Il conflitto tra giudicati (interno ed europeo) nella più recente giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea. Brevi riflessioni

Maniglia Elena 23/12/10
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Sommario: 1.- Introduzione; 2.- Il caso Lucchini: la decisione della Corte e le implicazioni sistematiche; 3.- Il caso Asturcom e Olimpiclub, ulteriori rilievi e considerazioni.

 

Con la sentenza Lucchini e con quelle successive rese nel caso Asturcom e Olimpiclub, la Corte di Giustizia è intervenuta sul tema del mantenimento degli effetti dei giudicati nazionali contrastanti con quello europeo o formatisi in violazione di norme provenienti da organismi europei.

Ancora una volta, la Corte ha utilizzato lo strumento del rinvio pregiudiziale per dare autorità e plasticità alle norme dell’Unione, seppure, vedremo, con sfumature diverse: imponendo ora una lettura restrittiva della possibilità che il giudicato nazionale possa “sopravvivere” alla violazione (consumata nel suo interno) di norme europee o aderendo a posizioni più largheggianti e suggerendo una valutazione pragmatica, di volta in volta, onde verificare il “grado” di violazione e pervenire a soluzioni meno radicali (e quindi conservative del giudicato interno).

Indipendentemente dalla univocità delle soluzioni (dalla Corte) adottate, nasce dalle segnalate pronunce la necessità, per il legislatore dei singoli Stati membri, di individuare strumenti processuali “in opposizione” idonei a verificare la congruità e l’aderenza dei giudicati nazionali, tanto ai dicta giudiziali quanto alle norme provenienti dall’Unione.

Il rinvio pregiudiziale1 è stato, nuovamente, tradotto in strumento privilegiato per l’adeguamento dei prodotti giudiziali nazionali vuoi al giudicato comunitario2 vuoi ai principi e/o alle norme europee, offrendo (esso) uno strumento di rilettura di peculiari momenti processuali ovvero il mezzo per incidere direttamente sulla formazione del giudicato.

E’ stata, cioè, l’interpretazione giurisprudenziale della Corte di Giustizia il veicolo di rafforzamento del dettato sovranazionale, la qualcosa è accaduta sia nell’applicazione di precetti dotati di immediata operatività, sia nella applicazione di norme della legislazione ordinaria.

Senza dubbio, con riguardo alla prima delle due ipotesi menzionate, è il caso dell’interpretazione ed applicazione dei princìpi (oggi) dell’ Unione; in questo campo essa si è mossa – negli anni – in una duplice direzione; innanzitutto nel senso di ritenere soggette a disapplicazione quelle norme nazionali che ostassero all’applicazione immediata di principi e/o norme comunitarie3; in secondo luogo, irrobustendo il concetto di azione e, quindi, di rimedio, quale mezzo funzionale ai bisogni di tutela che i diritti soggettivi, concretamente, evocano4. Più specificamente, la giurisprudenza della Corte è andata nel senso di invocare strumenti in grado di offrire tutele effettive attraverso le quali fare transitare l’opera di concretizzazione dei diritti5. Di talchè il canale di arricchimento della effettività del dettato in parola si è estrinsecato attraverso lo strumento di verifica di legittimità (comunitaria/europea) delle norme di legge nazionali e, altresì, attraverso l’applicazione tout court di norme provenienti dall’Unione.

Con riguardo, invece, alla seconda delle ipotesi su accennate (quelle relative cioè a norme di legislazione ordinaria), può segnalarsi l’orientamento assunto in merito al “superamento” di provvedimenti giudiziali nazionali (anche coperti dal giudicato) confliggenti con norme o provvedimenti promanati da Organi europei.

In quest’ottica si pone la Corte nel primo caso che andremo ad esaminare.

 

2- Il caso Lucchini; la decisione della Corte e le implicazioni sistematiche

La sentenza della Corte di giustizia, nel caso Lucchini6, ripercorre il lungo iter amministrativo e giudiziario seguito alla richiesta di agevolazioni finanziarie proposta dall’ impresa siderurgica Lucchini alle autorità italiane.

Venivano, invero, incardinati due diversi procedimenti: uno, quello amministrativo – comunitario avente come parte l’Autorità italiana (segnatamente, il Ministero dell’ Industria) innanzi alla Commissione europea; l’ altro, quello giurisdizionale, vedeva opposti la Lucchini (che in veste di attrice e ricorrente incardinava il giudizio civile e, di poi, quello amministrativo) e l’autorità competente italiana in veste (rispettivamente) di convenuta e resistente.

