I vizi dell’immobile locato ed i rimedi concessi al conduttore. Conseguenze per mancato rilascio della abitabilità od agibilità del fabbricato.

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Recita l’art. 1578 CC: 1) “Se al momento della consegna la casa locata è affetta da vizi che ne diminuiscono in modo apprezzabile l’idoneità all’uso pattuito, il conduttore può domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, allorché si tratti di vizi da lui conosciuti o facilmente riconoscibili”. 2) “Il locatore è tenuto a risarcire al conduttore i danni derivanti dai vizi della cosa, se non prova di aver senza colpa ignorato i vizi stessi al momento della consegna”.

Alla obbligazione di garanzia dei vizi da parte del locatore, si accompagna quella di mantenere la cosa in stato da servire all’uso convenuto (art. 1576 CC) e di assicurarne il pacifico godimento durante la locazione (art. 1585 CC).

Esse costituiscono quelle che nel titolo della norma (art. 1575 CC) costituiscono le obbligazioni principali del locatore che, in caso di violazione, possono condurre alla risoluzione del contratto di locazione o alla riduzione del corrispettivo e finanche al risarcimento danni.

Nelle aule di giustizia si affrontano sovente tali problematiche, soprattutto quando il conduttore, adducendo un vizio della cosa, si rifiuta, come reazione, di versare il corrispettivo convenuto oppure sceglie unilateralmente di autoridursi il canone di locazione.

Il tema è legato alla possibilità di applicare anche nelle locazioni il principio di autotutela, ossia di opporre l’exceptio non rite adimpleti contractus (rifiuto di uno dei contraenti di adempiere esattamente la propria prestazione se l’altro non adempia o non offre di adempiere contemporaneamente la propria) al fine di  paralizzare la domanda di risoluzione contrattuale attraverso cui il locatore normalmente “risponde” ad una simile scelta della sua controparte.

In subiecta materia la questione non è nuova ed ha visto di recente la Corte Regolatrice intervenire con la sentenza 18/04/2016 n° 7636 che ha così avuto modo di riaffermare un principio già invero contenuto in precedenti più risalenti nel tempo, fra cui si citano Cass. 74/2010; Cass. 10639/2012.

Ma prima di affrontare tale problematica è bene verificare ancorché succintamente, quali siano i vizi ed a quali condizioni essi possono incidere negativamente nel rapporto sintagmatico.

Al riguardo, è utile far riferimento alle coordinate esegetiche fornite dalla giurisprudenza della Cassazione (es. Cass. 11514/2008; Cass. 6580/2013; Cass. 24459/2011; Cass. 11353/2014) secondo la quale i vizi in questione consisterebbero in quei difetti che riguardano “la struttura materiale della cosa, alternandone la integrità in modo tale da impedirne notevolmente il godimento, secondo la destinazione contrattuale, anche se eliminabili e manifestatisi successivamente alla conclusione del contratto di locazione……fra essi non sono compresi i guasti o deterioramenti dovuti alla naturale usura, nel qual caso diviene operante l’obbligo del locatore di provvedere alle necessarie riparazioni ex art. 1576 CC, la cui inosservanza determina inadempimento contrattuale”.

In buona sostanza costituirebbe un vizio della cosa locata quel difetto grave e non facilmente eliminabile se non attraverso un’opera di risanamento comportante un sacrificio economico per il locatore, laddove i guasti sono quelle alterazioni transitorie e connaturali all’uso ed al godimento, eliminabili attraverso opere di semplice riparazione, come tali a carico del locatore  ex art. 1576 CC, prima parte del 1° comma.

La distinzione è importante, come già accennato, per capire se ed entro quali limiti possa operare, in un rapporto di locazione, il principio di autotutela di cui all’art. 1460 CC.

Mette conto di rilevare, a tal riguardo, che la peculiarità della disciplina dei vizi della locazione, ai quali è equiparabile ai fini della risoluzione contrattuale o della riduzione del corrispettivo, la mancanza delle qualità promesse, sta nel fatto che il vizio è tale laddove ed in quanto esso incida concretamente sul godimento del bene, diminuendone od impedendone la utilizzazione.

Nell’ambito della problematica in questione, particolare rilievo, in quanto dibattuta in giurisprudenza, è la questione della esistenza o meno del certificato di abitabilità od agibilità dell’immobile locato.

L’interrogativo che si pone e se, in difetto, debba parlarsi di un vizio o di una mancanza delle qualità promesse, idoneo a consentire i rimedi esperibili ex art. 1578 CC di cui si è detto, nel caso in cui non fosse riconosciuto o facilmente riconoscibile.

Va ricordato, in via generale, che il carattere abusivo di un immobile, per la mancanza di provvedimenti autorizzatori o concessori relativi alla sua destinazione d’uso, ovvero all’abitabilità dello stesso, non è di ostacolo alla valida costituzione di un rapporto locatizio, non incidendo detto vizio sulla liceità dell’oggetto del contratto ex art. 1346 CC o della causa ex art. 1343 CC, né potendo operare la nullità di cui all’art. 40 L. 47/1985 (Cass. 4228/1999; Cass. 22312/2007; Cass. 12983/2010) con la conseguenza, in linea di principio, che il conduttore è comunque tenuto a pagare il canone concordato, perché vi è comunque utilizzazione del bene (Tribunale di Roma 14/11/2013 n° 22852; Cass. 25798/2010).

