I mostri del Circeo – Una trilogia giudiziaria italiana

Una mini rubrica in 3 episodi che ricostruisce celebri casi giudiziari italiani, analizzati con rigore criminologico e prospettiva legale.

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Pochi episodi di cronaca giudiziaria hanno scosso la coscienza di una collettività, di una nazione, di un’epoca come l’atroce vicenda che sconvolse l’Italia nell’autunno del 1975. Il secondo scritto della serie incentrata sulla serialità omicidiaria italiana torna ad analizzare il caso a distanza di cinquant’anni.
Seconda parte di una mini rubrica in 3 episodi che ricostruisce celebri casi giudiziari italiani, analizzati con rigore criminologico e prospettiva legale (Qui la prima, sul Mostro di Modena)

Indice

1. I fatti


22:50 del 30 settembre 1975, quartiere ‘Trieste’ di Roma. Un metronotte segnala alla polizia alcune grida provenienti dal bagagliaio di un’automobile. A stretto giro dalla denuncia, gli agenti in servizio estraggono dalla vettura il corpo massacrato di un’adolescente. La ragazza si chiama Donatella Colasanti, ha diciassette anni.
La studentessa, assieme ad un’amica di nome Rosaria Lopez, anch’ella residente in un quartiere popolare di Roma, aveva fatto amicizia in un bar dell’EUR con due simpatici rampolli di “buona famiglia”. I giovanotti, dopo qualche smanceria d’approccio, avevano invitato entrambe ad una festa che si sarebbe tenuta appresso un paio di giorni. All’appuntamento avrebbe dovuto partecipare anche un’altra ragazza che tuttavia, all’ultimo istante, dovette rinunciare.
Dopo qualche ora dall’inizio del festino in villa, la coppia di organizzatori inizia ad avanzare proposte sessuali vieppiù insistenti nei confronti delle ragazze. A seguito del rifiuto opposto dalle amiche, comincerà quindi nei loro confronti una brutale aggressione che si perpetuerà per più di una giornata (all’incirca 35 h). Alle sevizie si unirà poi un terzo giovane.
Rosaria Lopez viene affogata in una vasca da bagno dopo aver subito indicibili torture; Donatella invece, fintasi morta, riuscirà a salvarsi nonostante le immani violenze patite.

2. Le condanne e i casi giudiziari


Andrea Ghira, Giovanni Guido e Angelo Izzo furono ritenuti corresponsabili, senza attenuanti né riconoscimento di infermità per vizio di mente, dei numerosi delitti a loro ascritti, tra cui l’omicidio di Rosaria Lopez.
Ghira riesce, in circostanze assai sospette, a fuggire dall’Italia dopo la sentenza di primo grado e morirà in Marocco nel 1994. Guido, nonostante svariate evasioni carcerarie, ha ugualmente beneficiato di innumerevoli misure premiali e ha trascorso in istituto penitenziario poco più della metà della pena a trent’anni di reclusione inizialmente irrogatagli. È stato liberato nel 2009.
Anche Izzo tenta, e in un’occasione riesce, ad evadere dal carcere. Tuttavia, questo non gli impedisce comunque l’ammissione al regime di semilibertà, di cui gode a partire dal 2004. Grazie alla ritrovata possibilità di azione, nel 2005 Izzo è autore di un efferato duplice omicidio, commesso ai danni di una madre e di sua figlia, noto alle cronache come il “massacro di Ferrazzano“. Dunque, a tutti gli effetti, ma presumibilmente solo per pura casualità, unicamente Angelo Izzo può essere riconosciuto come serial killer. Attualmente egli sta eseguendo il cumulo di due ergastoli e, dal 2013, gli è stato altresì imposto l’isolamento diurno per una durata triennale.

3. Criminogenesi del delitto del Circeo


A differenza del caso del c.d. Mostro di Modena, la cui disamina è stata svolta in absentia dell’imputato odel colpevole, in quest’occasione l’individuazione degli elementi genetici che hanno concorso all’esito criminale dovrebbe risultare maggiormente accurata.
Si procede perciò alla suddivisione analitica del delitto nelle usuali categorie diagnostiche: fattori sociali, fattori ambientali e fattori psicologici.
Tra i primi, è possibile rinvenire il doppio radicamento gruppale dei condannati: appartenenza a famiglia agiata e affiliazione a collettivi neofascisti. Ciò può aver determinato lo strutturarsi di una personalità autoritaria, per cui la capacità di dominio e di sottomissione del più debole, nonché l’assoggettamento del maschio sulla femmina e la prevaricazione del ricco sul povero, assurgono a valore identitario primario. Peraltro, queste sono le medesime conclusioni a cui pervenne lo stesso Pubblico Ministero incaricato di sostenere l’accusa nei confronti degli imputati.
Tra i fattori ambientali si segnala senza dubbio la possibilità, da parte dei tre correi, di disporre di una villa isolata dal più ampio contesto urbano. Questo rappresenta il luogo ideale per commettere un crimine senza il timore di essere interrotti da una qualsivoglia interferenza esterna.
Venendo, ora, ai fattori psicologici, è necessario considerare perlomeno due distinti aspetti. In primo luogo, assume rilievo la componente psicogruppale, la quale tende a disinibire, ad azzerare, le resistenze interne del singolo e dunque essa può fungere da facilitatore dell’agito criminale. Secondariamente, i tre complici manifestano tratti comuni di personalità, fra i quali: sentimento esasperato e acritico di grandiosità, assenza o grave carenza di empatia, spiccata indole antisociale nonché scarsa tolleranza alla frustrazione.

4. Criminodinamica degli eventi


Allorquando si studia la dinamica criminale di un reato commesso in gruppo, l’attenzione dell’analista deve concentrarsi prioritariamente sulla dimensione psicosociale del delitto, senza tuttavia trascurare di soppesare le determinanti individuali.
Anzitutto è bene ricordare che l’episodio del Circeo si inserisce, con riferimento a Izzo e Ghira, all’interno di una carriera criminale pregressa, rappresentandone idealmente il culmine delinquenziale. Se non risultano precedenti penali a carico di Guido, per gli altri due membri furono invece emesse denunce/condanne a seguito di: furto, minaccia aggravata, rapina, traffico di sostanze stupefacenti e violenza sessuale di gruppo. Basti pensare che, all’epoca dei fatti del Circeo, Izzo era ancora sottoposto al regime di libertà vigilata dopo la condanna per stupro nei confronti di una coppia di minorenni. Si aggiunga che queste ultime vittime furono adescate con la medesima modalità che sarà poi ripetuta di lì a breve con Lopez e Colasanti.
Un potente cofattore crimino-impellente è di certo costituito da una forte identificazione proiettiva, la quale permette all’individuo di scaricare sul gruppo la propria angoscia, il proprio senso di frustrazione, le proprie debolezze, lasciando che la dinamica gruppale assorba tali negatività per poi restituirgliele epurate, risanate e convertite in simmetrici ed opposti punti di forza, di autoesaltazione. L’intima fratellanza stretta tra Izzo, Guido e Ghira favorisce altresì la ricomposizione depersonalizzante dell’unione disarmonica tra elementi edonistici e sadici, agevolando così il superamento traumatico del connubio tra piacere e dolore presente in ognuno di loro. La particolare “visione del mondo” condivisa dai soggetti contribuisce quindi, in ultima istanza, alla reificazione della vittima, al transito da essere senziente a oggetto svalutato.

