Il concorso colposo nel reato doloso

Avitto Paolo 29/07/14
Scarica PDF Stampa

In tema di concorso di persone nel reato si deve ravvisare che al fine di configurare il legame psicologico che si instaura fra i concorrenti (in cui si configura l’istituto della cooperazione ex art. 113 c.p.) è sufficiente la consapevolezza della partecipazione di altri soggetti al verificarsi dell’evento. In particolare, occorre non già la consapevolezza dell’evento, in quanto si verte in materia di reati tipicamente colposi, bensì della mera partecipazione alla realizzazione del fatto.

Secondo una corrente dottrinale, ai fini della configurabilità della cooperazione non è necessaria la consapevolezza della natura colposa delle condotte altrui ma è sufficiente quella dell’esistenza di altre condotte che fanno parte di quel complesso meccanismo da cui il fatto costitutivo del reato discende (ad esempio l’equipe medica composta da più medici. In tal caso, il chirurgo è consapevole che ai fini dell’operazione, la sua condotta personale si accompagnerà a quella del radiologo, dell’anestetista, dell’infermiere etc…).

E’ opportuno domandarsi, per tanto, se ai fini de quibus sia o no ammissibile una forma di condotta colposa rispetto al concorso di una condotta dolosa altrui. Gli orientamenti dottrinali maggioritari sono per la maggiore orientati per la negazione di una siffatta possibilità. Tale modo di ragionare discende da un’interpretazione restrittiva del combinato disposto degli artt. 42 co. 2 c.p. e 113 c.p. L’art. 42 c.p., in particolare, prevede la punibilità a titolo di colpa nei soli casi previsti dalla legge. Per tale ragione, non essendo l’istituto del concorso colposo nel reato doloso ammissibile per legge, non può una siffatta possibilità ritenersi ammissibile. L’art. 113 c.p. regolamenta, invece, la compartecipazione colposa nel delitto colposo e non già in quello doloso.

La giurisprudenza di legittimità ha di recente ritenuto, invero, ammissibile il concorso colposo nel reato doloso partendo dall’idea del superamento delle teorie legate alla concezione unitaria del fatto di reato avente natura concorsuale. In materia, dottrina e giurisprudenza avevano affermato che, rispetto al concorso di persone, si debba infatti fare riferimento alla teoria dell’unicità del reato secondo cui nella fattispecie plurisoggettiva, l’attività antigiuridica di ciascuno, ponendosi inscindibilmente con quelle degli altri correi, confluisce in un’azione delittuosa che va considerata unica sicchè ciascun concorrente risponde, come di azione propria, non solo degli atti da lui personalmente compiuti, ma altresì di quelli compiuti dai correi, nell’ambito dell’impresa concordata. La Corte di Cassazione invero afferma che occorre superare tale teoria ammettendo la pluricità dei fatti di reato anche laddove l’evento finale sia unico. Tale pluralità viene individuata dalla Corte proprio in relazione all’elemento psicologico e alla condotta di coloro che forniscono un contributo causale alla realizzazione dell’evento. La Corte prosegue altresì con l’analisi degli artt. 42 co. 2 c.p. e 113 c.p. il cui esame congiunto consente di superare le teorie che escludono la configurabilità dell’istituto del concorso colposo nel reato doloso. Queste ultime si baserebbero esclusivamente sulla circostanza che l’istituto della cooperazione sia previsto solo in forma colposa e non dolosa. Tuttavia, la Corte di Cassazione ricostruisce tale elemento psicologico non già differentemente rispetto alla colpa, bensì in modo ad essa omogeneo. Il dolo sarebbe per ciò dotato di un quid pluris rispetto all’elemento colposo sostanziandosi tale differenza nell’aver altresì voluto l’evento.

 Per tanto, l’istituto della cooperazione colposa di cui all’art. 113 c.p. non esclude di fatto l’opportunità di ammettere nel nostro ordinamento il concorso colposo nel reato doloso.

In materia è intervenuta una chiarissima pronuncia della Corte di Cassazione del 12/11/2008 che ha statuito – rispetto a un caso giuridico particolarmente eclatante- la configurabilità giuridica dell’istituto della cooperazione colposa nel reato doloso al ricorrere di alcuni particolari presupposti.

