Il Comune può espropriare il sito necessario alla realizzazione di impianti di telefonia (Consiglio di Stato, sez. VI, 26 agosto 2003, n. 4847)

Redazione 27/08/00
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Dott. Donato N. L. Palombella
dpalombella@libero.it

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Esposizione dei fatti

Giurisprudenza

Natura giuridica

Differenza dalle opere pubbliche

Differenza dalle opere di urbanizzazione

Differenziazione nelle infrastrutture

Conclusioni

Gli impianti di telefonia mobile e le relative opere accessorie, sono da qualificare come opere private di pubblica utilità e, come tali, espropriabili. E’ questo il principio espresso dal Consiglio di Stato con sentenza del 26 agosto 2003, n. 4847 riportata in calce.

Esposizione dei fatti

Il Comune di Salsomaggiore Terme, nell’ambito dei poteri di pianificazione urbanistica, individua un certo numero di siti idonei alla collocazione degli impianti di telefonia mobile, adotta la relativa variante urbanistica e dispone l’espropriazione delle aree necessarie alla collocazione degli impianti.

Le aree oggetto di esproprio rimarrebbero nella proprietà del Comune, mentre ai gestori degli impianti andrebbe concesso l’uso del sito, naturalmente a titolo oneroso.

Il proprietario di una delle aree espropriate, impugna la procedura ablativa dinanzi al T.A.R. – che accoglie il ricorso ritenendo gli impianti opere private e – come tali – non soggette ad esproprio (sentenza T.A.R. Emilia Romagna – Parma, 6 febbraio 2003 n.54).

Viene proposto appello dinanzi al Consiglio di Stato sostenendo che i siti de quo non solo andrebbero qualificati come opera pubblica – e, come tale, soggetta ad esproprio – ma rientrerebbero all’interno delle opere di urbanizzazione.

Giurisprudenza

L’argomento della decisione rivela la propria importanza considerando che coinvolge tematiche diverse: urbanistica, tutela della salute pubblica, necessità di realizzare moderne infrastrutture.

Si ricorda che la sentenza in commento segue una serie di decisioni susseguitesi negli ultimi mesi; con diverse pronunce ( CdS, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6391 e Sez. VI, 30 maggio 2003, n. 2997, T.A.R. Campania-Napoli, sez. IV, del 7 maggio 2003, n. 5195) la giurisprudenza ha stabilito che gli enti locali non possono escludere l’installazione di antenne in alcune zone urbane sulla base della salvaguardia della salute pubblica in quanto tale campo esula dalle proprie competenze e che (CdS, sez. VI, 10 febbraio 2003, n. 673) in assenza di una specifica previsione urbanistica la collocazione degli impianti di telefonia mobile deve ritenersi consentita sull’intero territorio comunale, essendoci un interesse generale ad ottenerne la “copertura”.

Sull’argomento di segnala la decisione del T.A.R. Toscana, sez. I, dell’11 dicembre 2002 – 16 gennaio 2003 n. 12 che fornisce una panoramica dell’evoluzione normativa in atto.

Natura giuridica

Nella decisione in commento, il C.d.S. ha ritenuto che «gli impianti di telefonia mobile, e le relative opere accessorie, non siano da qualificare né come opere private in senso stretto, né come opere pubbliche, bensì come opere private di pubblica utilità» con quante ne consegue.

Conseguenze della decisione

La qualificazione delle opere come «opere private di pubblica utilità» comporta una serie di conseguenze di ordine pratico oltre che giuridico e precisamente:

a) il potere, da parte del Comune, di procedere alla localizzazione dei siti destinati alla localizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione;

b) la possibilità di sottoporre ad esproprio le aree interessate;

c) la quantificazione dell’indennità di esproprio (da determinare in funzione del valore venale del bene).

Con l’occasione, l’organo giurante ha fornito una differenziazione tra le opere infrastrutturali per telefonica, le opere pubbliche e le opere di urbanizzazione.

