I principi generali dell’ordinamento europeo

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Nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Sommario:

  1.  La “legislazione giurisprudenziale” della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
  2. Le fonti del diritto europeo. Cenni.
  3. I principi generali del diritto elaborati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
  4. I principi generali del diritto nella gerarchia delle fonti del diritto europeo.
  5. La legittimità dei Principi generali del diritto enucleati dalla Corte di Giustizia quali strumenti di interpretazione dei Trattati e di verifica della legittimità della normativa derivata.

1.La “legislazione giurisprudenziale” della Corte di Giustizia dell’Unione Europea

Le Sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, com’è noto, non costituiscano, una fonte primaria né tantomeno derivata del diritto positivo nell’ordinamento europeo, almeno sulla base delle disposizioni dei Trattati, anche se la particolarità assunta dall’attività giurisprudenziale della Corte di Giustizia, fin dalla sua istituzione, in materia di enucleazione di principi divenuti per la sua funzione principi generali dell’ordinamento europeo, ricondotti alla specie delle c.d. fonti complementari di diritto europeo, rappresenta una sorta di fonte di diritto positivo o “legislazione parallela” o meglio ancora una “legislazione giurisprudenziale”[1] che ha edificato un nuovo ordinamento giuridico solo abbozzato nei Trattati[2] tanto rilevante nel processo di integrazione europea da avere fortemente contribuito ad uniformare gli ordinamenti dei paesi membri con un’attività giurisprudenziale, ermeneutica e creativa, che non si è in alcun modo risparmiata nel recepimento di principi di diritto estranei o comunque non espressamente assunti dal diritto positivo dell’ordinamento europeo sulla base dei trattati ma comunque riconducibili ad un idem sentire della cultura giuridica europea, sebbene non presenti in tutti gli ordinamenti giuridici degli Stati membri.

Questa particolare caratterista “edificatoria” della Corte di Giustizia, è unica nel suo genere considerando che si tratta pur sempre di un organo giurisdizionale di un ordinamentale sovranazionale, un sistema giuridico derivato e non originario, nel quale gli Stati membri hanno comunque mantenuto la loro sovranità, sebbene con un ridimensionamento attuato attraverso un trasferimento di competenze in capo all’ente sovranazionale con caratteristiche proprie di un ordinamento giuridico autonomo, dotato di personalità e capacità giuridica. [3]

La particolarità non è quindi tanto riferita alle caratteristiche dell’attività giurisprudenziale “tipica” di una Corte di prima (e spesso unica) istanza ma al fatto che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è assunta ab origine un compito che nessun altro organo comunitario né tantomeno nessun trattato o norma derivata avrebbe potuto svolgere per limiti oggettivi e soggetti e cioè uniformare e rendere più omogenee (meno disomogenee) culture giuridiche differenti, sebbene alcune tra loro con forti radici comuni. E ciò non solo attraverso l’interpretazione del diritto europeo e le competenze e funzioni assicurate dai Trattati (assicurare il rispetto della legge, annullare gli atti illegittimi degli organi dell’UE, assicurare l’intervento dell’UE, sanzionare le istituzioni dell’UE su istanza di soggetti privati) ma affermare e riconoscere l’esistenza di principi generali dell’ordinamento europeo non contemplati dai Trattati, se non forse in una esclusiva o prevalente prospettiva teleologica per fare progredire l’integrazione europea[4], né tantomeno dalla normativa derivata. Conseguentemente, imponendo nella legislazione e giurisprudenza degli Stati membri decisioni fondate sul riconoscimento e l’affermazione di principi non contemplati dal diritto positivo europeo. Tutto questo nel quadro di un assetto istituzionale e di competenze che tradizionalmente e nella versione attuale dell’art. 19 TUE affidava alla Corte il compito (immane) di “assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati”. Il diritto giurisprudenziale europeo è dunque il risultato di questo inesauribile attivismo della Corte che ha rappresentato fino ad oggi il “Cavallo di Troia” per consentire di accelerare il processo di integrazione culturale e, quindi, giuridica tra gli Stati membri e i loro ordinamenti giuridici e, quindi, in definitiva tra i paesi ed i cittadini europei.

Nella prospettiva che qui interessa e lasciando più avanti le riflessioni in merito alla legittimità di questo ruolo da “legislatore comunitario”[5], con riguardo alle specifiche previsioni dei Trattativi europei, normativa primaria che nulla concede a riguardo, per meglio comprendere la forza dell’azione giurisprudenziale nella formazione del diritto europeo come fonte complementare ma di rango “primario”, verranno individuati i più rilevanti principi generali di diritto di formazione giurisprudenziale al di fuori del quadro normativo delineato così come risultante dai Trattati.

E in questa prospettiva di recupero dei principi generali del diritto, provare a riferire sulla loro portata formale nella gerarchia delle fonti europee per meglio comprendere se questa fondamentale azione giurisprudenziale della Corte di Giustizia possa ritenersi legittima alla luce delle regole primarie e dell’ordinamento sovranazionale dei Trattati.

  1. Le fonti del diritto europeo. Cenni

Parlare di fonti tipiche o atipiche del diritto europeo in una analisi di tipo comparatistica non ha granché senso. Sulla base dell’assetto dell’ordinamento europeo si distinguono convenzionalmente fonti primarie, e fonti derivate o c.d. diritto derivato, oltre alle fonti complementari tra le quale vengono anche fatte rientrare il diritto internazionale ed i principi generali del diritto.

Tra le fonti di diritto primario vanno comunemente considerati i “Trattati”, le “Convenzioni”, gli “Accordi” egli “Atti” che rappresentano le norme primarie del sistema giuridico dell’Unione europea di natura convenzionale, sovranazionale, da ricondurre sempre e comunque nell’alveo degli accordi internazionali. I Trattati contengono le norme formali e sostanziali che costituiscono il quadro entro cui le istituzioni attuano le politiche dell’Unione Europea, oltreché stabilire le norme formali che sanciscono la ripartizione delle competenze tra l’Unione europea e gli Stati membri e che dunque costituiscono la base giuridica e politica che legittima il potere delle Istituzioni europee.

