I “profili soggettivi” del contratto di rete tra imprese

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Sommario: 1) Introduzione e Piano dell’intervento. 2) Qualità di imprenditore delle parti. 3) (Segue): e la “rete” istituita con soggetti non imprenditori. La partecipazione di P.A. 4) (Segue): inizio e fine dell’impresa e contratto di rete. 5) (Segue): Partecipazione alla rete ed autonomia contrattuale. 6) (Segue): vicende soggettive della partecipazione: adesione successiva. 7) (Segue): e lo scioglimento del singolo rapporto per recesso ed esclusione. (*)

 

 

1. Introduzione. Come già preannunciato dal titolo – i “profili soggettivi” – il mio intervento verterà essenzialmente, nei limiti più ristretti possibili per non sottrarre tempo agli altri relatori, sulla partecipazione al contratto di rete; in una, sul c.d. presupposto soggettivo, ampiamente, inteso, del contratto di rete.

Per introdurci immediatamente medias in res dichiaro fin da ora quali saranno i punti su cui mi soffermerò:

1) Riserva di partecipazione al contratto di rete;

2) Conseguenze della violazione della riserva di partecipazione;

3) Problemi applicativi derivanti da tale riserva.

4) Le vicende successive della partecipazione, considerate sotto il profilo della adesione successiva e della fuoriuscita, ampiamente intesa, dal rapporto.

Appaiono, peraltro, quanto mai opportune due premesse:

I) La prima, di carattere esegetico: contrariamente a quanto avvenuto in occasione – anche di recente: e si pensi, per un esempio tra tutti, alla l. 55/2006 sui patti di famiglia – di interventi normativi volti a disciplinare quelli che, con felice espressione [Dalmartello; Campobasso; Cottino], vengono definiti “i contratti dell’imprenditore”, la regolamentazione delle rete presenta, ad una semplice lettura del testo, tutta una serie di di rilevanti criticità emergenti dalla tecnica redazionale – o, se si vuole, di drafting normativo – adoperata dal legislatore; e ciò anche con riguardo al profilo della partecipazione al contratto. Se si tratta di un aspetto della produzione normativa già ampiamente segnalato dalla letteratura pubblicistica – e neppure recente: il riferimento va a Carnelutti, La crisi della legge, in Riv. dir. pubbl., 1930, I, 424 ss. – gli ora denunciati problemi si concentrano per lo più:

a) sulle continue modifiche alle relative disposizioni, che sottraggono al testo un (sufficiente) grado di stabilità e rendono, quindi, incerta ogni soluzione proposta dalla letteratura. Basti pensare che, nel breve volgere di poco più di un anno e mezzo si contano, infatti, almeno due interventi non puramente di correzione sull’originaria disciplina, contenuti, in ordine cronologico, nell’art. 1 l. 23 luglio 2009, n. 99 (<<Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia>>); e, da ultimo, nell’art. 42 della recentissima l. 30 luglio 2010, n. 122 (<<Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica>>);

b) su di una (concorrente ma forse di maggiore evidenza) non perspicua formulazione, intesa in termini formali, delle disposizioni, a partire dalla collocazione topografica delle stesse. E’ sufficiente, al proposito, solo segnalare che le norme sui contratti di rete sono dettate dai commi, con i quali si conclude l’art. 3 l. 33/09, enumerati come 4 ter ss. ed inserite in un corpus normativo passato agli onori delle cronache come “il decreto quote-latte”;

c) in una prospettiva sostanziale – o di contenuto normativo –, infine, su una serie di difetti di coordinamento, sia interni – vale a dire, rispetto ad altre parti della disciplina del medesimo tipo di contratto – che esterni, nei confronti di istituti differenti ma ai quali le norme in esame rinviano. Situazione, questa, con riguardo alla quale si è, in dottrina, denunciato <<il difetto di una visione organica dell’istituto>> (Pisani Massamormile). Sempre per esempi: le incertezze sulla natura della pubblicità cui è sottoposto il contratto di rete, create dal difetto di coordinamento tra il comma 4 ter, prima parte, in fine, e il comma 4 quater; e, dall’altro, l’ambigua previsione concernente la disciplina dei contributi dei singoli al contratto di rete, della esecuzione del conferimento mediante <<apporto di un patrimonio destinato>> c.d. operativo ex art. 2447 bis, primo comma, lett. a).

II) La seconda premessa ha, invece, portata sistematica e concerne la rilevanza sui profili soggettivi del problema, già accennato nell’intervento del Prof. Palmieri, della autonomia normativa del contratto di rete. Ed invero, in tanto ha senso interrogarsi sulla disciplina della partecipazione a tale accordo in quanto e nei limiti in cui si ritenga che il contratto in questione sia autonomo da altri rapporti collaborativi tra imprese, tipici (società; consorzi; G.E.I.E.) o atipici (associazioni temporanee di impresa) già presenti nell’ordinamento. Punto, questo, che, come già illustrato dal Prof. Palmieri, vede rappresentati in dottrina tre diversi orientamenti:

a) una prima tesi risolve il contratto di rete in uno dei tipi di contratti di collaborazione tra imprese e, segnatamente, nell’ambito del consorzio o, quando costituita per l’esercizio in comune di attività economica, in una società consortile [Corapi/Iamiceli, 174; Marasà, I contratti, 11 s.; Pisani Massamormile, 26 ss.; R. Santagata, 13 ss.];

b) una seconda opinione qualifica, invece, la rete come contratto “trans-tipico”, vale a dire suscettibile, in confronto agli altri tipi legislativamente previsti, di recepirne le sole porzioni di disciplina ritrasfuse dalle parti nel contratto di rete – rendendolo, dunque, strumento di portata generale per la costituzione di relazioni caratterizzate da un notevole grado di autonomia – e, inoltre, di trovare applicazione anche in altri rapporti contrattuali tra imprese nella integrazione della disciplina specifica di ciascuno di questi [Cafaggi, 919 s. e 926];

c) una terza ricostruzione – che va, peraltro, riscuotendo in dottrina sempre maggiori consensi – ritiene, rifiutato ogni tentativo di interpretazione riduzionistica della nuova disciplina, la rete un contratto di collaborazione assolutamente nuovo ed originale, ponendo in particolare risalto, anche a seguito delle significative modifiche introdotte dalla l. 30 luglio 2010, n. 122, come tratto peculiare di tale nuovo accordo sia la contemporanea presenza di un unico scopo-fine (l’accrescimento individuale e collettivo della capacità innovativa e della competitività sul mercato delle imprese dei partecipanti) e di più scopi-mezzo (scambio; collaborazione; esercizio di attività in comune) [Palmieri/Aip, 8 ss.; Onza, 1 s.; Zanelli, 953 ss.].

Solo accogliendo quest’ultima soluzione, risulta giustificata una indagine in ordine ai requisiti ed alla disciplina della partecipazione alla rete. Ove, per contro, si aderisca ad una delle altre due tesi, la conseguenza sistematica è la risoluzione di tale piano di disciplina in quelli del rapporto in cui si intenda risolvere la rete tra imprese [tesi sub a)]; ovvero, in una ancora più complessa opera di combinazione tra tipi contrattuali in se differenti, al cui esito potrebbe mancare ogni peculiarità del contratto di rete riguardato in termini soggettivi.

Pur nella estrema opinabilità del problema – condizionato, tra l’altro, dai molti difetti formali della disciplina delle reti sopra ricordati – riterrei, in ogni caso, maggiormente persuasiva la tesi che fa della rete una nuova ed autonoma figura contrattuale, irrisolvibile in altri tipi già noti. Se sul punto non posso che rinviare alle dimostrazioni offerte dai sostenitori di tale opinione, mi sembra che un ulteriore argomento in favore della autonomia del contratto di rete possa trarsi dal rilievo – formulato in materia societaria ma valido anche nell’analisi di tale nuovo tipo [Abbadessa] – secondo il quale l’esigenza di massima certezza nei rapporti commerciali rende decisivi, ai fini della qualificazione e, identicamente, della individuazione di un nuovo tipo contrattuale di collaborazione tra imprese, i profili formali. Ma se così è, la circostanza che, dopo la l. 122/10, il contratto di rete sia soggetto ad iscrizione nel Registro delle imprese con effetti costitutivi totali, introduce una significativa differenziazione rispetto a tutti gli altri tipi in cui pure si vorrebbe risolverlo – sottoposti, dal canto loro, a regimi formali e, in particolare, pubblicitari profondamente differenti –; ed una differenziazione che induce a propendere per la piena autonomia del nuovo contratto.