5. Conclusioni


Dall’esposizione del caso giudiziario, è possibile trarre alcuni spunti di riflessione.
Primo. L’interesse mediatico si focalizza quasi sempre sulla fase cognitiva del processo penale, spesso con accenti morbosi, mentre sarebbe altrettanto importante soffermarsi sulla parentesi esecutiva. Le vicissitudini personali dei protagonisti dimostrano come l’architettura di un diritto penitenziario coerente e funzionale rispetto all’ordinamento giuridico generale sia uno strumento efficace di prevenzione dei reati
Secondo. L’implementazione di una corretta gestione dell’esecuzione della pena o della misura di sicurezza implica un approfondimento sistematico della personologia della persona reclusa che non può e non deve limitarsi alla raccolta formalistica di elementi anamnestici e catamnestici. Ciò implica, da un lato, un coinvolgimento maggiormente proattivo e diretto della Magistratura di Sorveglianza; dall’altro, richiede una migliore conoscenza della criminologia clinica da parte di tutti gli operatori coinvolti nella valutazione prognostica del soggetto in vinculis.
Terzo. Un invito accorato alle istituzioni repubblicane, a qualsiasi livello, affinché agiscano di concerto per la costruzione di un clima sociopolitico generale vicino ai valori costituzionali di solidarietà (art. 2 Cost.), di coesistenza pluralistica e non discriminazione (art. 3 Cost.). Si è notato, nel caso in discorso, quanto l’elemento antropologico culturale possa incidere sull’affievolimento o abbattimento di quei freni inibitori indispensabili ad una convivenza sociale ordinata e pacifica. Ciò è tanto più vero nel momento in cui alcune tra le più alte rappresentanze politiche paiono maggiormente impegnate ad addensare nubi nere all’orizzonte anziché diradarle, con possibili effetti nefasti nel lungo periodo.
Quarto. È essenziale affrontare il tema della recidiva con meticolosità e realismo, respingendo sia tentazioni moralistiche sia derive di matrice punitivistica. Tarpare gli eccessi degli opposti estremismi significa ammettere che le misure alternative alla carcerazione e la giustizia riparativa, dispositivi giuridici vitali per la risocializzazione e la reintegrazione del soggetto recluso, devono altresì confrontarsi con l’ipotesi dell’esistenza della malvagità radicale. Al pari della rassegnazione che si avverte in rapporto ad una malattia curabile ancorché inguaribile, è doveroso accettare l’idea della presenza di un individuo irrecuperabile. Ciò non allude minimamente all’intenzione di allontanarsi dal dettato costituzionale (art. 27 Cost.); bensì rimanda alla volontà di darne piena attuazione, avendo riguardo effettivo e veritiero per le esigenze del singolo caso concreto.
Quinto. Il sequestro e l’uccisione di Rosaria Lopez, il sequestro e le violenze a Donatella Colasanti, avvennero a pochi mesi dall’entrata in vigore della ‘Riforma del diritto famiglia’ che, dando finalmente concretizzazione all’originaria impostazione costituzionale, enunciava per la prima volta la parità legale tra i coniugi.Purtroppo, bisognerà invece attendere il 1996 per vedere qualificato giuridicamente lo stupro comedelitto contro la persona‘ anziché ‘delitto contro la moralità pubblica e il buon costume‘, come rubricato sino a quella data. Ciò impone di interrogarsi profondamente in merito alla relazione consustanziale tra struttura normativo-istituzionale e configurazione della coscienza individuale. In tale prospettiva nomotetica, l’adesione ad associazioni, gruppi o movimenti di estrema destra che inneggiano alla sopraffazione quale metodo di vita comunitaria, alla violenza, all’eversione e al rinnegamento diffuso della legalità come mezzo lecito per il conseguimento del loro scopo associativo, appare non come concausa dell’agito criminale quanto piuttosto come effetto di una scelta adesiva spontanea e sentimentale.
“Il mondo si divide in: dominanti, poveri cristi e pidocchiosi”. Con queste esatte parole, espresse ben prima di compiere il massacro del Circeo, il sodalizio delinquenziale composto da Izzo, Guido e Ghira descriveva l’assetto sociale da loro immaginato o trasognato. Giunti a questo punto, al lettore più perspicace non può allora essere passata inosservata la tetra comunanza, la somiglianza sinistra, con la concezione mondana e la postura morale del Raskol’nikov di Dostoevskij.

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Francesco Gandolfi

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