Differenza dalle opere pubbliche

Pur essendoci un innegabile interesse generale alla realizzazione degli impianti di telefonia, tali opere non possono essere qualificate come opere pubbliche per varie ragioni e precisamente perché:

a) vengono realizzate da soggetti privati;

b) vengono destinate a gestire un servizio con criteri imprenditoriali;

c) per la loro realizzazione è comunque necessario un titolo abilitativo dei lavori (a differenza delle opere pubbliche – ex art. 7 DPR 380/01).

Si ricorda che l’art. 3, let, e.4 del D.P.R. 380/01 (T.U. edilizia) comprende all’interno delle opere di nuova costruzione gli interventi diretti alla «realizzazione di torri e tralicci, per impianti radio-ricetrasmittenti ed i ripetitori per i servizi di telecomunicazione», assoggettandoli, per questa via, al preventivo titolo abilitativo dei lavori.

Differenza dalle opere di urbanizzazione

Fino a poco tempo addietro, l’elencazione delle opere di urbanizzazione era contenuta in un insieme di norme abbastanza variegato; a tale “disordine” il Legislatore ha cercato di porre rimedio (riuscendoci – in verità – solo in parte) con il D.P.R. 380/01, entrato in vigore solo il 30/6/2003; l’art. 16 – infatti – fornisce un’elencazione indicativa delle opere di urbanizzazione.

Peraltro la Legge 1 agosto 2002, n. 166 (disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti) ha modificato l’art. 16 inserendo, al suo interno, i «cavedi e i cavidotti per il cablaggio degli edifici»: le infrastrutture di telecomunicazione, pertanto, non rientrano in tale ambito.

Si sottolinea, al riguardo, che mentre le opere di urbanizzazione (vedi, per esempio, le strade) vengono acquisite al patrimonio pubblico e gestite dal Comune, le infrastrutture, al contrario, rimangono normalmente nella proprietà dei soggetti privati che provvedono direttamente alla loro gestione con criteri imprenditoriali.

Differenziazione nelle infrastrutture

L’art.3 d.lgs. 4 settembre 2002, n. 198 (Infrastrutture di telecomunicazioni), introduce una differenziazione all’interno delle infrastrutture di telecomunicazioni distinguendo tra infrastrutture:

a) strategiche (individuate dal CIPE) e qualificate come opere di interesse nazionale;

b) infrastrutture di telecomunicazione – art. 4 (per impianti radioelettrici, l’installazione di torri, tralicci, impianti radio-trasmittenti, ripetitori, stazioni radio di varia tipologia ecc.) compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e realizzabili in ogni parte del territorio comunale anche in deroga agli strumenti urbanistici;

c) infrastrutture strumentali – artt. 7 (opere civili, scavi ed occupazioni di suolo pubblico necessari per le installazioni) 8, 9 (reti dorsali – l’approvazione dei relativi progetti vale come dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza dei lavori.) assimilabili alle opere di urbanizzazione primaria, pur restando di proprietà dei rispettivi operatori, ad esse si applica la normativa vigente in materia.

Conclusioni

La decisione riveste un particolare interesse perché qualificare i siti necessari all’installazione degli impianti di telefonia mobile, come opere private di pubblica utilità comporta, implicitamente, la possibilità, per il Comune, di decidere autonomamente il loro posizionamento.

Si ricorderà, al riguardo, le polemiche sorte in merito alla realizzazione di nuovi elettrodotti ed impianti di telecomunicazioni a causa delle preoccupazioni sulla loro presunta pericolosità per la salute pubblica a causa della supposta pericolosità delle onde elettromagnetiche.

Il problema, quindi, non è semplicemente di natura urbanistica ma riguarda la tutela della salute pubblica.

Non si può fare a meno di sottolineare che, mancando delle certezze sull’esistenza del possibile rapporto causa-effetto tra inquinamento da onde elettromagnetiche e leucemie -specie infantili –

l’interesse generale alla realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni, dovrebbe essere contemperato con la salvaguardia della salute pubblica.

Tutti vogliono usare le nuove tecnologie, i cellulari sono ormai entrati nell’uso quotidiano ma fin troppo spesso si dimenticano i possibili danni per la propria salute e per quella dei propri cari.

