I delitti di incendio e incendio boschivo: pene accessorie e confisca

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    Indice

  1. Disciplina comune
  2. Incendio (art. 423 c.p.)
  3. Incendio boschivo (art. 423 bis c.p.)
  4. Pene accessorie (art. 423 ter c.p.)
  5. Confisca (art. 423 quater c.p.)

1. Disciplina comune

Le fattispecie delittuose di incendio (art. 423 c.p.) e incendio boschivo (art. 423 bis c.p.) sono disciplinate dal libro secondo del codice penale – dei delitti in particolare – titolo VI – dei delitti contro l’incolumità pubblica – capo I – dei delitti di comune pericolo mediante violenza. Il legislatore con la norma di cui all’art. 423 c.p. mira a tutelare la messa in pericolo di un numero indeterminato di persone a causa degli effetti di un incendio. La norma seguente (art. 423 bis c.p.) rappresenta, ora, un’ipotesi autonoma di reato che censura in modo più severo i danni compiuti dai piromani. In passato, l’attuale norma, rappresentava circostanza aggravante dell’art. 423 c.p. I delitti contro l’incolumità pubblica sono caratterizzati dalla propagazione del danno, tale da recare nocumento ad un indefinito numero di individui, non determinabili ab inizio. Si realizza, pertanto, un duplice livello di incertezza: inerente la platea delle persone offese nonché le proporzioni degli effetti del comportamento tenuto. Poiché sono delitti che si prestano a colpire sia la collettività, sia il singolo individuo la dottrina li configura come reati plurioffensivi.

2. Incendio (art. 423 c.p.)

L’art. 423 c.p., testualmente, dispone che: Chiunque cagiona un incendio è punito con la reclusione da tre a sette anni (449).

La disposizione precedente si applica anche nel caso di incendio della cosa propria, se dal fatto deriva pericolo per l’incolumità pubblica (425)”.

Per completezza dell’esposizione, in premessa, giova ricordare sin da ora che la giurisprudenza ha definito una nozione stringente di incendio ricondotta al fuoco di vaste estensioni, avente l’attitudine a propagarsi e difficile da spegnere. Sul punto si segnala la seguente statuizione della Corte di Cassazione: “Ai fini dell’integrazione del delitto di incendio (doloso o colposo) occorre distinguere tra il concetto di “fuoco” e quello di “incendio”, in quanto si ha incendio solo quando il fuoco divampi irrefrenabilmente, in vaste proporzioni, con fiamme divoratrici che si propaghino con potenza distruttrice, così da porre in pericolo la incolumità di un numero indeterminato di persone”. (Cass. Pen., 23 marzo 2017, n. 14263). La disposizione in scrutinio al secondo comma disciplina l’ipotesi che venga incendiata una cosa propria, ovvero quei beni di proprietà dello stesso soggetto attivo. L’articolo in commento descrive un delitto a forma libera, configurabile anche nella forma omissiva, nel momento in cui gravi sul soggetto attivo – ovvero il reo – un obbligo giuridico di impedire l’incendio. La disposizione de qua disciplina due diversi comportamenti tra loro alternativi. Invero, l’incendio può interessare una cosa propria o un bene altrui. La difformità è ravvisabile nella circostanza che ai fini della punibilità dell’incendio di cosa propria è necessaria anche la messa in pericolo della pubblica incolumità. Da ciò si evidenzia che il primo comma configura un reato proprio astratto, il secondo comma un reato di pericolo concreto. Entrambe le fattispecie disciplinano forme di dolo generico sebbene nell’incendio di cosa propria il reo deve avere la cognizione di porre in pericolo l’incolumità pubblica. Sul punto si segnala il seguente arresto giurisprudenziale: “I delitti di incendio e di danneggiamento seguito da incendio si distinguono in relazione all’elemento psicologico in quanto mentre il primo è connotato dal dolo generico, ovvero dalla volontà di cagionare l’evento con fiamme che, per le loro caratteristiche e la loro violenza, tendono a propagarsi in modo da creare un effettivo pericolo per la pubblica incolumità, il secondo è connotato dal dolo specifico di danneggiare la cosa altrui, senza la previsione che ne deriverà un incendio con le caratteristiche prima indicate o il pericolo di siffatto evento”. (Cass. Pen., 04 luglio 2019 n. 29294). Il tentativo è ammesso solo con riferimento all’incendio di cosa altrui. Si tratta di un delitto procedibile d’ufficio – art. 50 c.p.p. – e di competenza del tribunale monocratico – art. 33 ter c.p.p. – . L’arresto è obbligatorio in flagranza – art. 380 c.p.p. – ed è consentito il fermo di indiziato di delitto – art. 384 c.p.p. – . Sono applicabili le misure cautelari personali.


