Il Collegio, in linea con la giurisprudenza prevalente, ritiene corretto dare, a tal fine, applicazione analogica al disposto di cui all’art. 345, l. n. 2248/1865, all. F, ai sensi del quale l’amministrazione, qualora eserciti il diritto di recesso unilat

Lazzini Sonia 14/05/09
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Qual è il parere dell’adito giudice amministrativo relativamente <alla declaratoria del proprio diritto (della ricorrente)  ad ottenere il risarcimento del danno, derivante dal mancato affidamento del “servizio di preparazione di pasti caldi per la refezione nelle scuole materne”, a seguito della procedura indetta dal Comune di Martina Franca, con bando del 26.8.2005, per l’anno scolastico 2005/2006 e la conseguente condanna del Comune di Martina Franca a pagare, in favore della ricorrente, l’importo complessivo di euro 28.933,75, di cui euro 16.933,75 per mancato utile; euro 10.000,00 quale risarcimento equitativo per mancato conseguimento del requisito economico da poter esibire nelle successive procedure ad evidenza pubblica; euro 2.000,00 per spese forfettariamente sostenute per la partecipazione alla gara; oltre a interessi e rivalutazione monetaria dalla maturazione al soddisfo>?
 
La domanda è fondata. La ricorrente ha dedotto e provato di aver subito un danno ingiusto in conseguenza della mancata aggiudicazione in suo favore della gara d’appalto ed il nesso di causalità tra la lesione patrimoniale subita e l’illegittimo esercizio del potere. Non è invero condivisibile quanto sostenuto dalla difesa dell’amministrazione comunale in merito alla assenza di certezza circa l’esito della gara per la presenza di altre due concorrenti escluse in forza della clausola del bando dichiarata illegittima dal Tar con la sentenza n. 6087/2005. Per quanto concerne l’elemento soggettivo dell’illecito aquiliano, il Collegio aderisce all’orientamento giurisprudenziale secondo cui non è richiesto al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo un particolare impegno probatorio per dimostrare la colpa della p.a., potendo questi limitarsi ad invocare l’illegittimità dell’atto quale indice presuntivo di colpa,fermo restando che l’amministrazione può provare la scusabilità dell’errore commesso o il giudice,nell’esercizio del potere dispositivo della prova,può giungere a tale conclusione d’ufficio.. Né, a sostegno della scusabilità dell’errore commesso, l’amministrazione può validamente addurre le contrastanti pronunce giurisprudenziali rese in merito a clausole dei bandi di gara che prevedono l’apposizione della firma su tutti i lembi di chiusura, anche su quelli preincollati dal fabbricante ,e di avere fatto applicazione dei principi affermati in sentenze che hanno ritenuto legittime tali clausole. Nel caso di specie, l’illegittimità contestata all’amministrazione è stata quella di avere escluso un concorrente che aveva sigillato e controfirmato tutti i lembi di chiusura della busta grande, contenente le due buste relative all’offerta economica ed alla documentazione di gara e, con riferimento a queste ultime, aveva controfirmato solo i lembi di apertura e chiusura e non anche quelli preincollati.
La pretesa dell’apposizione della firma su tutti i lembi di chiusura di buste poste all’interno di una busta che, per essere stata firmata su tutti i lembi, garantiva già, di per sé, il rispetto delle esigenze di integrità e certezza della provenienza del plico, prevede una formalità che non è affatto necessaria. La netta differenza che sussiste tra tale ipotesi e quelle in cui è stato affermato il principio della legittimità della clausola del bando che richiede, con riferimento alla busta principale, gli stessi accorgimenti garantistici per i lembi preincollati e per quelli incollati dall’utilizzatore finale, non consente, quindi, di considerare scusabile l’errore in cui è incorsa l’amministrazione.
 