In questo senso, con particolare riferimento alle locazioni abitative, il Tribunale di Salerno e quello di Prato (rispettivamente, sentenze 06/05/2015 n° 2011 e 18/03/2015 n° 250 in Red. Giuffré 2015) hanno specificamente ritenuto che la mancanza dei requisiti di abitabilità dell’immobile locato, esclude la responsabilità per inadempimento del locatore qualora detta inidoneità  giuridica non impedisca correttamente in modo assoluto il godimento dell’immobile da parte del conduttore ed anche se quest’ultimo già conosceva, o era in grado di conoscere, utilizzando l’ordinaria diligenza, la possibile inettitudine dell’oggetto della prestazione, accettando, di conseguenza, il rischio economico come rientrante nella normale esecuzione della prestazione.

Con specifico riferimento agli obblighi del locatore in relazione ad immobili adibiti ad uso non abitativo, si registrano due diversi orientamenti nella giurisprudenza di legittimità.

Secondo un primo indirizzo (Cass. 13/03/2007 n° 5836; Cass. 08/06/2007 n° 13395; Cass. 01/12/2009 n° 25278 e Cass. 25/01/2011 n° 1735) nei contratti di locazione relativi ad immobili destinati ad uso non abitativo, grava sul conduttore l’onere di  verificare che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto tecnicamente necessario per lo svolgimento dell’attività che egli intende esercitarvi, nonché al rilascio delle necessarie autorizzazioni amministrative; ne consegue che, ove il conduttore non riesca ad ottenere tali autorizzazioni, non è configurabile alcuna responsabilità per l’inadempimento a carico del locatore, e ciò anche se il diniego sia dipeso dalle caratteristiche proprie del bene locato; la destinazione particolare dell’immobile, tale da richiedere che lo stesso sia dotato di precise caratteristiche e che ottenga specifiche licenze amministrative, diventa rilevante, quale condizione di efficacia, quale elemento presupposto o, infine, quale contenuto dell’obbligo assunto dal locatore nella garanzia di pacifico godimento dell’immobile in relazione all’uso convenuto, solo se abbia formato oggetto di specifica pattuizione, non essendo sufficiente la mera enunciazione, in contratto, che la locazione sia stipulata per un certo uso e l’attestazione del riconoscimento dell’idoneità dell’immobile da parte del conduttore.

Secondo diverso orientamento (Cass. 28/03/2006 n° 7081; Cass. 07/06/2011 n° 12286; Cass. 19/07/2008 n° 20067), che dà, a vario titolo, rilievo al difetto della documentazione in parola, nel contratto di locazione di un immobile per uso diverso da quello di abitazione, la mancanza delle autorizzazioni o concessioni amministrative che condizionano la regolarità del bene sotto il profilo edilizio – e, in particolare, la sua abitabilità e la sua idoneità all’esercizio di un’attività commerciale o, come nella specie, professionale – costituisce inadempimento del locatore che giustifica la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1578 CC, a meno che il conduttore non sia a conoscenza della situazione e l’abbia consapevolmente accettata.

In questo senso, testualmente la recente sentenza della Cass. 18/01/2016 n° 666 la quale ricorda anche l’altra del 16/06/2014 n° 13651 che “operando una sintesi ed un coordinamento dei citati orientamenti, ha ritenuto che solo quando l’inagibilità o l’inabitabilità del bene attenga a carenze intrinseche o dipenda da caratteristiche proprie del bene locato, sì da impedire il rilascio degli atti amministrativi relativi alle dette abitabilità o agibilità e da non consentire l’esercizio lecito dell’attività del conduttore conformemente all’uso pattuito, può configurarsi l’inadempimento del locatore, fatta salva l’ipotesi in cui quest’ultimo abbia assunto l’obbligo specifico di ottenere tali atti”.

A tale ultimo orientamento, la decisione  666/2016 ritiene espressamente di dover dare continuità. Nel caso specifico, dalla Corte di Appello territoriale  veniva negato il diritto del conduttore, riconosciuto invece in primo grado, di riavere i canoni pagati in forza di un contratto risolto per colpa del conduttore, il quale non aveva provato il mancato uso del bene locato in forza di un contratto in cui non era stato previsto alcun obbligo in capo al locatore per eventuali licenze ed autorizzazioni; anzi nell’accordo negoziale era stato pattuito l’esonero da ogni responsabilità del locatore nel caso di diniego di autorizzazione della attività per studio professionale del locale idoneo solo per uso commerciale, circostanza peraltro conosciuta dal conduttore stesso

Detto questo e ritornando ai rimedi consentiti al conduttore in presenza di vizi suddetti, tra cui la possibilità di autoriduzione del canone, si possono svolgere  le seguenti conclusioni.