I due procedimenti (quello “interno” e quello innanzi agli organi europei) che inizialmente avevano vissuto di vite proprie, si intersecavano in epoca successiva al passaggio in giudicato (in Italia) di una sentenza del Tribunale civile di Roma che riconosceva il diritto della Lucchini a percepire la chiesta agevolazione; ancor più i due giudizi confliggevano allorquando l’Amministrazione italiana tentava di superare tale giudicato per conformarsi ad un provvedimento comunitario.

Si impone una esposizione dei fatti:

La Lucchini aveva depositato presso le competenti autorità italiane una domanda finalizzata all’ottenimento delle agevolazioni finanziarie (previste dalla legge n. 183/1976) per l’ammodernamento di alcuni impianti siderurgici di sua proprietà.

In ossequio all’art. 6, n. 1 della norma citata, le competenti autorità italiane trasmettevano il dossier contenente il progetto di ammodernamento della Lucchini alla Commissione, onde sollecitare il parere (vincolante) sulla compatibilità del progetto de quo con la normativa comunitaria in tema di agevolazioni alle imprese.

Si apriva così, in sede comunitaria, il lungo iter amministrativo conclusosi con il provvedimento che negava la legittimità dell’aiuto di Stato. Tale procedimento, di fatto, è consistito in una serie di scambi di lettere e di richieste di informazioni tra le parti: rectius, di richieste di informazioni rivolte all’Italia da parte della Commissione.

Stante che tali richieste, tuttavia, rimanevano per lo più inevase, la Commissione – decidendo sul punto – emetteva il provvedimento negativo proprio sulla base delle poche informazioni a sua disposizione.

In pendenza di detto procedimento amministrativo/comunitario (comunque, anteriormente alla pronuncia della Commissione) la Lucchini incardinava un diverso giudizio presso l’autorità italiana, precisamente innanzi al Tribunale di Roma, per ivi sentire dichiarare il diritto a percepire il cennato contributo statale.

La richiesta veniva accolta dal Tribunale di Roma, il quale con sentenza – intervenuta in epoca successiva alla prolazione del parere negativo della Commissione – dichiarava il diritto della Lucchini ad usufruire delle dette agevolazioni.

Le autorità competenti italiane, per il tramite dell’ Avvocatura di Stato, appellavano la pronuncia (giudiziale) ed in sede di gravame – per la prima volta – sollevavano il difetto di giurisdizione del giudice adito.

Nel merito l’Avvocatura chiedeva che venisse ritenuto dovuto il contributo de quo in misura non superiore al 15% dell’intero investimento; nessun riferimento, invece, veniva fatto alla pronuncia della Commissione sul punto della legittimità dell’aiuto di Stato.

La Corte d’Appello rigettava il gravame, confermando la decisione resa in primo grado; avverso detta pronuncia l’Avvocatura di Stato riteneva di non dovere esperire ricorso in Cassazione, per cui la detta sentenza passava in giudicato.

Tuttavia, nonostante le pronunce delle autorità giudiziarie italiane, le somme relative all’aiuto di Stato non venivano erogate a favore della Lucchini; di talché, la stessa, adiva il Tribunale di Roma al fine di ottenere un’ingiunzione di pagamento.

Sulla scorta del (concesso) decreto ingiuntivo emesso – con la formula della immediata esecutività – contro l’Amministrazione italiana, la Lucchini procedeva al pignoramento.

Interveniva, a questo punto (in data 8 marzo 1996), un decreto del Ministero dell’Industria italiano che, in esecuzione della sentenza della Corte d’Appello, disponeva la corresponsione di quanto richiesto in favore della Lucchini. Il relativo decreto, tuttavia, conteneva la precisazione che lo stesso provvedimento sarebbe stato revocato in caso di decisione sfavorevole della Commissione sul punto della legittimità dell’aiuto di Stato.

La Commissione, a questo punto, insorgeva e con una sua nota del 15 giugno 1996, muoveva una serie di censure nei confronti delle autorità italiane.

Il ministero, dal canto suo, in risposta, osservava come gli aiuti in favore della Lucchini fossero stati concessi con salvezza del diritto alla ripetizione.

Con ulteriore nota, la Commissione invitava le autorità italiane ad effettuare il recupero delle somme già erogate, onde evitare che, la stessa, avviasse la (prevista) procedura di infrazione nei confronti dell’Italia.

