I soggetti ai quali spetta il diritto di prelazione

Redazione 12/07/19
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I soggetti ai quali spetta il diritto di prelazione sono, in primo luogo, secondo la previsione dell’art. 8 comma 1 l. n. 590/1965, l’affittuario coltivatore diretto (il mezzadro, il colono o il compartecipante, coltivatori diretti) (1).

L’attribuzione del diritto di prelazione è, cioè, collegata alla titolarità di un contratto agrario di affitto a coltivatore diretto (di mezzadria, colonia e compartecipazione esclusa quella stagionale). La prelazione non compete, dunque, al mero possessore, che non abbia cioè stipulato alcun contratto con il proprietario del fondo. Parallelamente non spetta a colui il cui contratto sia già scaduto, anche qualora egli continui a detenere il fondo (2). Deve, comunque, il titolo in forza del quale è instaurato il rapporto essere valido, per cui la prelazione non compete quando il contratto sia nullo (come nel caso di affitto attuato da un assegnatario di un terreno da parte di ente di riforma, in cui il contratto di affitto è nullo ai sensi dell’art. 4 comma 7 della l. 29 maggio 1967, n. 367) (3).

Non si esclude, però, che l’affitto di fondo rustico possa essere finalizzato alla precostituzione di un titolo preferenziale ai fini della futura vendita del fondo al medesimo affittuario, quale titolare del diritto di prelazione (4). Tale intento non risulta infatti idoneo a incidere sulla causa del contratto, che è e resta lo scambio tra godimento del fondo, per un uso conforme alla sua destinazione – e segnatamente perché l’affittuario lo coltivi con lavoro prevalente proprio o di persone della sua famiglia – verso il pagamento di un canone; né la medesima finalità, che è in realtà ascrivibile ai motivi, è illecita, per cui la circostanza che essa sia stata comune ad entrambi i contraenti non vulnera il contratto ai sensi dell’art. 1345 c.c. (5).

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Il diritto di prelazione e riscatto

In tal caso non spetta, perciò, al proprietario coltivatore diretto confinante il diritto di prelazione e di riscatto. Altro è, comunque, che il contratto di affitto, in base alla reale consistenza degli accordi raggiunti dalle parti, celi una vendita, così da essere un contratto simulato di affitto (6). Nel qual caso il proprietario coltivatore diretto confinante, in possesso di tutti i requisiti di legge, ha diritto di riscattare il fondo acquistato dal preteso affittuario (La titolarità del rapporto agrario non può prescindere, d’altro lato, ai fini della coltivazione, dalla detenzione del fondo, non essendo sufficiente la sola esistenza del relativo contratto col proprietario. È dunque escluso il diritto di prelazione in favore di chi ne abbia perduto la detenzione senza più riacquistarla (ad esempio, non esercitando l’azione possessoria di reintegra) (8) o di chi, già in epoca anteriore al trasferimento del terreno, abbia subaffittato il fondo stesso, ancorché senza alcuna eccezione o contestazione da parte del proprietario (9). Il dato della coltivazione del fondo, quale elemento costitutivo del diritto di prelazione, deve inoltre sussistere non solo in termini di attualità, ma anche di sua prospettiva futura, che va valutata nei limiti di un accertamento fondato su prove certe (10).

L’indispensabile presupposto che il titolo derivi da un contratto di affitto (o da uno degli altri menzionati contratti) preclude peraltro che l’affittuario non coltivatore diretto possa beneficiare di tale diritto mutando il regime di coltivazione in quello di coltivazione diretta senza che, trattandosi di fattispecie negoziale diversa nella causa e negli effetti, tale mutamento sia stato concordato con il concedente attraverso un accordo novativo, così che il mutamento è rimasto a livello di mera iniziativa unilaterale (11).

E in quanto la situazione del soggetto preferito si collega all’esistenza di un rapporto personale e diretto con il proprietario, è stato escluso, ai fini della non attribuzione del diritto di prelazione anche ad essi, qualsiasi contrasto dell’art. 8 con l’art. 3 Cost. per disparità di trattamento rispetto ai comuni coltivatori di fondi, attesa la sostanziale diversità fra le due situazioni (12).  L’art. 8 l. 590/65 stabilisce, poi, un diritto di prelazione a favore dei componenti la famiglia coltivatrice (sotto un duplice profilo: commi 3 e 10) e a favore dei coeredi del venditore (comma 12). 2.1. Il comma 3 dispone infatti che in caso di vendita a terzi estranei di quota [intesa non come quota ereditaria, o parte di essa, per la quale si applicherebbe la norma dell’art. 732 c.c., a meno che il fondo non costituisca l’unico cespite dell’asse ereditario] di fondo in comune (cioè in costanza di comunione ereditaria o in ogni altro caso di comunione familiare) effettuata da un componente la spettante a quel componente che abbia cessato di far parte della famiglia coltivatrice e non abbia venduto o ceduto la quota entro cinque anni da quando ha lasciato l’azienda familiare. Si tratta evidentemente di riscatto distinto dal “riscatto” vero e proprio, di cui al comma 5 dello stesso art. 8: esso, oltre che richiedere modalità e condizioni specifiche, quali indicate, si realizza o per atto di vendita volontariamente ripassato tra i componenti la famiglia coltivatrice esercenti il diritto di riscatto e il componente proprietario della quota del fondo, o, se quest’ultimo non acconsente alla vendita volontaria, per provvedimento giudiziario (conseguente a instaurazione della procedura prevista dalla legge [l. 22 luglio 1966, n. 607] per l’affrancazione dei canoni enfiteutici). 2.3. Infine il comma 12 prevede un diritto di prelazione a favore dei coeredi del venditore della quota del fondo, stabilendo che i coeredi, i quali siano anche coltivatori diretti, hanno la precedenza [“sono preferiti”] rispetto al conduttore coltivatore del fondo stesso. Parlando di “coeredi” il riferimento della legge è dichiaratamente ad una comunione ereditaria in atto, per cui si tratterebbe del diritto di prelazione attribuito al coerede coltivatore diretto in relazione alla quota del fondo posta in vendita. L’applicazione della norma, a parte la qualità di coltivatore diretto, perciò presuppone una comproprietà ereditaria pro indiviso, dimodoché, non potendo considerarsi coerede, è stato negato che una sorella avesse il diritto di acquistare dai fratelli, a preferenza dell’affittuario, un fondo che il genitore con testamento aveva assegnato direttamente agli stessi, così escludendo una comunione ereditaria rispetto al fondo medesimo (14).