1)   In presenza di vizi preesistenti della res locata non riconosciuti o non riconoscibili, il conduttore potrà senz’altro adire il Giudice con l’azione di risoluzione contrattuale o di riduzione del corrispettivo (per cui vale la regola electa una via non datur recursus ad alteram), il quale ne valuterà la ammissibilità e fondatezza in ragione dell’importanza dello squilibio tra le prestazioni dei contraenti.

2)   L’exceptio non rite adimpleti contractus, quale espressione del principio di autotutela di cui all’art. 1460 CC,  applicabile anche al contratto di locazione, postula la proporzionalità dei rispettivi inadempimenti da accertarsi attraverso la comparazione dei comportamenti delle parti, riservata insindacabilmente al Giudice necessariamente adito con le predette azioni.

3)   La peculiarità del rapporto di locazione, caratterizzata, a differenza di altre figure contrattuali a prestazioni corrispettive, dal godimento dell’immobile, integrante la prestazione del locatore, imporrebbe dei correttivi alle regole di autotutela nel senso che il pagamento del canone non potrà essere sospeso, unilateralmente, in caso di omesso o inesatto adempimento del locatore senza l’intervento di un provvedimento giudiziale, anche sommario (art. 657 c.p.c.) salva la ipotesi, testé indicata, in cui la mancata controprestazione del conduttore dipenda dal mancato godimento dell’immobile ed è circoscritta alla sola durata della sua inutilizzabilità.

4)   Detti principi, valevoli per i vizi preesistenti, sono applicabili anche a quelli sopravvenuti con i cennati correttivi della non operatività delle regole sulla conoscenza e conoscibilità degli stessi proprio perché successivi alla consegna (v. art. 1581 CC).

5)   I rimedi della risoluzione o della riduzione del corrispettivo convenuto, in caso di presenza di vizi, purché sconosciuti e non facilmente riconoscibili da parte del conduttore, non escludono, in caso contrario, la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento ed il risarcimento danni, purché ricorrano tutti i presupposti di cui all’art. 1453 CC, solo se il locatore abbia assunto espressamente e poi non abbia adempiuto l’obbligo di eliminare i vizi stessi (v. Cass. 14773/2009; Cass. 1472/2010).

6)   La ricordata peculiarità del rapporto di locazione, come visto, caratterizzato dal godimento della cosa, spiega il motivo per cui non è possibile convenire l’esclusione della responsabilità del locatore per i vizi della cosa locata quando questi rendono impossibile il godimento della stessa (art. 1579 CC). Riprendendo quanto già detto in precedenza, la giurisprudenza esclude che possa equivalere come rinuncia a far valere i vizi non apparenti, che rendono la cosa inidonea all’uso, la generica dichiarazione del conduttore di accettare la cosa nello stato in cui si trova. In questo senso, sarebbe valida la rinuncia del conduttore a far valere i vizi della cosa, ancorché manifestatisi successivamente alla consegna, nella ipotesi in cui gli stessi siano ignorati dal locatore (v. Cass. 16620/2002).

7)   I principi della irrilevanza dei vizi conosciuti o conoscibili (art. 1578 CC) e quelli relativi alla limitazione convenzionale della responsabilità del locatore (art. 1579 CC) subiscono, rispettivamente, una eccezione ed integrazione per effetto dell’art. 1580 CC per cui “se i vizi della cosa o di parte notevole di essa espongono a serio pericolo la salute del conduttore o dei suoi familiari o dipendenti, il conduttore stesso può ottenere la risoluzione del contratto anche se i vizi erano noti, nonostante qualunque rinuncia”. La giurisprudenza tende ad escludere il risarcimento danni eventualmente subiti per effetto dei vizi giacché tale danno deve ritenersi consapevolmente accettato dal conduttore (v. Cass. 3636/1998; Cass. 1399/1984).

Il carattere eccezionale della norma (art. 1580 CC) escluderebbe la sua applicazione allorché la cosa sia affetta da vizi non conosciuti dal conduttore ovvero quando il locatore si sia reso inadempiente all’obbligo di mantenere la cosa in stato da servire all’uso convenuto. In tali ipotesi la giurisprudenza (v. Cass. 3636/1998) ritiene applicabili le disposizioni di cui agli artt. 1218 e 1453 CC.

Sul punto è bene evidenziare una ulteriore impostazione della Suprema Corte, la quale richiamando  i valori costituzionali del diritto alla salute, e riprendendo un precedente conforme (Cass. 915/1999), ha ritenuto che il locatore è responsabile ed è tenuto “a risarcire il danno alla salute subito dal conduttore in conseguenza delle condizioni abitative dell’immobile locato quand’anche tali condizioni fossero note al conduttore, al momento della conclusione del contratto, in quanto la tutela del diritto alla salute prevale su qualsiasi patto interprivato di esclusione o limitazione della responsabilità” (Cass. 19744/2014).

Avv. Arseni Antonio

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