A questo punto, conformandosi alle indicazioni della Commissione, il M.I.C.A. revocava il decreto, intimando altresì la restituzione delle somme alla Lucchini, la quale (ovviamente) impugnava il decreto innanzi al Tar del Lazio.

Il ricorso della Lucchini veniva accolto, stante che (secondo le argomentazioni del giudice adito) la potestà della pubblica amministrazione alla rimozione degli atti – nella specie – impingeva nell’accertamento (avente autorità di giudicato) del diritto della ricorrente a ricevere l’aiuto di Stato che si pretendeva invece di revocare.

Il Consiglio di Stato, cui l’Avvocatura Generale – per conto del MICA – ricorreva, constatava l’esistenza di un conflitto tra le sentenze nazionali e la decisione della Commissione; ma considerava, anche, che l’autorità e gli effetti del giudicato dovevano riconoscersi quali invocabili – in modo speculare – anche con riguardo alla decisione della Commissione.

Il C.d.S. sospendeva, quindi, il processo, investendo la Corte di giustizia di due distinte questioni pregiudiziali.

La sentenza Lucchini si colloca perfettamente entro il solco tracciato, nel corso degli anni, dalla Corte di giustizia: questa segue, infatti, l’ ideale percorso intrapreso con la sentenza Factortame e teso a garantire la primazia della normativa comunitaria su quella interna, nonchè la effettività delle pronunce degli organismi comunitari che sulle norme (comunitarie) si fondano.

Nel caso di specie, la Corte di giustizia si è trovata innanzi due diversi e contrastanti giudicati provenienti da differenti ordinamenti: l’uno manifestazione dell’autorità giudiziale nazionale, l’altro espressione di un organo comunitario.

Due giudicati, quindi, disciplinati da normative differenti e chiamati ad esplicare la loro efficacia in ambiti (giudiziari) diversi.

Il “quadro” processuale entro il quale è maturata la pronuncia Lucchini, induce ad una profonda riflessione: segnatamente, se si possa ancora parlare di contrasto tra giudicati provenienti da due ordinamenti (dei quali uno è sovraordinato all’altro) o, diversamente, se non si debba piuttosto individuare un limite alla efficacia del giudicato interno.

Un limite tuttavia, quello cennato, del tutto coerente (e speculare) alla gerarchia delle fonti nei vari ordinamenti: di talchè, il giudicato interno, formatosi all’interno dello schema fattispecie – applicazione norma nazionale, segue la stessa disciplina della gerarchia delle fonti.

Se la legge interna si colloca ad un grado inferiore rispetto a quella europea, il giudicato che si fonda sulla norma interna (subordinata) potrà spiegare i suoi effetti entro quell’ordinamento (quello interno) solo a condizione che la medesima non si ponga in contrasto con altra (norma) del’Unione. Se la norma applicata dal giudice interno è contraria ad una europea, il giudicato (che su quella norma si è formato) è destinato a cedere.

Si apre per gli operatori del diritto uno scenario arduo da “metabolizzare”; quello di giudicati interni (faticosamente ottenuti) che si sfaldano innanzi alla contrarietà – delle norme su cui si fondano – con la norma europea.

Scenari non nuovi, questi, nel nostro ordinamento: la mente corre alla pronuncia di incostituzionalità della norma, (pronuncia) che travolge anche la incontrovertibilità delle sentenze rese anteriormente alla dichiarazione di incostituzionalità di una norma: limite già esistente nella circolazione dei giudicati interni fra i vari stati.

Se si riflette sulla circolazione dei prodotti giustiziali all’interno degli stati aderenti all’ Unione, si rileva che il giudice italiano può sospendere il riconoscimento se, ad esempio, la sentenza straniera è contraria ad una norma imperativa oppure all’ordine pubblico interno; non si comprenderebbe, quindi, per qual motivo non debba valere anche per l’ordinamento europeo il (corrispondente) diritto a non riconoscere un provvedimento giurisdizionale interno, contrario a norme imperative dell’Unione (gli aiuti di Stato non devono alterare il libero mercato).

La Corte di giustizia ha sempre rivendicato la primautè del diritto europeo su quello nazionale e ha indicato ai giudici nazionali la strada da seguire: la disapplicazione della norma interna, quante volte questa risulti incompatibile col diritto sovranazionale.