2. La riserva di partecipazione. Superato in tal modo il vaglio delle questioni preliminari, il primo punto da porre in rilievo è che il contratto di rete rientra tra quelli la partecipazione ai quali è oggetto di una riserva legislativa in favore esclusivo di imprenditori. Ed invero, questo elemento viene disciplinato alquanto laconicamente dal comma 4 ter mediante il riferimento a ciò che tale accordo può essere stipulato da <<più imprenditori>>, dopo il definitivo chiarimento apportato sul punto dalla l. 122/2010 mediante la sostituzione del termine “imprese” contenuto nell’originario comma 4 ter e si traduce di poi nella indicazione contrattuale [comma, 4 ter, lett. a)], da stimarsi essenziale e non pretermettibile, del <<nome, [del]la ditta, [del]la ragione o [del]la denominazione sociale di ogni partecipante>>.

E’ questo un dato di particolare rilevanza. Attraverso la cennata coppia previsione generale / prescrizione negoziale, mi sembra che il legislatore fissi un essenziale requisito per la partecipazione al contratto di rete, delimitandone espressamente l’ambito soggettivo e, per l’effetto, la relativa capacità di conclusione ai soli soggetti che rivestano la qualità imprenditoriale.

In negativo, quindi, è come dire, quindi, che, in tanto un soggetto potrà concludere il contratto di rete ovvero aderire ad una rete già costituita da altri solo in quanto possa già qualificarsi come imprenditore, in base alle norme generali operanti in merito (art. 2082). E siffatto risultato interpretativo è coerente, da un canto,

a) con la causa o, in particolar modo nei casi di rete-impresa, con lo scopo-fine del contratto: solo un imprenditore può perseguire il fine <<di accrescere, individualmente e collettivamente>> capacita’ innovativa e competitività sul mercato>>.

b) con l’oggetto o il c.d. scopo-mezzo, in quanto esclusivamente un imprenditore può, del pari, obbligarsi, secondo l’eterogenea previsione del comma 4 ter, <<a collaborare…all’esercizio delle proprie imprese o…a scambiarsi informazioni o prestazioni>> di diversa natura <<ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa>>. Né tale limite soggettivo può e deve sorprendere: a differenza di quanto previsto per il contratto di società – ove il termine soggettivo è stabilito nella generica qualità di <<parte>> del contraente – viene ripetuta, sul punto, l’analoga disciplina dell’art. 2602 c.c.

In positivo, è, peraltro, da ritenere che chiunque rivesta la qualità di imprenditore possa partecipare al contratto di rete e che, quindi, non sussistano, a tal proposito, limiti ulteriori. Se risulta così chiarito il dubbio, sollevato dalla prima formula del comma 4 ter, che sembrava circoscrivere – ed aveva, per questo, fatto sorgere più di una perplessità – la partecipazione al contratto di rete ai soli enti societari mediante un improprio e oramai abrogato riferimento agli <<oggetti sociali>>, da siffatto angolo visuale, nessuna distinzione viene prevista per legge. Ne consegue che potranno stipulare questo contratto tutti gli imprenditori, indipendentemente dalla categoria cui, per l’oggetto e/o le dimensioni e/o la struttura giuridica, essi appartengano. Saranno così possibili reti cui aderiscano, anche in combinazione tra loro, imprenditori commerciali e/o agricoli e, ove se ne ammetta la categoria, civili; piccoli imprenditori ex art. 2083 e/o imprenditori (civilisticamente qualificabili come) medio-grandi; infine, imprenditori individuali e/o società e/o altre organizzazioni collettive, anche pubblicistiche, di esercizio dell’impresa. E, del resto, la finalità di collaborazione sottesa alla stessa natura giuridica del rapporto in esame porta a ritenere che, in linea con quanto avviene nei consorzi a seguito della l. 10 maggio 1976, n. 377, vada esclusa, ai fini della partecipazione originaria o successiva alla rete, la duplice necessità di una relazione di concorrenza tra i contraenti ovvero della pertinenza delle attività di ciascuno di essi al medesimo ambito produttivo.

In via di prima approssimazione, peraltro, ritengo che:

1) niente esclude, che, a fini promozionali del rapporto collaborativo in esame, il legislatore possa mediante norme speciali o eccezionali prevedere, come già avvenuto per i consorzi, reti c.d. <<miste>>, nelle quali sia consentita la partecipazione anche di soggetti privi della qualità di imprenditore.

2) mi sembra, comunque, scontato che una qualche limitazione in merito possa essere introdotta dal contratto.

Coordinamento con la categoria dei contratti plurilaterali. A questo punto appare, d’altronde opportuno risolvere il problema, sollevato dalla successione di diversi testi normativi del comma 4 ter in brevissimo arco di tempo e tutti di non perspicua redazione, concernente il numero minimo di partecipanti ad una rete; in buona sostanza, se quest’ultima possa essere costituita anche solo da due imprenditori o se, invece, sia a tal fine necessaria la partecipazione di più di due soggetti.

La contraddittoria evoluzione normativa si manifesta, in effetti, ove solo si consideri che, nel corso dei lavori parlamentari, l’originaria proposta prevedeva esplicitamente che <<la rete p[otesse] essere costituita da tre o più imprese>> [art. 3 bis, comma 2°, prima parte, del d.d.l. C. 2187 Governo]; testo, questo, che veniva emendato nell’esame in aula, ove a tale locuzione era sostituito il riferimento a <<due o più imprese>>, e che, entrato in vigore, restava invariato anche a seguito degli interventi correttivi ex l. 99/09. Solo con l’art. 42 l. 122/10, infine, il comma 4 ter veniva, al proposito, ulteriormente modificato introducendo, in luogo della precedente formulazione, la dicitura attuale di <<più imprenditori>>.

In tale contesto sorge, dunque, il quesito se a tale differenza di formulazione del comma 4 ter, da un lato, rispetto agli artt. 2247 e 2602 c.c. – che contemplano sempre, per il contratto di società ed i consorzi, l’alternativa tra la costituzione ad opera di due soli soggetti ovvero di più soggetti –, dall’altro, corrisponda un diverso significato.

Chiare appaiono, in proposito, le conseguenze della differente soluzione offerta a tale interrogativo.

I) tesi della necessaria partecipazione di più imprenditori (almeno 3): se si annette valore decisivo alle evidenziate differenze testuali, il contratto di rete darà luogo ad una peculiare ipotesi di <<contratto necessariamente plurisoggettivo>>: potrà essere concluso solo da più di due imprenditori, mentre andranno parallelamente escluse l’ammissibilità della costituzione, in sede genetica, e la sopravvivenza, in fase esecutiva, di un siffatto rapporto come bilaterale. Sulla scorta della conclusione sostenuta nel testo, anzi, occorrerebbe concludere per la nullità del rapporto concluso solo da due imprenditori a motivo del conflitto con la norma imperativa – in quanto definitoria (art. 1418 c.c.) – del comma 4 ter. Ed in favore di tale conclusione potrebbe deporre il rilievo sistematico secondo il quale, ancorché in deroga ai principi generali in materia contrattuale (arg. ex art. 1321 c.c.), la finalità consortile del contratto di rete e la sua “naturale” afferenza alle strutture mutualistiche renderebbero meno stravagante l’obbligo di un numero minimo di partecipanti alla rete, a somiglianza di quanto avviene nelle società cooperative.

