I caratteri dei contratti atipici

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I contratti atipici sono quei contratti non espressamente disciplinati dal diritto civile ma creati ad hoc dalle parti, in base alle loro specifiche esigenze di negoziazione (autonomia contrattuale) . Anche se non previsti né disciplinati dalla legge, essi sono ammessi purché leciti e diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridici e possono essere:

 

  • Misti se costituiti da elementi tipizzati di diversi contratti tipici.
  • Sui generis se sono indipendenti da altri modelli contrattuali preesistenti.

 

Anche i contratti atipici devono soddisfare i requisiti essenziali del contratto, a pena di nullità.  

Sono un es. di contratti atipici:

 

Il contratto di Leasing o locazione finanziaria.

Con  esso, un soggetto concede ad un altro, il diritto utilizzare un determinato bene a fronte del pagamento di un canone periodico.

Alla scadenza del contratto è prevista per l’utilizzatore la facoltà di acquistare il bene stesso, previo l’esercizio dell’opzione di acquisto  (riscatto)  con il pagamento di un prezzo.

 

Il contratto di Franchising.

Un contratto a prestazioni corrispettive, con il quale un imprenditore, detto franchisor,  attribuisce ad un altro imprenditore, detto franchisee , il diritto di vendere i suoi prodotti, usando il suo marchio e un’assistenza commerciale per tutta la durata del contratto. In cambio la controparte deve  pagare un corrispettivo all’atto della stipulazione del contratto con il quale entra nella catena, ed un canone periodico.

 

Il contratto di Factoring.

Con esso un’impresa specializzata, il factor, si impegna a gestire per contro di un’impresa cliente, l’amministrazione dei crediti di cui quest’ultima diventa titolare verso i propri clienti nella gestione della sua attività imprenditoriale.

 

I contratti del consumatore o contratti per adesione.

Le imprese che hanno a che fare con molti clienti, ad esempio quelle telefoniche,  per semplificare l’organizzazione, predispongono moduli standard di contratto o formulari contrattuali che fanno sottoscrivere alle controparti e nei quali inseriscono clausole uniformi, he l’esperienza ha dimostrato per loro vantaggiose e che il cliente non può discutere.

 

La legge ha riconosciuto efficacia a questi contratti, ma ha voluto tutelare anche l’altro contraente per le clausole dette vessatorie, come la facoltà di recedere dal contratto, richiedendone la specifica approvazione per iscritto da parte del contraente gravato, in modo che su di esse sia richiamata la sua attenzione.

La mancanza di approvazione determina un difetto di norma e produce quindi la nullità della clausola vessatoria.

Ogni volta che si parla di contratti atipici, viene compiuto l’implicito richiamo a quel principio di autonomia negoziale, racchiuso nell’articolo 1322 del codice civile.

Il riconoscimento offerto dal legislatore sta nelle mani di chi si affida all’autonomia privata, alla libertà di scelta, all’autodeterminazione negoziale, vista la vasta gamma di norme che pongono, limitazioni a questa facoltà, ascritta in capo al contraente, che non oltrepassi il confine tracciato dal buon costume, dall’ordine pubblico e dall’imperatività del diritto.

Il comma 2 dell’articolo 1322 del codice civile è la norma cardine in materia di atipicità, intesa in astratto, come logico corollario al principio di autonomia negoziale, e in concreto, come attitudine del soggetto a predisporre negozi che vadano fuori dallo schema prefissato perché non appartenenti ad nessuna categoria contrattuale riconosciuta dal legislatore.

Alla base di una simile libertà ci sono ragioni di opportunità sociale che trovano riscontro normativo in alcuni inderogabili della Carta Costituzionale.

Ogni azione che legittimi la parte a porre in essere contratti atipici o innominati garantisce alla stessa un più efficiente soddisfacimento di interessi personali, con un consequenziale minore aggravio sull’apparato statale, nella gestione di qualunque azione di tipo personale.

