Il contratto atipico di mantenimento

Redazione 03/10/19
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Il presente contributo è tratto da “La rendita vitalizia” di Stefania Memoli.

Nozione di contratto atipico di mantenimento

Dopo avere trattato del contratto tipico di rendita vitalizia, ci accingiamo ad affrontare la tematica di quegli accordi rivolti a garantire a persone, per lo più di età avanzata, l’aiuto e talora il sostentamento che necessitano a seconda delle circostanze e che, non ricevendolo dallo Stato, né spontaneamente dai più stretti congiunti, si procurano impegnando i cespiti di cui sono titolari, in tal modo ovviando alla scarsità di risorse finanziarie e/o alla loro insufficienza a remunerare i singoli servizi. Essi sono riconducibili ad una funzione in senso ampio di assistenza privata e sono frutto di una più marcata consapevolezza della dignità della persona umana oltre che chiara esemplificazione di come lo strumento contrattuale venga adattato alla soddisfazione di esigenze sempre nuove[1].

Il cosiddetto contratto di mantenimento è il contratto con il quale una parte (detta vitaliziante) si obbliga a prestare ogni assistenza morale e materiale nei confronti di un’altra parte (il vitaliziato) per tutta la vita di costui, dietro trasferimento di un bene, mobile o immobile, o dietro la corresponsione di un capitale[2].

La Corte di Cassazione in passato aveva ripetutamente sostenuto che il vitalizio alimentare o contratto di mantenimento, identificando una sottospecie del vitalizio oneroso, rientrasse nell’ambito dello schema negoziale di quest’ultimo, ed aveva motivato la suddetta assimilazione con la considerazione che, né la diversità delle prestazioni del vitaliziante (prestazioni in natura anziché di una somma di denaro o di una determinata quantità di cose fungibili), né l’accentuazione del carattere aleatorio (variabilità delle prestazioni a seconda dei bisogni del beneficiario), bastassero a diversificare le due tipologie negoziali, realizzandosi in ambedue le ipotesi, la finalità pratica del vitalizio tipico, ossia quella di provvedere al fabbisogno del vitaliziato[3].

Detto orientamento, avallato da parte della dottrina[4], è stato superato con la sentenza 28 luglio 1975, n. 2924, con la quale la S.C. ha affermato che “il contratto con il quale le parti attuano la cessione di un immobile in corrispettivo di prestazioni alimentari e assistenziali, presenta bensì delle affinità con quello di rendita vitalizia previsto dall’art. 1872 e segg. c.c., ma anche delle peculiarità che non consentono la identificazione con tale figura negoziale” e pertanto esso “è qualificabile come contratto innominato ed assoggettabile perciò alla disciplina del rapporto tipico affine solo in quanto con esso compatibile”.

Dibattito giurisprudenziale: contratto atipico o contratto di rendita vitalizia?

Non sono mancate tuttavia le occasioni in cui la Corte di Cassazione è tornata su posizioni tradizionali, riconducendo i contratti in questione direttamente allo schema della rendita vitalizia, ritenendoli “una sottospecie del vitalizio oneroso[5]” o qualificandoli come una “forma particolare” della stessa[6].

Il contrasto giurisprudenziale è stato successivamente risolto dalle Sezioni Unite della S.C. con la sentenza 18 agosto 1990, n. 8432, che ha sancito definitivamente l’atipicità del contratto di mantenimento o vitalizio alimentare fondandola sulla particolarità dell’alea e delle prestazioni del vitaliziante – nella specie costituite da servizio di assistenza in relazione alle condizioni sociali del vitaliziato – nonché sulla “diversità dell’elemento della causa negoziale” rispetto alla rendita vitalizia, posto che “l’intento delle parti mira allo scambio di un immobile o di un capitale con il mantenimento del vitaliziato”.

Oggi è pressoché pacifico che tale fattispecie contrattuale sia riconducibile ad uno schema atipico rimesso all’autonomia privata ex art. 1322 c.c., in quanto tale non espressamente previsto dal legislatore ma egualmente soggetto alle disposizioni generali del contratto e sottoposto ad un giudizio di meritevolezza dell’interesse perseguito dalle parti, senza escludere, per gli elementi di affinità rispetto alla rendita vitalizia tipica, la possibilità di una applicazione analogica della disciplina di quest’ultima[7].

In particolare, si è osservato, che l’atipicità di siffatti accordi risiede nel fatto che essi non divergono per aspetti marginali dalla rendita vitalizia tipica, ma per aspetti essenziali, pur rispondendo alle medesime esigenze di detto contratto tipico[8].

Tali accordi atipici vengono comunemente denominati vitalizi impropri, nell’ambito dei quali la dottrina suole distinguere i contratti di vitalizio alimentare, diretti al soddisfacimento dei bisogni primari del beneficiario, dai cosiddetti contratti di mantenimento, che hanno riguardo alle esigenze di vita in senso ampio, e dai cosiddetti contratti di assistenza morale e materiale, nei quali servizi di varia natura possono combinarsi tra loro[9]. Si tratta di classificazioni fondate sulla tipologia prevalente delle prestazioni dedotte nel regolamento contrattuale. Tuttavia, la quasi completa omogeneità dei caratteri ha generato l’uso promiscuo della terminologia con riferimento allo stesso accordo.