Ci si augura che i Comuni vogliano esercitare i loro poteri avendo un occhio di riguardo per la salute dei loro cittadini, diversamente, vorrà dire che ancora una volta è stato segnato un punto a discapito dell’ambiente e degli interessi del cittadino (riproduzione riservata).

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.4847/03Reg.Dec.

N. 2186 Reg.Ric.

ANNO 2003

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 2186/2003, proposto da Comune di Salsomaggiore Terme, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati G.C. e S.A.R., ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, ___;

contro

L.B. snc, di M.G. & C., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati A.A., A.C. e S.V., ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, in Roma,___;

e nei confronti di

W. spa, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati L.M e P.F., ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, ___, anche appellante incidentale;

V. spa, B. spa, T. spa., H.spa, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, non costituite in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per l’Emilia –Romagna – Parma, 6 febbraio 2003, n. 54, resa tra le parti.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellata e l’appello incidentale di W.;

visti tutti gli atti della causa;

relatore alla pubblica udienza del 6 giugno 2003 il consigliere R.D.N. e uditi l’avv. R. per l’appellante principale, l’avv. L. per delega dell’avv. F. per l’appellante incidentale, l’avv. V. per la società appellata;

ritenuto e considerato quanto segue.

FATTO E DIRITTO

1. Il Comune di Salsomaggiore Terme, anche in considerazione della sua particolare vocazione nel campo termale e in vista del conferimento del relativo marchio di qualità ai sensi dell’art. 13, l. n. 323/2000, nell’ambito dei poteri di pianificazione urbanistica previsti dall’art. 8, l. n. 36/2001, a tenore del quale i Comuni possono approvare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti di telefonia e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, individuava un certo numero di siti idonei alla collocazione degli impianti.

Tanto, al fine di evitare la ubicazione degli impianti in modo disordinato e al di fuori di un programma rispettoso dell’ambiente e della conformazione del territorio.

Con delibera 12 febbraio 2001, n. 33, il Comune di Salsomaggiore assumeva un atto di indirizzo in cui si stabilisce tra l’altro che il Comune possa reperire direttamente, con oneri a carico dei soggetti gestori, le aree interessate dalla collocazione degli impianti.

Con delibera 6 febbraio 2002, n. 6, il Comune approvava il piano di coordinamento e autorizzava gli uffici comunali a predisporre i progetti dei siti e gli atti necessari alla loro realizzazione.

Con nota 4 marzo 2002 il Comune informava i proprietari delle aree individuate come idonee.

Con delibera 30 maggio 2002, n. 59, il Comune approvava il progetto relativo a 8 siti attrezzati per la collocazione delle antenne di telefonia mobile e adottava la relativa variante urbanistica ai sensi dell’art. 1, l. n. 1/1978; con lo stesso atto veniva integrato il programma triennale delle opere pubbliche.

Tale progetto non riguarda gli impianti di telefonia mobile, bensì i siti attrezzati per la collocazione degli impianti.

Viene prevista l’espropriazione delle aree da utilizzare per i siti attrezzati, il mantenimento della proprietà delle aree in capo al Comune, la realizzazione di tali siti direttamente da parte del Comune, la concessione delle aree a titolo oneroso ai gestori degli impianti di telefonia mobile.

2. Con ricorso al T.A.R. per l’Emilia – Romagna – Parma, la società L.B., proprietaria di una delle aree oggetto del progetto approvato dal Comune, impugnava gli atti sopra indicati.

Il T.A.R. adito con la sentenza in epigrafe ha accolto il primo motivo di ricorso, ritenendo, in adesione alla tesi della ricorrente, che:

la realizzazione da parte del Comune di un sito attrezzato su cui i gestori di telefonia possano allestire i propri impianti non costituirebbe un’opera pubblica, sicché insussistente sarebbe il potere espropriativo in capo al Comune medesimo. Così come gli impianti di telefonia non sarebbero opere pubbliche, ma opere private, ancorché di interesse pubblico.

Il T.A.R. ha assorbito i restanti motivi di ricorso.

