Il Consiglio di Stato interviene sul requisito degli anni di servizio come docente, richiesto per la partecipazione ai concorsi a posti di dirigente scolastico.

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1. Premessa: il caso

Con Decreto del Direttore Generale del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca del 13 luglio 2011[1]  veniva bandito un concorso, per titoli ed esami, per il reclutamento di dirigenti scolastici, avverso tale atto alcuni insegnanti di ruolo delle istituzioni scolastiche educative e statali proponevano ricorso .

I ricorrenti  avevano maturato un servizio effettivamente prestato di almeno cinque anni per effetto del decreto di ricostruzione di carriera, cumulando il servizio di ruolo, a tempo indeterminato, con il servizio pre-ruolo, prestato con contratto a tempo determinato.

La domanda dei ricorrenti veniva fondata sulla illegittimità dell’interpretazione della norma primaria di cui dell’art. 1, comma 618, della L. 296/2006[2],da parte della P.A.  volta a  negare  validità al servizio d’insegnamento pre-ruolo nelle scuole statali, che avrebbe determinato  una insanabile antinomia con il principio di non discriminazione di cui alla clausola 4 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, allegato alla Direttiva del Consiglio dell’Unione Europea 28 giugno 1999/70CEE[3].

A seguito dell’ordinanza cautelare n. 3628/2011, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio accoglieva la domanda di sospensione proposta dai ricorrenti, allo scopo dell’ammissione con riserva alle prove del concorso de quo.    
In tal modo i ricorrenti venivano ammessi a partecipare al concorso, superavando tutte le prove concorsuali e, nel novembre 2012, con motivi aggiunti, impugnavano le graduatorie definitive del concorso, nelle parti in cui tali graduatorie prevedevano l’inserimento con riserva dei ricorrenti.
I ricorrenti ponevano a fondamento delle proprie argomentazioni le stauitizioni della Corte di Giustizia europea che, con la sentenza nel procedimento C-177/10, pubblicata in data 08/09/2011[4], ha sancito il principio secondo il quale, nei concorsi pubblici, il servizio pre-ruolo vada valutato alla stregua di quello di ruolo, chiedevano l’inserimento pleno iure nelle stesse graduatorie, potendo così vedersi conferito l’agognato incarico dirigenziale.

2. La decisione del  T.A.R. Lazio (Sezione Terza Bis), sentenza n. 8086 del 4 settembre2013[5]

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis), investito della questione, decidendo sul merito della controversia accoglieva il ricorso partendo dalla verifica dell’incidenza delle conclusioni della Corte di Giustizia sulla fattispecie regolamentata dall’art. 1, comma 618, della legge n. 296 del 2006 che disciplinava lo svolgimento delle procedure concorsuali per il reclutamento dei dirigenti scolastici fissandone i principi tra i quali quello del requisito, in capo al personale docente educativo delle istituzioni scolastiche ed educative statali in possesso di laurea, della maturazione dopo la nomina in ruolo di “… servizio effettivamente prestato di almeno cinque anni”.

In particolare  il Giudice di prime cure, evidnziava l’approdo della Corte di Giustizia, con la sentenza pubblicata in data 8/9/2011, emessa nel procedimento C-177/10, cui sono seguite altre pronunce della stessa Corte, “si staglia nella considerazione, enunciata nelle stesse pronunce, che osta a che “ i periodi di servizio prestati da un dipendente pubblico temporaneo di un’Amministrazione pubblica non vengono presi in considerazione ai fini dell’accesso di quest’ultimo, divenuto nel frattempo dipendente pubblico di ruolo …, a meno che la esclusione non sia giustificata da ragioni oggettive …”.  Ancora si rimarca come “… il semplice fatto che il dipendente pubblico temporaneo abbia prestato detti periodi di servizio in base ad un contratto o un rapporto di lavoro a tempo determinato non costituisce una tale ragione oggettiva”.

Ciò detto, i giudici amministrativi di primo grado  chiarisce che non basta a giustificare una differenza di trattamento tra i lavoratori tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato il fatto che tale differenza sia stata prevista da una norma nazionale generale e astratta quale una disposizione legislativa di rango primario o un contratto collettivo.

Con riferimento al caso concreto viene evidenziato come i rapporti a tempo determinato attengono all’insegnamento effettuato nell’ambito delle istituzioni scolastiche statali, in ciò non differenziandosi, nella sostanza, nella natura e nelle caratteristiche della mansione, dai medesimi rapporti a tempo indeterminato di docenza nelle istituzioni scolastiche dello Stato italiano.

La predetta  decisione ha trovato ulteriore conforto nella decisione del  Consiglio di Stato, sesta sezione, n. 4724 18 settembre 2014 che rigettava l’appello dell’amministraizone facendo applicazione dei principi di prevalenza ed assimilazione.

In primo luogo il Consiglio di Stato ha ribadito  l’applicabilità al caso di specie degli assunti della Corte di Giustizia europea, evidenziando la forte similitudine tra il bando esaminato dai giudici europei e il bando di concorso per l’accesso alla dirigenza scolastica oggetto di gravame.

Inoltre i giudici amministrativi chiariscono che se “È certamente vero che la qualifica di dirigente scolastico preveda mansioni diverse da quelle dell’insegnamento e, quindi, non possa considerarsi mera progressione rispetto a quella di docente; … ai fini della espansione del principio giurisprudenziale della sentenza della Corte Europea qui in rilievo, ciò che conta è che l’acquisizione di tale qualifica corrisponda al concetto (lato) di “promozione” nell’ambito di una struttura di carriera funzionalmente omogenea (ratione materiae)”.