La natura giuridica dei Trattati istitutivi, nonché delle loro integrazioni e modificazioni, di natura convenzionale, intervenute negli anni dal primo Trattato istitutivo della CECA e della CE, è quella di accordi internazionali nel senso valorizzato nella Convenzione di Vienna del Diritto sui trattati del 1969. I Trattati comunitari o europei si caratterizzano rispetto ai tradizionali Trattati internazionali in quanto oltre alle previsioni di una serie di obblighi e diritti per gli Stati contraenti, ivi comprese le finalità proprie del Trattato, contengono e disciplinano un articolato e complesso istituzionale destinato ad esercitare le funzioni e poteri voluti tra gli Stati contraenti, realizzando in tal modo un ordinamento giuridico ed istituzionale, sovranazionale, completo, dotato di personalità giuridica, con competenze legislative, esecutive e giurisdizionali proprie di un ordinamento statuale[6]. Tale caratteristica oggi è anche esplicitamente rinvenibile nell’art. 47 del Trattato sull’Unione europea (TUE), l’Unione Europea, come ente sovranazionale, con una propria personalità giuridica, quindi, un soggetto di diritto legittimato anche -entro precisi limiti- anche ad elaborare accordi internazionali con organizzazioni internazionali e paesi sovrani al pari di uno stato sovrano. Il Trattato sull’Unione Europea e il Trattato di funzionamento dell’Unione Europa sono il risultato finale, politico e quindi giuridico, dello stato attuale dell’Unione Europea, del lungo ed accidentato percorso di costruzione dell’ordinamento europeo a partire dal Trattato di Parigi del 1951 istitutivo della CECA e da tutti gli altri atti convenzionali sovranazionali.

Esaminando la situazione attuale possiamo individuare come fonti primarie:

  • il Trattato dell’Unione europea (TUE);
  • il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), e relativi 37 protocolli 37, 2 allegati e 65 dichiarazioni, che sono allegate ai trattati per integrare i dettagli, senza figurare nel testo giuridico completo;
  • la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea;
  • il Trattato che stabilisce la Comunità europea dell’energia atomica (Euratom) che è ancora in vigore come trattato a se stante.

Come fonte subordinata, il c.d. diritto derivato, previsto dall’art. 288 TFUE, comprende (come atti unilaterali degli organi ovvero delle procedure di formazione dell’Unione Europea) i “Regolamenti”, le “Direttive” e le “Decisioni” (atti vincolati) nonché i “Pareri” e le “Raccomandazioni” (atti non vincolati).

Sempre nel quadro del diritto derivato vengono tipicamente ricondotti gli atti convenzionali che come tali presuppongono per la loro formazione il consenso di due Stati ovvero dell’ente sovranazionale con uno Stato o organizzazione internazionale terza, ad esempio gli “accordi internazionali” tra l’Unione europea, da una parte, e un paese terzo o un’organizzazione terza, dall’altra; gli accordi tra Stati membri, e gli accordi interistituzionali, ossia tra le istituzioni dell’Unione europea. Sempre per quanto concerne le fonti secondarie, gli articoli 289, 290 e 291 TFUE instaurano una gerarchia delle norme di diritto derivato tra atti legislativi, atti delegati e atti di esecuzione.

Gli atti legislativi sono quegli atti giuridici adottati mediante la procedura legislativa che può essere ordinaria o speciale. Per contro, gli atti delegati sono atti non legislativi di portata generale che integrano o modificano determinati elementi non essenziali dell’atto legislativo. I c.d. atti atipici del diritto dell’Unione europea costituiti da una serie eterogenea di atti emessi dalle istituzioni comunitarie, non previsti in alcun modo dai trattati e perlopiù formatisi negli atti a seguito di prassi adottate dagli organi comunitari. Gli atti atipici sono tali, dunque, perché non rientrano nelle categorie degli atti giuridici previste nel Trattato sul funzionamento dell’UE (articoli 288, 289, 290, 291 e 292).

I Trattati prevedono alcuni atti atipici altri invece sono stati sviluppati nella prassi degli organi delle istituzioni dell’Unione Europea. Alcuni atti atipici possono tuttavia avere effetti vincolanti, i quali restano comunque limitati all’ambito istituzionale dell’UE. I regolamenti interni delle istituzioni dell’UE sono atti atipici che fissano l’organizzazione, il funzionamento e le regole delle procedure interne delle istituzioni dell’UE. Essi hanno un effetto vincolante solo per l’istituzione interessata. Le istituzioni possono anche andare oltre organizzando la loro cooperazione tramite accordi interistituzionali. Anche questi tipi di accordi sono atti atipici. Essi possono avere un effetto vincolante ma soltanto per le istituzioni firmatarie dell’accordo. Ciascuna istituzione dell’UE ha sviluppato una serie di strumenti nell’ambito della propria attività. Il Parlamento dell’Unione Europea esprime talune delle sue posizioni politiche a livello internazionale attraverso delle “risoluzioni” o “dichiarazioni”. Il Consiglio adotta regolarmente delle “conclusioni”, “risoluzioni” o “orientamenti” alla fine delle sue riunioni. Tali atti contengono essenzialmente l’opinione delle istituzioni riguardo a certe problematiche europee o internazionali. Essi hanno una portata generale ma non un effetto vincolante. La Commissione adotta inoltre diversi atti atipici propri. Si tratta di comunicazioni che presentano di solito nuovi programmi politici. Inoltre, la Commissione adotta dei libri verdi che hanno la prevalente finalità per nuove consultazioni pubbliche su specifiche problematiche europee. Essa raccoglie così le informazioni necessarie per poter elaborare una proposta legislativa. In seguito ai risultati dei libri verdi, la Commissione adotta a volte dei libri bianchi che presentano delle proposte di azioni europee dettagliate.

Si è detto, poi, delle c.d. fonti complementari del diritto europeo nelle quali vengono ricondotti la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE (CGUE), il diritto internazionale da cui attinge la CGUE nell’elaborare la sua giurisprudenza e i Principi generali del diritto, fonti non scritte elaborate dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia.

  1. I Principi Generali del diritto dell’Unione Europea elaborati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea

I Principi generali del diritto elaborati dalla Corte, come anticipato, hanno consentito alla Corte non solo di attuare norme in vari ambiti che non sono menzionati nei trattati ma anche di introdurre nell’ordinamento europeo principi di diritto “non conosciuti” all’interno dell’ordinamento giuridico europeo e spesso propri degli ordinamenti degli Stati membri, a volte recepiti in ambito costituzionale.