Principio, quest’ultimo, assolutamente consolidato anche nella nostra giurisprudenza costituzionale (nelle sentenze nn. 348 e 349 del 2007, la Corte costituzionale non ha avuto esitazioni a ritenere l’immediata precettività delle norme comunitarie nell’ordinamento interno).

 

3- Il caso Olimpiclub e Asturcom

Sempre nel solco tracciato dalla sentenza Lucchini, con la sentenza resa nel caso fallimento Olimpiclub7, la Corte di giustizia stabilisce (ancora una volta) che il diritto comunitario osta all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale come quella dell’art. 2909 del codice civile.

La decisione è stata originata dal rinvio pregiudiziale della Corte di Cassazione italiana.

La fattispecie, da cui esso rinvio promana, riguarda una presunta evasione fiscale in materia di iva da parte della società Olimpiclub soggetta ad accertamento tributario. La detta società, proprietaria di un complesso sportivo insistente su zona demaniale, aveva concesso in comodato gratuito ad una associazione – senza fini di lucro – l’intero impianto affinché ne curasse la gestione. A fronte di detta cessione la società comodante percepiva l’equivalente del canone da versare all’Erario, un forfettario annuale nonché il trasferimento delle entrate lorde annuali, costituite prevalentemente dal corrispettivo esborsato dai soci a titolo di quota associativa. Secondo l’amministrazione fiscale, questa macchinosa strategia, in effetti, tradiva la gestione personale dell’attività commerciale da parte della società sottoposta a verifica.

Accertato, con sentenza passata in giudicato, che il trasferimento della gestione all’associazione comodataria non era finalizzato all’evasione, l’accertamento sul punto veniva opposto dalla società ad ogni indagine fiscale basata su detto presupposto.

Invero, in materia fiscale, era invalsa la pratica per cui il giudicato, formatosi su una annualità, produceva i suoi effetti esclusivamente per l’anno di riferimento, di talchè gli effetti non si estendevano ai periodi seguenti o pregressi. Successivamente l’orientamento della giurisprudenza cambiava, ragione per la quale l’accertamento contenuto in una sentenza definitiva – pur se riferito ad un annualità (fiscale) – allorquando riguardasse situazioni analoghe, spiegava i propri effetti anche per i periodi non accertati.

Ma quante volte l’applicazione di detto giudicato producesse un risultato contrastante con una norma comunitaria, impedendone l’applicazione, potrebbe comunque produrre i propri effetti fuori dal margine temporale in cui si è maturato? Questo il presupposto che ha indotto il giudice della Corte di Cassazione italiana ad operare il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.

Anche con una sentenza successiva, resa nel caso Asturcom8, originata da altro rinvio pregiudiziale, la Corte di giustizia è stata chiamata a verificare la legittimità della “resistenza” di un giudicato nazionale fondato su una legge contrastante con una norma comunitaria.

Nel caso di specie, a sollevare la questione pregiudiziale è stato il giudice dell’esecuzione del tribunale di Bilbao, innanzi al quale era stata depositata istanza di esecuzione di un lodo arbitrale.

Si verteva, invero, in tema di contratti in serie stipulati “per adesione”; fra le condizioni contrattuali vi era la clausola che prevedeva, in caso di controversie, la composizione arbitrale delle stesse davanti ad un collegio, la cui competenza territoriale non era meglio specificata.

Il consumatore, sig.ra Rodriquez Noguiera, non avendo pagato delle mensilità ed avendo esercitato il diritto di recesso prima che maturasse la durata minima per recedere, veniva convenuta innanzi al collegio arbitrale. Il giudizio, celebratosi nella contumacia del convenuto, si concludeva con un provvedimento di condanna. Avverso detto provvedimento nessuna forma di opposizione e/o di impugnazione veniva proposta, ragione per cui il lodo diveniva incontrovertibile.

In sede di esecuzione del lodo, il giudice dell’esecuzione rilevava la nullità della clausola derogatoria della giurisdizione ordinaria e sospendeva l’esecuzione per proporre rinvio pregiudiziale: Motivo del rinvio era se il giudicato formatosi sul punto dell’an debeatur dovesse venire annullato stante la circostanza che la clausola prevedente l’arbitrato, così com’era strutturata, era in contrasto con la normativa comunitaria in tema di diritti dei consumatori. Il giudice dell’esecuzione costituiva, invero, la prima autorità pubblica innanzi alla quale la procedura impingeva; ciò nonostante veniva rilevato che, ferma restando la nullità della clausola compromissoria – nullità non rilevabile d’ufficio dagli arbitri9 -, le condizioni generali del contratto prevedevano la possibilità di impugnazione del lodo nei sessanta giorni successivi alla notificazione del medesimo al consumatore. In quella sede, certamente, si potevano fare valere tutte le censure in ordine alla legittimità della clausola compromissoria.