Merita di essere riportata la sentenza numero 719 dell’ 11 aprile 2009, emessa dal Tar Puglia, Lecce
 
Alla gara hanno partecipato quattro società: l’odierna ricorrente, la BETA Coop. s.r.l., la DELTA s.r.l. e la GAMMA. All’accoglimento del ricorso proposto dalla ALFA s.r.l., sono conseguiti – quale effetto eliminatorio – la caducazione del provvedimento di aggiudicazione in favore della BETA Coop. s.r.l. e del provvedimento di esclusione della ricorrente e – quale effetto conformativo – l’obbligo per l’amministrazione di escludere la BETA Coop. s.r.l. e di riammettere alla gara la sola ricorrente. Dalla sentenza non è sorto, invece, alcun obbligo per la p.a. di riammettere alla gara i soggetti che avevano prestato acquiescenza al provvedimento di esclusione.
 
Né, d’altro canto, l’amministrazione, nell’esercizio del suo potere discrezionale, si è avvalsa della facoltà di estendere gli effetti di tale giudicato a favore dei soggetti che si trovavano in una posizione analoga a quella del ricorrente.
 
E relativamente al risarcimento del danno:
 
È orientamento giurisprudenziale consolidato quello secondo cui, nel caso in cui una impresa lamenti la mancata aggiudicazione di un appalto, non spettano i costi di partecipazione alla gara: la partecipazione alle gare di appalto comporta per le imprese dei costi che, ordinariamente, restano a loro carico, sia in caso di aggiudicazione, sia in caso di mancata aggiudicazione. Detti costi di partecipazione configurano un danno emergente solo qualora l’impresa subisca una illegittima esclusione, perché in tal caso viene in considerazione il diritto soggettivo del contraente a non essere coinvolto in trattative inutili. Essi, peraltro, vanno, in via prioritaria e preferenziale, ristorati in forma specifica, mediante rinnovo delle operazioni di gara e solo ove tale rinnovo non sia possibile, vanno ristorati per equivalente. (Cons. Stato, sez. VI, n. 4435/2002)
 
Per converso, nel caso in cui l’impresa ottenga il risarcimento del danno per mancata aggiudicazione (o per la perdita della possibilità di aggiudicazione) non vi sono i presupposti per il risarcimento per equivalente dei costi di partecipazione alla gara, atteso che mediante il risarcimento non può farsi conseguire all’impresa un beneficio maggiore di quello che deriverebbe dall’aggiudicazione (Cons. Stato, sez. VI, 9 giugno 2008, n. 2751)>
 
Ma non solo
 
Va invece riconosciuto a titolo di lucro cessante il profitto che l’impresa avrebbe ricavato dall’esecuzione dell’appalto.
Il Collegio, in linea con la giurisprudenza prevalente, ritiene corretto dare, a tal fine, applicazione analogica al disposto di cui all’art. 345, l. n. 2248/1865, all. F, ai sensi del quale l’amministrazione, qualora eserciti il diritto di recesso unilaterale dal contratto, è tenuta al pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell’importo delle opere non eseguite” (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. IV, 28 aprile 2006, n. 2408).
Tale norma, difatti, pur se dettata con specifico riferimento all’ambito dei lavori pubblici e pur se attinente alla fase esecutiva di un appalto già aggiudicato, detta un criterio indicativo dell’utile medio ricavabile dall’appaltatore come margine di profitto, applicabile analogicamente anche ad appalti con differente oggetto, in sede di determinazione – ai sensi dell’art. 35, comma 2, del d. lgs. n. 80 del 1998 – del lucro cessante conseguente ad una mancata aggiudicazione poi ritenuta illegittima (cfr. Cons. St., V, n. 3796/2002).
La misura del 10% del valore del contratto, calcolata in base all’offerta presentata in sede di gara, deve essere però decurtata del 50% in quanto la ricorrente non ha in alcun modo provato l’assenza di un aliunde perceptum.
 
