari a tutela della finanza pubblica. 2. L’evoluzione del quadro normativo comunitario dopo il patto di stabilità e crescita. 3. Il Six Pack. 4. Il Trattato sul Fiscal Compact: il nuovo coordinamento delle politiche economiche e la Governance dell’Unione Europea. 5. L’introduzione del principio del pareggio del bilancio nella Carta Costituzionale. 6. Profili critici e prospettive future.

1. Il Trattato di Maastricht ha elencato alcune regole fondamentali a tutela della finanza pubblica, attualmente contenute nella versione consolidata del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (T.F.U.E.), in seguito alle modifiche previste dal Trattato di Lisbona.

A livello comunitario, l’attuale assetto si caratterizza per la scissione tra la politica monetaria – affidata alle istituzioni comunitarie – e la politica economica, di competenza dei singoli Stati membri. Tale separazione, come è noto, presenta diversi profili critici, in quanto non consente l’adozione di un indirizzo univoco di politica economica, ma solo varie forme di coordinamento, attraverso gli strumenti della legislazione europea.

In effetti, l’azione dell’Unione in tale delicato campo di attuazione si fonda sullo “stretto coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri”, che deve essere conforme al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza.

I principi cardini in materia sono indicati dagli artt. 120 e ss., e rappresentano i parametri a tutela della finanza pubblica a livello europeo.

Va rilevato, in primis, che gli Stati membri devono contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione e nel contesto degli indirizzi di massima di cui all’articolo 121, paragrafo 2. Inoltre, gli Stati membri e l’Unione agiscono nel rispetto dei principi di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo un’efficace allocazione delle risorse, conformemente ai principi di cui all’articolo 119.

Tra i vari principi, l’art. 123 TFUE (ex art. 101 TCE) prevede il divieto di concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea o da parte delle banche centrali degli Stati membri a istituzioni, agli organi ed organismi dell’Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali1.

L’art. 124 vieta, inoltre, qualsiasi misura non basata su considerazioni prudenziali che offra alle istituzioni, agli organi o agli organismi dell’Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri un accesso privilegiato alle istituzioni finanziarie.

Il successivo art. 125 (ex articolo 103 del TCE) cristallizza il principio del “no bail out”, secondo il quale l’Unione non risponde né si fa carico degli impegni assunti dalle amministrazioni statali, dagli enti regionali, locali, o altri enti pubblici, da altri organismi di diritto pubblico o da imprese pubbliche di qualsiasi Stato membro, fatte salve le garanzie finanziarie reciproche per la realizzazione in comune di un progetto economico specifico.

Ma la norma cardine dell’intero sistema di coordinamento è l’art. 126 TFUE (ex art. 104 del TCE), in base al quale gli Stati membri hanno l’obbligo di evitare disavanzi pubblici eccessivi. A tal fine, è prevista la sorveglianza della Commissione europea sull’evoluzione della situazione di bilancio e dell’entità del debito pubblico negli Stati membri2. La conformità alla disciplina di bilancio va verificata in relazione all’eventuale superamento del valore di riferimento del rapporto tra il disavanzo pubblico, previsto o effettivo, e il prodotto interno lordo, a meno che “il rapporto non sia diminuito in modo sostanziale e continuo e abbia raggiunto un livello che si avvicina al valore di riferimento”, oppure sia solo “eccezionale e temporaneo e comunque vicino al valore di riferimento”. Anche il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo deve essere contenuto entro il valore di riferimento “a meno che detto rapporto non si stia riducendo in misura sufficiente e non si avvicini al valore di riferimento con ritmo adeguato”.

I valori di riferimento sono previsti dal protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi (PDE) annesso allo stesso trattato e consistono rispettivamente nel valore del 3 % per il rapporto fra il disavanzo pubblico, previsto o effettivo, e PIL; e del 60 % per il rapporto fra il debito pubblico e il PIL.

Tali parametri sono calcolati per l’intero “settore pubblico3”, quale definito dal Sistema europeo dei conti nazionali e regionali nella Comunità (comunemente conosciuto come SEC95). Inoltre, per “debito” si intende il debito lordo al valore nominale in essere alla fine dell’esercizio e consolidato nei settori della pubblica amministrazione. Il protocollo prevede infine che, onde garantire l’efficacia della procedura per i disavanzi eccessivi, i Governi degli Stati membri sono responsabili dei disavanzi della pubblica amministrazione. Per tale motivo, gli Stati devono assicurare che le procedure nazionali in materia di bilancio consentano il rispetto degli obblighi derivanti dal Trattato, fornendo tempestive informazioni alla Commissione in merito al disavanzo, previsto ed effettivo, nonché al livello del debito.