La vicenda da cui si son prese le mosse riguardava un soggetto affetto da disturbi comportamentali che richiedeva la licenza di porto di fucile per il tiro a segno. Questa gli veniva rilasciata dal dirigente del commissariato, previ i dovuti accertamenti psico medici che avevano acclarato l’idoneità del soggetto in ordine a tale concessione; successivamente, in forza di tale licenza, tale soggetto acquistava una pistola semiautomatica calibro 45 e a distanza di soli tre mesi, con quella stessa arma, faceva fuoco sui passanti dalla sua abitazione, sita al terzo piano di un palazzo, per poi togliersi la vita: oltre all’autore suicida, nella sparatoria trovavano la morte due persone e altre tre riportavano lesioni gravissime con perdita o indebolimento d’organo.

In ordine alla configurabilità del concorso colposo in un delitto doloso, la pronuncia in esame ritiene che essa sia del tutto pacifica “sia nel caso di cause colpose indipendenti, sia nel caso di cooperazione colposa tra alcuno dei compartecipi dei quali uno o più sia in dolo, purché in entrambi i casi il reato del partecipe sia previsto nella forma colposa e la sua condotta sia caratterizzata da colpa”.

La Suprema Corte individua, per tanto, i criteri per stabilire l’ammissibilità del concorso colposo nel reato doloso. In primis, occorre verificare che il reato posto in essere dal partecipe sia previsto sia in forma colposa sia in forma dolosa (ad esempio il delitto di omicidio è previsto in ambedue le forme ex artt. 575 c.p. per quanto concerne il dolo ed ex art. 589 c.p.  in relazione alla colpa). Tale circostanza non può intravvedersi, di conseguenza, per tutte quelle fattispecie dolose che non trovano il loro corrispettivo nella forma colposa (si pensi a titolo esemplificativo al delitto d’incendio o al delitto di usura).

Tale primo vaglio deve essere assecondato dalla valutazione afferente all’influenza della condotta colposa dell’agente rispetto al fatto posto in essere, ricostruendo il nesso causale intercorrente fra l’apporto di quest’ultimo e la produzione dell’evento. Occorre, in particolare, ricostruire quali siano i requisiti che ci consentono di affermare che una condotta è condicio sine qua non di un evento e, nel caso di specie, in quale modo si colloca la condotta colposa in esame rispetto a esso. Si deve verificare – come afferma la Corte di Cassazione-  se la regola cautelare che è stata violata dal soggetto agente sia funzionale e diretta a evitare la specifica azione dolosa posta in essere dal terzo.

La Corte di Cassazione, per tanto, nell’ammettere il concorso colposo nel reato doloso, fa riferimento alla posizione del garante e alle regole di condotta da cui può discendere la colpa. Per tanto, occorre domandarsi nello specifico quale finalità avesse la regola cautelare disattesa. Se tale era preposta a impedire la condotta dolosa, infatti, in modo pacifico potrà  configurarsi il concorso de quo. In particolare, la Suprema Corte afferma che nel caso predetto, l’aver posto in essere una visita medica imperita, imprudente nonché negligente,  rispetto al soggetto affetto da turbe psichiche richiedente licenza di possesso di armi, ha certamente influito in modo causalmente efficiente alla commissione del delitto successivamente commesso. Nel caso specifico, la Corte ricostruisce altresì la responsabilità del funzionario di P.S.  in quanto anch’egli avrebbe violato le regole di condotta poiché avrebbe concesso il nulla osta nonostante vi fossero numerosi atti (presso il commissariato di competenza) che avrebbero dovuto portare all’esito negativo la proceduta di concessione della predetta licenza. Nel caso de quo non erano state compiute diligentemente le specifiche indagini in ordine alla buona condotta del soggetto che, invero, laddove fossero state svolte in modo compiuto, avrebbero comportato il provvedimento di ricusazione della licenza di porto d’armi ex art. 43, co. 2, T.U.P.S. Tale ultima disposizione  prevede infatti la possibilità di negare la licenza  alle persone a carico delle quali siano stati acquisiti elementi indicativi della insussistenza della buona condotta e di quelle che non diano affidamento di saper evitare l’abuso delle armi: tale norma, dettata per il rilascio del porto d’armi, è infatti ritenuta applicabile, per giurisprudenza costante, anche al rilascio della licenza di porto di fucile per tiro a volo.

In questa ipotesi, in definitiva, non può non ravvisarsi la commissione di un unico fatto di reato in cui concorrono diverse condotte, configurando così la figura del concorso colposo nel reato doloso. Tale conseguenza discende dalla circostanza che l’elemento psicologico del dolo appartiene, nel caso specifico, al mero operare del soggetto aggetto da turbe psichiche e non già al funzionario di P.S. e al medico le cui condotte sono pacificamente riconducibili, invece, al profilo psicologico colposo.