II) Conclusioni diametralmente opposte varranno, per contro, ove si ritenga impossibile enfatizzare tale differenza testuale e semplicemente sostituito, per ragioni formali, nel testo finale del comma 4 ter al preciso riferimento numerico il più generico avverbio <<più>>. Un tale risultato interpretativo può, in effetti, giustificarsi su due argomenti:

a) la letteratura commercialistica ha da tempo chiarito come la <<plurilateralità>> del contratto associativo non significhi necessaria multilateralità dello stesso, dato che la partecipazione di più di due parti può dipendere anche soltanto dalle adesioni successive al rapporto da parte di altri soggetti;

b) la prescrizione di un numero di partecipanti minimo esige una esplicita previsione da parte del legislatore.

Nonostante il peso della ricordata modifica legislativa, ancorché ambigua – al punto che , nel corso dei lavori preparatori della l. 122/10, il cambiamento concernente il numero minimo dei partecipanti appaia evidenziato solo dal Servizio Studi del Senato, Disegno di legge A.S. n. 2228. Le modifiche, 115 – riterrei preferibile questa seconda ricostruzione: si consente così, nello spirito di una maggior fedeltà alla ratio legis di favorire la collaborazione tra imprese, l’uso del contratto di rete anche per le iniziative economiche minori. Dovrà, quindi, ritenersi possibile, secondo il principio proprio dei contratti associativi, la costituzione della rete anche ad opera di due sole parti e la sopravvivenza della stessa anche in caso di riduzione a due partecipanti.

4. (Segue): e la “rete” istituita con soggetti non imprenditori. La partecipazione di P.A. Ove si condividano i rilievi appena svolti, ne consegue che alla conclusione del contratto di rete non potranno mai partecipare soggetti che non siano imprenditori, anche se esercenti una attività economica di natura non imprenditoriale, e che, qualora aderiscano in via originaria o successivamente ad una rete già stipulata da altri, tale partecipazione dovrà ritenersi nulla ex art. 1418, comma 1° e 2°, c.c.

In tal senso depone, infatti, una serie di argomenti.

I) il riferimento soggettivo contenuto nell’incipit del comma 4 ter delimita chiaramente, dal punto di vista soggettivo, l’ambito di applicazione del contratto di rete con norma imperativa, sicché l’adesione di chi non abbia la qualità di imprenditore dovrà stimarsi, in tale prospettiva, contraria alla stessa.

II) la causa del contratto: nonostante i dubbi sulla esatta individuazione della stessa derivanti dalla formulazione della norma, questa si presenta, pur sempre, come tipicamente imprenditoriale e, quindi, impossibile da realizzarsi, con conseguente nullità del rapporto per carenza di causa, da parte di chi non sia imprenditore.

III) l’oggetto del contratto: nella medesima direzione si colloca, infine, il rilievo secondo il quale anche l’oggetto del rapporto è disegnato ex lege come esclusivamente imprenditoriale e, su tale presupposto, del pari impossibile ab origine per chi non abbia la ricordata qualità soggettiva, da tale punto di vista evidentemente necessaria. Tanto può desumersi dalla circostanza che, per legge, le parti possano obbligarsi, in alternativa, <<a collaborare…all’esercizio delle proprie imprese…ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa>>.

Nella cennata prospettiva, la nullità della partecipazione alla rete da parte del non imprenditore prescinde, ove si ritengano corrette tali considerazioni, dall’oggetto tanto del contratto stipulato quanto dell’apporto cui questi si sia eventualmente obbligato. Vale a dire che, invalida e viziata dovrà stimarsi l’adesione al contratto in assenza della qualità di imprenditore del partecipante sia allorquando il relativo contributo abbia ad oggetto denaro ovvero beni di diversa natura; sia quando, come pure mi sembra possibile, lo stesso si traduca nella prestazione di opere ovvero di un servizio.

In tale contesto chiare appaiono essere le implicazioni di siffatta nullità.

I) riflessi sul contratto: per effetto delle regole generali rammentate in precedenza, da un canto, la nullità della partecipazione del singolo alla rete avrà o meno riflessi anche sul rapporto globalmente inteso a seconda della sua concreta essenzialità. Solo la dove essa si manifesti con un tale carattere, dovrà coerentemente stimarsi travolto, ai sensi dell’art. 1420 c.c., tutto il contratto e, dunque, la rete istituita dovrà, secondo i principi operanti in materia di invalidità del relativo contratto, essere posta in liquidazione. E si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui un ingegnere si obblighi a fornire informazioni o prestazioni di natura tecnologica senza le quali le altre parti non avrebbero concluso il contratto di rete; ovvero all’ipotesi limite in cui il contratto sia stipulato esclusivamente da soggetti non imprenditori. In tutti i casi in cui, invece, siffatta essenzialità vada negata sorgerà il più limitato problema della definizione dei rapporti con il singolo partecipante che abbia invalidamente stipulato il o aderito al contratto di rete. Resta, peraltro, fermo che il carattere essenziale o meno andrà accertato caso per caso ed è possibile offrirne soltanto indicazioni tendenziali. Mi sembra che, nella prospettiva ora delineata, l’essenzialità andrà esclusa specie quando, in presenza di una pluralità di adesioni al contratto di rete, identici siano i contributi dei singoli alla stessa e, in particolare, gli eventuali apporti eseguiti in base al contratto.

II) intervento meramente preparatorio di chi non è imprenditore: esclusa, dall’altro canto, la possibilità che al contratto aderisca chi imprenditore non è, un eventuale intervento di tutti i soggetti privi di tale qualità potrà e dovrà limitarsi alla semplice creazione di precondizioni per la successiva e più agevole conclusione, tra imprenditori, del contratto di rete. E si pensi, ad esempio, alla istituzione di organismi o comitati volti a promuovere la conclusione della rete o alla modifica di speciali discipline convenzionali di natura collettiva. Se tale precisazione evoca, in effetti, il piano delle relazioni con le c.d. parti sociali e tra sindacati e associazioni datoriali per il regolamento dei rapporti di lavoro – delle quali si riscontrano nella pratica alcune prime manifestazioni –, siffatte forme di attività potranno e dovranno pur sempre realizzarsi mediante contratti, anche collettivi, autonomi da quello di rete e operanti su un piano (meramente) preparatorio di quest’ultimo.

Rapporti con la pubblica Amministrazione: Dai precedenti rilievi emerge così evidente lo spazio rimesso in materia alla attività della pubblica Amministrazione; in ordine a tale profilo, il comma 4 ter è, in effetti, del tutto silente e viene solo prevista, in base all’attuale disciplina, la modifica dei procedimenti amministrativi interessati dalla presenza di una rete tra imprenditori (arg. ex commi 4 ter.1 e 4 ter.2).

Si desume, invero, che:

a) una partecipazione diretta della pubblica Amministrazione al contratto di rete potrà ammettersi da parte dei soli soggetti che, ferma la loro eterogenea natura (c.d. imprese-organo; enti pubblici economici; società pubbliche), rivestano la qualità di imprenditore;

b) andrà, invece, esclusa, secondo la linea ricostruttiva ora abbozzata, in ogni altro caso, con la sola possibilità di un (indiretto) intervento per la creazione di precondizioni di favore alla conclusione del rapporto di rete tra altri soggetti, tutti imprenditori.

Se tale soluzione è coerente con la struttura del contratto e con la sua “vocazione” imprenditoriale, occorre notare come, in tal modo, non si sia accolta l’originaria proposta, avanzata nel corso dei lavori preparatori, di consentire in ogni caso alle p.A. di partecipare al contratto di rete [art. 3 bis, comma 4°, lett. c) e d), del d.d.l. C. 2187]. Ma se si passa dal piano tecnico a quello metagiuridico di politica del diritto viene così a porsi, nel contesto odierno, un evidente problema: si preclude l’adesione alla rete a tutti quegli enti pubblici che, pur avendo notevoli risorse in termini di know-how, non sono organizzati né possono esserlo in forma di impresa pubblica, come le Università gli enti di ricerca scientifici. E sul piano operativo si tratta di un inconveniente difficilmente superabile mediante il ricorso alla costituzione di società (in tale prospettiva) strumentali alla stipulazione del contratto di rete, se non a costo di forzature e di (inutili) complicazioni, ove si considerino i molti limiti frapposti dalla legislazione più recente alla creazione di soggetti societari da parte degli enti pubblici.