Il lucro cessante da mancata aggiudicazione può, difatti, essere risarcito per intero se e in quanto l’impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi, mentre quando tale dimostrazione non sia stata offerta è da ritenere che l’impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri, analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con conseguente riduzione in via equitativa del danno risarcibile (Cons. Stato, sez. VI, 18 febbraio 2009, n. 107)
 
Il Collegio ritiene equo considerare tale somma comprensiva anche del danno derivante dal mancato conseguimento del requisito tecnico – economico da poter utilizzare nelle successive procedure ad evidenza pubblica
 
 
A cura di *************
 
 
N. 00719/2009 REG.SEN.
N. 00341/2008 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce – Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 341 del 2008, proposto da:
ALFA Srl, rappresentato e difeso dall’avv. *****************, con domicilio eletto presso ***************** in Lecce, via Garibaldi, 43;
contro
Comune di Martina Franca, rappresentato e difeso dall’avv. Olimpia Cimaglia, con domicilio eletto presso ****************** in Lecce, via Zanardelli 7;
per l’accertamento
e la declaratoria del proprio diritto ad ottenere il risarcimento del danno, derivante dal mancato affidamento del “servizio di preparazione di pasti caldi per la refezione nelle scuole materne”, a seguito della procedura indetta dal Comune di Martina Franca, con bando del 26.8.2005, per l’anno scolastico 2005/2006 e la conseguente condanna del Comune di Martina Franca a pagare, in favore della ricorrente, l’importo complessivo di euro 28.933,75, di cui euro 16.933,75 per mancato utile; euro 10.000,00 quale risarcimento equitativo per mancato conseguimento del requisito economico da poter esibire nelle successive procedure ad evidenza pubblica; euro 2.000,00 per spese forfettariamente sostenute per la partecipazione alla gara; oltre a interessi e rivalutazione monetaria dalla maturazione al soddisfo
 
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Martina Franca;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 08/01/2009 la dott.ssa *************** e uditi, per le parti, gli avv. ******* (in sostituzione di **********) e *********** (in sostituzione di ********);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
 