3. Hanno spiegato appello principale il Comune di Salsomaggiore e la W. , deducendo che in base alla normativa vigente il Comune avrebbe il potere di espropriare aree da destinare a siti attrezzati per gli impianti di telefonia, aree che rimangono di proprietà pubblica. Tali siti sarebbero da qualificare come opera pubblica, con la conseguente applicabilità del procedimento di cui all’art. 1, l. n. 1/1978. Inoltre tali opere andrebbero qualificate come vere e proprie opere di urbanizzazione.

Entrambi gli appelli, poi, eccepiscono l’inammissibilità per tardività del ricorso di primo grado, in relazione alle delibere 12 febbraio 2001, n. 33, e 6 febbraio 2002, n. 6.

Tali provvedimenti sarebbero stati portati a conoscenza della società ricorrente con nota del 4 marzo 2002.

4. Nell’ordine logico delle questioni, va anzitutto esaminata l’eccezione di tardività del ricorso di primo grado.

La stessa è infondata.

Invero, il termine per impugnare i provvedimenti amministrativi decorre dalla loro notificazione, comunicazione, o piena conoscenza.

E’ onere di chi eccepisce la tardività del ricorso provare la data dell’evento della conoscenza.

Ora, la nota 4 marzo 2002 si limita a citare il provvedimento 6 febbraio 2002, n. 6 (e non anche il provvedimento n. 33/2001), senza allegarlo e senza riportarne il contenuto.

Si deve perciò escludere che la nota 4 marzo 2002 equivalga a notificazione, comunicazione, o comunque piena conoscenza del provvedimento n. 6/2002 e del provvedimento n. 33/2001.

Né gli appellanti hanno in altro modo dimostrato come e in che data la società ricorrente in prime cure abbia avuto piena conoscenza di tali atti.

5. Nel merito, il motivo principale dei due appelli è solo parzialmente fondato.

La sentenza gravata merita riforma laddove esclude la sussistenza del potere espropriativo del Comune per la realizzazione di siti attrezzati da destinare ad impianti di telefonia mobile. Deve invece ritenersi corretto l’annullamento del provvedimento 30 maggio 2002, n. 59, per avere lo stesso seguito illegittimamente il procedimento di variante urbanistica di cui all’art. 1, l. n. 1/1978.

Ritiene infatti il Collegio che gli impianti di telefonia mobile, e le relative opere accessorie, non siano da qualificare né come opere private in senso stretto, né come opere pubbliche, bensì come opere private di pubblica utilità.

Sicché, è consentita l’espropriazione, ma:

l’art. 1, l. n. 1/1978, è inapplicabile, riferendosi solo alle opere pubbliche;

l’indennità di espropriazione va commisurata al valore venale.

A tali conclusioni si perviene alla luce del quadro normativo, sia quello vigente all’epoca di adozione degli atti impugnati, sia quello sopravvenuto.

5.1. Anzitutto, la l. 22 febbraio 2001, n. 36, <<Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici>>, all’art. 8, co. 6, stabilisce, in relazione agli impianti di telefonia mobile, che <<I comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici>>.

Sussiste dunque senz’altro il potere di pianificazione urbanistica dei Comuni in relazione agli impianti di telefonia mobile.

5.2. Occorre ora stabilire la natura giuridica di tali impianti.

Il servizio di telefonia mobile è considerato un servizio pubblico, come si evince dall’art. 2, co. 1, d.p.r. 19 settembre 1997, n. 318, a tenore del quale: <<L’installazione, l’esercizio e la fornitura di reti di telecomunicazioni nonché la prestazione dei servizi ad esse relativi accessibili al pubblico sono attività di preminente interesse generale>>.

Quanto alla natura giuridica degli impianti, rilevante anche ai fini urbanistici per la loro localizzazione, si tratta di impianti di interesse generale, gestiti da soggetti privati con criteri imprenditoriali.

Sicché, la qualificazione corretta degli impianti è di opere private di pubblica utilità.

5.3. Giova in proposito esaminare il contenuto del d.lgs. 4 settembre 2002, n. 198, non in vigore all’epoca di adozione degli atti impugnati, ma che ha una portata ricognitiva della precedente elaborazione.