Qualora si determini per un Paese l’inosservanza dei criteri stabiliti dal protocollo, la Commissione deve trasmettere un parere al Consiglio che in ultima istanza si esprime, a maggioranza qualificata, sulla esistenza di un disavanzo. L’accertamento positivo obbliga il Paese membro a intraprendere un percorso di rientro che gli consenta di far proprie le raccomandazioni della Commissione e del Consiglio e di tornare entro i limiti stabiliti dai succitati parametri.

2. In tale cornice normativa, assume particolare rilevanza il Patto di Stabilità e Crescita (PSC), il cui fine, sin dalla sua prima formulazione, era quello di assicurare la disciplina di bilancio degli Stati membri anche dopo l’introduzione dell’euro. Formalmente, il patto è costituito da una risoluzione del Consiglio europeo4 e da due regolamenti del Consiglio5 che ne precisano gli aspetti tecnici (controllo della situazione di bilancio e del coordinamento delle politiche economiche; applicazione della procedura d’intervento in caso di deficit eccessivi). Tali regolamenti sono stati parzialmente modificati nel 2005 nonché, recentemente, dal cosiddetto Six Pack6, approvato nel 2011.

Quest’ultimo prevede, in particolare, l’obbligo per gli Stati membri di mantenere una posizione finanziaria vicina all’equilibrio di bilancio, rappresentata al Consiglio e alla Commissione mediante la formulazione di un programma di stabilità su base annuale. Il Patto di Stabilità e Crescita e successivamente il Six Pack hanno implementato la PDE di cui all’articolo 104 del Trattato, soprattutto per quanto attiene la fase di sorveglianza, che consta di tre fasi: avvertimento, raccomandazione e sanzione.

La sorveglianza sulle politiche di bilancio degli stati membri viene attuata attraverso una procedura composta da tre fasi fondamentali. Innanzitutto, se il deficit di un Paese membro si avvicina al tetto del 3% del PIL, la Commissione europea propone (ed il Consiglio dei Ministri europei in sede di Ecofin approva) un avvertimento preventivo, noto nel gergo comunitario come “early warning”. In caso di superamento del tetto, all’avvertimento segue una raccomandazione vera e propria. Qualora a seguito di tale raccomandazione lo Stato interessato non adotti sufficienti misure correttive della propria politica di bilancio, esso viene sottoposto ad una sanzione.

Non esiste, tuttavia, nessun automatismo per quanto riguarda le sanzioni, le quali dipendono da una valutazione delle circostanze da parte del Consiglio. Di fatto, nessuno tra gli Stati membri ha visto tramutarsi gli avvertimenti in sanzioni pecuniarie dopo aver sforato i criteri stabiliti dal PDE.

Nel corso degli anni, ciascuno dei Paesi membri ha implementato internamente il Patto di Stabilità e Crescita seguendo criteri e regole proprie, in accordo con la normativa interna inerente la gestione delle relazioni fiscali fra i vari livelli di governo. Dal 1999, l’Italia ha formulato il proprio Patto di stabilità interno esprimendo gli obiettivi programmatici per gli enti territoriali ed i corrispondenti risultati.

Il Patto di Stabilità Interno (PSI) nasce dall’esigenza di garantire una corretta disciplina di bilancio in seguito all’introduzione dell’euro e in conseguenza dei vincoli e degli indirizzi forniti a riguardo nell’ambito del trattato istitutivo dell’Unione Europea e del successivo Patto di stabilità e crescita. L’obiettivo primario delle regole fiscali contenute nel Patto di stabilità interno è il controllo dell’indebitamento netto degli enti territoriali.

La definizione delle regole del patto avviene durante la predisposizione ed approvazione della manovra di finanza pubblica. In effetti, in tale momento si analizzano le previsioni sull’andamento della finanza pubblica e si decide l’entità e la tipologia delle misure correttive da porre in atto per l’anno successivo e si rimodulano i criteri previsti dal Patto di Stabilità interno.