FATTO e DIRITTO
1. Con determina n. 226 del 5.7.2005, il Comune di Martina Franca ha indetto una gara d’appalto per l’affidamento, per l’anno scolastico 2005/2006, del servizio di preparazione di pasti caldi per la refezione nelle scuole materne.
L’amministrazione comunale ha escluso la ricorrente dalla gara in quanto la stessa ha omesso di controfirmare i lembi delle buste contenenti l’offerta economica e la documentazione di gara ed ha disposto l’aggiudicazione a favore della BETA Coop. s.r.l.
Con sentenza 27 dicembre 2005, n. 6087, questo Tar ha annullato i provvedimenti di esclusione dalla gara dalla ALFA s.r.l., di ammissione della BETA Coop. s.r.l., di aggiudicazione definitiva in favore di quest’ultima e la clausola del bando di gara che prevedeva la controfirma su tutti i lembi delle singole buste contenute nel plico inviato per la richiesta di partecipazione alla gara.
Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 6704/04, ha rigettato l’appello proposto dal Comune di Martina Franca, confermando la pronuncia di primo grado.
2. Con il presente ricorso, la ricorrente chiede che venga accertato il suo diritto al risarcimento del danno conseguente alla illegittima esclusione dalla gara.
Chiede, in particolare, che il risarcimento venga quantificato in euro 28.933,75, di cui euro 16.933,75, pari al 10% dell’ammontare dell’offerta, ai sensi dell’art. 345, l. n. 2248/1865, all. F, per mancato utile; euro 10.000,00 quale risarcimento equitativo per mancato conseguimento del requisito economico da poter esibire nelle successive procedure ad evidenza pubblica; euro 2.000,00 per spese forfettariamente sostenute per la partecipazione alla gara; oltre a interessi e rivalutazione monetaria dalla maturazione al soddisfo.
Si è costituito in giudizio il Comune di Martina Franca contestando la fondatezza delle censure dedotte.
All’udienza dell’8 gennaio 2009 il ricorso è stato ritenuto per la decisione.
3. La domanda è fondata.
3.1 La ricorrente ha dedotto e provato di aver subito un danno ingiusto in conseguenza della mancata aggiudicazione in suo favore della gara d’appalto ed il nesso di causalità tra la lesione patrimoniale subita e l’illegittimo esercizio del potere.
Non è invero condivisibile quanto sostenuto dalla difesa dell’amministrazione comunale in merito alla assenza di certezza circa l’esito della gara per la presenza di altre due concorrenti escluse in forza della clausola del bando dichiarata illegittima dal Tar con la sentenza n. 6087/2005.
Alla gara hanno partecipato quattro società: l’odierna ricorrente, la BETA Coop. s.r.l., la DELTA s.r.l. e la GAMMA. All’accoglimento del ricorso proposto dalla ALFA s.r.l., sono conseguiti – quale effetto eliminatorio – la caducazione del provvedimento di aggiudicazione in favore della BETA Coop. s.r.l. e del provvedimento di esclusione della ricorrente e – quale effetto conformativo – l’obbligo per l’amministrazione di escludere la BETA Coop. s.r.l. e di riammettere alla gara la sola ricorrente. Dalla sentenza non è sorto, invece, alcun obbligo per la p.a. di riammettere alla gara i soggetti che avevano prestato acquiescenza al provvedimento di esclusione.
Né, d’altro canto, l’amministrazione, nell’esercizio del suo potere discrezionale, si è avvalsa della facoltà di estendere gli effetti di tale giudicato a favore dei soggetti che si trovavano in una posizione analoga a quella del ricorrente.
3.2 Per quanto concerne l’elemento soggettivo dell’illecito aquiliano, il Collegio aderisce all’orientamento giurisprudenziale secondo cui non è richiesto al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo un particolare impegno probatorio per dimostrare la colpa della p.a., potendo questi limitarsi ad invocare l’illegittimità dell’atto quale indice presuntivo di colpa,fermo restando che l’amministrazione può provare la scusabilità dell’errore commesso o il giudice,nell’esercizio del potere dispositivo della prova,può giungere a tale conclusione d’ufficio..
Né, a sostegno della scusabilità dell’errore commesso, l’amministrazione può validamente addurre le contrastanti pronunce giurisprudenziali rese in merito a clausole dei bandi di gara che prevedono l’apposizione della firma su tutti i lembi di chiusura, anche su quelli preincollati dal fabbricante ,e di avere fatto applicazione dei principi affermati in sentenze che hanno ritenuto legittime tali clausole.
Nel caso di specie, l’illegittimità contestata all’amministrazione è stata quella di avere escluso un concorrente che aveva sigillato e controfirmato tutti i lembi di chiusura della busta grande, contenente le due buste relative all’offerta economica ed alla documentazione di gara e, con riferimento a queste ultime, aveva controfirmato solo i lembi di apertura e chiusura e non anche quelli preincollati.
La pretesa dell’apposizione della firma su tutti i lembi di chiusura di buste poste all’interno di una busta che, per essere stata firmata su tutti i lembi, garantiva già, di per sé, il rispetto delle esigenze di integrità e certezza della provenienza del plico, prevede una formalità che non è affatto necessaria. La netta differenza che sussiste tra tale ipotesi e quelle in cui è stato affermato il principio della legittimità della clausola del bando che richiede, con riferimento alla busta principale, gli stessi accorgimenti garantistici per i lembi preincollati e per quelli incollati dall’utilizzatore finale, non consente, quindi, di considerare scusabile l’errore in cui è incorsa l’amministrazione.