In base alla disciplina dettata dalla l. 24 dicembre 2007, n. 244 e dalla l. 18 giugno 2009, n. 69, infatti, le p.A. possono costituire e partecipare direttamente in società la cui attività sia strumentale a quella dell’ente socio; tale normativa obbliga, per contro, la mano pubblica all’indiretta partecipazione mediante holding in tutti gli altri enti societari la cui attività non sia strumentale; e, in alternativa, a spogliarsi, mediante procedimenti amministrativi di gara, delle partecipazioni di questo secondo tipo comunque detenute. Pur esorbitando tale profilo dai limiti della presente indagine – e rinviando, sul punto, per prime indicazioni a Fonderico, 1166 ss., Massera, 889 ss., Chiti, 1115 ss. e, ampiamente, da ultimo Mazzoni, 165 ss. –, mi sembra che ne derivi un assetto estremamente farraginoso e limitativo del ricorso allo strumento societario ai fini che ci interessano. La partecipazione diretta nella società parte del contratto di rete potrà, in effetti, ritenersi possibile solo ove lo sfruttamento delle ricordate capacità sia qualificabile come “strumentale” alle attività dell’ente pubblico e, quindi, (forse) per gli enti di ricerca ma non (certamente) per le Università, obbligate a ricorrere al doppio meccanismo holding / singola controllata. Con quale effetto disincentivante – evidente per le iniziative di minori dimensioni – appare evidente.

E’ questo uno dei punti critici della odierna regolamentazione delle reti che, onde non comprometterne il successo pratico specialmente per le iniziative di minori dimensioni e/o di quelle fondate prevalentemente sull’apporto di tecnologie e di idee innovative, mi sembra richiedere un’attenta revisione futura da parte del legislatore.

5. (Segue): inizio e fine dell’impresa e contratto di rete. La necessaria qualità di imprenditori degli aderenti alla rete solleva, peraltro, alcune interessanti questioni con riferimento all’aspetto c.d. diacronico del fenomeno imprenditoriale; in una, sia rispetto al momento iniziale che riguardo alla fine dell’attività di impresa dei partecipanti.

I) Inizio dell’impresa:

a) La regola generale: per tutti gli imprenditori, il limite soggettivo posto alla conclusione del contratto di rete ex comma 4 ter induce a ritenere, a tal proposito, necessario, ai fini della validità della singola partecipazione e, ove questa sia essenziale, dell’intero contratto, che tutti gli aderenti abbiano già acquistato la qualità di imprenditori; in mancanza di questo elemento soggettivo, l’adesione del singolo dovrà, infatti, reputarsi nulla per vizi identici a già esposti, dovendo essere equiparata, a tal fine, la partecipazione di chi non è (ancora) imprenditore a quella di chi non è imprenditore. In buona sostanza occorrerà, sulla scorta delle conclusioni raggiunte in sede di analisi del principio di c.d. effettività previsto dall’art. 2082 c.c., che tutti gli aderenti abbiano già avviato effettivamente l’attività economica ovvero che, allorquando vi sia una fase organizzativa dell’impresa, questa possa, come oramai riconosciuto dalla giurisprudenza teorica e pratica, qualificarsi in concreto come attività di impresa.

b) per le società di capitali e cooperative, ritengo, ad integrazione di quanto ora osservato, che la disciplina del contratto di rete comporti una deroga implicita alla previsione generale dell’art. 2331 c.c. in materia di operazioni compiute in nome della società anteriormente all’iscrizione nel registro delle Imprese.

Pur aderendo, sul punto, all’opinione secondo la quale la costituzione del soggetto societario è diversa dall’acquisto della qualità di imprenditore da parte dello stesso, l’adesione al contratto di rete stipulata dai futuri amministratori della società prima dell’iscrizione di questa nel registro delle imprese non potrà considerarsi semplicemente inefficace nei confronti dell’ente collettivo e da questo ratificabile, una volta esaurito il procedimento di costituzione, mediante dichiarazione di volontà dell’organo competente, secondo le conclusioni raggiunte in merito alle operazioni c.d. non necessarie alla costituzione della società; dovrà, per contro, essere ritenuta nulla, mancando non solo la qualità di imprenditore dello stipulante ma, prima ancora ed a fortiori, la stessa parte cui imputare tale attività.

Ove si condividano siffatti argomenti, peraltro, una responsabilità di <<coloro che hanno agito>> potrà individuarsi esclusivamente sul piano della buona fede nelle trattative precontrattuali e, dunque, non quale sanzione per l’attività compiuta anteriormente all’iscrizione ma per la (procurata e taciuta) invalidità del contratto in base all’art. 1338 c.c. Se si reputano corretti i principi riportati nel testo, dunque, in tanto sarà possibile una valida conclusione del contratto di rete ad opera di società di capitali neo-costituite, in quanto l’ente sia stato preventivamente iscritto nel registro delle Imprese ed abbia iniziato la propria attività.

In tale contesto mi sembra, quindi, fortemente dubbio che i futuri amministratori della società possano stipulare, sotto condizione (sospensiva) della successiva iscrizione nel registro delle Imprese e dell’avvio dell’attività produttiva, il contratto in nome della costituenda società. Sebbene questo rimanga senza effetto fino alla costituzione ed al successivo acquisto della qualità di imprenditore (e cfr., in proposito, Ferrara – Corsi, 388, individuando nella apposizione di tale condizione l’unica causa di esonero di <<coloro che hanno agito>> dalla responsabilità personale e solidale ex art. 2331), può fondatamente dubitarsi che una condizione di questo tipo precluda l’operatività della nullità del rapporto per i motivi già illustrati e, in particolare, per l’impossibilità della causa.

A conclusioni diverse potrebbe, peraltro, pervenirsi solo ove si ammettesse una anticipata assunzione della soggettività da parte dell’ente societario, nelle forme note della c.d. società irregolare [Oppo] o c.d. in formazione [Portale; Beltrami]; ma, ancora e non di meno, alla condizione che all’ente non iscritto possa in concreto pur sempre attribuirsi la qualità di imprenditore.

c) Per le società estere obbligate ad iscriversi nel registro delle Imprese italiano ex artt. 2507 ss.: per motivi di interesse scientifico personali, quanto appena detto non opera nei confronti degli enti societari stranieri che, a norma dell’art. 25 l. 218/1995, debbano assoggettarsi a pubblicità in Italia.

Se decisamente censurabili si mostrano, sul punto, la scarsa attenzione riservata ai profili internazional-privatistici del contratto di rete e la miopia del legislatore, l’esistenza di una responsabilità personale comminata a carico degli agenti dall’art. 2509 bis per l’inadempimento ai relativi obblighi pubblicitari non esclude, secondo l’orientamento della letteratura internazionalprivatistica più recente, né la soggettività di tali enti né la possibilità di qualificarli, ricorrendone i presupposti, come imprenditori [così, Portale; e già Santamaria].

II) Fine dell’impresa.

a) La regola generale: riterrei senz’altro possibile la partecipazione alla rete anche da parte dell’imprenditore che si trovi nella fase conclusiva della propria impresa. A favore della compatibilità di tale contratto con la fine dell’impresa, in effetti, può osservarsi, con l’ampio conforto di dottrina e giurisprudenza, che:

1) la liquidazione è, di per ed ancora, esercizio dell’impresa e vede convivere, nel corso dello svolgimento della stessa, sia operazioni finalizzate alla fine dell’attività che atti identici a quelli compiuti in precedenza; ma se così è, l’imprenditore conserva tale sua qualità anche durante questo periodo, con la conseguenza di dover ritenere presente il requisito soggettivo prescritto dal comma 4 ter per i partecipanti alla rete.