Circostanza, questa, che unitamente all’inerzia del consumatore, ha indotto la Corte di giustizia, ad escludere per tabulas il superamento del giudicato interno quand’anche in contrasto con le norme comunitarie. La congruità del termine di sessanta giorni per la proposizione di un ricorso in opposizione e la totale inerzia del consumatore venivano ritenuti buoni motivi per la “conservazione” degli effetti del giudicato nazionale.

Le due sentenze mostrano sicuramente un approccio pragmatico alla materia; significativo il paragrafo

27 della sentenza Olimpiclub, ripetuto nella sentenza Asturcom al par. 39:

“Per quanto riguarda, in primo luogo, il principio di effettività, occorre ricordare che la Corte ha già affermato che ciascun caso in cui si pone la questione se una norma procedurale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto comunitario dev’essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali. Sotto tale profilo si devono considerare, se necessario, i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento (sentenze 14 dicembre 1995, causa C-312/93, Peterbroeck, Racc. pag. I-4599, punto 14, e Fallimento Olimpiclub, cit., punto 27)”.

La Corte di giustizia utilizza, indifferentemente, il criterio del superamento del giudicato interno o del mantenimento dei suoi effetti10: in quest’ultimo caso quand’anche esso (giudicato) sia in contrasto con una norma europea, suggerendo però di verificarne, di volta in volta, l’aderenza ai principi dell’Unione, nonchè la congruità del processo (anche per il rispetto del contraddittorio e del diritto di difesa). Una conversione ad unità tra il piano sostanziale e quello processuale, laddove però anche il superamento del principio sostanziale è ammesso quante volte il procedimento da cui ha tratto origine il dictum giudiziale sia stato rispettoso del diritto di difesa, del contraddittorio… e quando non vi sia una competenza comunitaria esclusiva sulla materia…. atta a verificare la compatibilità di una misura nazionale in tema di aiuti di stato.11

Approccio pragmatico che sbaraglia ogni tentativo di sistematizzare uno strumento atto a superare e risolvere le eventuali discrasie tra giudicato interno e norma europea. Metodo, questo, che però si pone in contrasto con la tradizione giuridica italiana usa a sistematizzare ogni singolo istituto, a precostituire i mezzi di impugnazione e in alcuni casi anche le censure proponibili.

Invero se è più semplice immaginare di potere comporre, de jure condendo, l’eventuale contrasto del giudicato nazionale con quello europeo, invocando – ad esempio – l’applicazione dell’istituto della revocazione per contrasto di giudicati (seppure con tutte le implicazioni di ordine temporale), più difficile è, per contro, immaginare l’ipotesi del superamento del giudicato formatosi in violazione di norme europee. Si tratterebbe, invero, di individuare uno strumento impugnatorio straordinario nel quale – e per la prima volta – verrebbe sollevato il difetto di applicazione della norma sostanziale sovranazionale.

 

 

1 Sul rinvio pregiudiziale, A. Briguglio, Pregiudiziale comunitaria e processo civile, Padova, 1996; G. Raiti, La collaborazione giudiziaria nell’esperienza del rinvio pregiudiziale. Milano, 2003

2 Ancor prima con la sentenza Klober 30 settembre 2003 C. 224/01: “Il principio secondo cui gli Stati membri sono obbligati a riparare i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario che sono loro imputabili si applica anche allorché la violazione di cui trattasi deriva da una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado … spetta all’ordinamento giuridico di ciascuno Stato membro designare il giudice competente a risolvere le controversie relative al detto risarcimento”. Sul punto, E. Sconditti, “Francovich” preso sul serio: la responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario derivante da paramentro giurisdizionale, in Foro it. 2004, IV, 4ss; P. Biavati, Inadempimento degli Stati membri al diritto comunitario per fatto del giudice supremo: alla prova la nozione europea di giudicato, in Int’l Lis, 2005