Dott.

In tema di concorso di persone nel reato si deve ravvisare che al fine di configurare il legame psicologico che si instaura fra i concorrenti (in cui si configura l’istituto della cooperazione ex art. 113 c.p.) è sufficiente la consapevolezza della partecipazione di altri soggetti al verificarsi dell’evento. In particolare, occorre non già la consapevolezza dell’evento, in quanto si verte in materia di reati tipicamente colposi, bensì della mera partecipazione alla realizzazione del fatto.

Secondo una corrente dottrinale, ai fini della configurabilità della cooperazione non è necessaria la consapevolezza della natura colposa delle condotte altrui ma è sufficiente quella dell’esistenza di altre condotte che fanno parte di quel complesso meccanismo da cui il fatto costitutivo del reato discende (ad esempio l’equipe medica composta da più medici. In tal caso, il chirurgo è consapevole che ai fini dell’operazione, la sua condotta personale si accompagnerà a quella del radiologo, dell’anestetista, dell’infermiere etc…).

E’ opportuno domandarsi, per tanto, se ai fini de quibus sia o no ammissibile una forma di condotta colposa rispetto al concorso di una condotta dolosa altrui. Gli orientamenti dottrinali maggioritari sono per la maggiore orientati per la negazione di una siffatta possibilità. Tale modo di ragionare discende da un’interpretazione restrittiva del combinato disposto degli artt. 42 co. 2 c.p. e 113 c.p. L’art. 42 c.p., in particolare, prevede la punibilità a titolo di colpa nei soli casi previsti dalla legge. Per tale ragione, non essendo l’istituto del concorso colposo nel reato doloso ammissibile per legge, non può una siffatta possibilità ritenersi ammissibile. L’art. 113 c.p. regolamenta, invece, la compartecipazione colposa nel delitto colposo e non già in quello doloso.

La giurisprudenza di legittimità ha di recente ritenuto, invero, ammissibile il concorso colposo nel reato doloso partendo dall’idea del superamento delle teorie legate alla concezione unitaria del fatto di reato avente natura concorsuale. In materia, dottrina e giurisprudenza avevano affermato che, rispetto al concorso di persone, si debba infatti fare riferimento alla teoria dell’unicità del reato secondo cui nella fattispecie plurisoggettiva, l’attività antigiuridica di ciascuno, ponendosi inscindibilmente con quelle degli altri correi, confluisce in un’azione delittuosa che va considerata unica sicchè ciascun concorrente risponde, come di azione propria, non solo degli atti da lui personalmente compiuti, ma altresì di quelli compiuti dai correi, nell’ambito dell’impresa concordata. La Corte di Cassazione invero afferma che occorre superare tale teoria ammettendo la pluricità dei fatti di reato anche laddove l’evento finale sia unico. Tale pluralità viene individuata dalla Corte proprio in relazione all’elemento psicologico e alla condotta di coloro che forniscono un contributo causale alla realizzazione dell’evento. La Corte prosegue altresì con l’analisi degli artt. 42 co. 2 c.p. e 113 c.p. il cui esame congiunto consente di superare le teorie che escludono la configurabilità dell’istituto del concorso colposo nel reato doloso. Queste ultime si baserebbero esclusivamente sulla circostanza che l’istituto della cooperazione sia previsto solo in forma colposa e non dolosa. Tuttavia, la Corte di Cassazione ricostruisce tale elemento psicologico non già differentemente rispetto alla colpa, bensì in modo ad essa omogeneo. Il dolo sarebbe per ciò dotato di un quid pluris rispetto all’elemento colposo sostanziandosi tale differenza nell’aver altresì voluto l’evento.

 Per tanto, l’istituto della cooperazione colposa di cui all’art. 113 c.p. non esclude di fatto l’opportunità di ammettere nel nostro ordinamento il concorso colposo nel reato doloso.

In materia è intervenuta una chiarissima pronuncia della Corte di Cassazione del 12/11/2008 che ha statuito – rispetto a un caso giuridico particolarmente eclatante- la configurabilità giuridica dell’istituto della cooperazione colposa nel reato doloso al ricorrere di alcuni particolari presupposti.