3. In tale prospettiva, il Consiglio europeo nel 2011 ha varato un nuovo sistema di governance economica europea imperniato su sei pilastri principali: 1) un meccanismo di discussione e coordinamento ex ante delle politiche economiche e di bilancio nazionali, realizzato mediante l’adozione a livello nazionale di un ciclo di procedure e strumenti di programmazione previsto e disciplinato a livello comunitario e concentrato nei primi sei mesi dell’anno (da qui la denominazione di “Semestre Europeo”), che vede una più stringente interazione tra Istituzioni comunitarie e nazionali e che è destinato a integrarsi con i cicli di programmazione e di bilancio nazionali, al fine di consentire di valutare contemporaneamente le politiche strutturali e le misure di bilancio in un quadro di complessiva coerenza e sostenibilità, quale presupposto per una più efficace vigilanza e integrazione delle politiche economiche e di bilancio nazionali nell’Eurozona e nella UE; 2) una più stringente applicazione del Patto di stabilità e Crescita, realizzata in virtù del rafforzamento sia del suo braccio preventivo sia di quello correttivo, attraverso l’adozione di tre appositi regolamenti; 3) l’introduzione, mediante due appositi regolamenti, di una sorveglianza sugli squilibri macroeconomici degli Stati membri che include meccanismi di monitoraggio, allerta, correzione e sanzione; 4) l’introduzione di requisiti comuni per i quadri nazionali di bilancio, mediante l’adozione di una apposita direttiva; 5) l’istituzione di un Meccanismo permanente per la stabilità finanziaria della Zona Euro, attraverso una modifica dell’articolo 136 del Trattato sul funzionamento della UE, adottata dal Consiglio europeo del 24-25 marzo 2011 e da recepirsi ad opera degli ordinamenti nazionali; 6) il Patto “Europlus”, adottato con una dichiarazione dei Capi di Stato e di Governo dell’11 marzo 2011, che impegna gli Stati aderenti (Eurozona e alcuni altri Stati) a porre in essere ulteriori interventi in materia di crescita, occupazione, sostenibilità delle finanze pubbliche, competitività e coordinamento delle politiche fiscale7.

Tali pilastri hanno trovato attuazione nel blocco delle sei proposte sulla governance economica europea, presentate dalla Commissione europea il 29 settembre 2011 ed approvate nella riunione del Consiglio europeo del successivo 8-9 dicembre, tradotte in corrispondenti cinque regolamenti e una direttiva (c.d. “Six Pack”). Inoltre, il 23 novembre 2011 la Commissione europea ha presentato due ulteriori proposte di regolamento (“Two Pack”) volte al rafforzamento de: sorveglianza economica e di bilancio degli Stati membri che affrontano o sono minacciati da serie difficoltà per la propria stabilità finanziaria; monitoraggio e la valutazione dei progetti di bilancio per assicurare la correzione dei disavanzi eccessivi degli Stati membri dell’eurozona8.

4. La necessità di mantenere finanze pubbliche sane e sostenibili e di evitare disavanzi pubblici eccessivi è diventata, con il tempo, regola di fondamentale importanza al fine di salvaguardare la stabilità di tutta la zona euro. In tale contesto, ha visto luce il “Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla Governance nell’Unione economica e monetaria”9, noto anche come Fiscal Compact, firmato a Bruxelles il 2 marzo 2012, che prevede, tra l’altro, l’introduzione della regola del pareggio di bilancio e un meccanismo automatico per l’adozione di misure correttive10.

Nelle premesse del Trattato viene sottolineata con forza la necessità che gli Stati membri assicurino finanze pubbliche sane e sostenibili e che evitino disavanzi pubblici eccessivi al fine di salvaguardare la stabilità di tutta la zona euro.

In tal modo, gli Stati aderenti hanno assunto l’impegno di rafforzare il pilastro economico dell’unione economica e monetaria, adottando una serie di regole intese a rinsaldare la disciplina di bilancio attraverso un “patto di bilancio”, a potenziare il coordinamento delle loro politiche economiche e a migliorare la governance della zona euro, sostenendo in tal modo il conseguimento di rilevanti obiettivi in materia di crescita sostenibile, occupazione, competitività e coesione sociale.

L’art. 3 disciplina il cd. patto di bilancio, secondo il quale la posizione di bilancio della pubblica amministrazione degli Stati aderenti deve essere in pareggio o in avanzo. Tale regola si considera rispettata se il saldo strutturale annuo della pubblica amministrazione è pari all’obiettivo di medio termine specifico per il paese, quale definito nel patto di stabilità e crescita rivisto, con il limite inferiore di un disavanzo strutturale dello 0,5% del prodotto interno lordo ai prezzi di mercato. Le parti contraenti devono, inoltre, assicurare la rapida convergenza verso il loro rispettivo obiettivo di medio termine. Il rispetto di tale obiettivo deve essere valutato globalmente, facendo riferimento al saldo strutturale e analizzando la spesa al netto delle misure discrezionali in materia di entrate, in linea con il patto di stabilità e crescita rivisto. Gli Stati aderenti possono deviare temporaneamente dal loro rispettivo obiettivo di medio termine o dal percorso di avvicinamento soltanto in presenza di circostanze eccezionali, ai sensi del paragrafo 3, lettera “b”.

Qualora il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato sia significativamente inferiore al 60% e i rischi sul piano della sostenibilità a lungo termine siano bassi, il limite per l’obiettivo di medio termine può arrivare fino a un disavanzo strutturale massimo dell’1% del prodotto interno lordo ai prezzi di mercato. Peraltro, qualora si constatino deviazioni significative dall’obiettivo di medio termine o dal percorso di avvicinamento a tale obiettivo, viene attivato automaticamente un meccanismo di correzione, che include l’obbligo della parte contraente interessata di attuare misure per correggere le deviazioni in un periodo di tempo definito11.

L’art. 4 del trattato disciplina il criterio del debito, secondo il quale, quando il rapporto tra il debito e il prodotto interno lordo eccede il valore del 60% fissato dal protocollo sulla procedura per disavanzi eccessivi, le parti contraenti lo devono ridurre ad un tasso medio di un ventesimo per anno12.

A tal fine, la riduzione del debito deve avvenire nel rispetto dell’intero articolo 2 del regolamento (CE) n. 1467/97, come modificato nel 2011, e non nei confronti del solo paragrafo 1-bis dell’art. 2, come prevedeva la prima versione della norma. Tale paragrafo prevede alcune regole che possono mitigare la rigidità del criterio, come la possibilità di valutare la riduzione del ventesimo come media nell’ambito di un triennio, oppure di valutare l’influenza del ciclo sull’andamento del debito. Con il rinvio integrale all’articolo 2, nella valutazione sul percorso di riduzione dell’eccedenza di debito dovranno essere considerati tutti i fattori significativi indicati nei restanti paragrafi della norma13.

È evidente, quindi, che il riferimento del Fiscal Compact all’intero articolo 2 consente all’Italia di far valutare molti elementi per i quali si ha una relativa posizione di forza o per i quali sono stati realizzati significativi progressi, nonostante il consistente debito pubblico. Ed infatti sono state queste valutazioni a spingere la delegazione italiana ad insistere, nel negoziato, affinché il richiamo all’articolo 2 del citato regolamento fosse integrale14.

L’art. 4 prevede, inoltre, che l’esistenza di un disavanzo eccessivo dovuto all’inosservanza del criterio del debito sarà decisa in conformità della procedura di cui all’articolo 126 del TFUE secondo il quale «il Consiglio, su proposta della Commissione e considerate le osservazioni che lo Stato membro interessato ritenga di formulare, decide, dopo una valutazione globale, se esiste un disavanzo eccessivo»15.

Ai sensi dell’art. 8 del Trattato, la Corte di giustizia dell’Unione europea può sindacare il rispetto da parte dei Contraenti dell’inserimento della regola del bilancio in pareggio all’interno di disposizioni legislative interne di carattere vincolante e aventi carattere permanente. Tali disposizioni dovrebbero avere “preferibilmente” natura costituzionale e avere efficacia entro un anno dall’entrata in vigore del trattato (articolo 3, paragrafo 2). Si evidenzia che il riferimento operato dall’articolo 8 all’intero articolo 3, paragrafo 2, dovrebbe coprire anche l’inserimento a livello nazionale del meccanismo di correzione automatico che dovrà scattare nel caso di significative deviazioni dall’obiettivo di medio termine, sulla base di principi comuni elaborati dalla Commissione europea.

Gli articoli da 9 a 11 compongono il titolo IV del trattato, sul “coordinamento delle politiche economiche e convergenza” e sanciscono l’impegno delle parti contraenti ad adoperarsi congiuntamente “per una politica economica che favorisca il buon funzionamento dell’unione economica e monetaria e la crescita economica mediante una convergenza e una competitività rafforzate”. In vista del raggiungimento di tale importante obiettivo, gli Stati firmatari devono intraprendere le azioni e adottare le misure necessarie in tutti i settori essenziali al buon funzionamento della zona euro, perseguendo gli obiettivi di stimolare la competitività, promuovere l’occupazione, contribuire ulteriormente alla sostenibilità delle finanze pubbliche e rafforzare la stabilità finanziaria. Inoltre, ai fini di una valutazione comparativa delle migliori prassi e adoperandosi per una politica economica più strettamente coordinata, gli Stati aderenti si impegnano a discutere ex ante in modo da coordinare le grandi riforme di politica economica che intendono intraprendere. A tale coordinamento devono partecipare, ai sensi dell’art. 11, le istituzioni dell’Unione europea.

Attualmente l’Italia ed altri Paesi dell’eurozona che hanno ratificato il Trattato hanno previsto contemporaneamente l’inserimento dell’obbligo del “pareggio di bilancio” nella propria Costituzione.

5. In Italia, nel dichiarato intento di rafforzare l’impegno a risanare le finanze pubbliche, in attuazione del vincoli posti dal Patto Europlus16 e dal Six Pack nel 2011, successivamente ribaditi nel testo del Trattato sul Fiscal Compact, ha visto luce la legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 117, che ha innovato in maniera significativa gli articoli 81, 97, 117 e 119 della Carta Costituzionale.

La ratio della novella costituzionale è quella di riportare verso livelli di maggiore sostenibilità la situazione della finanza pubblica italiana, che ha risentito nel tempo della continua espansione della spesa pubblica, dovuta anche all’affermazione di correnti di pensiero politico-economico che assegnano all’intervento di spesa dell’apparato pubblico una funzione preminente nell’assicurare la stabilità e lo sviluppo dell’economia nel suo complesso18.

Da una prima lettura delle nuove norme, si evince che il legislatore costituzionale ha preferito l’espressione “equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio” al pareggio. Tale espressione, al contrario di quanto sostenuto da un’autorevole dottrina, sembra avere una valenza molto più incisiva del “pareggio di bilancio”, in quanto l’equilibrio impone la valutazione complessiva di tutte le entrate e spese, nonché dei risultati di bilancio, anche con riferimento agli esercizi futuri.

E tale equilibrio non riguarda soltanto il bilancio statale, ma va esteso a tutte le pubbliche amministrazioni che, ai sensi del novellato art. 97, devono assicurare l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea19.

L’art. 81 consente, inoltre, il ricorso all’indebitamento al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali.

Il pareggio di bilancio è stato ulteriormente rafforzato dalla legge 24 dicembre 2012, n. 243, recante disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione, che ha previsto, tra l’altro, la creazione di un Organismo indipendente per l’analisi e la verifica degli andamenti di finanza pubblica e per la valutazione dell’osservanza delle regole di bilancio.

Alcuni commentatori hanno evidenziato che i nuovi vincoli costituzionali potrebbero paradossalmente rivelarsi inadeguati al raggiungimento dello scopo perseguito. In particolare, il vincolo di bilancio in pareggio impedirebbe il naturale aggiustamento ciclico del bilancio pubblico, in quanto i deficit di bilancio, fisiologici nei periodi di recessioni, dovrebbero essere compensati nei periodi di crescita sostenuta.

In effetti, durante le fasi avverse del ciclo, energiche manovre di correzione dei conti pubblici possono avere effetti recessivi sull’economia, ai quali si accompagnano due ordini di conseguenze negative: il primo consiste nella correlativa riduzione del gettito delle imposte sensibili all’andamento del reddito ed il secondo riguarda la maggiore necessità di interventi a sostegno delle famiglia e dell’impresa. In sostanza, se le manovre producono sensibili effetti negativi sull’economia, è possibile che perdano di efficacia sino al punto di non produrre affatto benefici sul saldo. Va anche tenuto in considerazione che tali effetti sono sensibili alla composizione della manovra e che le riduzioni di spesa, specie se attuate in un contesto di riforme strutturali, hanno effetti decisamente meno recessivi20.