Il Collegio della VI sezione sottolinea che alle conclusioni offerte dall’Amministrazione appellante si sarebbe potuti addivenire solo allorché al concorso avrebbero potuto partecipare anche dipendenti provenienti da altre amministrazioni pubbliche, “circostanza che avrebbe sottolineato la diversità dei requisiti di partecipazione e quindi la possibilità di escludere i servizi prestati in posizione di dipendente non di ruolo”.

Un ultimo riferimento è posto dal Consiglio di Stato al favor partecipationis, che deve applicarsi, secondo i giudici, alla scelta dei requisiti per l’accesso ai pubblici concorsi.

Il Collegio tiene a sottolineare come, per la scelta dei migliori, non vi sia per l’Amministrazione più adatta garanzia di quella offerta dalle prove concorsuali selettive, sede naturale nella quale i candidati debbono dimostrare di essere in possesso del livello di professionalità necessario per l’esercizio delle funzioni richieste per il posto messo a concorso.

3. Conclusioni.

Dalla sentenza in commento emergono vari spunti riflessivi.

In primo luogo rileva il principio di non discriminazione enucleato dalla direttiva 1199/70, che recepisce l’accordo quadro CES /UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato.

Detto principio, da rinvenirsi all’articolo 4 dell’accordo citato, esclude che, in ipotesi come quella oggetto della sentenza in epigrafe, nell’ambito di procedure concorsuali, nonché di stabilizzazione del personale[6], sia possibile non considerare i periodi di servizio precedentemente compiuti nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo determinato con il medesimo ente che ha poi provveduto all’assunzione a tempo indeterminato.     

Come ha più volte evidenziato la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, seguita, come anche nel caso de quo, dalle sentenze dei giudici interni, eventuali deroghe al principio di non discriminazione sono giustificate solo allorquando siano da considerarsi rispondenti “ad una reale necessità” e siano idonee “a conseguire l’obbiettivo perseguito”.

Nel caso di specie, come evidenziato dal Consiglio di Stato dopo, e dal TAR Lazio prima, non solo non esistono le condizioni per una deroga al principio di non discriminazione, essendovi assoluta omogeneità tra il servizio pre-ruolo e quello di ruolo, ma in mancanza di ragioni obiettive non basta la presenza di una norma di legge o di un contratto collettivo per eludere l’applicazione dei principi comunitari.

Altro principio che viene in rilievo, seppur incidentalmente ricordato dalla VI sezione del Consiglio di Stato, è quello del favor partecipationis concorsuale.

All’uopo giova sottolineare quanto più volte chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, secondo la quale “ … in tema di concorso a posti di pubblico impiego, il detto principio generale del favor partecipationis comporta l’obbligo per l’Amministrazione, di favorire il massimo accesso, senza introdurre discriminazioni limitative che non trovino riscontro in specifiche cause di esclusione espressamente previste, che comunque non si appalesino conformi ad una seria ratio giustificativa. Ragion per cui le cause di esclusione da un concorso a posti di pubblico impiego (cui possono essere parificate quelle di omessa valutazione dei titoli) devono essere interpretate restrittivamente, con divieto di interpretazione analogica e le clausole di dubbia interpretazione devono essere interpretate in ossequio al principio del favor partecipationis …”.[7]

 


[1] Pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 56 del 15 luglio 2011 (4^ Serie Speciale).

[2] Questo il testo della norma: “Con regolamento da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono definite le modalità delle procedure concorsuali per il reclutamento dei dirigenti scolastici secondo i seguenti principi: cadenza triennale del concorso su tutti i posti vacanti nel triennio; unificazione dei tre settori di dirigenza scolastica; accesso aperto al personale docente ed educativo delle istituzioni scolastiche ed educative statali, in possesso di laurea, che abbia maturato dopo la nomina in ruolo un servizio effettivamente prestato di almeno cinque anni; previsione di una preselezione mediante prove oggettive di carattere culturale e professionale, in sostituzione dell’attuale preselezione per titoli; svolgimento di una o più prove scritte, cui sono ammessi tutti coloro che superano la preselezione; effettuazione di una prova orale; valutazione dei titoli; formulazione della graduatoria di merito; periodo di formazione e tirocinio, di durata non superiore a quattro mesi, nei limiti dei posti messi a concorso, con conseguente soppressione dell’aliquota aggiuntiva del 10 per cento. Con effetto dalla data di entrata in vigore del regolamento previsto dal presente comma sono abrogate le disposizioni vigenti con esso incompatibili, la cui ricognizione è affidata al regolamento medesimo”.

[3] Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, pubblicata in Gazzetta ufficiale n. L 175 del 10/07/1999, pag. 0043 – 0048.

[4] La pronuncia della Corte di Giustizia è rintracciabile in:          http://www.gazzettaamministrativa.it/opencms/export/sites/default/_gazzetta_amministrativa/gazzetta_informa/area_amministrativa/2011/settembre/News_13-09-2011/3_corte_giustizia_177_10.pdf

[5]              T.A.R. Lazio (Sezione Terza Bis), sentenza n. 8086 del 4 settembre2013, rinvenibile, tramite ricerca, in www.giustizia-amministrativa.it

[6]              Sui rapporti tra principio di non discriminazione e procedure di stabilizzazioni, con particolare riferimento ai contratti di formazione lavoro, cfr. M.M. C. Coviello, Nota all’Ordinanza della Corte di Giustizia Europea del 7.3.2013 C-393/11, in AMMINISTR@TIVAMENTE, Rivista di diritto amministrativo, n. 6/2013

[7]              cfr., tra le tante, le recenti T.A.R. Lazio, Sezione III quater , 11 settembre 2008 n. 8266, T.A.R. LAZIO-ROMA, SEZ. II, sentenza 02 aprile 2013, n. 3238, rinvenibili in http://www.caseandlaw.com/tar-lazio-roma-02-aprile-2013-3238.html

Michele Pivetti Gagliardi

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