L’art. 3, d.lgs. n. 198/2002, rubricato <<Infrastrutture di telecomunicazioni>>, distingue: 1) infrastrutture di telecomunicazioni strategiche, come individuate con la delibera CIPE di cui all’art. 1, l. n. 443/2001; infrastrutture di telecomunicazione di cui all’art. 4; infrastrutture strumentali di cui agli artt. 7, 8, 9.

Le prime sono opere di interesse nazionale; le seconde sono compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e sono realizzabili in ogni parte del territorio comunale; le terze sono assimilate alle opere di urbanizzazione primaria, ma rimangono di proprietà dei rispettivi operatori.

In particolare l’articolo così dispone:

<<1. Le categorie di infrastrutture di telecomunicazioni, considerate strategiche ai sensi dell’articolo 1, comma 1, della legge 21 dicembre 2001, n. 443 sono opere di interesse nazionale, realizzabili esclusivamente sulla base delle procedure definite dal presente decreto, anche in deroga alle disposizioni di cui all’articolo 8, comma 1, lettera c), della legge 22 febbraio 2001, n. 36.

2. Le infrastrutture di cui all’articolo 4, ad esclusione delle torri e dei tralicci relativi alle reti di televisione digitale terrestre, sono compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e sono realizzabili in ogni parte del territorio comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento.

3. Le infrastrutture di cui agli articoli 7, 8 e 9 sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria di cui all’articolo 16, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, pur restando di proprietà dei rispettivi operatori, e ad esse si applica la normativa vigente in materia>>.

In particolare, le infrastrutture di cui all’art. 4, sono: infrastrutture per impianti radioelettrici l’installazione di torri, di tralicci, di impianti radio-trasmittenti, di ripetitori di servizi di telecomunicazione, di stazioni radio base per reti di telecomunicazioni mobili GSM/UMTS, per reti di diffusione, distribuzione e contribuzione dedicate alla televisione digitale terrestre, per reti a radiofrequenza dedicate alle emergenze sanitarie ed alla protezione civile, nonché per reti radio a larga banda puntomultipunto nelle bande di frequenza all’uopo assegnate>>.

L’art. 7, a sua volta, si riferisce ad opere civili, scavi ed occupazioni di suolo pubblico, strumentali all’installazione di infrastrutture di telecomunicazioni.

L’art. 9 riguarda le <<reti dorsali>> e prevede che l’approvazione delle stesse vale anche come dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza dei lavori.

5.4. A sua volta, l’art. 16, d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 (testo unico dell’edilizia, in parte qua ricognitivo del diritto vigente), non qualifica le infrastrutture di telecomunicazione come opere di urbanizzazione primaria o secondaria, salvo che per i cavedi e i cavidotti; dispone, infatti, l’articolo in commento, ai commi 7, 7 bis (introdotto quest’ultimo dalla l. n. 166/2002), e 8:

<<7. Gli oneri di urbanizzazione primaria sono relativi ai seguenti interventi: strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell’energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione, spazi di verde attrezzato.

7-bis. Tra gli interventi di urbanizzazione primaria di cui al comma 7 rientrano i cavedi multiservizi e i cavidotti per il passaggio di reti di telecomunicazioni, salvo nelle aree individuate dai comuni sulla base dei criteri definiti dalle regioni.

8. Gli oneri di urbanizzazione secondaria sono relativi ai seguenti interventi: asili nido e scuole materne, scuole dell’obbligo nonché strutture e complessi per l’istruzione superiore all’obbligo, mercati di quartiere, delegazioni comunali, chiese e altri edifici religiosi, impianti sportivi di quartiere, aree verdi di quartiere, centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie. Nelle attrezzature sanitarie sono ricomprese le opere, le costruzioni e gli impianti destinati allo smaltimento, al riciclaggio o alla distruzione dei rifiuti urbani, speciali, pericolosi, solidi e liquidi, alla bonifica di aree inquinate>>.

5.5. Da tali norme si evince la sussistenza di un interesse generale alla realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione, e delle infrastrutture accessorie; si evince altresì che l’approvazione dei progetti relativi alle reti dorsali vale come dichiarazione di pubblica utilità.

