Il concetto di diritto e il sistema delle fonti

Redazione 07/12/20
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L’uomo è un animale sociale che, per crescere e vivere, ha, per sua natura, bisogno della relazione. La cooperazione fra gli individui richiede, però, un sistema di regole che disciplinino i comportamenti intersoggettivi dei membri di un gruppo vietandoli, consentendoli o rendendoli obbligatori.

Questo sistema di regole costituisce il diritto.
Il diritto, pertanto, si configura quale complesso di norme e principi che regola e protegge, su
basi di giustizia e in modo vincolante per tutti, la vita di relazione e il comportamento dell’uomo nella
società organizzata.

Funzione del diritto è quella di impedire che, nell’ambito delle relazioni tra i singoli si faccia
ricorso all’uso della violenza, consentendo di risolvere i conflitti con l’applicazione di regole predeterminate la cui osservanza è garantita dal carattere della coercibilità, attraverso l’applicazione di una
caratteristica sanzione per il caso della loro violazione.

L’ordinamento giuridico

L’ordinamento giuridico è costituito da un insieme di norme cosiddette giuridiche, le quali definiscono i comportamenti del gruppo ammessi, vietati o imposti, determinano gli organi e le procedure
necessarie per accertare e dichiarare l’inosservanza delle prescrizioni, stabiliscono le sanzioni da applicare in caso di violazione delle regole e prevedono l’uso della coercizione per ricondurre all’obbedienza i componenti del gruppo che al rispetto di tali regole si sottraggono.
Plurisoggettività, organizzazione, normazione ed effettività sono le caratteristiche dell’ordinamento giuridico.

Le norme giuridiche

Unità elementare del sistema del diritto è rappresentata dalla norma giuridica, che si presenta
strutturalmente caratterizzata dal precetto (comando contenuto della norma) e dalla sanzione (reazione che l’ordinamento minaccia in caso di inosservanza del precetto).

Caratteri delle norme giuridiche sono:
a) la generalità: sono generali quelle norme che non si rivolgono ad un destinatario specifico né ad
un insieme, anche ampio, di soggetti, pur sempre tutti individuabili, bensì ad una classe aperta di
destinatari non definibili a priori;
b) l’astrattezza: sono astratte le norme che non hanno ad oggetto comportamenti determinati,
bensì una tipologia di comportamento che potrà essere compiuto infinite volte nel tempo e nello spazio;
c) la coercibilità: le prescrizioni contenute nelle norme giuridiche sono assistite dalla possibilità di
impiegare la forza per ripristinare l’ordine violato o comunque sanzionare l’autore della violazione.
Nell’ambito delle norme giuridiche è possibile operare alcune classificazioni.

In base al contenuto si distingue tra:
a) norme precettive: sono norme che contengono un comando e dunque suscettibili di applicazione immediata, come tali giuridicamente vincolanti;
b) norme proibitive: norme che, a differenza delle prime, contengono un divieto ma che, al pari di
esse, sono suscettibili di immediata applicazione;
c) norme permissive: sono quelle che concedono ai soggetti particolari facoltà, garantite dall’ordinamento.
Si parla, invece, di norme programmatiche in relazione a quelle norme la cui applicazione è condizionata all’emanazione di norme ordinarie che diano attuazione ai programmi fissati dalle prime.

In relazione al comando si distingue tra:
a) norme derogabili: queste sono applicabili salvo che la volontà delle parti non disponga diversamente. Le norme derogabili possono essere, a loro volta:
1) norme dispositive, che regolano un rapporto lasciando le parti libere di disciplinarlo diversamente;
2) norme suppletive, che disciplinano un rapporto solo in mancanza di regolamentazione da
parte dei privati;
b) norme inderogabili (o cogenti): tali sono quelle norme che non lasciano spazio alla volontà dei
privati, essendo la loro applicazione imposta dall’ordinamento in considerazione del carattere generale dell’interesse protetto.

Le partizioni del diritto: diritto oggettivo e diritto soggettivo; diritto pubblico e diritto privato

La prima e tradizione partizione che si compie nel campo del diritto è quella tra diritto oggettivo
e diritto soggettivo.
Il diritto oggettivo è il complesso di norme obbligatorie, di imperativi, di comandi o di divieti che
regolano la condotta degli uomini e che si impongono ad essi indipendentemente dalla loro volontà,
quindi anche contro di essa.