A prescindere da ogni considerazione attinente alla teoria economica in merito alla dubbia opportunità di intensificare i vincoli di bilancio in periodi di recessione21, risulta del tutto evidente l’impossibilità di separare, se non ontologicamente, le dinamiche di bilancio da quelle dell’economia reale. Infatti, l’obbligo di pareggio di bilancio comporterebbe inconfutabilmente l’effetto di frenare una politica economica espansiva, senza considerare gli eventuali effetti dell’economia reale sul bilancio stesso, indipendenti da specifiche scelte di “policy”.

Infine, rimane tuttora aperto il problema relativo alla valutazione delle correzioni ammissibili, in quanto la norma non elenca espressamente le circostanze che possono consentire la deroga al principio di equilibrio di bilancio, creando il rischio di applicazioni poco rigorose.

Parte della dottrina ha avanzato la proposta di escludere dal bilancio in pareggio le spese per investimenti pubblici. Tuttavia, tale soluzione potrebbe rivelarsi un modo per eludere, di fatto, i vincoli di bilancio, inducendo alla possibile riclassificazione come investimenti di spese che, in realtà, sono di natura corrente, oltre a non prendere in considerazione la possibile esistenza di interventi prioritari rispetto al potenziamento delle infrastrutture.

6. In relazione all’Italia – il cui debito rispetto al Pil ha toccato lo scorso anno il 126%, nonostante i rilevanti tagli di spesa previsti dalle ultime manovre – diverse sono le opinioni in dottrina sui possibili effetti dei nuovi vincoli costituzionali previsti in attuazione del Fiscal Compact.

Da una parte, le regole e parametri posti dalla UE a tutela della finanza pubblica hanno l’indubbio pregio di aver conferito ai conti pubblici maggiore serietà e trasparenza, anche in virtù del processo di armonizzazione dei sistemi contabili e dell’adozione delle nozioni e classificazioni uniformi previste dal sistema europeo dei conti, che hanno consentito un più efficace controllo e monitoraggio sui conti pubblici.

Inoltre, non si può negare la centrale importanza che il Trattato sul Fiscal Compact riveste all’interno del più ampio percorso verso una più intensa integrazione che le Istituzioni comunitarie e gli Stati membri stanno perseguendo da tempo, con un ritmo che è stato da ultimo reso particolarmente celere dall’improcrastinabile necessità di far fronte alla grave crisi finanziaria, nonché economica, che ha coinvolto tutta l’Eurozona, sottoponendo la tenuta dell’Unione economica e monetaria a una serie di “stress-test” ravvicinati di intensità in precedenza non conosciuta e, probabilmente, nemmeno prevista e stimata nella sua interezza22.

Tuttavia, è di tutta evidenza che le vigenti regole di politica economica comunitaria non siano più compatibili con gli effetti provocati dal mutamento del quadro politico-economico globale, che hanno messo in luce le debolezze di un sistema – unico nella storia – che prevede una netta scissione tra i centri decisionali in tema di politica economica e monetaria.

In effetti, la riduzione della spesa pubblica, imposta dall’esigenza di rispettare i vincoli europei, ha portato alla riduzione del denominatore (Pil), per la quota delle Amministrazioni pubbliche ad esso riconducibile, aggravando la crisi produttiva e quindi anche le entrate fiscali dello Stato, in un circolo vizioso negativo potenzialmente senza soluzione23.

Una soluzione efficace potrebbe pervenire soltanto dalla revisione di alcuni vincoli, al fine di consentire ai Paesi dell’eurozona di adottare politiche anticicliche.

Tali profili critici sono stati più volte messi in evidenza da illustri economisti ed osservatori internazionali24. In Italia, anche la Corte dei Conti ha tempestivamente e ripetutamente segnalato, nelle proprie analisi, la necessità di puntare in ogni modo sui fattori in grado di favorire il recupero di livelli di crescita economica più elevati.

In effetti, l’urgenza del riequilibrio dei conti pubblici secondo un percorso concordato in sede europea, ulteriormente rafforzato dalla costituzionalizzazione dell’obbligo dell’equilibrio dei bilanci, ha posto in chiara evidenza le difficoltà di gestione del bilancio pubblico in condizioni di duratura stagnazione del prodotto interno lordo. L’asimmetria temporale tra gli effetti restrittivi prodotti dalle ripetute manovre di riduzione del disavanzo e l’impatto positivo sulla crescita degli interventi di sostegno dell’economia e delle riforme, genera un equilibrio fragile, con il rischio di una rincorsa incompiuta degli obiettivi di finanza pubblica25.