Ma si evince altresì che le opere in questione non assurgono alla qualificazione e al regime delle opere pubbliche, in quanto:

sono realizzate da soggetti privati;

sono destinate alla gestione di un servizio con criteri imprenditoriali;

necessitano comunque di un atto di autorizzazione, a differenza delle opere pubbliche (v. art. 7, t.u. edilizia);

le infrastrutture di telecomunicazione non vengono qualificate come opere pubbliche né come opere di urbanizzazione;

le infrastrutture accessorie sono assimilate alle opere di urbanizzazione, ma rimangono di proprietà dei soggetti privati; il che comporta la necessità di titolo abilitativo, a differenza che per le opere pubbliche di urbanizzazione, secondo quanto si evince sia dall’3, co. 1, lett. e.2., t.u. edilizia, sia dalla precedente giurisprudenza che ha sempre ritenuto assoggettate a concessione edilizia le opere di urbanizzazione primaria e secondaria non realizzate dal Comune.

5.6. La natura di opere private di pubblica utilità delle infrastrutture di telecomunicazione trova indiretta conferma pure nell’art. 3, co. 3, l. 1° agosto 2002, n. 166 <<disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti>> a norma del quale la procedura di cui all’art. 43, t.u. espropriazioni, in materia di acquisizione di beni privati senza titolo espropriativo, può trovare applicazione anche per l’eventuale acquisizione del diritto di servitù al patrimonio di soggetti, privati o pubblici, titolari di concessioni, autorizzazioni o licenze o che svolgano, anche in base a legge, servizi di interesse pubblico nei settori di cui al comma 1 (trasporti, telecomunicazioni, acque, energia), con oneri di esproprio a carico dei soggetti beneficiari.

Ora, la espropriabilità del diritto di servitù (e se del caso l’acquisizione con la procedura di sanatoria dell’art. 43, t.u. espropriazioni) in favore di soggetti che svolgono servizi di interesse pubblico nel settore, tra l’altro, delle telecomunicazioni, non avrebbe necessitato di una espressa previsione normativa, se si fosse trattato di opere pubbliche; la espressa previsione si giustifica nell’ottica della natura di opere private di pubblica utilità.

5.7. Anche in relazione al quadro normativo anteriore al d.lgs. n. 198/2002 e alla l. n. 166/2002, la giurisprudenza aveva ritenuto che in assenza di una specifica previsione urbanistica la collocazione degli impianti di telefonia mobile deve ritenersi consentita sull’intero territorio comunale, non assumendo carattere ostativo le specifiche destinazioni di zona (residenziale, verde, agricola, etc.) rispetto ad impianti di interesse generale, che presuppongono la realizzazione di una rete che dia uniforme copertura al territorio, in quanto la localizzazione degli impianti nelle sole zone in cui ciò è espressamente consentito si porrebbe in contrasto proprio con l’esigenza di permettere la copertura del servizio sull’intero territorio>> (C. Stato, sez. VI, 10 febbraio 2003, n. 673).

Ma aveva tuttavia escluso che tali opere fossero da qualificare come opere pubbliche o di urbanizzazione, e aveva ritenuto che fossero soggette a concessione edilizia, in particolare, le stazioni radio base per telefonia cellulare e le relative antenne, atteso che tali impianti non possono ritenersi urbanisticamente irrilevanti, non essendo precari e tanto meno privi di impatto estetico ed ambientale (C. Stato, sez. V, 6 aprile 1998, n. 415).

5.8. Ancora, in base all’art. 231, co. 1, d.p.r. 29 marzo 1973, n. 156, <<Gli impianti di telecomunicazioni e le opere accessorie occorrenti per la funzionalità di detti impianti, semprechè siano esercitati dallo Stato o dai concessionari, per i servizi concessi ad uso pubblico, hanno carattere di pubblica utilità>>.

Sicché, gli impianti di telecomunicazione non sono qualificabili come opere pubbliche, bensì come opere di pubblica utilità.

