Il comportamento della pa è colpevole per aver confermato un provvedimento già censurato dai giudici (TAR Sent. N.00409/2012)

Lazzini Sonia 08/02/13
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Contrariamente a quanto sostenuto dall’Amministrazione resistente, infatti, nel caso in esame sussistono tutti gli elementi costitutivi del danno, compreso l’elemento soggettivo.

A tale proposito, si osserva che pur volendo prescindere dalla considerazione che, a seguito alla sentenza della Corte di Giustizia CE, sez. III, 30 settembre 2010, nella causa C-314/2009, in relazione ad una controversia avente ad oggetto l’affidamento di un appalto pubblico, non pare più possibile subordinare la concessione del risarcimento per equivalente all’accertamento del carattere colpevole della violazione delle norme sugli appalti pubblici commessa dalla stazione appaltante (TAR Lazio, Latina, sez. I, 14 gennaio 2011, n.21; TAR Sicilia, Catania, sez. IV, 7 dicembre 2010, n. 4624; TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 4 novembre 2010, n. 4552; per una completa panoramica dell’evoluzione giurisprudenziale sul punto v. Consiglio di Stato n. 428/2012), si rileva che la condotta tenuta da SACAL è già qualificabile come “colpevole” per aver ritenuto di confermare e ribadire la motivazione di un provvedimento che era stata esplicitamente e chiaramente censurata dal Consiglio di Stato con la più volte citata sentenza n. 2390/2005.

L’entità del risarcimento, che corrisponde alla perdita definitiva dell’aggiudicazione dell’appalto, investe, innanzi tutto, il lucro cessante e cioè l’utile economico che sarebbe derivato dall’esecuzione dell’appalto in caso di aggiudicazione non avvenuta per illegittimità dell’azione amministrativa e, sotto altro profilo, il danno emergente, inteso come diminuzione patrimoniale dovuta alle spese ed agli esborsi sostenuti per la partecipazione alla gara.

Quanto alla prima voce di danno, è noto che, secondo un orientamento giurisprudenziale cui il Collegio ritiene di aderire, essa è generalmente reputata pari al 10% dell’offerta formulata dall’impresa partecipante, criterio questo cui fa riferimento la giurisprudenza in applicazione analogica dell’art. 345 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, allegato F, sulle opere pubbliche, sostanzialmente riprodotto dall’art. 122 del regolamento emanato con D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554, che quantificava in tale misura il danno risarcibile a favore dell’appaltatore in caso di recesso della P.A. (ciò sia allo scopo di ovviare ad indagini alquanto difficoltose ed aleatorie sia allo scopo di cautelare la P.A. da eventuali richieste di liquidazioni eccessive), disposizioni ora entrambe abrogate e sostanzialmente riprodotte nell’art. 134 del D.Lgs. 163/2006.

E’ però altrettanto noto come la giurisprudenza riconosca la spettanza nella sua interezza dell’utile di impresa nell’indicata misura del 10%, qualora l’impresa partecipante possa documentare di non aver potuto utilizzare le maestranze ed i mezzi, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi.

Nel caso in cui, invece, tale dimostrazione non sia stata offerta è da ritenere che l’impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri analoghi lavori, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità; in tale ipotesi il risarcimento può essere ridotto in via equitativa, in misura pari al 5% dell’offerta dell’impresa (in tal senso, tra le molte, Consiglio di Stato, sez. IV, 27 ottobre 2003, n. 6666; TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 10 maggio 2010, n.3505). Nel caso in esame, la ricorrente Ricorrente Technologies Inc. non ha allegato alcun elemento in tale senso, essendo, del resto, ragionevole presumere che parte ricorrente abbia potuto reimpiegare la propria organizzazione imprenditoriale in altre attività.

L’offerta cui si dovrà fare riferimento per l’applicazione della percentuale indicata, è quella riportata nel verbale di gara del 24.7.2003, dato dalla somma del costo degli apparati con la cifra complessiva (cinque anni) del costo di manutenzione.

La somma così determinata deve considerarsi compensativa anche del “danno emergente “, pure richiesto dalla ricorrente, identificato nel costo affrontato dal medesimo per la presentazione dell’offerta; non risultando, infatti, che tale costo fosse rimborsabile al concorrente, in caso di aggiudicazione dell’appalto, deve ritenersi che la predetta somma costituisse un investimento ma anche un rischio dell’impresa, funzionale alla previsione di guadagno già sopra quantificata e ritenuta liquidabile (Consiglio di Stato, sez. VI, 2 marzo 2009, n. 1180).

Quanto, infine, al riconoscimento delle spese sostenute dalla ricorrente per i procedimenti in primo grado avanti al TAR (n. R.G. 1277/03) e in secondo grado avanti al Consiglio di Stato (n. R.G. 4920/04), pure richieste, si rileva che il Consiglio di Stato, con la più volte citata sentenza n.2390/2005, ha già provveduto in ordine alle spese di causa di entrambi i gradi di giudizio.

In definitiva, la domanda risarcitoria è accolta, nei limiti e nell’importo sopra indicato (5% dell’offerta presentata da Ricorrente Technologies Inc. come sopra determinata), con conseguente condanna dell’Amministrazione resistente al pagamento del dovuto.

Sentenza collegata

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