2) Se si considera il piano della causa, dall’altro canto, sembra possibile concludere per la sua concreta realizzabilità anche nei riguardi dell’imprenditore in liquidazione: precisato che lo scopo perseguito dalle parti consiste nell’accrescere capacità di innovazione e di concorrenza <<individualmente e collettivamente>>, una tale finalità potrà in concreto realizzarsi in maniera e con effetti diversi per ciascuno dei singoli aderenti e, dunque, anche ai fini, per alcuni di essi, di una (più vantaggiosa) dismissione successiva del complesso aziendale nel corso ovvero all’esito del procedimento di liquidazione.

b) la disciplina applicabile alle società.

Che la partecipazione ad un contratto di rete inevitabilmente presupponga la prosecuzione delle attività imprenditoriali da parte di tutti i partecipanti, ancorché in stato di liquidazione,, questo, che mi sembra richiedere, ai fini di un valido e legittimo della prolungamento della attività, sempre il ricorso al c.d. esercizio provvisorio, anche parziale, dell’impresa, con conseguenze applicative diverse a seconda del tipo di società.

b.1) Le società di persone: per gli enti personali, è ancora dubbio se, a causa dalla sopravvivenza del divieto di nuove operazioni ex art. 2279 c.c., sia ammessa tale forma di continuato svolgimento dell’attività produttiva; problema, questo, positivamente risolto dalla dottrina più recente, pur esigendo, ad instar di quanto previsto dall’art. 2487, comma 1°, lett. c), una decisione autorizzativa della collettività dei soci, da adottare all’unanimità per la deroga al principio dispositivo della disciplina legale dello scioglimento, che vuole l’attività dell’ente orientata solo alla definizione dei rapporti in corso, o, se prevista nel contratto come regola decisoria generale o specifica, anche a maggioranza [Cottino – Weigmann, 329 s. e 332; Libonati, 211]. Ed una siffatta decisione potrebbe contenere un riferimento esplicito alla stipula, da parte dei liquidatori ed in esecuzione della volontà dei soci, del contratto di rete.

b.2) Società di capitali: per queste, invece, l’espressa previsione dell’esercizio provvisorio da parte dell’art. 2487, comma 1°, lett. c), rimuove i dubbi sorti al riguardo nel previgente regime. Resta, peraltro, controverso se, onde poter proseguire nell’attività di impresa e consentire all’ente societario la partecipazione, anche successiva, ad una rete tra imprese, occorra una decisione dei soci adottata nelle forme della deliberazione dell’assemblea straordinaria anche nel corso del procedimento di liquidazione – secondo l’orientamento espresso da una parte della dottrina [Niccolini, Commento, 1779 ss.; Cottino, 538 s.; apparentemente, Ferrara – Corsi, 1008] – ovvero se, per contro, tale profilo ricada, ai sensi dell’art. 2489, comma 2°, c.c., nella generale competenza dei liquidatori, come anche a noi sembra in base al principio caratterizzante lo scioglimento della c.d. <<gestione conservativa>> dell’impresa e del patrimonio sociali, da un canto, e, altresì, per effetto della attrazione, apparentemente inevitabile, dello stesso esercizio provvisorio nel paradigma degli “atti” – e, meglio sarebbe dire, delle “operazioni” o, ancora, delle “attività” – utili alla liquidazione dell’ente [così, Campobasso, II, 543, nt. 16; Vaira, 2071 s.; Ant. Rossi, 2238 s.].

6. (Segue): Partecipazione alla rete ed autonomia contrattuale. [Esigenze di tempo mi impongono a questo punto di sacrificare la parte dell’intervento concernente l’ambito dell’autonomia contrattuale nella disciplina della partecipazione alla rete – per cui rinvio al testo scritto della relazione – e di passare direttamente all’analisi, succinta, delle vicende soggettive della partecipazione].

I) Principio base: come già anticipato, all’accertata assenza di limiti, dal punto di vista soggettivo, alla partecipazione al contratto di rete ulteriori rispetto alla semplice qualità di imprenditore del singolo contraente, corrisponde, in ogni caso, il riconoscimento alle parti della facoltà di subordinare a più stringenti requisiti contrattuali l’adesione ad una determinata rete tra imprese mediante l’introduzione di specifiche clausole contrattuali.

Confermano tale conclusione due argomenti:

a) anche la previsione di siffatte condizioni soggettive può farsi rientrare nella nozione di “contenuto del contratto”, primo elemento rimesso, secondo il principio generale ex art. 1323 c.c., alla autonomia dei contraenti. Alle ragioni di carattere formale – se il contratto deve indicare chi sono gli aderenti, può altresì prescrivere per essi requisiti ulteriori al legale della qualifica di imprenditore – occorre, in effetti, aggiungere anche l’osservazione sostanziale che siffatti limiti ben possono collegarsi anche alla causa ed all’oggetto del rapporto concretamente instaurato tra le parti di quel determinato accordo.

b) la dottrina osserva, con riferimento a tutti i contratti associativi con comunione di scopo, che alle parti è riconosciuta la facoltà di limitare la partecipazione al rapporto plurilaterale con apposite clausole negoziali, destinate a valere nei confronti di tutti i successivi aderenti al rapporto [Marasà].

L’applicazione da parte del redattore del testo contrattuale: Ove si condividano tali rilievi, sarà, quindi, possibile che il contratto di rete limiti l’adesione ai soli imprenditori che presentino determinate condizioni soggettive; e ciò sulla base di criteri vuoi giuridici vuoi economici ovvero anche mediante una applicazione combinata degli stessi.

a) criteri giuridici: potranno così essere istituite reti cui possano partecipare, sulla scorta di apposite clausole limitative, solo imprenditori agricoli ovvero commerciali; esclusivamente piccoli imprenditori o imprenditori medio-grandi; o, da ultimo, con riserva in favore di imprenditori individuali ovvero collettivi, in particolare quando organizzati in forma societaria. In tale ultimo caso, mi sembrano pienamente ammissibili reti l’adesione alle quali sia riservata a favore di società di un determinato tipo preventivamente indicato.

b) criteri economici: con riferimento ai requisiti economici, d’altronde, la partecipazione al contratto di rete potrà essere limitata, da un punto di vista esterno alla singola impresa, ad imprenditori che si trovino in una relazione di concorrenza tra loro ovvero che siano attivi nel medesimo ambito produttivo o geografico. Potranno, del pari, essere previste limitazioni sulla base di dati economici relativi alle singole imprese, quali, ad esempio, il fatturato, anche di più esercizi, ovvero gli investimenti produttivi compiuti, anche se specificatamente programmati in vista della partecipazione a quella determinata rete, e, quando si tratti di società, anche il capitale sociale sottoscritto. Dovrà, in effetti, ritenersi perfettamente lecita e valida la clausola che subordini l’adesione alla rete alla sottoscrizione, anche se posta in essere ad hoc, di un determinato ammontare del capitale sociale, secondo un criterio di rilevanza dello stesso non soltanto “societario” – o, se si preferisce, corporativo – ma di carattere contrattuale.

A tal proposito riterrei, avuto riguardo all’attuale disciplina, che l’adesione da parte di chi non abbia i requisiti contrattuali non possa ritenersi, diversamente da quanto avviene per la partecipazione del non imprenditore, nulla, con gli effetti già illustrati; e che, quindi, diverse siano le conseguenze di una tale situazione, fermo restando che, pur se nella differente ottica della esecuzione secondo buona fede e correttezza del rapporto contrattuale in corso, tale partecipazione <<contrattualmente vietata>> (o, se si preferisce, <<viziata>>) non andrà esente da qualsiasi conseguenza. In termini di disciplina futura, inoltre, mi sembra, traendo spunto in merito dalla vicenda legislativa dei consorzi, che eventuali futuri interventi agevolativi o di promozione del rapporto collaborativo in esame siano destinati a muoversi proprio nell’ottica della <<riserva di partecipazione>> alla rete in favore esclusivo di determinate categorie di imprese.