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3. Incendio boschivo (art. 423 bis c.p.)

L’art. 423 bis c.p., testualmente, dispone che: “Chiunque, al di fuori dei casi di uso legittimo delle tecniche di controfuoco e di fuoco prescritto, cagiona un incendio su boschi, selve o foreste ovvero su vivai forestali destinati al rimboschimento, propri o altrui, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni.

Se l’incendio di cui al primo comma è cagionato per colpa, la pena è della reclusione da uno a cinque anni.

Le pene previste dal primo e dal secondo comma sono aumentate se dall’incendio deriva pericolo per edifici o danno su aree o specie animali o vegetali protette o su animali domestici o di allevamento.

Le pene previste dal primo e dal secondo comma sono aumentate della metà, se dall’incendio deriva un danno grave, esteso e persistente all’ambiente.

Le pene previste dal presente articolo sono diminuite dalla metà a due terzi nei confronti di colui che si adopera per evitare che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, ovvero, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, provvede concretamente alla messa in sicurezza e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi.

Le pene previste dal presente articolo sono diminuite da un terzo alla metà nei confronti di colui che aiuta concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella ricostruzione del fatto, nell’individuazione degli autori o nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti”.

Preliminarmente, per completezza dell’esposizione, giova ricordare che l’articolo in commento è stato inserito nel codice dall’art. 1 del D.L. 4 agosto 2000, n. 220 – Disposizioni urgenti per la repressione degli incendi boschivi – convertito con modificazioni dalla L. 6 ottobre 2000, n. 275 (in G.U. 07/10/2000, n.235). L’art. 423 bis c.p. configura un’ipotesi speciale del delitto di incendio di cui all’art. 423 c.p.

La norma in esame si contraddistingue circa l’oggetto materiale tutelato. Invero, il legislatore con la novella del 2000 muove censura nei confronti di chi cagiona un incendio a boschi, selve o foreste ovvero su vivai forestali destinati al rimboschimento, propri o altrui. Sul punto così si esprime la giurisprudenza: “Ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 423 bis cod. pen., costituisce “incendio boschivo” il fuoco suscettibile di espandersi su aree boscate, cespugliate o arborate, oppure su terreni coltivati o incolti e pascoli limitrofi alle dette aree”. (In applicazione del principio, è stata ritenuta idonea a configurare il reato la presenza di fiamme propagatesi in un’area adibita a pascolo, limitrofa ad una vasta superficie boscosa, la cui attitudine a propagarsi era stata desunta dal loro fronte, dalla presenza del vento e dall’impiego massiccio di personale per sedarle). (Cass. Pen., 5 ottobre 2016 n. 41927).

Il secondo comma descriva una fattispecie colposa della disposizione de qua, che viene a concretizzarsi laddove vengano violate le regole di prudenza e scrupolosità nell’uso di boschi, selve e foreste. Sul punto si segnala il seguente arresto giurisprudenziale: “Sussiste la responsabilità per il reato di incendio boschivo (art. 423-bis cod. pen.) del legale rappresentante della ditta incaricata dello spettacolo pirotecnico che non si assicuri, con diligenza e attenzione maggiore, richieste dalla pericolosità dell’attività, che l’evento si svolga in presenza di condizioni di sicurezza idonee a prevenire rischi nei confronti dei terzi, in conseguenza degli spari azionati e della potenziale diffusione di scintille sulla vegetazione, non esonerando il responsabile da tali obblighi di cautela il fatto che l’esplosione dei fuochi avvenga in un’area pressoché priva di vegetazione, più volte utilizzata in passato, e che il servizio di pulizia sia di competenza dell’amministrazione comunale”. (Cass. Pen., 25 ottobre 2017, n. 48942).

L’incendio deve essere talmente vasto e di rapida propagazione da rendere difficoltoso lo spegnimento del patrimonio boschivo nazionale. L’art. 423 bis c.p. descrive un delitto di danno, poiché, in difformità all’art. 423 c.p., il solo fatto di aver dato origine ad un incendio nel bosco rappresenta di per sé un danno ambientale. In conseguenza di ciò, il delitto è realizzabile anche in territori non abitati, cagionando ad ogni modo un pericolo per l’incolumità pubblica derivante, immediatamente, dal pregiudizio legato al bosco, alla selva o alla foresta.