Inoltre, i limitati margini di riqualificazione della spesa pubblica in un breve periodo di tempo hanno reso inevitabile il ricorso ad aumenti del prelievo tributario, accrescendo una pressione fiscale già elevata e favorendo le condizioni per ulteriori effetti recessivi. In tale contesto, le misure di contenimento della spesa pubblica non hanno determinato, in presenza di un profilo di flessione del prodotto interno lordo, la riduzione dell’incidenza delle spese totali sul Pil, che resta al di sopra dei livelli pre-crisi.

L’impostazione deve, dunque, essere ripensata in funzione di un obiettivo di più lungo periodo, che non può non investire la questione della misura complessiva dell’intervento pubblico nell’economia.

In ogni caso, l’adozione di condizioni atte ad assicurare all’UE una situazione di stabilità finanziaria di lungo periodo passa necessariamente attraverso la sostenibilità di lungo termine dell’equilibrio delle finanze pubbliche e del debito sovrano.

Resta, tuttavia, da verificare se i benefici, conseguenti al più incisivo coordinamento delle politiche economiche, saranno idonei a compensare gli effetti negativi derivanti dall’attuazione di politiche economiche pro-cicliche in fasi recessive, oppure se i nuovi vincoli – eccessivamente stringenti – si riveleranno paradossalmente come un potenziale ostacolo alla libera concorrenza.

1 Ai sensi dell’art. 123 TFUE, il divieto non si applica agli enti creditizi di proprietà pubblica che, nel contesto dell’offerta di liquidità da parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali nazionali e dalla Banca centrale europea lo stesso trattamento degli enti creditizi privati.

2 Come previsto dall’Allegato 13.

3 Per una disamina approfondita del settore delle pubbliche amministrazioni (s.13) v. Anzalone M., Florio G., Ricchi O., “Il processo di riforma della finanza pubblica”, in: Primo Rapporto sulla Finanza Pubblica, a cura della Fondazione Rosselli, Maggioli, Roma, 2012.

4 Adottata ad Amsterdam il 17 giugno 1997.

5 Regolamenti (CE) nn. 1466/97 e 1467/97.

6 Regolamenti (CE) nn. 1173/11, 1174/11, 1175/11, 1176/11, 1177/11 del Consiglio e direttiva n. 2011/85/UE.

7 Cfr. Morgante, D., “Note in Tema di Fiscal Compact”, in: Federalismi, 2012.

8 Sul punto:, Servizio Studi della Camera dei Deputati, Le proposte del 23 novembre in materia di governance economica – gli stability bonds, www.camera.it; L. LUNGHI, Governance europea 2011-2012, www.contabilitapubblica.it.;

9 Al riguardo, il Parlamento europeo, il 18 gennaio 2012, nell’approvare una risoluzione fortemente critica nei confronti del testo sino allora disponibile, ha espresso perplessità su un siffatto accordo intergovernativo, ritenendo più efficace il quadro del diritto dell’Unione e il “metodo comunitario” per realizzare gli stessi obiettivi di disciplina di bilancio e per realizzare una vera unione economica e fiscale. In tale occasione il Parlamento ha richiesto una maggiore valorizzazione del proprio ruolo e del ruolo dei parlamenti nazionali in tutti gli aspetti del coordinamento e della governance in ambito economico. Il Parlamento ha, inoltre, richiesto l’impegno a integrare l’accordo nei trattati europei al più tardi entro cinque anni, ha reiterato i propri appelli per un’Unione improntata non solo alla stabilità, ma anche alla crescita sostenibile, attraverso misure destinate alla convergenza e competitività, project bonds, un’imposta sulle transazioni finanziarie, ha espresso formalmente la riserva di avvalersi di tutti gli strumenti politici e giuridici per difendere il diritto dell’Unione qualora l’accordo definitivo dovesse prevedere elementi incompatibili con il diritto dell’Unione.

10 Il Trattato è composto da un preambolo e da 16 articoli, suddivisi in un titolo I, relativo all’oggetto e all’ambito di applicazione, in un titolo II, relativo alla coerenza e al rapporto con il diritto dell’Unione, in un titolo III, relativo proprio al fiscal compact o patto di bilancio, in un titolo IV, relativo al coordinamento delle politiche economiche e convergenza, in un titolo V, relativo alla governance della zona euro, e in un titolo VI, relativo alle disposizioni generali e finali. Il trattato non è stato sottoscritto dal Regno Unito, come emerso nel Consiglio europeo del 9 dicembre 2011, dalla Repubblica Ceca, che ha negato il suo consenso dal momento dell’approvazione del Trattato, il 30 gennaio 2012, in occasione del Consiglio europeo informale a Bruxelles.