7. (Segue): vicende soggettive della partecipazione: adesione successiva. Passo ormai a trattare, nei limiti brevissimi del tempo rimasto a mia disposizione, le vicende soggettive della partecipazione riguardate da una prospettiva dinamica. Va, al proposito, premesso come si tratta di un profilo in cui amplissima appare essere l’autonomia rimessa ai contraenti e, trattandosi di scelte tecniche più che contenutistiche, ai redattori del testo contrattuale, nella loro funzione di dirigere la volontà delle parti. Iniziamo dalla c.d. adesione successiva.

La regola legale: confermando quanto già anticipato sulla non eccellente redazione della disciplina delle reti, il comma 4 ter, lett. d), richiede che il contratto indichi, unitamente ad altri ed eterogenei dati, le <<modalità di adesione di altri imprenditori>>; in una, dalle regole convenzionali di adesione successiva di altre parti. Come tutti i contratti plurilaterali, invero, anche la rete è naturalmente <<aperta>>; vale a dire, suscettibile di adesione, in un momento cronologicamente posteriore rispetto a quello della sua stipula, da parte di imprenditori che non siano stati parte del relativo rapporto ab origine.

Sulla scorta di tale carattere, quindi, viene previsto che il contratto debba contenere l’indicazione delle modalità di tale allargamento soggettivo del rapporto. In ordine a questo punto deve, in ogni caso, essere riconosciuta ai contraenti, in difetto di limitazioni ex lege, la più ampia autonomia. Lecite e valide dovranno, quindi, ritenersi:

a) clausole che subordinino l’adesione al consenso individuale e, dunque, nelle ordinarie forme di diritto civile dei partecipanti;

b) ancora, pattuizioni che richiedano, ai sensi della lett. f), una decisione della collettività degli imprenditori, assunta, a seconda del tenore della clausola, all’unanimità ovvero a maggioranza;

c) infine, disposizioni contrattuali che attribuiscano tale potere direttamente al soggetto preposto all’attuazione del rapporto, configurandosi in tal modo una – originale quanto legittima – applicazione dell’istituto generale del c.d. arbitratore ex art. 1349 c.c.

La regola suppletiva (o di default): Anche in analogia alla soluzione offerta per i consorzi, ritengo, d’altronde, che tale indicazione non sia essenziale e che, in difetto, il contratto di rete presenti una struttura c.d. <<chiusa>>, ferma restando, una volta esclusane l’essenzialità, l’esigenza di individuare la regola implicita operante in presenza di una lacuna del contratto.

Nel (preferibile e consigliato) rispetto dei profili formali del contratto di rete – la cui osservanza non è, paradossalmente, imposta per l’adesione successiva al contratto e che può, peraltro, divenirlo mediante l’inclusione nel contratto di una forma c.d. negoziale ex art. 1352 c.c. –, ebbene l’adesione successiva potrà avvenire solo con il consenso negoziale di tutti i partecipanti. Si deve, infatti, modificare il contratto in difetto di uno specifico regolamento contrattuale che escluda l’intervento obbligatorio delle parti del rapporto. Sarà, quindi, necessario che l’imprenditore intenzionato ad aderire avanzi una proposta contrattuale in tal senso, da rivolgere, ove istituito, al soggetto preposto all’attuazione del contratto ex art. 1332 c.c.; e che, inoltre, ciascuna delle parti originarie presti il proprio consenso all’allargamento della compagine dei partecipanti, con la conseguenza che l’eventuale dissenso di anche uno solo di essi, vertente sulla persona dell’aderente successivo ovvero sul contenuto della relativa proposta, precluderà tale estensione soggettiva.

Interferenza con la disciplina del trasferimento di azienda: a prescindere dalla presenza di tale indicazione negoziale, riterrei che, in tutte le ipotesi di trasferimento dell’azienda di uno dei partecipanti alla rete, l’acquirente subentri automaticamente nel relativo rapporto. Ipotesi, questa, ricorrente non solo in base ai consueti strumenti contrattuali della compravendita ovvero dell’affitto del complesso aziendale, ma, altresì, all’esito di operazioni societarie complesse. E si pensi, sul punto, all’eventuale assegnazione dell’azienda ad uno dei soci quale quota di liquidazione all’esito dello scioglimento della società [e cfr., sulla liceità della quota di liquidazione in natura, AA. VV., Casi e materiali, 1726 ss. e, più recentemente, Angelici, Art. 29, 110; Alessi, 157 ss.; e per l’equiparazione di tale fattispecie al trasferimento dell’azienda, Colombo, 183 ss., per il divieto di concorrenza ma con considerazioni suscettibili di applicazione anche ai contratti in corso; e, in giurisprudenza, Cass., sez. trib., 16 febbraio 2007, n. 3671, 284 ss.].

Depongono, in tal senso, due rilievi:

a) operando il trasferimento dell’azienda anche quello di tutti i contratti in corso, troverà applicazione anche per la rete la speciale successione ex lege prevista dall’art. 2558 c.c.;

b) analoga soluzione è adottata per i consorzi dall’art. 2610 c.c., con regola chiaramente espressiva di un principio generale che esclude, per le strutture cooperative tra imprese, il carattere <<personale>> del relativo contratto e la conseguente disapplicazione dell’automatico subentro conseguente al trasferimento di azienda.

Limiti: va, comunque, precisato che all’autonomia privata viene consentito di impedire una tale vicenda traslativa del rapporto. E ciò sia mediante la facoltà espressamente riconosciuta dall’art. 2558 c.c. dei contraenti il trasferimento di azienda di escludere la successione nei contratti in corso attraverso una apposita clausola che può ben avere ad oggetto il contratto di rete; sia attraverso una specifica regola convenzionale inserita direttamente nel contratto di rete con cui i contraenti ne escludano ab origine il trasferimento come effetto di quello dell’azienda (arg. ex art. 2610 c.c.).

Forme di tutela della rete globalmente intesa: verificatosi in una qualsiasi forma giuridica il trasferimento di azienda, occorre, peraltro, riconoscere ai partecipanti alla rete il diritto di recesso accordato dall’art. 2558, comma 2°, c.c., al contraente “ceduto”, alle medesime condizioni previste dalla norma ora richiamata. Tale diritto è, dunque, subordinato, ad alcuni presupposti:

a) deve ricorrere una <<giusta causa>>, da intendere, come di consueto, come esistenza di condizioni economiche, personali o aziendali dell’acquirente il complesso aziendale che non consentano di fare affidamento sulla regolare esecuzione del contratto;

b) sarà soggetto, per ciò che ne concerne l’esercizio, al termine di decadenza – non di un mese, come per i consorzi ex art. 2610 c.c. ma – di 3 mesi dalla notizia dell’avvenuto trasferimento (e, più correttamente, dalla sua iscrizione nel registro delle Imprese);

c) in difetto di una specifica regolamentazione convenzionale, dovrà, infine, ritenersi riservata alla collettività dei partecipanti, cui è rimessa anche la decisione iniziale di ammissione dell’imprenditore, i quali dovranno, su tale punto, decidere all’unanimità di esercitare la facoltà di scioglimento del contratto nei confronti del subentrante. Andrà, per contro, esclusa la competenza del soggetto preposto all’attuazione del contratto, salvo che il relativo potere non gli sia espressamente attribuito, anche in tal caso con ricorso all’istituto del c.d. arbitraggio contrattuale previsto dall’art. 1349 c.c.

Residuano, a questo punto, due interessanti questioni applicative.

I) Ingresso dell’imprenditore privo dei requisiti soggettivi di partecipazione al contratto: è’, in primo luogo, necessario interrogarsi sul se sia possibile disporre l’ammissione alla rete di un imprenditore privo di quegli ulteriori requisiti contrattualmente definiti per l’ingresso nel rapporto. Occorre fare tre ipotesi.

a) Nel regime di default e qualora l’adesione successiva sia contrattualmente subordinata al consenso individuale dei singoli, infatti, ritengo che sarà possibile disporre anche l’ammissione di un imprenditore che non abbia i requisiti contrattuali. Ed invero, il consenso prestato da tutte le parti del rapporto importerà modifica, ancorché implicita, della clausola limitativa già prevista nel contratto di rete, pur se il dissenso di un solo aderente precluderà, con effetto per tutti, l’adesione del nuovo imprenditore.

b) Qualora il contratto rimetta la decisione sull’ammissione ad una delibera della collettività a maggioranza, la soluzione sarà diversa a seconda che sia attribuita o meno al potere di quest’ultima pure la modifica dei requisiti soggettivi di partecipazione.

b.1) Nell’ipotesi in cui tale competenza debba essere riconosciuta, in effetti, la protezione dell’imprenditore dissenziente si risolverà sul piano individuale dell’esercizio del diritto di recesso ai sensi della medesima lett. d) e della disciplina legale relativa allo scioglimento per iniziativa del singolo del rapporto la dove tale modifica delle condizioni di ammissione alla rete integri una <<giusta causa>>;

b.2) allorquando vada, invece, negato un siffatto potere, oltre che sul piano del c.d. exit potrà e dovrà in aggiunta ammettersi, pur con tutti i dubbi sul relativo regime anche in caso di previsione convenzionale, l’impugnativa della decisione non conforme al contratto.

c) Rilievi in parte identici valgono, infine, per l’eventualità in cui l’adesione successiva di altri imprenditori sia rimessa alla competenza del soggetto preposto all’attuazione del contratto.

c.1) Se quest’ultimo sia competente anche con riguardo alla modifica dei requisiti contrattuali, i partecipanti saranno protetti dall’adesione di chi non li abbia mediante il diritto di recesso, con il quale esprimeranno il proprio dissenso alla modifica dei limiti all’ingresso nel rapporto in tutti i casi in cui tale vicenda dia luogo ad una <<giusta causa>>.

c.2) Ove, per contro, la modifica dei requisiti non rientri nella competenza di tale organo, questi dovrà prima riferire della proposta ricevuta dal soggetto “non titolato” ai partecipanti, rientrando, a nostro giudizio, una tale evenienza tra le circostanze che, per legge, il mandatario ha l’obbligo di comunicare (arg. ex art. 1710, comma 2°, c.c., e 1375) e, solo se sia deliberata la relativa modifica, potrà darvi esecuzione stipulando il relativo accordo. In mancanza di tale decisione, però, mi sembra che contro l’adesione da parte del soggetto privo dei requisiti la tutela dei partecipanti non sia assicurata (solo) dalla impugnabilità della determinazione dell’arbitratore a norma dell’art. 1349 c.c. ma, più intensamente, dall’inefficacia della adesione del nuovo membro. In tal caso, deve, infatti, ritenersi che l’organo attuativo agisca sul piano negoziale come falsus procurator dei partecipanti alla rete. Tale conclusione mi sembra, del resto, coerente con una prospettiva secondo la quale tale organo può completare il contratto di rete, per via di specificazione, ma non può – essendo tale funzione attribuita, nello schema legale, ai contraenti – modificarlo.

II) Diritto soggettivo all’ammissione nella rete: più agevole pare, invece, la soluzione del secondo – ed inverso rispetto a quello appena esaminato – quesito; vale a dire, se esista un diritto soggettivo all’ammissione nella rete da parte dell’imprenditore che possieda i requisiti contrattualmente imposti.

Come già per le cooperative, mi sembra che un tale diritto vada escluso:

a) la domanda di ammissione di nuovi imprenditori resta pur sempre una mera proposta contrattuale, che i partecipanti alla rete – e, per essi, l’organo attuativo – possono o meno accettare discrezionalmente, ferma restando, nel caso di rifiuto ingiustificato, la possibilità dell’imprenditore “titolato” non ammesso di domandare – almeno sotto il profilo della responsabilità c.d. precontrattuale ex art. 1337 s. c.c. – il risarcimento dei danni.

b) Tale conclusione negativa risulta d’altronde rafforzata, con riferimento al contratto di rete, dall’assenza di una qualsiasi norma che, a somiglianza di quanto disposto da regole eccezionali operanti per alcuni tipi di cooperative, preveda un obbligo di ammissione alla rete.

Vero è, comunque, che, anche in merito emerge l’amplissima autonomia negoziale rimessa ai contraenti: tutte le volte in cui l’adesione successiva sia attribuita all’organo attuativo in veste di arbitratore, sarà, altresì, consigliabile prevedere nel contratto, a somiglianza dell’art. 2528, comma 3° e 4°, c.c. per gli enti mutualistici, un meccanismo interno di “appello” alla collettività dei partecipanti del rifiuto di ingresso opposto, in prima istanza, dal soggetto attuatore.

8. (Segue): e lo scioglimento del singolo rapporto per recesso ed esclusione. L’ultimo dei profili inerenti la partecipazione al contratto di rete riguarda le indicazioni negoziali, sempre contemplate dalla lett. d) in esame, in ordine al diritto di recesso dei partecipanti alla rete, riguardato sotto il concorrente profilo delle <<cause facoltative>> che lo attribuiscono e delle <<condizioni per l’esercizio>>. Tale aspetto di disciplina contrattuale, comune a tutte le reti indipendentemente dall’oggetto delle stesse, va, peraltro, integrato con riferimento alla (non prevista espressamente ma da reputare, comunque, consentita) introduzione di un regolamento pattizio in materia di esclusione del contraente dalla rete tra imprese; per regola generale dei contratti plurilaterali, infatti, al potere del singolo di porre termine al rapporto per propria volontà corrisponde, sempre e per converso, il riconoscimento al gruppo dei partecipanti del potere di risolvere, in via di autotutela, il rapporto nei confronti del singolo.

La regola legale: In tale contesto, dunque, ampia appare l’autonomia dei contraenti.

a) Recesso: il contratto potrà prevedere sia cause determinate, riferite, cioé, a specifiche vicende (quali, ad esempio, il successivo ingresso di altri imprenditori ovvero la modifica dell’oggetto del contratto), che generali; e, in tale prospettiva, potrà pervenire fino a riconoscere il recesso ad nutum in favore dei partecipanti alla rete.

Con riguardo alle modalità di esercizio di tale diritto, inoltre, potranno essere previsti termini di decadenza, a somiglianza di quanto previsto per le società di capitali e con il solo limite generale, importante la nullità della clausola difforme, della <<non eccessiva ristrettezza>> degli spazi temporali previsti ai sensi dell’art. 2965 c.c.; e, ulteriormente, particolari forme di manifestazione della relativa volontà del socio; infine, l’individuazione di un determinato destinatario delle relative dichiarazioni.

b) Esclusione: il contratto potrà così stabilire sia cause specifiche (quali, ad esempio, lo svolgimento di attività in concorrenza con quella esercitata dagli imprenditori mediante la rete, come nell’art. 2301 c.c., o con modalità contrattualmente definite sleali ovvero la violazione di specifici obblighi contrattuali, come quelli in materia di apporto); sia ipotesi generali, mediante il rinvio a formule modellate sulle <<gravi inadempienze>> come per le società di persone. L’unico limite in materia sembra l’impossibilità che il contratto attribuisca al gruppo il diritto di terminare il rapporto di rete ad nutum (c.d. diritto assoluto di esclusione), deponendo per la inammissibilità di tale ampio potere e per la nullità della relativa clausola il richiamo alle <<regole generali di legge in materia di scioglimento…parziale dei contratti>> associativi e la consimile soluzione adottata, per risalente tradizione ermeneutica, con riferimento alle società di persone.

L’autonomia contrattuale dei soci potrà tradursi anche in una particolare regolamentazione del procedimento di esclusione. Potrà, sotto tale angolo visuale, ammettersi:

1) una esclusione “contrattualizzata” e, quindi, decisa con il consenso unanime, individuale, dei partecipanti alla rete;

2) una esclusione “corporativa”, deliberata dai contraenti – all’unanimità ovvero a maggioranza, a seconda delle clausole inserite nel contratto di rete – mediante apposito procedimento collegiale.