Lo stesso art. 231, d.p.r. n. 156/1973, pur consentendo l’espropriazione per l’acquisizione delle aree necessarie per tali impianti, la considera una estrema ratio, cui ricorrere quando non sia possibile una acquisizione negoziale:

<<Per l’acquisizione patrimoniale dei beni immobili necessari alla realizzazione degli impianti e delle opere, di cui al primo comma, può esperirsi la procedura di esproprio prevista dalla legge 25 giugno 1865, n. 2359, e successive modificazioni ed aggiunte.

Tale procedura può essere esperita dopo che siano andati falliti, o non sia stato possibile effettuare, i tentativi di bonario componimento con i proprietari dei fondi sul prezzo di vendita offerto, da valutarsi da parte degli uffici tecnici erariali competenti>>.

5.9. Sicché, sia il quadro normativo in vigore alla data di adozione degli atti impugnati, sia il d.lgs. n. 198/2002, confermano che le infrastrutture di telecomunicazione e quelle ad esse accessorie, sono opere private di pubblica utilità.

Il che implica:

– la possibilità di utilizzare lo strumento espropriativo, che riguarda sia le opere pubbliche che quelle private di pubblica utilità (come ora confermato dall’art. 1, co. 1, d.lgs. 2001 , n. 327, testo unico delle espropriazioni immobiliari: <<il presente testo unico disciplina l’espropriazione, anche a favore di privati, dei beni immobili o di diritti relativi ad immobili per l’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità>>, in parte qua confermativo della disciplina precedente);

– la sottoposizione dell’espropriazione finalizzata a opere private di pubblica utilità a regole parzialmente difformi rispetto a quelle dettate per le opere pubbliche:

– anzitutto, l’indennità va commisurata al valore venale (come ora confermato dall’art. 36, t.u. espropriazioni, confermativo della costante elaborazione giurisprudenziale, secondo cui il criterio del valore venale si applica alle espropriazioni a favore di privati, diverse da quelle finalizzate agli interventi di edilizia residenziale pubblica; cfr. Cass., 7 novembre 1981, n. 5880; Cass., sez. un., 25 gennaio 1989, n. 409);

– in secondo luogo, è inapplicabile l’art. 1, l. n. 1/1978, che riguarda solo le opere pubbliche, o quelle di pubblica utilità che fruiscono di finanziamento pubblico (v. C. Stato, ad. plen. 25 gennaio 2000, n. 9; solo il testo unico per le espropriazioni immobiliari, non ancora in vigore, assimila in toto il procedimento espropriativo per le opere pubbliche e di pubblica utilità, salvo che per la misura dell’indennità).

5.10. Venendo al caso di specie, occorre considerare che:

il Comune si è avvalso del procedimento di variante urbanistica di cui all’art. 1, l. n. 1/1978, per acquisire un’area da adibire a sito attrezzato, destinato a rimanere di proprietà comunale, e da affidare in concessione ai gestori di telefonia mobile per l’installazione degli impianti necessari;

il Comune ha altresì previsto che gli oneri del procedimento espropriativo fossero a carico dei soggetti gestori.

Ora, dal complesso quadro normativo si evince che sono opere di pubblica utilità, e non opere pubbliche, non solo le infrastrutture di telecomunicazione, ma anche le infrastrutture a queste strumentali.

Sicché, la sola circostanza che il Comune rimane proprietario delle aree espropriate e che realizza direttamente il sito, non vale a qualificare l’opera come opera pubblica, in quanto:

l’intervento è finanziato dai soggetti privati interessati;

l’intervento è strettamente strumentale alle infrastrutture di telecomunicazione.

5.11. La sussistenza del potere espropriativo in capo al Comune per la realizzazione di siffatte opere private di pubblica utilità discende dalla spettanza, ai Comuni, dei poteri di pianificazione urbanistica al fine della corretta localizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione (art. 8, l. n. 36/2001); in tale ottica, l’espropriazione appare strumentale alla corretta pianificazione e inserimento nel tessuto urbano di tali opere.

Deve invero ritenersi sussistente un potere generale del Comune di espropriare le aree inedificate, al fine della corretta attuazione del piano regolatore, ora sancito dall’art. 7, co. 1, lett. a), t.u delle espropriazioni (<<Il Comune può espropriare: a) le aree inedificate e quelle su cui vi siano costruzioni in contrasto con la destinazione di zona o abbiano carattere provvisorio, a seguito dell’approvazione del piano regolatore generale, per consentirne l’ordinata attuazione nelle zone di espansione>>), che ha recepito la previsione di cui all’art. 18, co. 1, l. 17 agosto 1942, n. 1150 (<<18. Espropriabilità delle aree urbane. In conseguenza dell’approvazione del piano regolatore generale i Comuni, allo scopo di predisporre l’ordinata attuazione del piano medesimo, hanno facoltà di espropriare entro le zone di espansione dell’aggregato urbano di cui al n. 2 dell’art. 7 le aree inedificate e quelle su cui insistano costruzioni che siano in contrasto con la destinazione di zona ovvero abbiano carattere provvisorio>>).

A tale norma generale si aggiunge quella, specifica, di cui al già citato art. 231, co. 1, d.p.r. n. 156/1973, che consente il ricorso alla procedura di esproprio per l’acquisizione delle aree occorrenti per la realizzazione degli impianti di telecomunicazione e opere accessorie. Ancora, un argomento si trae dall’art. 6, co. 9, T.U. espropria (in vigore dal 1° luglio 2003) a tenore del quale per l’espropriazione finalizzata alla realizzazione di opera privata, autorità espropriante è l’ente che emana il provvedimento da cui deriva la dichiarazione di pubblica utilità.

Fermo restando che il Comune ben poteva espropriare le aree destinate alla realizzazione dei siti su cui ubicare gli impianti di telecomunicazione, tuttavia il procedimento non poteva svolgersi con l’applicazione dell’art. 1, l. n. 1/1978.

Alla luce di quanto esposto, si deve concludere che la sentenza gravata va riformata nella parte in cui nega la sussistenza del potere espropriativo in capo al Comune, mentre merita conferma l’annullamento giurisdizionale del provvedimento n. 59/2002, per aver seguito il procedimento di cui all’art. 1, l. n. 1/1978.

Resta impregiudicata l’applicazione del jus superveniens (d.lgs. n. 198/2002) in ordine alla compatibilità delle infrastrutture di telecomunicazione con ogni destinazione di zona dello strumento urbanistico.

6. Passando all’esame degli altri motivi del ricorso di primo grado, che il T.A.R. ha assorbito:

6.1. va respinto il secondo motivo del ricorso di primo grado, fondato sull’erroneo assunto della natura di opera pubblica dell’intervento progettato dal comune;

6.2. è assorbito dall’annullamento del provvedimento n. 50/2002 il terzo motivo del ricorso di primo grado, con cui si deduce l’inidoneità dell’approvazione del progetto (asseritamente solo preliminare) a produrre l’effetto di variante urbanistica di cui all’art. 1, l. n. 1/1978;

6.3. va disatteso il terzo motivo del ricorso di primo grado, relativo ai requisiti della progettazione, fondato sull’erroneo assunto della natura di opera pubblica dell’intervento progettato dal comune;

6.4. va respinto il quarto motivo di ricorso, con cui si lamenta l’omissione dell’avviso di avvio del procedimento relativamente agli atti anteriori al provvedimento n. 59/2002, trattandosi di atti non aventi destinatari agevolmente individuabili; mentre per quanto riguarda l’omissione di avviso di avvio del procedimento in relazione al provvedimento n. 59/2002, la censura è fondata (non avendo la nota 4 marzo 2002, n. 5295, valore di avviso di avvio del procedimento di espropriazione, ma solo di autorizzazione ai tecnici di accedere a terreni privati, allo scopo di progettazione dei siti), ma assorbita dall’annullamento giurisdizionale di tale provvedimento per erronea applicazione della l. n. 1/1978.

7. La novità delle questioni giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso principale e su quello incidentale in epigrafe, li accoglie in parte, nei sensi di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la pubblica amministrazione dia esecuzione alla presente decisione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 giugno 2003, con la partecipazione di:

omissis

(La sentenza è reperibile sul sito http://www.giustizia-amministrativa.it/Mie.html )

Redazione

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