Si assiste al proliferare di un’ampia varietà di contratti atipici, diffusi anche grazie alla prassi comune.

Si tratta per la maggioranza dei casi di contratti di cosiddetta derivazione “social giurisprudenziale” che potrebbero trovare piena tipicità legale se avessero luogo medio tempore, meccanismi di regolazione degli stessi da parte del legislatore.

Così è stato, ad esempio, per il contratto di somministrazione, reso legalmente tipico dal codice del 1942 e per i contratti di multiproprietà, tipizzati dalla Legge n. 427/98, per i contratti turistici, normativizzati con il pedissequo Decreto Legislativo n.111/95 e per il contratto di cessione del credito d’impresa.

La dottrina maggioritaria rinviene nella seconda parte del comma 2 dell’articolo 1322 del codice civile la non contrarietà all’ordine pubblico, al buon costume e alle norme imperative, con evidente esclusione di un’altra tesi dottrinaria che voleva il contratto atipico socialmente utile e non dannoso e pericoloso.

Abbracciando quella fetta maggioritaria dei teorici del diritto che ha scelto la prima delle due soluzioni, è stata sollevata,  un’obiezione in riferimento al 1322 comma 2 del codice civile, accusato di essere una evidente duplicazione dell’articolo 1343 dello stesso testo normativo, anche se non sembra sia così.

Si deve ricordare che un’atipicità in senso stretto, che deriva dalla assoluta impossibilità di ricondurre un contratto a un determinato tipo, si accompagni quell’atipicità frutto della libera scelta del soggetto di combinare due tipi diversi, facendoli confluire in uno unico o di collegare due contratti distinti e separati.

Il sottile limite tra queste due manifestazioni dell’atipicità contrattuale si rinviene, secondo i tecnici del diritto, nell’elemento causale.

In realtà, da un lato, i contratti misti, anche presentando elementi di tipi contrattuali diversi costituiscono, sotto il profilo strettamente causale, un unico contratto, dall’altro, in caso di collegamento negoziale, essendo i contratti sostanzialmente distinti, autonoma e separata sarà anche la loro rispettiva causa.

In riferimento a un completo quadro in materia, si sottolinea la presenza anche di quella isolata parte della dottrina che disattende la distinzione, propendendo, anche davanti ai contratti collegati, per l’unicità causale.

In presenza di questi, è evidente come la stretta correlazione implichi che un contratto è legato all’altro, in termini di ravvicinata dipendenza anche sul piano, a volte, del trattamento giuridico ad essi riconducibile.

A questo fine, ci si avvale di diverse tipologie di collegamento.

L’esistenza di quello sostanziale o di quello definito come formale-documentale deriva da qui, e di quello necessario, dove il collegamento è in re ipsa e non dipende dalla volontà in questo senso espressa dalle parti e di quello volontario, diversamente, è la volontà inter partes, espressa esplicitamente o tacitamente, a fare da collante tra i contratti, in termini di interdipendenza reciproca.

Queste sottocategorie del più ampio contratto collegato, hanno il ruolo di linee guida nella districata attività di qualificazione, davanti alla quale alcuni interpreti del diritto ancora dibattono.

Nelle loro ci sono quelli che, in tema di factoring, discutono se esso debba essere ascritto alla categoria dei contratti misti, a quella dei collegati, o se di esso si debba parlare in termini di atipicità  in senso stretto, e viene così definito quel negozio nel quale un imprenditore (cedente) si assume su di sé l’obbligo di cedere ad un altro imprenditore (factor) la titolarità dei crediti derivati o derivanti dall’esercizio della sua impresa.

In capo al factor, come controprestazione della cessione dei crediti su di lui ricadente, sorgono una serie di obblighi.

Gestisce i crediti cedutigli, li contabilizza, per poi provvedere alle riscossioni e svolge anche attività di consulenza.

Dott.ssa Concas Alessandra

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