3 Sentenza Factortame 19 giugno 1990, C-213/88, racc., 1990, 2433. Con questa decisione la Corte di giustizia ribadiva l’esigenza di garantire la preminenza e l’effettività del diritto comunitario su quello nazionale “la piena efficacia del diritto comunitario sarebbe ridotta se una norma di diritto nazionale potesse impedire al giudice, chiamato a dirimere una controversia disciplinata dal diritto comunitario, di concedere provvedimenti provvisori allo scopo di concedere provvedimenti provvisori allo scopo di garantire la piena efficacia della pronuncia giurisdizionale sull’esistenza dei diritti invocati in forza del diritto comunitario …. in una situazione del genere il giudice è tenuto a disapplicare la norma del diritto nazionale che osti alla concessione di provvedimenti provvisori”. Il contenuto e la portata del principi giurisprudenziali, così introdotti, verranno ulteriormente definiti dalla Corte in successive sentenze, fra cui si ricordano le pronunce Zuckerfabrik e Atlanta.

4 Giurisprudenza inaugurata con il con il caso Johnston – sent. 15 maggio 1986, C.222/86, in Racc. 1986, p. 1663 ss – con cui la Corte individua – nella tutela giurisdizionale effettiva – l’espressione di un principio giuridico generale rilevante per l’ordinamento comunitario. Sul punto si veda: N. Trocker, La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ed il processo civile, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 2002, Dello stesso autore, Il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva nell’opera creatrice della Corte di giustizia della Comunità europea, in Diritti fondamentali e giustizia civile in Europa, Giappichelli, 2002.

5 Naturalmente di diritti comunitari soggettivi, che creano situazioni di vantaggio all’individuo; sempre nel caso kombler: ”Il principio secondo cui gli Stati membri sono obbligati a riparare i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario che sono loro imputabili si applica anche allorché la violazione di cui trattasi deriva da una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado, sempreché la norma di diritto comunitario violata sia preordinata ad attribuire diritti ai singoli”.

6 Corte di Giustiza CE, sentenza 18 luglio 2007, C- 119/05, con il commento di C. Consolo: La sentenza Lucchini della Corte di Giustizia: quale possibile adattamento degli ordinamento processuali interni e in specie del nostro? Rivista di diritto processuale, 2008; di Paolo Biavati, La sentenza Lucchini: il giudicato nazionale cede al diritto comunitario; Rassegna Tributaria, 2007.

7 Corte di giustizia, sentenza 3 settembre 2009, C- 2/08, Sull’ordinanza di rinvio, G. Tesauro, Divieto comunitario di abuso del diritto (fiscale) e vincolo da giudicato esterno incompatibile con il diritto comunitario; in Giur. It.; 2006.

8 Corte di giustizia, sentenza 6 ottobre 2009, C- 40/08

9 Sentenza Asuturcom punto 26: Tuttavia, il giudice del rinvio osserva anche che, da un lato, la legge 60/2003 non consente agli arbitri di rilevare d’ufficio la nullità delle clausole compromissorie abusive e, d’altro lato, che la legge 1/2000 non prevede alcuna disposizione relativa alla valutazione del carattere abusivo delle clausole compromissorie ad opera del giudice competente a statuire su un ricorso per l’esecuzione forzata di un lodo arbitrale divenuto definitivo.

10 Sentenza Kapferer resa dalla Corte di giustizia, 16 marzo 2006 in causa C. 234-04 – Punto 24 “Il principio di cooperazione derivante dall’art. 10 CE non impone ad un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne allo scopo di riesaminare ed annullare una decisione giurisdizionale passata in giudicato qualora risulti che questa viola il diritto comunitario”. La Corte anticipa (concetto che verrà ribadito anche in seguito): la congruità del processo interno(quanto all’accesso alla tutela, alla garanzia del contraddittorio, al diritto di difesa, al diritto a più gradi di giudizio) è un requisito idoneo a superare i vizi dei provvedimenti giurisdizionali contrari a norme europee. … Punto 22 “Nel disciplinare le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la salvaguardia dei diritti derivanti, per i privati, dall’effetto diretto delle norme comunitarie, gli Stati membri devono far sì che tali modalità non siano meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza) e non siano strutturate

in modo da rendere in pratica impossibile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività)….Orbene, il rispetto di tali limiti al potere degli Stati membri in materia processuale non è stato messo in discussione nella controversia principale, per quanto attiene al procedimento d’appello”.

11 Così la Corte di giustizia nella sentenza Olimpclub paragrafo 25

 

Maniglia Elena

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