11 Con riferimento all’aspetto temporale, il Trattato prevede che tali regole producono effetti nel diritto nazionale delle parti contraenti entro un anno dopo l’entrata in vigore tramite disposizioni vincolanti e di natura permanente – preferibilmente costituzionale – o il cui rispetto fedele è in altro modo rigorosamente garantito lungo tutto il processo nazionale di bilancio. A tal fine, le parti contraenti devono istituire a livello nazionale il meccanismo di correzione sulla base di principi comuni proposti dalla Commissione europea, riguardanti in particolare la natura, la portata e il quadro temporale dell’azione correttiva da intraprendere, anche in presenza di circostanze eccezionali, e il ruolo e l’indipendenza delle istituzioni responsabili sul piano nazionale per il controllo dell’osservanza di tali regole. Tale meccanismo di correzione deve rispettare appieno le prerogative dei parlamenti nazionali.

12 Cfr. art. 2 del regolamento (CE) n. 1467/97, del 7 luglio 1997, modificato dal regolamento (UE) n. 1177/2011 .

13 Ad esempio: la posizione in termini di risparmi netti del settore privato (paragrafo 3, lett. a); il livello del saldo primario (paragrafo 3, lett. b); l’attuazione di politiche nel contesto di una strategia di crescita comune dell’Unione (paragrafo 3, lett. b); l’attuazione di riforme delle pensioni che promuovano la sostenibilità a lungo termine senza aumentare i rischi per la posizione di bilancio a medio termine (paragrafo 5).

14 Cfr. Dossier n. 94/DN – 16 aprile 2012 “Il trattato sul Fiscal Compact” elaborato dal Senato della Repubblica (Servizio affari internazionali – Ufficio per i rapporti con le istituzioni dell’Unione europea), a cura di David Capuano.

15 Cfr. par. 6.

16 Il “Patto Europlus” ha evidenziato che “Participating Member States commit to translating EU fiscal rules as set out in the Stability and Growth Pact into national legislation. Member States will retain the choice of the specific national legal vehicle to be used, but will make sure that it has a sufficiently strong binding and durable nature (e.g. constitution or framework law)”.

17 Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 23 aprile 2012, n. 95.

18 In tal senso: G. Alfano, L’art. 81 della Costituzione e la “legge finanziaria” Sistematica disapplicazione della norma da parte dei suoi naturali destinatari, in Forum di Quaderni costituzionali, 2008.

19 Le modifiche si applicano a decorrere dall’esercizio finanziario 2014, ai sensi dell’art. 6 della legge costituzionale n. 1/2012.

20 Cfr. Petronio Emanuele, “Dalla crisi finanziaria al pareggio di bilancio: l’efficacia del nuovo sistema delle regole di finanza pubblica”, pubbl. in: Rivista Amministrazione contabilità dello Stato e degli enti pubblici, 2012.

21 Il principio del pareggio è stato teorizzato da James Buchanam nella seconda metà del secolo XX, al fine di frenare le tendenze esplosive della spesa pubblica e la crescente ingerenza dello Stato nell’economia. Successivamente, la teoria di Laffer ha dimostrato gli effetti perversi di siffatto vincolo.

22 In tal senso: Morgante, D., cit.

23 Considerando un Pil attualmente intorno ai 1.550 miliardi, e un debito che ha superato la soglia dei 2.000, potrebbe rivelarsi necessaria una manovra annuale di circa 40-50 miliardi tra nuovi tagli e nuove entrate.

24 Il rischio di effetti negativi del pareggio di bilancio sulla crescita economica è stato, tra l’altro, rappresentato da alcuni illustri economisti americani in una lettera al Presidente USA (tra gli altri, K. Arrow, R. Solow, C. Schultze, E. Maskin) nella quale veniva evidenziato che un emendamento sul pareggio di bilancio avrebbe effetti perversi in caso di recessione.

25 Come si evince dalla lettura della relazione del Presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2013, www.corteconti.it.

Fernanda Ballardin

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