4. Ritenuta la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi dell’illecito si tratta a questo punto di quantificare il danno.
4.1 È orientamento giurisprudenziale consolidato quello secondo cui, nel caso in cui una impresa lamenti la mancata aggiudicazione di un appalto, non spettano i costi di partecipazione alla gara: la partecipazione alle gare di appalto comporta per le imprese dei costi che, ordinariamente, restano a loro carico, sia in caso di aggiudicazione, sia in caso di mancata aggiudicazione. Detti costi di partecipazione configurano un danno emergente solo qualora l’impresa subisca una illegittima esclusione, perché in tal caso viene in considerazione il diritto soggettivo del contraente a non essere coinvolto in trattative inutili. Essi, peraltro, vanno, in via prioritaria e preferenziale, ristorati in forma specifica, mediante rinnovo delle operazioni di gara e solo ove tale rinnovo non sia possibile, vanno ristorati per equivalente. (Cons. Stato, sez. VI, n. 4435/2002)
Per converso, nel caso in cui l’impresa ottenga il risarcimento del danno per mancata aggiudicazione (o per la perdita della possibilità di aggiudicazione) non vi sono i presupposti per il risarcimento per equivalente dei costi di partecipazione alla gara, atteso che mediante il risarcimento non può farsi conseguire all’impresa un beneficio maggiore di quello che deriverebbe dall’aggiudicazione (Cons. Stato, sez. VI, 9 giugno 2008, n. 2751).
4.2 Va invece riconosciuto a titolo di lucro cessante il profitto che l’impresa avrebbe ricavato dall’esecuzione dell’appalto.
Il Collegio, in linea con la giurisprudenza prevalente, ritiene corretto dare, a tal fine, applicazione analogica al disposto di cui all’art. 345, l. n. 2248/1865, all. F, ai sensi del quale l’amministrazione, qualora eserciti il diritto di recesso unilaterale dal contratto, è tenuta al pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell’importo delle opere non eseguite” (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. IV, 28 aprile 2006, n. 2408).
Tale norma, difatti, pur se dettata con specifico riferimento all’ambito dei lavori pubblici e pur se attinente alla fase esecutiva di un appalto già aggiudicato, detta un criterio indicativo dell’utile medio ricavabile dall’appaltatore come margine di profitto, applicabile analogicamente anche ad appalti con differente oggetto, in sede di determinazione – ai sensi dell’art. 35, comma 2, del d. lgs. n. 80 del 1998 – del lucro cessante conseguente ad una mancata aggiudicazione poi ritenuta illegittima (cfr. Cons. St., V, n. 3796/2002).
La misura del 10% del valore del contratto, calcolata in base all’offerta presentata in sede di gara, deve essere però decurtata del 50% in quanto la ricorrente non ha in alcun modo provato l’assenza di un aliunde perceptum.
Il lucro cessante da mancata aggiudicazione può, difatti, essere risarcito per intero se e in quanto l’impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi, mentre quando tale dimostrazione non sia stata offerta è da ritenere che l’impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri, analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con conseguente riduzione in via equitativa del danno risarcibile (Cons. Stato, sez. VI, 18 febbraio 2009, n. 107)
Il Collegio ritiene equo considerare tale somma comprensiva anche del danno derivante dal mancato conseguimento del requisito tecnico – economico da poter utilizzare nelle successive procedure ad evidenza pubblica.
4.3 Trattandosi di debito di valore, alla ricorrente spetta anche la rivalutazione monetaria dalla data di aggiudicazione in favore della BETA Coop. s.r.l. sino alla pubblicazione della presente sentenza (a decorrere da tale momento, in conseguenza della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di valuta).
Spettano, inoltre, gli interessi nella misura legale dalla data di pubblicazione della presente decisione, fino all’effettivo soddisfo.
5. In conclusione il ricorso è fondato e deve essere accolto nei limiti di cui in motivazione.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione integrale delle spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso e per l’effetto condanna il Comune di Martina franca al pagamento in favore della ricorrente della somma come risultante dalla applicazione dei criteri di cui in motivazione, ai sensi dell’art. 35 d.lgs.n. 80/98.
Spese compensate
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 08/01/2009 con l’intervento dei Magistrati:
*****************, Presidente
*****************, Consigliere
***************,***********e, Estensore
 
L’ESTENSORE                        IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/04/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO

Lazzini Sonia

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