3) legittima e valida dovrà, al proposito, essere giudicata anche la scelta del contratto di rimettere la decisione di escludere uno dei partecipanti al soggetto preposto alla sua attuazione: come già visto per l’ingresso di altri imprenditori, infatti, l’organo attuativo opererà in tal caso come arbitratore, ai sensi dell’art. 1349 c.c.

Dovendo, peraltro, sempre riconoscersi che l’escluso possa impugnare la decisione finale di esclusione – da chiunque provenga – per contestare la sussistenza della causa di esclusione e l’eventuale violazione delle regole decisorie previste nel contratto, appare più che opportuno il deferimento della relativa controversia ad un arbitro, mediante clausola compromissoria inserita nel contratto di rete e con la conseguente applicazione delle regole del c.p.c. (artt. 806 ss.); e tanto in special modo avuta presente l’esigenza di riservatezza naturalmente connessa all’eventuale svolgimento di attività di impresa mediante le strutture della rete.

Esclusione dalla rete di due membri: è, d’altronde, da riconoscere che, ove si ammetta una rete composta solo da due imprenditori, mi sembra inevitabile ritenere che, con disposizione non derogabile dalle parti, l’esclusione possa essere disposta soltanto mediante l’esercizio dell’azione giudiziaria contro il partecipante nei cui confronti si sia verificata l’ipotesi contrattuale di allontanamento, in tal senso potendo e dovendo trarsi spunto dalla consimile soluzione dettata per le società di persone dall’art. 2287, comma 3°, c.c.

La regola suppletiva (o di default): anche tali indicazioni sono facoltative. In favore della natura non essenziale delle relative clausole depongono: a) il testo della lett. d), quando, a proposito del recesso, si discorre di cause <<se pattuite…facoltative>> e non si fa alcun cenno alla pur operante possibilità di regolare l’esclusione dalla rete; b) il rinvio alle <<regole generali di legge>>, con ciò volendo all’evidenza intendersi che, in presenza di una lacuna negoziale, la disciplina di default di tali profili dovrà trarsi dai principi generali regolanti i contratti plurilaterali.

Tutte le volte in cui il contratto sia sul punto lacunoso, mi sembra che vadano individuate le seguenti regole residuali.

I) Recesso:

1) Muovendo dalle cause, riterrei operante, anche per le reti, la distinzione, classica in materia societaria, a seconda della durata del contratto: E così, ove la rete sia istituita per durata eccedente la vita umana (arg. ex art. 2285, comma 1°) o, se iscritta, sia a durata illimitata, i partecipanti avranno il diritto di recesso ad nutum. Conclusione, questa, che è imposta proprio dall’operatività del principio di ordine pubblico della <<non perpetuità dei rapporti obbligatori>>.

2) A prescindere dalla durata della rete, d’altronde, ciascun partecipante avrà il diritto di recesso per giusta causa, come avviene nei consorzi e nelle società di persone; vale a dire, in presenza di comportamenti illegittimi, incluse anche le ipotesi di violazione delle regole contrattuali, tenuti dagli altri partecipanti – e, per essi, pure dall’organo attuativo – che facciano venir meno la reciproca fiducia. E si pensi, ad esempio, alla disposta ammissione di un imprenditore privo dei requisiti contrattuali, senza la preventiva modifica di questi; o all’ingresso di un altro imprenditore, in origine privo dei requisiti, consentito attraverso una modifica degli stessi, tutte le volte in cui ne risultino alterate le condizioni di rischio iniziali del singolo aderente nella partecipazione alla rete; ancora, a modifiche organizzative rilevanti, come il cambiamento dell’oggetto della rete; infine, ad una gestione fraudolenta ovvero disordinata della stessa. E sempre in analogia con i consorzi, infine, il diritto di recesso dovrà essere attribuito anche al partecipante che, nel corso del rapporto, perda i requisiti, legali (qualità di imprenditore) ovvero contrattuali, prescritti per l’adesione al rapporto.

3) In merito al profilo procedimentale, del resto, sarà sufficiente, quanto alle modalità di esercizio del recesso, che, in osservanza dei principi generali sugli atti recettizi (artt. 1334 s.), la relativa dichiarazione sia comunicata all’organo attuativo, quando istituito o, in mancanza, a tutti gli altri contraenti; e, per il termine di esercizio, che tale comunicazione avvenga prima che possa ritenersi maturata l’acquiscienza del singolo al comportamento costituente, nel caso di specie, la giusta causa di recesso.

II) Esclusione.

1) Cause: come principio generale dei contratti associativi, infatti, dovrà ritenersi possibile che la collettività ponga fine al rapporto con uno degli imprenditori parte del contratto di rete, in presenza di un comportamento dello stesso qualificabile come <<grave inadempienza>>, in linea con la soluzione accolta in tema di consorzi tra imprenditori. Se, in merito all’obbligo inadempiuto, ritengo identico il rilievo dei doveri ex lege ed ex contractu, mi pare che la perdita successiva dei requisiti di adesione alla rete – siano essi, ancora, il legale della qualità di imprenditore ovvero i contrattuali, nella versione concretamente assunta dagli stessi – legittimino nondimeno il gruppo ad escludere il partecipante, secondo la consimile opinione espressa per i consorzi.

2) Procedimento: in ordine al procedimento di esclusione, ritengo che, nel silenzio del contratto, una tale misura potrà essere legittimamente disposta solo con il consenso individuale di tutti i partecipanti. Se in tal senso milita, infatti, il rilievo che si tratta pur sempre di una modifica del contratto di rete neppure sottoposta, in via di principio, alla regola di maggioranza, come invece avviene nelle società di persone ex art. 2287 c.c., l’esigenza di assicurare la tutela del gruppo avverso comportamenti del singolo ci induce a ritenere che non potrà, ai fini del consenso unanime e nel rispetto del principio generale dettato dall’art. 2287, comma 1°, c.c., essere conteggiato l’imprenditore escludendo.

Una breve analisi meritano, da ultimo, due profili, soggetti a disciplina comune, in materia di scioglimento del singolo rapporto collaborativo.

I) Uscita dalla compagine sociale e diritti patrimoniali: sia nel regime contrattuale che in quello operante in via di default, invero, occorre, in primo luogo, chiarire che, se la parti possono prevedere un particolare regime successivo all’avvenuto scioglimento del singolo rapporto, una tale vicenda non equivale ad espropriazione della quota e che tali vicende avvengono, in ogni caso, pur sempre con salvezza dei diritti patrimoniali del singolo aderente, escluso o receduto. Il che vale quanto dire che, qualunque sia la causa di scioglimento del rapporto individuale, il partecipante allontanato(si, anche volontariamente) avrà una pretesa al rimborso della propria partecipazione, secondo la sua valutazione all’attualità; e ciò, quanto meno, tutte le volte in cui sia stato istituito il fondo comune della rete ai sensi della lett. f).

II) Rapporti con il diritto generale: pur nella estrema opinabilità della questione, in secondo luogo, reputiamo che, allorquando possano operare, per contratto o per legge, il recesso e l’esclusione, debba ritenersi presente una deroga, ancorché implicita, al ricorso al rimedio generale della risoluzione, anche per inadempimento (artt. 1453 ss. c.c.), del contratto di rete. Tale conclusione riposa, in effetti, sul rilievo che, come in materia di società, le parti possono conseguire, mediante istituti di autotutela privata caratterizzanti il contratto in esame, risultati utili identici a quelli che gli deriverebbero all’esito dell’esperimento delle pertinenti azioni giudiziarie e che, in questo modo, possono pervenire <<in materia di risoluzione di conflitti [ad] impiegare strumenti giuridici con modalità self-enforcing che, in caso di rete, si rivelano particolarmente utili>> [Cafaggi].

 

*Testo della relazione tenuta al seminario “Le reti di imprese” svoltosi a Napoli il 4 maggio 2011 ed organizzato dal Consiglio Notarile di Napoli e dalla Fondazione Emanuele Casale Corte. Il testo è aggiornato al 15 maggio 2011.

Patriarca Camillo

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