Infatti, non è possibile tracciare una linea di confine netta tra le varie tipologie di vitalizi atipici. La casistica è ampia: si va dai contratti che prevedono generici riferimenti ad una assistenza materiale e morale, a quelli che contengono una elencazione di prestazioni avente efficacia meramente esemplificativa; tale variabilità di contenuti non incide sulla disciplina applicabile, che rimane la medesima, ma impone un attento esame delle espressioni utilizzate dai contraenti in vista di una più precisa determinazione delle attività di assistenza che essi hanno voluto dedurre nel rapporto[10], principalmente al fine di verificare l’esatto adempimento del vitaliziante; in assenza di indicazioni specifiche da parte dei contraenti, la giurisprudenza di legittimità si è riferita a quei servizi e comportamenti che, secondo una interpretazione di buona fede ex art. 1366 c.c., devono intendersi rientrarsi in contratti di questo tipo[11].

La frequente adozione di tali accordi e la loro crescente diffusione e riconoscibilità nella esperienza giuridica consente di affermarne la tipicità sociale[12].

Quanto alla disciplina applicabile, si ritiene che essa vada ricostruita applicando le disposizioni della rendita vitalizia compatibili con il concreto assetto di interessi che la fattispecie presenta; poi, relativamente agli aspetti che dette norme non sono idonee a regolare, si dovrà fare ricorso alle norme generali in materia contrattuale[13].

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Il presente contributo è tratto da “La rendita vitalizia” di Stefania Memoli.

La rendita vitalizia

La presente opera offre al lettore un importante inquadramento della generale disciplina codicistica della rendita vitalizia, seguito da una puntuale disamina delle soluzioni della giurisprudenza, sia con riferimento al momento della costituzione del vincolo sia con riguardo alla gestione del rapporto e delle sopravvenienze.L’istituto in esame è di enorme importanza, considerate le numerose lacune del sistema assistenziale nazionale, prestandosi infatti a tutelare gli interessi di soggetti che abbisognano di forme di mantenimento e che trovano nel sistema uno strumento modellabile alle proprie esigenze specifiche.Il testo aiuta quindi l’operatore a ricostruire le potenzialità dell’istituto e le possibilità di applicazione, mettendo ordine tra dato normativo, orientamenti giurisprudenziali e voci dottrinarie, intervenute laddove il legislatore e i giudici non hanno ancora operato.Stefania MemoliAvvocato civilista in Prato.

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[1] Natali, Nuovi tasselli per la disciplina del vitalizio alimentare, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2010, I, 180; Bonilini, Atipicità contrattuale e vitalizio alimentare, in I Contratti, 2, 1999, 132.

[2] Greco, Funzione di adeguamento e contratto di mantenimento, in Notariato, 2, 2009, 196; Luminoso, Vitalizio alimentare e clausole risolutive per inadempimento, in Riv. Dir. Civ., 1966, II, 483; Natali, op. cit., 180; Ceccarelli, Il contratto di vitalizio assistenziale: un caso di atipicità, in Giust. Civ., 1997, 2234.

[3] Ex multis v. Cass. 18 marzo 1958, n. 885; Cass. 25 ottobre 1969, n. 3501; Cass. 7 giugno 1971, n. 1694

[4] Andreoli, op. cit., 47.

[5] Cass. 5 agosto 1977, n. 3553.

[6] Cass. 15 marzo 1982, n. 1683.

[7] Torrente, Vitalizio alimentare e risoluzione per inadempimento, in Giust. Civ., 1958, 607; Laus, Il contratto di vitalizio assistenziale nella recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Giur. It., 2006, 3, 507; Bonilini, op. cit., 132.

[8] Terranova, Vitalizio alimentare in cambio di un immobile e rinunzia all’azione di risoluzione (spunti sulla sostanza e sulla forma della rinunzia all’azione), in Foro It., 1976, 2882; in particolare l’a. sostiene che in caso di apposizione di clausole atipiche ad un contratto tipico siamo in presenza di una divergenza solo marginale rispetto alla disciplina tipica e ciò impone di ricondurre l’accordo allo schema tipico. Invece, nel contratto di mantenimento gli aspetti atipici riguardano gli elementi essenziali del negozio e quindi detto accordo non può essere ricondotto al modello legale della rendita vitalizia

[9] Fusaro, Autonomia privata e mantenimento: i contratti di vitalizio atipico, in Fam. e dir., 2008, 3, 306; Marini, op. cit., 26.

[10] Zana, Contrattualizzazione dell’assistenza, in Familia, I, 2005, 102.

[11] Cass. 19 febbraio 1996, n. 1280; Cass. 16 giugno 1981, n. 3902.

[12] Sala, Contratti atipici vitalizi a titolo oneroso e risoluzione per inadempimento, in Giust. Civ., 1993, 1054.

[13] Ceccarelli, op. cit., 2239; Sala, op. cit., 1060; Laus, op. cit., 508.

 

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