Il comma terzo enuclea una circostanza aggravante speciale, se dall’incendio si determina un pericolo un rischio per gli edifici o danno su aree o specie animali o vegetali protette o su animali domestici o di allevamento.

Il comma quarto descrive un’altra circostanza aggravante speciale, nel caso che dal fatto derivi un danno grave, esteso e persistente all’ambiente.

È ammesso, pacificamente, il tentativo. Si tratta di un delitto procedibile d’ufficio – art. 50 c.p.p. – e di competenza del tribunale monocratico – art. 33 ter c.p.p. –. L’arresto è obbligatorio in flagranza per quanto concerne il primo comma – art. 380 c.p.p. -, con riferimento al secondo comma è facoltativo nel caso di flagranza – 381 c.p.p. –. È consentito il fermo di indiziato di delitto con riferimento al primo comma, non consentito per il secondo. Sono applicabili le misure cautelari personali – art. 280, 287 c.p.p. -.

4. Pene accessorie (art. 423 terc.p.)

L’art. 423 ter c.p., testualmente, dispone che: “1. Fermo quanto previsto dal secondo comma e dagli articoli 29 e 31, la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a due anni per il delitto di cui all’articolo 423 bis, primo comma, importa l’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego nei confronti del dipendente di amministrazioni od enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica.

2. La condanna per il reato di cui all’articolo 423 bis, primo comma, importa altresì l’interdizione da cinque a dieci anni dall’assunzione di incarichi o dallo svolgimento di servizi nell’ambito della lotta attiva contro gli incedi boschivi”. La presente disposizione è stata introdotta dall’art. 6, comma 1, lettera c) del D.L. 8 settembre 2021, n. 120, – Disposizioni per il contrasto degli incendi boschivi e altre misure urgenti di protezione civile – convertito, con modificazioni dalla L. 8 novembre 2021, n. 155.

La norma introdotta con la novella di cui sopra determina lo scioglimento del rapporto di lavoro nei riguardi del dipendente pubblico che sia stato condannato alla reclusione, per il reato di cui all’art. 423 bis c.p., co. 1,  per un periodo di tempo non inferiore ad anni due. Inoltre, la condanna per la fattispecie delittuosa di cui all’art. 423 bis c.p., co. 1, comporta l’interdizione dai cinque ai dieci anni, in merito allo svolgimento di incarichi o mansioni relative al contrasto agli incendi.

5. Confisca (art. 423 quater c.p.)

L’art. 423 ter c.p., testualmente, dispone che: “Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per il delitto previsto dall’articolo 423 bis, primo comma, è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono il prodotto o il profitto del reato e delle cose che servirono a commettere il reato, salvo che appartengano a persone estranee al reato.

Quando, a seguito di condanna per il delitto previsto dall’articolo 423 bis, primo comma, è stata disposta la confisca dei beni che costituiscono il prodotto o il profitto del reato ed essa non è possibile, il giudice individua beni di valore equivalente di cui il condannato abbia anche indirettamente o per interposta persona la disponibilità e ne ordina la confisca.

I beni confiscati e i loro eventuali proventi sono messi nella disponibilità della pubblica amministrazione competente e vincolati all’uso per il ripristino dei luoghi.

La confisca non si applica nel caso in cui l’imputato abbia efficacemente provveduto al ripristino dello stato dei luoghi”.

Anche la presente disposizione, così come la precedente, è stata introdotta dall’art. 6, comma 1, lettera c) del D.L. 8 settembre 2021, n. 120, – Disposizioni per il contrasto degli incendi boschivi e altre misure urgenti di protezione civile – convertito, con modificazioni dalla L. 8 novembre 2021, n. 155. La norma de qua statuisce, al primo comma, che nei casi condanna o di applicazione della pena su richiesta (art. 444 c.p.p.) – cd. patteggiamento – in relazione alla fattispecie delittuosa di cui all’art. 423 bis, co. 1, c.p.,  è sempre disposta la confisca dei beni che rappresentano il prodotto o il profitto del reato, eccetto i casi in cui tali beni siano di proprietà di soggetti estranei alla fattispecie delittuosa. Inizio modulo

Il secondo comma disciplina la confisca per equivalente laddove non sia possibile sequestrare le cose o i beni che costituiscono il prodotto o il profitto del reato. Fine modulo

Il terzo comma destina alla Pubblica Amministrazione, nello specifico al ripristino dello stato dei luoghi, i beni confiscati nonché i loro proventi.

Il quarto e ultimo comma determina la mancata applicazione del provvedimento di confisca qualora il reo abbia dato luogo al ripristino dello stato dei luoghi.

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