Il diritto soggettivo designa l’insieme di poteri e facoltà attraverso i quali un individuo può ottenere il soddisfacimento di un proprio interesse in via diretta e immediata. Tali poteri e facoltà sono
necessariamente riconosciuti da norme che avallano le pretese dell’individuo. Il diritto oggettivo può
poi essere classificato secondo diverse branche e, in rapporto ad esse, assume rilevanza la grande
dicotomia diritto pubblico-diritto privato.

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La partizione, che si trova già nel diritto romano, si fonda su alcuni elementi che concorrono ad
individuare la natura pubblicistica o, piuttosto, privatistica della relazione disciplinata dalla norma
giuridica. Essi sono:
1) la qualità pubblica o privata dei soggetti coinvolti;
2) il carattere generale o particolare dell’interesse tutelato dalla norma;
3) la relazione di disuguaglianza o di uguaglianza che si instaura tra le parti del rapporto.
Il diritto pubblico regola i rapporti giuridici nei quali almeno una delle parti è un soggetto pubblico che agisce per soddisfare un interesse di ordine generale ed esercita un potere di supremazia o di comando nei confronti dell’altro o degli altri soggetti del rapporto. Le norme pubblicistiche, pertanto, disciplinano rapporti non paritari, in cui cioè si esprime una posizione speciale di supremazia, in genere riconosciuta allo Stato e agli altri enti pubblici per il conseguimento di fini o scopi collettivi.

Nel diritto pubblico prevale il principio dell’autorità, in quanto l’interesse generale della collettività
deve potersi realizzare anche senza il consenso, ed eventualmente nonostante l’opposizione, dei
soggetti che visono coinvolti e che si trovano in una posizione disubordinazione o soggezione rispetto al potere pubblico, di fronte al cui esercizio sono destinati a subire il sacrificio del loro interesse
particolare.

Il diritto privato regolamenta invece i rapporti nei quali le parti sono in una condizione di parità o
uguaglianza giuridica, vale a dire i comuni rapporti giuridici, di natura personale o patrimoniale, fra
consociati, fissando presupposti e limiti al soddisfacimento e alla tutela degli interessi particolari degli stessi. Esso regolamenta altresì i rapporti tra enti pubblici oppure tra enti pubblici e privati quando
il soggetto pubblico, pur operando in vista della realizzazione di un fine di carattere generale, tuttavia
agisce senza esercitare poteri di supremazia.

L’efficacia delle norme giuridiche

L’applicabilità delle norme giuridiche ha una sua dimensione, temporale e spaziale. Dal punto
di vista temporale, perché la norma possa entrare in vigore e dunque spiegare efficacia erga omnes
sono necessari:
1) la pubblicazione di essa nella Gazzetta Ufficiale dopo la promulgazione da parte del Capo dello Stato;
2) il decorso di un certo periodo di tempo (cd. vacatio legis), normalmente di 15 giorni, per consentire ai destinatari di venire a conoscenza della legge. Unica eccezione è rappresentata dal decreto legge, che entra in vigore a partire dal momento stesso della sua pubblicazione. Una volta entrata in vigore, la legge diviene obbligatoria per tutti, a prescindere dalla conoscenza che se ne abbia (ignorantia legis non excusat). Essa non ha effetto retroattivo, per cui non può essere applicata a situazioni di fatto o a rapporti giuridici sorti e conclusisi anteriormente alla sua entrata in
vigore, disponendo solo per l’avvenire (art. 11 disp. prel. c.c.). Il principio di irretroattività della legge, espressione di una fondamentale esigenza di certezza per tutti i cittadini, è derogabile nelle ipotesi in cui:
– il legislatore ritenga opportuno estendere gli effetti di una legge anche al passato;
– le leggi penali dispongano in modo più favorevole per il reo.

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L’eliminazione di norme in vigore prende il nome di abrogazione, con tale espressione intendendosi la cessazione della loro efficacia ex nunc. L’abrogazione può essere (art. 15 disp. prel. c.c.):

1) espressa, quando la legge successiva espressamente disponga l’abrogazione di quella precedente (o solo di alcuni articoli di essa);
2) tacita, quando le disposizioni della nuova legge siano incompatibili con quelle della precedente
o quando la nuova legge regoli l’intera materia già regolata dalla legge anteriore, per cui, facendosi applicazione del criterio cronologico di risoluzione delle antinomie, è l’ultima a prevalere.