E, per altro verso, dovendosi trattare di comunione ereditaria in atto, il diritto di prelazione del coerede parimenti non sussiste quando questa sia stata sciolta a seguito di divisione. famiglia coltivatrice, gli altri componenti la famiglia coltivatrice [come coltivatori diretti] hanno diritto alla prelazione. Secondo la lettera della norma, e l’applicazione giurisprudenziale, tale diritto richiede che ricorrano i seguenti presupposti: lo stato di comunione del fondo [derivante, tale stato, da successione o da altro titolo, cioè per acquisto in comproprietà o altro atto negoziale] tra persone legate da rapporto di parentela; l’esistenza di una famiglia coltivatrice; la vendita della quota del fondo [indiviso] ad opera dell’appartenente alla famiglia coltivatrice; la condizione che gli altri appartenenti (o l’altro appartenente) esercenti la prelazione svolgano nell’ambito della famiglia attività di coltivazione o continuino diversamente l’esercizio dell’impresa familiare in comune (13). Il diritto di prelazione viene di conseguenza utilizzato, nello schema legislativo, per salvaguardare l’interesse di chi è partecipe del predetto organismo economico associativo (e non di chi, pur coltivando il fondo, è estraneo a tale struttura). 2.2. A sua volta il comma 10 prevede, in luogo, come è stato notato, di un impossibilitato diritto di prelazione, mancando in tal caso un qualsiasi progetto di alienazione, un diritto dei componenti la famiglia coltivatrice di “riscattare” la quota di fondo

La comunione ordinaria

Precisandosi, in questo caso, che, intervenuta la divisione, l’eventuale situazione di comunione che residua rispetto al fondo è di comunione ordinaria, senza possibilità, come tale, di applicazione dell’ult. comma dell’art. 8 l. 590/65 e dell’art. 732 c.c. (15). Singolarmente, peraltro, il coerede coltivatore diretto può trovarsi anche nella situazione di componente la famiglia coltivatrice, beneficiando così del diritto alla preferenza rispetto ai terzi estranei e nei confronti del conduttore coltivatore insediato sul fondo. 2.3.1.

Nel rapporto preferenziale tra gli stessi, dunque, il conduttore coltivatore diretto viene prima del coerede non coltivatore diretto; il coerede che sia invece anch’egli coltivatore diretto viene prima, a sua volta, del conduttore coltivatore. L’integrità del fondo in comunione ereditaria dipende quindi dalla concreta attività diretto coltivatrice del coerede. La preferenza dei coltivatori coeredi rispetto ai coltivatori estranei intende in tal caso favorire la realizzazione di imprese agricole di dimensioni familiari (16). 2.3.2. Nel rapporto, d’altro lato, tra il diritto di prelazione del conduttore coltivatore e il diritto di prelazione del coerede coltivatore – relativamente alla vendita di quota di fondo in comunione ereditaria – rileva se la vendita riguardò una quota del fondo, o frazione di essa, intesa come porzione ideale (operandosi, di conseguenza, la sostituzione, nella stessa, dell’acquirente al venditore), oppure fu semplicemente effettuata la cessione di una quota, o frazione, del fondo intesa come cosa a sé stante.

Il presente estratto è estrapolato da 

Le prelazioni agrarie

L’opera si propone come una costruzione della disciplina della prelazione agraria nelle sue varie fattispecie, ovvero del diritto di prelazione agraria, quale risulta – per il suo carattere di indirizzo – dalla giurisprudenza di legittimità (non mancando richiami dottrinari). La disciplina dell’istituto in parola viene infatti dedotta, secondo un disegno unitario, dalla lettura complessiva e variamente dispiegata della giurisprudenza di legittimità. In tale prospettiva l’opera si svolge in forma essenziale, ma puntuale, e alla stregua di una esposizione piana e definita, che, unite alla sua sistematicità, fanno dell’opera stessa un ausilio nella pratica professionale come nell’attività di mera consultazione. Donato Calabrese è nato in Abruzzo (a Quadri, Chieti) ed è entrato in Magistratura nell’ottobre 1969, esercitandone le diverse funzioni, di cui gli ultimi 16 anni quale Consigliere della Corte di Cassazione. È autore di due monografie (relative l’una alla stessa L. 26 maggio 1965 n. 590 e l’altra alla L. 3 maggio 1982 n. 203, e successivi interventi legislativi) ed ha, nel tempo, collaborato alle Riviste giuridiche Il Foro italiano, Giurisprudenza italiana, Giurisprudenza agraria italiana.

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