Il braccialetto elettronico, può alleviare il problema del sovraffollamento?

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Il braccialetto elettronico è stato introdotto nel sistema legislativo italiano nel 2001, sperimentandolo per una durata semestrale in cinque città italiane: Napoli, Roma, Catania, Milano e Torino. Esso rientra nell’ambito di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari assistita dagli strumenti di controllo elettronico, art.275 bis comma1 c.p.p.

Nel nostro ordinamento, la custodia cautelare in carcere costituisce l’extrema ratio, ossia il ricorso a questa misura è disposta solo nelle ipotesi in cui, avuto riguardo alla natura e alle caratteristiche delle esigenze cautelari sussistenti nel caso di specie, ogni altra misura risulta essere inefficace al suo contrasto. Il dispositivo è considerato una misura alternativa rispetto alla custodia cautelare in carcere ed è una forma rafforzata di controllo nell’applicazione degli arresti domiciliari.

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L’introduzione di questo strumento di controllo, garantisce un livello di sorveglianza equiparabile alla permanenza dell’istituto penitenziario. Lo strumento elettronico viene applicato alla caviglia del soggetto destinatario della misura, proprio come un bracciale e collegato in rete da una centralina posta nel domicilio dello stesso., definita come”Unità di sorveglianza locale”. Tale dispositivo, riceve i segnali trasmessi dal braccialetto elettronico all’interno di un perimetro ben definito, nel caso in cui il detenuto si allontani dal limite definito,oppure cerchi di danneggiare i due dispositivi, scatta immediatamente l’allarme, di conseguenza la caserma a cui è affidato l’imputato invierà una pattuglia a controllare. In pratica, il braccialetto elettronico ha il fine di segnalare l’indebito all’allontanamento dal perimetro definito, dell’abitazione.

Le condizioni necessarie

Le condizioni necessarie affinchè vi sia l’applicazione degli arresti domiciliari assistiti dal braccialetto elettronico sono:

– la necessità di un provvedimento autorizzato del giudice della misura;

– la materiale disponibilità del braccialetto elettronico;

– la previa autorizzazione del destinatario della misura, all’utilizzo del sistema di controllo elettronico;  ed infine

– la disponibilità di una rete telefonica fissa, presso l’abitazione nella quale verrà scontata la misura.

Tra le condizioni necessarie, vediamo che vi è anche la previa autorizzazione del destinatario alla misura, questo perché, in linea teorica, potrebbe rifiutare l’applicazione del  braccialetto elettronico, nel senso che, qualora il giudice ritenga che gli arresti domiciliari possano essere concessi solo mediante l’applicazione di codesto strumento elettronico ed il reo non manifesta espressamente tale disponibilità, non potrà che applicarsi la misura della custodia cautelare in carcere.

L’efficacia di questo strumento

Nonostante, l’efficacia di questo strumento, ancora oggi si registra una ritrosia nel disporne l’utilizzo, ciò è dovuto alla difficoltà nel reperirli,  la loro disponibilità è nettamente inferiore rispetto alla richiesta, difatti, la dotazione è al momento numericamente molto limitata, tanto da richiederne lunghi tempi di attesa.

Attualmente vi sono 2000 braccialetti elettronici di Telecom in tutta Italia che sono del tutto insufficienti.

Di conseguenza, l’indisponibilità di questi dispositivi di controllo, non permette l’uscita dall’istituto penitenziario di persone, per i quali vi sarebbe da parte del giudice, la concessione degli arresti domiciliari invece della custodia cautelare in carcere.

Il braccialetto elettronico può rendere il detenuto più soggetto all’evasione, ma può anche alleggerire il sovraffollamento delle carceri, può avere il cosiddetto effetto svuota- carcere.

L’Italia è uno dei Paesi in Europa che ricorre maggiormente al carcere prima della sentenza definitiva, non si attende la certezza della colpevolezza prima di procedere alla carcerazione ma si entra da presunti innocenti “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”, art. 27, secondo comma della Costituzione.

Il sovraffollamento carcerario del nostro Paese, è un problema che si protrae da anni senza mai cercare di risolverlo, tantoché ha subito delle condanne dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, ritenendo lesivi dei diritti dei detenuti la coabitazione di un numero impressionante  in celle di meno di tre metri quadrati, di conseguenza viola l’art. 3 della Convenzione europea dei diritti umani che sancisce “che nessuno può essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti”, anche se, secondo Strasburgo, l’Italia era venuta meno ai suoi obblighi non volontariamente ma per inerzia e mancanza di diligenza, si ricordi la storica sentenza Torreggiani nel 2013 a cui conseguì un risarcimento danni.

Nel 1866 Fedor Dostoevskij scriveva in “Delitto e castigo” che “il grado di civilizzazione di una società si misura dalla sue prigioni”.

Attualmente , a causa dell’emergenza Coronavirus che ha paralizzato l’Italia per la sua brutalità, comportando restrizioni domiciliari a tutta la popolazione e di conseguenza interruzione di qualsiasi rapporto dei detenuti con la popolazione esterna all’istituto, che siano familiari o volontari, sono scaturite una serie di rivolte nelle carceri, coinvolgendo ben 27 istituti penitenziari riportando danni per milioni di euro, il tutto esasperato da una situazione di sovraffollamento e disumana che sono costretti a vivere.

Una situazione di sofferenza anche per il corpo della polizia penitenziaria, costretta a sopperire una mancanza di organico che in una situazione del genere pesa come un macigno.

Mi sembra alquanto assurdo che non si spendano risorse nel risolvere un problema, per il quale il nostro Paese è stato più volte condannato e nel cercare di disinnescare una bomba, ma si preferisce nell’accantonarlo e  far gravare ugualmente la spesa di sostentamento del detenuto nelle carceri permanendo comunque il problema, così come assurdo che un detenuto che goda della semilibertà la sera debba ritornare nell’istituto penitenziario, cerchiamo di mettere in atto gli strumenti a nostra disposizione affinchè si possa uscire da questo problema.

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Annalisa Marzigno

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