Un modo particolare di abrogazione è dato dal referendum (art. 75 Cost.), in cui sono chiamati gli stessi cittadini, mediante votazione, a decidere a favore o contro l’abrogazione della legge in questione. Infine, della eliminazione di una legge dal panorama normativo può decidere la Corte costituzionale, per l’accertata illegittimità della stessa. Sotto il profilo spaziale, in base al principio della «territorialità della legge», le norme giuridiche spiegano efficacia nell’ambito del territorio entro il quale lo Stato esercita la sua sovranità. Tuttavia, la coesistenza di Stati diversi, ciascuno dotato di un proprio ordinamento le cui regole possono entrare in contrasto nel disciplinare situazioni
che presentano elementi di contatto con più sistemi nazionali, rende opportuno che ciascuno Stato
acconsenta, entro certi limiti, ad una limitazione della propria sovranità, mediante l’applicazione
nel proprio ordinamento anche di norme giuridiche prodotte in Stati diversi. Vengono in rilievo, in
proposito, le disposizioni della L. 218/1995 in materia di «Riforma del sistema italiano del diritto
internazionale privato», norme interne dello Stato che stabiliscono quale legge vada applicata nel
caso in cui un rapporto giuridico presenti elementi di estraneità rispetto all’ordinamento, perché
intercorre tra cittadini e stranieri o tra stranieri nel territorio nazionale oppure tra cittadini nazionali
all’estero. Le leggi penali e le leggi di pubblica sicurezza, in quanto dirette a garantire interessi preminenti della collettività, si applicano a tutti coloro che si trovano nel territorio dello Stato, anche se stranieri o apolidi. In ogni caso, le leggi di uno Stato estero non possono mai trovare applicazione in Italia quando siano contrarie all’ordine pubblico.

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L’interpretazione delle norme giuridiche

L’interpretazione delle norme costituisce un’attività intellettiva mediante la quale si mira a ricercare il significato di una determinata norma giuridica, partendo dalle parole con le quali è stata formulata fino a risalire alla volontà del legislatore, accertando le sue reali intenzioni anche al di là del significato letterale delle parole utilizzate. Dal punto di vista dei soggetti che esercitano l’attività interpretativa, si può distinguere tra:
a) interpretazione autentica: si tratta di quella compiuta dallo stesso legislatore il quale, per eliminare i dubbi interpretativi sorti in ordine ad una norma giuridica, può provvedere ad emanarne un’altra che chiarisca il significato e la portata della prima;
b) interpretazione giudiziale: è quella proveniente dagli organi deputati all’esercizio della funzione giurisdizionale e la sua efficacia è limitata esclusivamente al processo nel quale è stata formulata, vincolando solo le parti di esso;
c) interpretazione dottrinale (o scientifica): è quella contenuta nelle opere, negli articoli e nelle elaborazioni di professori di diritto, operatori pratici o cultori della materia. Tale interpretazione non riveste alcuna efficacia vincolante. Applicando i criteri enunciati dall’art. 12 disp. prel. c.c., è possibile individuare due diverse tipologie di  interpretazioni:

a) l’interpretazione letterale, che attribuisce alle disposizioni il significato proprio delle parole, così
come risulta dalle connessioni sintattiche fra le stesse;
b) l’interpretazione logica, che consente, quando permangono dubbi interpretativi a seguito di
quella letterale, di individuare la reale intenzione del legislatore.
Infine, in relazione agli esiti dell’attività interpretativa, si parla di:
c) interpretazione dichiarativa, quando i risultati dell’interpretazione letterale coincidono con
quelli dell’interpretazione logica;
d) interpretazione correttiva, quando i risultati delle due interpretazioni non coincidono.

L’interpretazione correttiva tende ad attribuire alle disposizioni un significato diverso da quello risultante in via immediata dalla lettera del testo, facendo leva sulla intenzione del legislatore e sulle finalità sottese alla disposizione in esame. Questo tipo di attività interpretativa può giungere a diverse conclusioni:
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