Sono principi a volte parte integrante dei Trattati o meramente rinvenibili in questi e quindi frutto di una loro elaborazione ad opera della Corte di Giustizia. A volte, tuttavia, sono Principi generali di diritto enucleati dall’attività giurisprudenziale della Corte di Giustizia (artt. 263 e 267 TFUE). La Corte dunque, attraverso l’elaborazione dei Principi generali ha conferito all’ordinamento europeo principi riconosciuti come presenti, necessariamente endogeni all’ordinamento giuridico europeo in quanto ritenuti comuni alla cultura giuridica europea, spesso presenti a livello costituzionale o, comunque, ordinamentale negli Stati membri, che costituiscono dunque a tutti gli effetti una fonte non scritta del diritto europeo e una fonte superiore agli atti normativi derivati.

Di tali Principi non v’è alcuna traccia nei Trattati fatto salvo all’art. 340 TFUE nel quale si fa espresso riferimento come principio comune ai diritti degli Stati membri in materia di responsabilità extracontrattuale.

Sono principi generali “capaci di conferire omogeneità ed unità al sistema, contribuendo all’affermarsi di un ordinamento giuridico caratterizzato da propria autonomia e coerenza interna, principi originali dunque”.[7]

In sostanza sono principi attraverso cui la Corte di Giustizia è riuscita a colmare le lacune di un ordinamento internazionale per definizione limitato nella sviluppo normativo, con Trattati caratterizzati soprattutto anche per la particolare genesi da una impostazione esclusivamente economica[8] e soprattutto conferire al sistema giuridico europeo elementi interpretativi dei Trattati e finanche del diritto derivato, attraverso elementi di discrezionalità che sono stati “sopportati” dagli Stati membri per l’autorevolezza della Corte, la capacità di sintesi della cultura giuridica europea e soprattutto aver rivendicato fin dalle origini la forza della sua attività giurisdizionale e l’uniforme applicazione del diritto europeo. Tali Principi sono stati prevalentemente emessi con Sentenze pronunziate ai sensi dell’art. 267 TFUE[9] in sede di rinvio pregiudiziale che statisticamente costituiscono il maggior numero di provvedimenti della Corte di Giustizia. La decisione pregiudiziale ha portata vincolante per il giudice del rinvio, e vincola anche le giurisdizioni di grado superiore chiamate a pronunciarsi sulla medesima causa. Le Sentenze rese in ipotesi di rinvio pregiudiziale sono efficaci anche al di fuori del giudizio per il quale è stato attivato l’intervento della Corte perché hanno carattere astratto dovendo interpretare il diritto dell’Unione sia per la finalità del rinvio pregiudiziale di cui si è detto sia per garantire l’uniforme applicazione del diritto dell’Unione Europea e tale garanzia può essere assicurata da una interpretazione della norma con effetti erga omnes.

Le Sentenze della Corte di Giustizia, al pari del diritto europeo, originario e derivato, trovano immediata applicazione negli ordinamenti degli Stati membri come peraltro affermato in più occasioni dalla Corte Costituzionale.[10] È dunque evidente come i Principi generali del diritto enucleati dalla Corte di Giustizia, soprattutto nelle fattispecie formulate per sopperire alla carenza di normativa primaria o secondaria e, quindi, assicurare coerenza e completezza all’ordinamento europeo, rappresentano uno strumento di particolare rilevanza giuridica per la capacità di penetrare negli ordinamenti nazionali come diritto complementare europeo derivante da una fonte non scritta, direttamente applicabile con effetti erga omnes per effetto della portata vincolante delle stesse disposizioni interpretate avendo una portata dichiarativa. Ma anche per la ragione che uno degli obiettivi fondamentali del rinvio pregiudiziale è quello di assicurare l’uniforme applicazione del diritto dell’Unione europea. Tale scopo sarebbe frustrato se le sentenze interpretative della Corte dispiegassero i propri effetti soltanto nella causa a qua (art. 23 dello Statuto della Corte che garantisce alle Istituzioni di presentare le proprie osservazioni nelle cause pregiudiziali proprio per gli effetti che produrrà la Sentenza una volta emessa).

I Principi generali dell’ordinamento europeo hanno una ampia portata poiché possono valere per la Corte di Giustizia sia come criteri di interpretazione e di legittimità. Sono quindi fonti di diritto non scritto, norme che a tutti gli effetti si impongono all’ordinamento con l’efficacia di precetti dell’ordinamento sovranazionale capaci di integrare le lacune normative, uniformare la legislazione degli Stati membri e quindi condizionare in modo pervasivo l’ordinamento giuridico europeo. La Corte anche di recente ha affermato che “i diritti fondamentali sono parte integrante dei principi giuridici generali dei quali la Corte garantisce l’osservanza. A tal fine, quest’ultima si ispira alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri oltre che alle indicazioni fornite dai trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti dell’uomo a cui gli Stati membri hanno cooperato o aderito”[11]

Vasto il panorama dei principi generali di diritto che la Corte di Giustizia ha elaborato, in assenza di chiare o inequivoche norme primarie e secondarie.

Va ricordato, in primo luogo, il principio della certezza del diritto riconosciuto più volte dalla Corte di Giustizia Europea il quale “esige, segnatamente, che le norme giuridiche siano chiare, precise e prevedibili nei loro effetti, in particolare qualora esse possano comportare conseguenze sfavorevoli in capo ai singoli e alle imprese”[12] Nello stesso senso la Sentenza della Grande Sezione richiamata secondo cui “Quanto al principio di certezza del diritto, esso esige, in particolare, che una normativa che comporta conseguenze svantaggiose per i privati sia chiara e precisa e che la sua applicazione sia prevedibile per gli amministrati (v., in tal senso, sentenze 15 dicembre 1987, causa 325/85, Irlanda/Commissione, Race. pag. 5041; 13 febbraio 1996, causa C-143/93, Van Es Douane Agenten, Race. pag. I-431, punto 27, e 15 febbraio 1996, causa C-63/93, Duff e a., Race. pag. I-569, punto 20)”[13]. Lo stesso principio è stato anche applicato dalla Corte di Giustizia per censurare il recepimento di direttive comunitarie da parte degli Stati membri attraverso una legislazione priva dei caratteri di chiarezza nella formulazione e quindi non equivocità delle disposizioni.

La Corte ha contestato la trasposizione di direttive senza l’emanazione di provvedimenti normativi idonei e soprattutto dal tenore chiaro, inequivoco e coerente con l’atto europeo[14]. Il principio della certezza del diritto, che ha per corollario quello della tutela del legittimo affidamento, esige che una normativa che comporta conseguenze svantaggiose per i privati sia chiara e precisa e che la sua applicazione sia prevedibile per gli amministrati (in particolare, sentenza del 7 giugno 2005, VEMW e a., C-17/03, Racc. pag. I-4983, punto 80)”[15]. Ogni situazione di fatto va valutata alla luce delle norme vigenti al momento del verificarsi del fatto medesimo, soprattutto quando ci sono conseguenze finanziarie per l’amministrato[16].

In ambito europeo tale principio è stato in generale stato interpretato relativamente alla trasparenza amministrativa e quindi alla chiarezza della normativa comunitaria, termini ragionevoli in sede di giudiziaria (ed amministrativa) per l’emanazione di provvedimenti e soprattutto, quale corollario i principi in materia di legittimo affidamento, non retroattività delle norme penali, degli atti amministrativi  e normativi, tutela dei diritti quesiti.

Il legittimo affidamento è un aspettativa che la Corte riconosce in quanto l’amministrazione pubblica, per il suo comportamento e per i suoi atti, fa sorgere inequivocabilmente nei riguardi dei soggetti a cui rivolgono la propria potestas una aspettativa che, sulla base di criteri di ragionevolezza e logicità, si possa ritenere fondata. Anche tale principio non è contemplato nei Trattati dell’Unione Europea. Il suo riconoscimento, come anticipato, al pari di quello della certezza del diritto, è frutto dell’attività integrativa della Corte di Giustizia che con una Sentenza del 1978 per la prima volta ha statuito che “il principio della tutela dell’affidamento fa parte dell’ordinamento giuridico comunitario[17]. Tale principio, che la Corte di Giustizia ribadisce spesso come corollario della certezza del diritto, viene ricondotto all’aspettativa che i soggetti amministrati possono avere sul mantenimento di una situazione giuridica nell’ipotesi di una modificazione, normativa o amministrativa, che non potevano ragionevolmente attendersi e quindi del tutto imprevedibile. Il legittimo affidamento viene quindi in rilievo nelle sentenze della Corte soprattutto con riferimento ai possibili effetti retroattivi dell’atto posto in essere dalla pubblica autorità. É sulla irretroattività della norma che la Corte si è spesa molto per far valere il legittimo impedimento come limite alla regola generale dell’irretroattività della legge.

Come anticipato altro principio generale individuato dalla Corte di Giustizia è la tutela dei diritti quesiti [18], anche con riferimento all’autorità di cosa giudicata di un provvedimento dell’Autorità giudiziaria[19] che risponda ai requisiti dell’identità delle parti, dell’oggetto e della causa petendi e che l’autorità di cosa giudicata riguardi tuttavia unicamente i punti di fatto e di diritto che sono stati effettivamente o necessariamente decisi dalla pronuncia giudiziale. Nella Sentenza C-526/08 si afferma che “in varie occasioni la Corte ha ricordato l’importanza che il principio dell’autorità di cosa giudicata riveste sia nell’ordinamento giuridico dell’Unione sia negli ordinamenti giuridici nazionali (sentenze 30 settembre 2003, causa C-224/01, Köbler, Racc.  pag.  I-10239, punto  38; 16  marzo 2006, causa C-234/04, Kapferer, Racc. pag. I-2585, punto 20, e 3 settembre 2009, causa C-2/08, Fallimento Olimpiclub, Racc. pag. I-7501). Risulta dalla giurisprudenza che tale principio è applicabile anche ai procedimenti per inadempimento e che l’autorità di cosa giudicata riguarda unicamente i punti di fatto e di diritto che sono stati effettivamente o necessariamente decisi dalla pronuncia giudiziale di cui trattasi[20] (

Ricordiamo ancora, tra gli altri fondamenti principi generali dell’ordinamento europeo di creazione giurisprudenziale, il principio di legalità. In in materia penale il principio di legalità rappresenta uno dei cardini sul quale poggia l’intero sistema sanzionatorio ed è il frutto del pensiero illu­ministico, nonché l’emblema del passaggio dalle concezioni proprie dello Stato assoluto a quelle dello Stato di diritto che esprime il divieto di punire un determinato fatto in assenza di una legge preesistente che lo preveda espressamente come reato e ne stabilisca una sanzione: nullum crimen, nulla poena sine lege. Anche in questo caso evidente l’attività della Corte di riprendere i principi della cultura giuridica europea fatti oramai propri dalla maggior parte degli Stati membri. In ambito processuale e procedimentale, giudiziario, amministrativo e finanche tributario, ricordiamo il  diritto al contraddittorio ed il diritto alla difesa[21] , il diritto ad un equo processo[22], il diritto per la parte processuale di non testimoniare contro se stessa, il diritto alla riservatezza e la tutela del segreto professionale [23]

Leggi anche:”I principi comunitari del diritto amministrativo ed il loro recepimento da parte del legislatore italiano”.

Ricordiamo, inoltre, il principio di buona fede[24], il principio di equità[25] e l’arricchimento senza causa[26] ed il principio dell’effetto utile per il quale ogni norma giuridica deve essere interpretata in modo da poter raggiungere il suo scopo[27]. A livello istituzionale, ricordiamo il principio di legale collaborazione tra le istituzioni e gli stati membri[28], il principio del rispetto dell’equilibrio istituzionale[29].

  1. I principi generali del diritto nella gerarchia delle fonti del diritto europeo

Dopo questa disamina dei principi che la Corte di Giustizia ha elaborato nel corso della sua multiforme attività tesa ad assicurare l’applicazione del diritto europeo e dare coerenza ed uniformità all’ordinamento giuridico, si deve rivelare come i principi in questione, oramai parte strutturale dell’ordinamento giuridico europeo rappresentano nella gerarchia delle fonti diritti sovraordinati agli atti normativi. Secondo molti Autori essi infatti si impongono all’osservanza delle istituzioni sia anche degli Stati membri quanto questi agiscono nel campo del diritto dell’Unione o adottano misure di applicazione del medesimo, e costituiscono parametri per il giudizio di legittimità sia degli atti normativi derivati sia del comportamento degli Stati membri.[30]

I Principi generali sono considerati da un’unica disposizione dei Trattati ed in particolare dall’art. 6, par. 3, del Trattato sull’Unione Europea per il quale “I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”.

Si è detto della loro funzione e della loro importanza per garantire, in primo luogo, come fonte non scritta di diritto complementare dell’ordinamento giuridico europeo, il completamento dell’ordinamento europeo necessariamente lacunoso in quanto sovranazionale e naturalmente privo di norme giuridiche sostanziali necessarie al suo pieno funzionamento per l’interpretazione ed applicazione del diritto positivo soprattutto in sede giurisdizionale, trattandosi fina dall’origine di accordi sovranazionali con finalità meramente economiche e non federative. Notevole dunque la rilevanza nel processo di integrazione delle culture giuridiche europee che trovano nell’attività creativa della Corte di Giustizia un elemento unificante che introduce a livello europeo principi generali propri di alcuni Stati membri, in tal modo condizionando ed avvicinando quelli degli altri ordinamenti. In sostanza “un progressivo avvicinamento che deve avvenire attraverso un processo di osmosi e di spontaneo adeguamento che porti gli ordinamenti interni ad allinearsi a quei principi generali dell’Unione; come, inversamente, i principi vigenti negli ordinamenti interni esercitano la loro influenza determinante nella rilevazione dei principi dell’Unione”.[31] Attraverso criteri deduttivi, analogici o di pura logica giuridica la Corte, senza preoccuparsi di valutare quanto effettivamente comuni fossero i principi di volta in volta individuati, li ha recepiti ed utilizzati per le necessità interpretative e di legittimità nell’esercizio delle funzioni delineate con i Trattati. [32]

Dunque, tra il diritto primario e quello secondario possono essere collocate alcune fonti intermedie che costituiscono una categoria eterogenea comprensiva dei diritti fondamentali, degli accordi internazionali e come detto dei Principi generali del diritto comunitario.

Pur non sussistendo nei Trattati europei una disposizione che stabilisca una gerarchia tra le fonti, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea “utilizza” i Principi generali come parametro interpretativo dei Trattati e di legittimità degli atti normativi, da essere dunque contemplati come fonte intermedia, seppure con distinguo particolari, in quanto è noto che alcuni principi generali vengono anche fatti rientrare tra quelli fondamentali dell’ordinamento giuridico con ciò integrando di fatto le disposizioni dei Trattati. L’assenza di una gerarchia formale nell’ordinamento europeo è compatibile e soprattutto coerente con la sua natura, in quanto fin dalla sua origine è stato concepito come un sistema in evoluzione, e l’introduzione di strutture rigide, quali la gerarchia delle fonti, avrebbe rischiato di ostacolarne lo sviluppo[33] ma dopo molti anni di supplenza della Corte di Giustizia si renderebbe necessario per garantire maggiore certezza all’applicazione del diritto.

In ogni caso, anche gli Stati membri hanno il dovere di interpretare gli atti derivati in armonia con i principi generali dell’Unione: “Gli Stati membri sono infatti tenuti non solo a interpretare il loro diritto nazionale in modo conforme al diritto comunitario, ma anche a provvedere a non fondarsi su un’interpretazione di un testo di diritto derivato che entri in conflitto con i diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico comunitario o con gli altri principi generali del diritto comunitario (Corte di Giust., 6 novembre 2003, causa C-101/01, Lindqvist, punto 87), Occorre anche ricordare che i diritti fondamentali fanno parte integrante dei principi generali del diritto di cui la Corte garantisce l’osservanza. A tal fine, la Corte si ispira alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri e alle indicazioni fornite dai trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti dell’uomo a cui gli Stati membri hanno cooperato o aderito”[34]

É dunque evidente la forza che tali Principi generali hanno all’interno dell’ordinamento europeo e, quindi, negli ordinamenti degli Stati membri che si adeguano al precetto attraverso l’applicazione del provvedimento della Corte di Giustizia chiamata a pronunziarsi sull’applicazione del diritto europeo contenuto nei Trattati e nel diritto derivato.

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  1. La legittimità della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nell’introduzione di principi generali del diritto nell’ordinamento europeo e degli stati membri

La questione che è stata spesso sollevata riguarda la compatibilità tra l’attività esercitata dalla Corte di Giustizia come esposta nei precedenti paragrafi, attività giurisdizionale creativa di principi generali spesso attraverso il loro recepimento dai paesi membri e più in generale come parte della cultura giuridica europea, fatti propri e introdotti nell’ordinamento europeo attraverso le Sentenze che, com’è noto, al pari del diritto europeo -primario e derivato- trovano immediata applicazione negli ordinamenti dei paesi membri.

L’attività di ricerca ed elaborazione dei principi generali -che si è detto fondamentale per lo sviluppo dell’ordinamento europeo e la coerente articolazione del sistema normativo- non è mai stata espressamente prevista dai Trattati istitutivi ma ciò non ha impedito alla Corte di Giustizia di adeguarsi al ruolo de facto assegnatole ab origine dall’ordinamento comunitario, e ritenendo che alcune norme degli stessi trattati la base giuridica fossero in grado di legittimare il suo intervento, ad esempio con l’attuale art. 340 TFUE, il quale si riferisce esplicitamente ai “principi generali comuni agli Stati membri”, seppur con riguardo soltanto alla responsabilità extracontrattuale dell’Unione[35], gli artt. 19 TUE e 263 TFUE, i quali attribuiscono alla Corte di Giustizia rispettivamente il compito di “assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione ed applicazione dei trattati” e la competenza a pronunciarsi su ricorsi per violazione dei trattati o di qualsiasi altra norma di diritto relativa alla loro applicazione.

La Corte di Giustizia ha fatto leva sull’utilizzo del termine “diritto” per giustificare ogni riferimento non soltanto a fonti scritte, bensì a qualsiasi fonte giuridica disponibile. Per quanto riguarda il metodo d’individuazione dei suddetti principi, volendo attenersi ad un’interpretazione letterale dell’art. 340, comma 2, TFUE, il quale richiama “i principi generali comuni ai diritti degli Stati membri”, la Corte avrebbe dovuto ogni volta svolgere un’indagine comparativa e riconoscere soltanto quei principi che sono condivisi da tutti gli ordinamenti degli Stati membri.

In realtà il criterio utilizzato dalla Corte di Giustizia è stato molto più flessibile: dall’esame delle sue sentenze emerge una chiara tendenza a ricomprendere nel novero dei principi generali del diritto dell’Unione europea non solo quelli comuni a tutti gli Stati membri, ma anche quelli presenti in alcuni ordinamenti e “trasportati” nel contesto europeo. Quindi principi presenti soltanto in alcuni paesi, riservandosi di riconoscere ed accogliere quelli che meglio si potevano adattare alle caratteristiche dell’ordinamento europeo sulla base, prevalentemente se non esclusivamente, del principio finalistico dei Trattati: è dunque importante rilevare come la Corte non si sia limitata ad importare principi dalle tradizioni giuridiche e dall’ordinamento costituzionale degli Stati membri, bensì li abbia elaborati in modo da renderli conformi alle esigenze ed alle finalità del diritto dell’Unione europea. C’è poi un generale e generico richiamo ai principi generali all’art. 6 TUE al pari dell’adesione ai principi fondamentali CEDU.

É evidente, pertanto, che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea attraverso l’enucleazione di principi generali non propri del diritto positivo europeo quindi esterni ai Trattati, sebbene con una prospettiva “costituzionalmente” orientata alle finalità dei Trattati ed all’esigenza di garantire un efficace e coerente funzionamento dell’ordinamento europeo, abbia fin qui svolto una funzione di “legislatore supplente” anche nel diritto primario, e ciò senza alcuna esplicita legittimazione dell’ordinamento europeo, in particolare degli atti sovranazionali rappresentati dai Trattati istitutivi, se non per le competenze attribuite.

In questo senso la Corte di Giustizia “ha avuto un compito importante nell’integrare gli ordinamenti, preferendo interpretare il diritto comunitario attraverso il metodo teleologico anziché quello letterale, e sospingendo dunque il sistema nazionale verso la compenetrazione con quello sovranazionale, piuttosto che l’adesione degli Stati ai Trattati nel loro tenore testuale”[36]

Sulla base delle disposizioni dei Trattati che si sono via via succeduti nei decenni, la Corte di Giustizia non ha mai avuto le competenze (rectius) il potere che si è di fatto attribuita, con la somma autorevolezza che le deve essere riconosciuta per l’immane lavoro di recupero e consolidamento normativo.

La Corte ha dunque introdotto nell’ordinamento europeo e in quello degli Stati membri principi generali in assenza di un controllo di legittimità trattandosi di Corte di prima e spesso di unica istanza, che come si è potuto analizzare hanno contribuito alla lettura dei Trattati e finanche alla censura di norme degli Stati membri e condizionamento dell’attività giurisdizionale delle Corti europee che devono osservare i Principi allorquando applicano il diritto europeo.[37] La nostra Corte di Cassazione non esita a riconoscere «valore normativo» alle sentenze della Corte di Giustizia.[38]

La competenza formale della Corte di Giustizia e cioè assicurare l’applicazione del diritto è stata superata dalla sua autorevolezza e dal desiderio -malcelato- degli Stati membri di voler dare continuità all’edificazione della casa comune europea e quindi all’ordinamento giuridico, attraverso il ruolo della Corte di Giustizia alla quale non poteva essere impedito -trattandosi di organo extrapolitico- un percorso di produzione normativa alternativa e sicuramente “carsica”.  Se è vero che gran parte della giurisprudenza della Corte di Giustizia è rimasta ancorata ad una attività ermeneutica del diritto positivo dell’ordinamento europeo, primario e derivato, quindi coerente con la sua competenza e le sue funzioni, la legittimità dei principi generali del diritto introdotti dalla Corte di Giustizia alcune volte ricostruiti e rinvenuti dai singoli ordinamenti europei, potrebbe risultare più problematica laddove soprattutto perché va ad incidere direttamente a livello primario non solo attraverso una lettura dei Trattati coerente con gli obiettivi e delle finalità della comunità, in sostanza dello spirito europeo (in questo senso nel solco delle tradizioni costituzionali occidentali), ma laddove integra totalmente l’assenza di norme primarie per soddisfare esigenze interpretative e soprattutto per svolgere attività di verifica e controllo della legittimità degli atti delle istituzioni e finanche degli Stati membri con riferimento alla loro compatibilità con il diritto europeo, ivi comprese i precedenti dalla Corte medesima.

Diversi Autori riducono la portata primaria dei Principi Generali a meri “parametri per il giudizio di legittimità sia degli atti normativi derivati sia del comportamento degli Stati membri, nonché per l’interpretazione delle disposizioni dei Trattati. A ben vedere, attribuire a Principi generali la forza di interpretare -sulla base di una valutazione della Corte di Giustizia- le norme dei Trattati e di legittimità della normativa derivata significa attribuire di fatto una forma di potere legislativo primario e non marginale nella struttura “costituzionale” dell’ordinamento europeo, peraltro attraverso strumenti estranei dall’ordinamento medesimo benché recepiti anche come rielaborazione di quelli propri degli Stati membri.

Si tratta dunque di un’attività legislativa di rango primario che non trova riscontro e confronto con altri ordinamenti sovranazionali di diritto internazionale. Un organo giurisdizionale che svolge un’attività legislativa attraverso l’affermazione di Principi generali applicabili dagli Stati membri per sopperire ad un ordinamento giuridico ancora in una fase embrionale, considerata la presenza di una normativa secondaria o derivata agganciata da un punto di vista funzionale ai Trattati ma priva di una completa ed organica struttura normativa che consenta, per via ermeneutica e non legislativa, alla Corte di svolgere la funzione propria oggi espressamente prevista dall’art. 19 TUE “Assicura il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei Trattati”: è evidente, pertanto, che la funzione viene assolta attraverso un diritto “proprio” che non potrà non avere conseguenze dirette ed invasive sul diritto positivo dell’ordinamento europeo e finanche sui Trattati.

Per alcuni autori il ruolo della Corte di Giustizia e quindi i risultati derivanti dall’interpretazione creativa troverebbero legittimazione nella circostanza che l’art. 19 TUE afferma che la Corte “assicura il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei Trattati”, facendo riferimento al “diritto” e non al diritto europeo[39]. La considerazione non appare convincente in quanto il termine diritto è inserito in un Trattato europeo e quando nei Trattati si è voluto fare riferimento ad altri diritti (riferiti a altri ordinamenti o organizzazioni) lo si è sempre esplicitato.

In ogni caso, appare, dunque, evidente la necessità o quantomeno l’opportunità di introdurre nell’ordinamento europeo a livello di diritto primario o derivato, per materia, una legislazione che contenga Principi generali che recepiscano la giurisprudenza della Corte anche nei Trattati, con l’obbiettivo di garantire la loro piena legittimità rispetto a questi ultimi e, quindi, al contempo, agli ordinamenti nazionali di poter uniformarsi tra loro attraverso il collante del diritto positivo europeo con piena legittimità e, soprattutto, con la legittimazione che deriverebbe dal diritto positivo espressione della volontà politica degli  Stati membri e quindi delle Istituzioni a cui è stata conferito il potere di legiferare, ciò nella auspicata prospettiva della crescita e dello sviluppo dell’Unione Europea per garantire ai paesi del continente un futuro che, al di fuori di tale ambito, difficilmente otterrebbero.

Note

[1] G. STROZZI, R. MASTROIANNI, Diritto dell’Unione Europea-Parte Istituzionale, Milano, 2016, pag. 220;

[2] Lord SLYNN OF HADLEY, What is a European Community Judge, Cambridge Law Journal, Cambridge, 1993, pag. 234.

[3]     Corte giust., 15 luglio 1964, C-6/64, Costa c. Enel “La Corte rileva che, a differenza dei comuni trattati internazionali, il Trattato C.E.E. ha istituito un proprio ordinamento giuridico, integrato nell’ordinamento giuridico degli Stati membri all’atto dell’entrata in vigore del Trattato e che i giudici nazionali sono tenuti ad osservare. Infatti, istituendo una Comunità senza limiti di durata, dotata di propri organi, di personalità, di capacità giuridica, di capacità di rappresentanza sul piano internazionale, ed in ispecie di poteri effettivi provenienti da una limitazione di competenza o da un trasferimento di attribuzioni degli Stati alla Comunità, questi hanno limitato, sia pure in campi circoscritti, i loro poteri sovrani e creato quindi un complesso di diritto vincolante per i loro cittadini e per loro stessi. Tale integrazione nel diritto di ciascuno Stato membro di norme che promanano da fonti comunitarie, e più in generale, lo spirito e i termini del Trattato, hanno per corollario l’impossibilità per gli Stati di far prevalere, contro un ordinamento giuridico da essi accettato a condizione di reciprocità, un provvedimento unilaterale ulteriore, il quale pertanto non potrà essere opponibile all’ordine comune.

[4] A. PIN, Precedente e mutamento giurisprudenziale, La tradizione angloamericana e il diritto sovranazionale europeo, Milano, 2017, pag. 193.

[5] C. NOURISSANT, La jurisprudence de la Cour de justice des Communautés européennes: Un regard privatiste à partir de l’actualité, in AA.VV., La création du droit par le juge, Paris, 2006, p. 247.

[6] Corte giust., 15 luglio 1964, C-6/64, Costa c. Enel

[7] G. STROZZI, R. MASTROIANNI, Diritto dell’Unione Europea-Parte Istituzionale, G. Giappichelli, 2016, pag. 219.

[8] U. DRAETTA, F. BESTAGNO, A. SANTINI, Elementi di diritto dell’Unione Europea – Parte istituzionale, Milano, 2018, pag. 202

[9] Art. 267 TFUE: “La Corte di giustizia dell’Unione europea è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale: a) sull’interpretazione dei trattati; b) sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione”.

[10] Tutte le disposizioni dell’Unione Europea, anche le sentenze della Corte di Giustizia hanno efficacia vincolante, diretta e prevalente sull’ordinamento nazionale, così come confermato anche dalla  Corte Costituzionale con sentenze nn. 168/1981  e 170/1984, n. 113/1985.

[11] Corte di Giust., 18 dicembre 2008, C-349/07 Sopropé Organizações de Calçado Lda c. Fazenda Pública

[12] Corte di Giust.17 luglio 2008, C-347/06 ASM Brescia c. Comune di Rodengo Saiano

[13] Corte di Giust., 7 giugno 2005, C-17/03, Vereniging voor Energie c. Directeur van de Dienst

[14] Corte di Giust., 21 giugno 1988, C-257/86, Commissione c. Repubblica Italiana: “Si deve poi osservare che, come da costante giurisprudenza della Corte (vedasi, ad esempio, la sentenza 30 gennaio 1985, Commissione/Regno di Danimarca, causa 143/83, Racc. 1985, pag. 427), i principi della certezza del diritto e della tutela dei privati esigono che, nelle materie disciplinate dal diritto comunitario, la normativa degli Stati membri abbia una formulazione non equivoca, sì da consentire agli interessati di conoscere i propri diritti ed obblighi in modo chiaro e preciso, ed ai giudici di garantirne l’osservanza”.

[15] Corte di Giust., 12 dicembre 2013, C-362/12, Test Claimants c. Commissioners of Inland Revenue,

[16] Corte Giust., 22 febbraio 1984, C-70/83, Kloppenburg c. Finanzamt Leer: “la legislazione comunitaria dev’essere certa e la sua applicazione dev’essere prevedibile per gli amministrati. Il posticipare l’entrata in vigore di un atto che ha portata generale, dopo la scadenza del termine inizialmente contemplato, può di per sé ledere detto principio”.

[17] Corte di Giust., 3 maggio 1978, C-12/77, Topfer; Corte di Giust., 19 settembre 2000, C-177/99, 181/99 Ampafrance and Sanofi; Corte di Giust., 18 gennaio 2001, C-83/99, Commissione c. Spagna.

[18] Corte di Giust., 12 ottobre 1978, C-12/78, Tayeb Belbouab c. Bundesknappschaft, in materia di diritto previdenziale con riferimento alla cittadinanza presente al momento di svolgimento dell’attività lavorativa, osserva che “in ossequio al principio della certezza del diritto, il quale esige, fra l’altro, che qualsiasi situazione di fatto venga di regola, e purché non sia espressamente disposto il contrario, valutata alla luce delle norme giuridiche vigenti al momento in cui essa si è prodotta, la seconda delle suddette condizioni va interpretata nel senso che lo status di cittadino di uno Stato membro deve sussistere all’epoca dello svolgimento dell’attività lavorativa, del versamento dei contributi relativi ai periodi di assicurazione e dell’acquisto dei diritti corrispondenti…questa disposizione implica chiaramente che i diritti acquisiti sono riconosciuti e tutelati nell’ambito della normativa comunitaria in materia di previdenza sociale dei lavoratori migranti qualora siano stati acquisiti da un lavoratore migrante ai sensi di detta normativa, cioè da un cittadino di uno Stato membro. Il combinato disposto degli artt. 2, n. 1, e 94, n. 2, del regolamento n. 1408/71 va interpretato nel senso che esso garantisce la presa in considerazione di tutti i periodi di assicurazione, di lavoro o di residenza maturati in forza del diritto di uno Stato membro, anteriormente all’entrata”.

[19] Corte di Giustizia, 24 gennaio 2013, causa C-529/09, Commissione c. Spagna

[20] Corte di Giust., 12 giugno 2008, C-462/05, Commissione c. Portogallo.

[21] Corte di Giust., 18 dicembre 2008, causa C-349/07 – Sopropé c. Organizações de Calçado Lda: “il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogniqualvolta l’amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo… In forza di tale principio i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione. A tal fine essi devono beneficiare di un termine sufficiente (v., in particolare, sentenze citate Commissione/Lisrestal e a., punto 21, e Mediocurso/Commissione, punto 36). Tale obbligo incombe sulle amministrazioni degli Stati membri ogniqualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera d’applicazione del diritto comunitario, quand’anche la normativa comunitaria applicabile non preveda espressamente siffatta formalità. Trattandosi dell’attuazione del principio in parola e, più in particolare, dei termini per esercitare i diritti della difesa, si deve precisare che, qualora non siano fissati dal diritto comunitario, come nella causa principale, essi rientrano nella sfera del diritto nazionale purché, da un lato, siano dello stesso genere di quelli di cui beneficiano i singoli o le imprese in situazioni di diritto nazionale comparabili, e, dall’altro, non rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti della difesa conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario”.

[22] Corte di Giust., 9 giugno 2016, causa C-25/15, Budișan c. Administrația Județeană. Con riferimento all’equo processo sulla base dei diritti fondamentali della CEDU: “Il diritto all’interpretazione e alla traduzione per coloro che non parlano o non comprendono la lingua del procedimento è sancito dall’articolo 6 della [Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950], come interpretato nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. La presente direttiva facilita l’applicazione di tale diritto nella pratica. A tal fine, lo scopo della presente direttiva è quello di assicurare il diritto di persone indagate o imputati all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali al fine di garantire il loro diritto ad un processo equo.

[23] Corte di Giust., C-155/79: “È vero che non esiste una nozione uniforme di segreto professionale in tutti gli Stati membri. Ciò non toglie, tuttavia, che questo principio è ammesso di per sé ovunque nella Comunità e fa parte del diritto comunitario.  Detto principio è fondato sul riconoscimento del fatto che l’interesse della giustizia e della sana amministrazione esigono che i singoli possano chiedere ed ottenere pareri giuridici. Tale esigenza può essere soddisfatta soltanto a condizione che vi sia un rapporto riservato fra l’avvocato ed il suo cliente. Lo scopo non può essere raggiunto se la riservatezza fosse attenuata o annientata, ed anche se si potessero nutrire dubbi in proposito. dagli ordinamenti interni degli Stati membri traspare tuttavia l’esistenza di criteri comuni, in quanto detti ordinamenti tutelano, in condizioni analoghe, la riservatezza della corrispondenza fra avvocato e cliente, purché da un lato, si tratti di corrispondenza scambiata al fine e nell’interesse del diritto alla difesa del cliente e, dall’altro, tale corrispondenza provenga da avvocati indipendenti, cioè da avvocati non legati al cliente da un rapporto d’impiego”.

[24] Corte Giust. 14 dicembre 1976 C-25/76 Segoura c. Soc. Rahim Bonakdarian

[25] Corte Giust. 4 dicembre 1975 C-31/75 Costacurta c. Commissione

[26] Corte Giust. 10 luglio 1990 C-259/87 Grecia c. Commissione

[27] Corte Giust. 15 luglio 1963 C-34/62 Germania c. Commissione

[28] Corte Giust. 3 luglio 1986, C-34-86, Consiglio c. Parlamento

[29] Corte Giust. 22 maggio 1990, C70/88, Parlamento c. Consiglio

[30] G. STROZZI – R. MASTROIANNI, Diritto dell’Unione Europea-Parte Istituzionale, G. Giappichelli, 2016, pag. 220; G. TESAURO, Diritto comunitario, Padova, 2005, 103-104).

[31] G. STROZZI, R. MASTROIANNI, Diritto dell’Unione Europea-Parte Istituzionale, G. Giappichelli, 2016, pag. 222.

[32] U. DRAETTA, F. BESTAGNO, A. SANTINI, Elementi di diritto dell’Unione Europea – Parte istituzionale, Milano, 2018, pag. 201.

[33] SEE R. BIEBER, I. SALOMONE, Hierarchy of Norms in European Law, 1996, in Common Market Law Review, pag. 911-912.

[34] Corte di Giust., 26 giugno 2007, causa C-305/05

[35]  Il Trattato richiama espressamente i principi generali di diritto solo all’art. 340 in materia di responsabilità extracontrattuale della Comunità quando afferma che “la Comunità deve risarcire, conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, i danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni”.

[36] A. PIN, Precedente e mutamento giurisprudenziale, La tradizione angloamericana e il diritto sovranazionale europeo, Milano, 2017, pag. 193.

[37] Corte di Giust., 20 ottobre 1993, C-92/02 e C-326/92, riunite, Collins c. Imtrat Handelsgesellschaft

[38] Cassazione, sez. lav., 30 dicembre 2003, n. 19842, in Foro it., 2004, I, c. 1095.

[39] P. MENGOZZI, C. MORVIDUCCI, Istituzioni di diritto dell’Unione Europea, Milano, 2018, pag. 269.

Giampaolo Balas

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