La vicenda da cui si son prese le mosse riguardava un soggetto affetto da disturbi comportamentali che richiedeva la licenza di porto di fucile per il tiro a segno. Questa gli veniva rilasciata dal dirigente del commissariato, previ i dovuti accertamenti psico medici che avevano acclarato l’idoneità del soggetto in ordine a tale concessione; successivamente, in forza di tale licenza, tale soggetto acquistava una pistola semiautomatica calibro 45 e a distanza di soli tre mesi, con quella stessa arma, faceva fuoco sui passanti dalla sua abitazione, sita al terzo piano di un palazzo, per poi togliersi la vita: oltre all’autore suicida, nella sparatoria trovavano la morte due persone e altre tre riportavano lesioni gravissime con perdita o indebolimento d’organo.

In ordine alla configurabilità del concorso colposo in un delitto doloso, la pronuncia in esame ritiene che essa sia del tutto pacifica “sia nel caso di cause colpose indipendenti, sia nel caso di cooperazione colposa tra alcuno dei compartecipi dei quali uno o più sia in dolo, purché in entrambi i casi il reato del partecipe sia previsto nella forma colposa e la sua condotta sia caratterizzata da colpa”.

La Suprema Corte individua, per tanto, i criteri per stabilire l’ammissibilità del concorso colposo nel reato doloso. In primis, occorre verificare che il reato posto in essere dal partecipe sia previsto sia in forma colposa sia in forma dolosa (ad esempio il delitto di omicidio è previsto in ambedue le forme ex artt. 575 c.p. per quanto concerne il dolo ed ex art. 589 c.p.  in relazione alla colpa). Tale circostanza non può intravvedersi, di conseguenza, per tutte quelle fattispecie dolose che non trovano il loro corrispettivo nella forma colposa (si pensi a titolo esemplificativo al delitto d’incendio o al delitto di usura).

Tale primo vaglio deve essere assecondato dalla valutazione afferente all’influenza della condotta colposa dell’agente rispetto al fatto posto in essere, ricostruendo il nesso causale intercorrente fra l’apporto di quest’ultimo e la produzione dell’evento. Occorre, in particolare, ricostruire quali siano i requisiti che ci consentono di affermare che una condotta è condicio sine qua non di un evento e, nel caso di specie, in quale modo si colloca la condotta colposa in esame rispetto a esso. Si deve verificare – come afferma la Corte di Cassazione-  se la regola cautelare che è stata violata dal soggetto agente sia funzionale e diretta a evitare la specifica azione dolosa posta in essere dal terzo.

La Corte di Cassazione, per tanto, nell’ammettere il concorso colposo nel reato doloso, fa riferimento alla posizione del garante e alle regole di condotta da cui può discendere la colpa. Per tanto, occorre domandarsi nello specifico quale finalità avesse la regola cautelare disattesa. Se tale era preposta a impedire la condotta dolosa, infatti, in modo pacifico potrà  configurarsi il concorso de quo. In particolare, la Suprema Corte afferma che nel caso predetto, l’aver posto in essere una visita medica imperita, imprudente nonché negligente,  rispetto al soggetto affetto da turbe psichiche richiedente licenza di possesso di armi, ha certamente influito in modo causalmente efficiente alla commissione del delitto successivamente commesso. Nel caso specifico, la Corte ricostruisce altresì la responsabilità del funzionario di P.S.  in quanto anch’egli avrebbe violato le regole di condotta poiché avrebbe concesso il nulla osta nonostante vi fossero numerosi atti (presso il commissariato di competenza) che avrebbero dovuto portare all’esito negativo la proceduta di concessione della predetta licenza. Nel caso de quo non erano state compiute diligentemente le specifiche indagini in ordine alla buona condotta del soggetto che, invero, laddove fossero state svolte in modo compiuto, avrebbero comportato il provvedimento di ricusazione della licenza di porto d’armi ex art. 43, co. 2, T.U.P.S. Tale ultima disposizione  prevede infatti la possibilità di negare la licenza  alle persone a carico delle quali siano stati acquisiti elementi indicativi della insussistenza della buona condotta e di quelle che non diano affidamento di saper evitare l’abuso delle armi: tale norma, dettata per il rilascio del porto d’armi, è infatti ritenuta applicabile, per giurisprudenza costante, anche al rilascio della licenza di porto di fucile per tiro a volo.

In questa ipotesi, in definitiva, non può non ravvisarsi la commissione di un unico fatto di reato in cui concorrono diverse condotte, configurando così la figura del concorso colposo nel reato doloso. Tale conseguenza discende dalla circostanza che l’elemento psicologico del dolo appartiene, nel caso specifico, al mero operare del soggetto aggetto da turbe psichiche e non già al funzionario di P.S. e al medico le cui condotte sono pacificamente riconducibili, invece, al profilo psicologico colposo.

Avitto Paolo

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento