Gli obblighi gravanti sul legale rappresentate vanno valutati in termini di buona fede quando i fatti da attestare riguardano soggetti cessati dalla carica, e dunque ormai terzi rispetto alla società dichiarante

Lazzini Sonia 07/04/11
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Soggetti ammessi a partecipare dichiarazioni relative a soggetti cessati presunzione di buona fede l’intervenuta riabilitazione esclude la rilevanza della condanna ai fini di una eventuale esclusione

gli obblighi gravanti sul legale rappresentate vanno valutati in termini di buona fede quando i fatti da attestare riguardano soggetti cessati dalla carica, e dunque ormai terzi rispetto alla società dichiarante (che, infatti, afferma di aver chiesto e ottenuto un certificato penale da cui nulla risultava, proprio perchè rilasciato a privati terzi)

illegittima esclusione di un’impresa il cui << il legale rappresentante della società aggiudicataria ha dichiarato «di non essere a conoscenza che ricorrano nei confronti della sig.ra SS, cessata dalla carica di Amministratore nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando in oggetto, le situazioni di cui all’art. 38, comma 1, lettera c, del d.lgs. 163/2006», essendo poi risultata dal certificato del casellario giudiziale l’esistenza di una sentenza di condanna della Corte di Cassazione risalente al 24 aprile 1987 (per bancarotta fraudolenta e truffa), per la quale è poi intervenuta la riabilitazione (provvedimento del Tribunale di Sorveglianza di Venezia del 12 giugno 1992).>>

nel caso in esame, da un lato non vi sia stata alcuna omessa dichiarazione per le considerazioni espresse in precedenza, e, sotto altro profilo, l’intervenuta riabilitazione esclude la rilevanza della condanna ai fini di una eventuale esclusione

Con riferimento al primo profilo, si rileva che dagli atti prodotti in giudizio risulta che il sig. *********** ha sottoscritto, in qualità di presidente e legale rappresentante della società, la dichiarazione del 23 settembre 2008, con la quale ha, appunto, attestato «l’inesistenza a carico dell’Impresa Controinteressata Ristorazione s.p.a.… delle condizioni di esclusione previste dall’art. 38 del d.lgs. n. 163/2006». A tale dichiarazione si sono aggiunte anche quelle degli altri componenti dell’attuale Consiglio di Amministrazione della Controinteressata, sigg.ri ******* e ******.

L’art. 38 del d. lgs. n. 163/2006 estende l’obbligo di dichiarazione e la causa di esclusione “anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l’impresa non dimostri di avere adottato atti o misure di completa dissociazione della condotta penalmente sanzionata”, aggiungendo che “resta salva in ogni caso l’applicazione dell’art. 178 c.p. [riabilitazione] e dell’art. 445, comma 2, c.p.p. [estinzione del reato]”.

In relazione alla posizione della amministratrice cessata dalla carica (**********), il legale rappresentante della società aggiudicataria ha dichiarato «di non essere a conoscenza che ricorrano nei confronti della sig.ra S_ Silvana, cessata dalla carica di Amministratore nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando in oggetto, le situazioni di cui all’art. 38, comma 1, lettera c, del d.lgs. 163/2006», essendo poi risultata dal certificato del casellario giudiziale l’esistenza di una sentenza di condanna della Corte di Cassazione risalente al 24 aprile 1987 (per bancarotta fraudolenta e truffa), per la quale è poi intervenuta la riabilitazione (provvedimento del Tribunale di Sorveglianza di Venezia del 12 giugno 1992).

La censura proposta attiene a due aspetti: l’incompletezza della dichiarazione e la omessa menzione (e valutazione) della condanna.

In ordine alla dichiarazione resa, si osserva che gli obblighi gravanti sul legale rappresentate vanno valutati in termini di buona fede quando i fatti da attestare riguardano soggetti cessati dalla carica, e dunque ormai terzi rispetto alla società dichiarante (che, infatti, afferma di aver chiesto e ottenuto un certificato penale da cui nulla risultava, proprio perchè rilasciato a privati terzi).

Nel caso di specie, la dichiarazione è stata comunque resa sulla base degli elementi in possesso del legale rappresentante e la formula dubitativa utilizzata poteva al massimo costituire motivo per una richiesta di integrazione o per un chiarimento d’ufficio, ma non giustificava certo l’esclusione dalla gara, come chiesto dall’appellante.

Tale chiarimento e rinnovazione della valutazione da parte della stazione appaltante non è peraltro necessario, in quanto, come correttamente rilevato dal Tar, l’intervenuta riabilitazione, ai sensi dell’art. 178 c.p., estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna (salvo che la legge disponga altrimenti), ed interviene all’esito di una indagine, concernente, tra l’altro, la buona condotta del condannato e l’avvenuto risarcimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato (art. 179 c.p.).

Anche in considerazione del fatto che l’art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 163/2006 fa salva in ogni caso l’applicazione dell’art. 178 del c.p., deve ritenersi che, nel caso in esame, da un lato non vi sia stata alcuna omessa dichiarazione per le considerazioni espresse in precedenza, e, sotto altro profilo, l’intervenuta riabilitazione esclude la rilevanza della condanna ai fini di una eventuale esclusione (T.A.R. Lazio, Sez. III, 22 maggio 2009, n. 5194).

Riportiamo qui di seguito la decisione numero 513 del 25 gennaio 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato

 

N. 00513/2011REG.SEN.

N. 01439/2010   01439/2010  REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1439 del 2010, proposto da***

contro***

nei confronti di***

per la riforma***

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Azienda Ospedaliera di Perugia e di Controinteressata Ristorazione S.p.A.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2010 il Cons. *************** e uditi per le parti gli avvocati ********, su delega dell’ avv. **********, *******, *******, e *******;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. Con sentenza n. 26/2010 il Tar per l’Umbria ha respinto il ricorso proposto dalla CO.SE.R. – Cooperativa Ricorrente avverso gli atti della gara indetta dall’Azienda Ospedaliera di Perugia per l’affidamento della concessione del servizio di gestione Bar dell’Ospedale Santa ***** della Misericordia di Perugia (procedura conclusasi con l’aggiudicazione in favore della Controinteressata Ristorazione S.p.a., mentre la Ricorrente si posizionava al secondo posto della graduatoria).

La Cooperativa Ricorrente ha proposto ricorso in appello avverso tale sentenza per i motivi che saranno di seguito esaminati.

L’Azienda Ospedaliera di Perugia e la Controinteressata Ristorazione S.p.a. si sono costituite in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso.

All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

2. L’oggetto del giudizio è costituito dalla contestazione da parte della cooperativa Ricorrente, precedente gestore del servizio e seconda classificata, dell’aggiudicazione in favore della Controinteressata Ristorazione S.p.a. della gara indetta dall’Azienda Ospedaliera di Perugia per l’affidamento della concessione del servizio di gestione Bar dell’Ospedale Santa ***** della Misericordia di Perugia.

La ricorrente contesta diversi profili della procedura, attinenti in parte ad asserite cause di esclusione dell’aggiudicataria, in parte a vizi della procedura che condurrebbero alla rinnovazione della stessa e, infine, a vizi della valutazione delle offerte e dell’attribuzione dei relativi punteggi.

Nell’esaminare le varie censure si ritiene di dover seguire la graduazione dei motivi, effettuata dall’appellante, tenuto conto che l’ordine da parte del giudice di esaminare le censure non può prescindere dal principio dispositivo, che regola anche il processo amministrativo e comporta la necessità di esaminare prima quelle censure, proposte in via prioritaria dal ricorrente e da cui deriva un effetto pienamente satisfattivo della sua pretesa del ricorrente (Cons. Stato, VI, 25 gennaio 2008 n. 213, in cui è stato affermato proprio che, in presenza di un motivo diretto ad escludere il primo classificato di una gara di appalto e di altro motivo tendente ad una rinnovazione, parziale o totale, delle operazioni di gara, solo l’accoglimento della prima censura, che deve quindi essere esaminata per prima, soddisfa l’interesse della seconda classificata ad ottenere l’aggiudicazione dell’appalto).

Nel caso di specie, l’appellante ha proposto con assoluta priorità (sia nel ricorso in appello che nelle successive memorie) le censure attinenti alla sussistenza di cause di esclusione dell’aggiudicataria in relazione alle dichiarazioni rese ex art. 38 del d. lgs. n. 163/2006.

In particolare, l’appellante deduce che:

a) non è stata resa la dichiarazione di inesistenza delle condizioni di esclusione di cui al predetto art. 38 con riferimento alla posizione di **********, amministratore cessato dalla carica nel triennio antecedente alla pubblicazione del bando, che aveva riportato diverse condanne penali, che comunque non sono state dichiarate, precludendo in tal modo la verifica della compatibilità delle stesse con la partecipazione alla gara, rimessa alla stazione appaltante anche in caso di intervenuta riabilitazione;

b) la dichiarazione ex art. 38 non è stata resa neanche con riguardo ai procuratori speciali della società muniti di poteri di rappresentanza, di cui uno (***************) risulta aver riportato una condanna definitiva, anche non valutata dalla stazione appaltante.

Con riferimento al primo profilo, si rileva che dagli atti prodotti in giudizio risulta che il sig. *********** ha sottoscritto, in qualità di presidente e legale rappresentante della società, la dichiarazione del 23 settembre 2008, con la quale ha, appunto, attestato «l’inesistenza a carico dell’Impresa Controinteressata Ristorazione s.p.a.… delle condizioni di esclusione previste dall’art. 38 del d.lgs. n. 163/2006». A tale dichiarazione si sono aggiunte anche quelle degli altri componenti dell’attuale Consiglio di Amministrazione della Controinteressata, sigg.ri ******* e ******.

L’art. 38 del d. lgs. n. 163/2006 estende l’obbligo di dichiarazione e la causa di esclusione “anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l’impresa non dimostri di avere adottato atti o misure di completa dissociazione della condotta penalmente sanzionata”, aggiungendo che “resta salva in ogni caso l’applicazione dell’art. 178 c.p. [riabilitazione] e dell’art. 445, comma 2, c.p.p. [estinzione del reato]”.

In relazione alla posizione della amministratrice cessata dalla carica (**********), il legale rappresentante della società aggiudicataria ha dichiarato «di non essere a conoscenza che ricorrano nei confronti della sig.ra S_ Silvana, cessata dalla carica di Amministratore nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando in oggetto, le situazioni di cui all’art. 38, comma 1, lettera c, del d.lgs. 163/2006», essendo poi risultata dal certificato del casellario giudiziale l’esistenza di una sentenza di condanna della Corte di Cassazione risalente al 24 aprile 1987 (per bancarotta fraudolenta e truffa), per la quale è poi intervenuta la riabilitazione (provvedimento del Tribunale di Sorveglianza di Venezia del 12 giugno 1992).

La censura proposta attiene a due aspetti: l’incompletezza della dichiarazione e la omessa menzione (e valutazione) della condanna.

In ordine alla dichiarazione resa, si osserva che gli obblighi gravanti sul legale rappresentate vanno valutati in termini di buona fede quando i fatti da attestare riguardano soggetti cessati dalla carica, e dunque ormai terzi rispetto alla società dichiarante (che, infatti, afferma di aver chiesto e ottenuto un certificato penale da cui nulla risultava, proprio perchè rilasciato a privati terzi).

Nel caso di specie, la dichiarazione è stata comunque resa sulla base degli elementi in possesso del legale rappresentante e la formula dubitativa utilizzata poteva al massimo costituire motivo per una richiesta di integrazione o per un chiarimento d’ufficio, ma non giustificava certo l’esclusione dalla gara, come chiesto dall’appellante.

Tale chiarimento e rinnovazione della valutazione da parte della stazione appaltante non è peraltro necessario, in quanto, come correttamente rilevato dal Tar, l’intervenuta riabilitazione, ai sensi dell’art. 178 c.p., estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna (salvo che la legge disponga altrimenti), ed interviene all’esito di una indagine, concernente, tra l’altro, la buona condotta del condannato e l’avvenuto risarcimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato (art. 179 c.p.).

Anche in considerazione del fatto che l’art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 163/2006 fa salva in ogni caso l’applicazione dell’art. 178 del c.p., deve ritenersi che, nel caso in esame, da un lato non vi sia stata alcuna omessa dichiarazione per le considerazioni espresse in precedenza, e, sotto altro profilo, l’intervenuta riabilitazione esclude la rilevanza della condanna ai fini di una eventuale esclusione (T.A.R. Lazio, Sez. III, 22 maggio 2009, n. 5194).

3. La seconda censura attiene, invece, alla omessa dichiarazione ex art. 38 con riguardo ai procuratori speciali della società muniti di poteri di rappresentanza, di cui uno (***************) risulta aver riportato una condanna definitiva, che non è stata, quindi, valutata dalla stazione appaltante.

Anche tale censura è priva di fondamento.

L’interpretazione del citato art. 38 con riferimento ai soggetti per i quali la dichiarazione deve essere resa è stata oggetto di diversi orientamenti giurisprudenziali, fra i quali permane un contrasto.

L’art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 163/2006 fa riferimento, per le società di capitali, agli “amministratori muniti del potere di rappresentanza”.

Secondo una parte della giurisprudenza, per l’individuazione dei soggetti tenuti alle dichiarazioni sostitutive finalizzate alla verifica del possesso dei requisiti di moralità, quando si tratti di titolari di organi di persone giuridiche da ricondurre alla nozione di “amministratori muniti di poteri di rappresentanza”, occorre esaminare i poteri, le funzioni e il ruolo effettivamente e sostanzialmente attribuiti al soggetto considerato, al di là delle qualifiche formali rivestite (Cons. Stato, V, 16 novembre 2010 n. 8059; VI, 8 febbraio 2007, n. 523, che nella categoria degli amministratori, ai fini dell’art. 38 cit., fanno rientrare sia i “soggetti che abbiano avuto un significativo ruolo decisionale e gestionale societario”, sia i procuratori ai quali siano conferiti poteri di partecipare a pubblici appalti formulando le relative offerte).

Altra giurisprudenza ha, da un lato, aderito alla necessità di effettuare una valutazione sostanzialistica della sussistenza delle cause ostative, derivando – in assenza di più restrittive clausole di gara – l’effetto di esclusione dalla procedura solo dal mancato possesso dei requisiti, e non dalla omissione o incompletezza della dichiarazione (Cons. Stato, V, 9 novembre 2010, n. 7967) e, sotto altro aspetto, ha limitato la sussistenza dell’obbligo di dichiarazione ai soli amministratori muniti di potere di rappresentanza e ai direttori tecnici, e non anche a tutti i procuratori della società (T.A.R. Basilicata, I, 22 aprile 2009 , n. 131; T.A.R. Liguria, II, 11 luglio 2008 , n. 1485; T.A.R. Calabria – Reggio Calabria, I, 08 luglio 2008 , n. 379).

Nel caso di specie, l’art. 7, lett. a), del bando imponeva, a pena di esclusione, di presentare una dichiarazione della insussistenza delle cause di esclusione di cui all’art. 38 del d. lgs. n. 163/06 e, di conseguenza, in assenza di una specifica (ed eventualmente) più restrittiva clausola della lex specialis, il problema che si pone riguarda proprio l’interpretazione del citato art. 38 con riferimento ai due menzionati orientamenti.

Il Collegio ritiene di dover aderire – per le considerazioni di seguito esposte – alla seconda tesi, che limita l’applicabilità della disposizione ai soli amministratori della società, e non anche ai procuratori speciali.

Ai sensi dell’art. 2380-bis c.c., la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori e può essere concentrata in un unico soggetto (amministratore unico) o affidata a più persone, che sono i componenti del consiglio di amministrazione (in caso di scelta del sistema monistico ex artt. 2380 e 2409-sexiesdecies c.c.) o del consiglio di gestione (in caso di opzione in favore del sistema dualistico ex artt. 2380 e 2409-octies c.c.): ad essi, o a taluni tra essi, spetta la rappresentanza istituzionale della società.

I procuratori speciali (o ad negotia) sono invece soggetti cui può essere conferita la rappresentanza – di diritto comune – della società, ma che non sono amministratori e ciò a prescindere dall’esame dei poteri loro assegnati.

L’art. 38 del d. lgs. n. 163/06 richiede la compresenza della qualifica di amministratore e del potere di rappresentanza (che può essere limitato per gli amministratori ex art. 2384, comma 2, c.c.) e non vi è alcuna possibilità per estendere l’applicabilità della disposizione a soggetti, quali i procuratori, che amministratori non sono.

Del resto, si tratta di una norma che limita la partecipazione alle gare e la libertà di iniziativa economica delle imprese, essendo prescrittiva dei requisiti di partecipazione e che, in quanto tale, assume carattere eccezionale ed è, quindi, insuscettibile di applicazione analogica a situazioni diverse, quale è quella dei procuratori.

Peraltro, anche l’applicazione analogica sarebbe opinabile, in presenza di una radicale diversità della situazione dell’amministratore, cui spettano compiti gestionali e decisionali di indirizzi e scelte imprenditoriali e quella del procuratore, il quale, benché possa essere munito di poteri di rappresentanza, è soggetto dotato di limitati poteri rappresentativi e gestionali, ma non decisionali (nel senso che i poteri di gestione sono pur sempre circoscritti dalle direttive fornite dagli amministratori). In altri termini le manifestazioni di volontà del procuratore possono produrre effetti nella sfera giuridica della società, ma ciò non significa che egli abbia un ruolo nella determinazione delle scelte imprenditoriali, lasciate all’amministratore.

Si deve, quindi, prendere atto che l’art. 38 del d.lgs. n. 163/06 – nell’individuare i soggetti tenuti a rendere la dichiarazione – fa riferimento soltanto agli “amministratori muniti di potere di rappresentanza”: ossia, ai soggetti che siano titolari di ampi e generali poteri di amministrazione, senza estendere l’obbligo ai procuratori.

La soluzione accolta, oltre ad essere maggiormente rispondente al dato letterale del citato art. 38, evita che l’obbligo della dichiarazione possa dipendere da sottili distinzioni circa l’ampiezza dei poteri del procuratore, inidonee a garantire la certezza del diritto sotto un profilo di estrema rilevanza per la libertà di iniziativa economica delle imprese, costituito dalla possibilità di partecipare ai pubblici appalti.

4. Un ulteriore gruppo di censure riguarda presunte carenze dell’offerta dell’aggiudicataria, che . secondo l’appellante – avrebbero dovuto condurre alla sua esclusione: assenza di sottoscrizione di alcuni progetti e del computo metrico; carenze progettuali per la parte adeguamento locali e impiantistica, per i servizi igienici riservati al personale e per altri aspetti.

Anche tali motivi sono infondati, dovendosi rilevare che la mancata sottoscrizione del progetto per gli arredi e le forniture non era sanzionata con l’esclusione da alcuna disposizione del bando, che prevedeva tale sanzione solo per l’ipotesi in cui «l’offerta economica non sia contenuta nell’apposita busta “C” interna, debitamente chiusa e controfirmata sui lembi di chiusura», che qui non ricorre.

La presenza del timbro, ma non della firma, su un allegato dell’offerta poteva al più costituire motivo di integrazione, ma non poteva condurre né alla esclusione dell’impresa, né alla mancata valutazione di quella parte dell’offerta, con conseguente infondatezza anche dell’ulteriore censura con cui l’appellante chiedeva l’attribuzione di punti zero in relazione alla parte del progetto non firmata.

Seguendo la stesa logica, le asserite carenze progettuali, che comunque non incidono su elementi fondamentali del servizio, non potrebbero mai condurre all’esclusione dell’impresa, ma potrebbero essere valutate ai fini dell’attribuzione del punteggio.

Peraltro, devono essere condivise le argomentazioni svolte nel merito dal Tar, che ha rilevato che:

– i progetti tecnici uniti all’offerta non richiedevano il livello di definizione della progettazione esecutiva;

– l’alimentazione autonoma dell’impianto di climatizzazione, e non derivata dalle linee esistenti, come pure l’assenza di un impianto idrico di spegnimento o del piano di sanificazione non costituiscono motivi di esclusione dell’offerta della Controinteressata Ristorazione S.p.a., ma hanno inciso sulla valutazione della medesima, sul “merito qualitativo”;

– per i servizi igienici e per il rispetto della presenza di almeno due servizi igienici per ambienti dove lavora contemporaneamente personale superiore alle 10 unità, il progetto dell’aggiudicataria non prevede il contemporaneo servizio di più di dieci dipendenti e contiene, comunque, cinque servizi igienici (uno per il personale, e quattro per gli utenti, senza escludere di mutare tale proporzione in sede esecutiva), a fronte dei quattro servizi del progetto dell’appellante (con conseguente infondatezza anche della pretesa di attribuire punti zero all’aggiudicataria per tale profilo).

5. E’ anche infondato il motivo con cui l’appellante deduce l’anomalia dell’offerta dell’aggiudicataria, sostenendo l’applicabilità della disciplina sull’anomalia anche alle concessioni di servizio pubblico e, comunque, l’inconfigurabilità – nel caso in esame di una concessione, trattandosi di un appalto di natura mista, comprendente anche lavori.

In primo luogo, la giurisprudenza ha chiarito che il rapporto contrattuale instaurato tra una Asl e un privato, con il quale viene affidato al medesimo la gestione di un servizio di bar e ristorazione all’interno di un complesso ospedaliero, ha natura di concessione, stante il carattere pubblico sia del bene, sia del servizio che ne costituiscono l’oggetto (Cassazione civile , sez. un., 1 luglio 2008 , n. 17937; Cass. 17 novembre 2004 n. 21713, 14 novembre 2003 n. 17295, 12 giugno 1999 n. 327, 21 luglio 1998 n. 7131, 29 marzo 1994 n. 3075, tutte relative proprio a casi di affidamento a un privato della gestione di un bar all’interno di un ospedale).

Tale conclusione non muta per la previsione di alcuni lavori accessori al servizio bar, restando inalterati i presupposti per configurare una concessione di pubblico servizio, costituiti dalla esistenza di un corrispettivo a favore dell’amministrazione a fronte della possibilità di gestire un servizio a pagamento verso l’utenza e dal rischio legato alla gestione del servizio, che ricade sul concessionario.

Trattandosi di concessione di servizio, deve farsi riferimento all’art. 30 del d. lgs. n. 163/06, che esclude, salvo quanto previsto dallo stesso articolo, l’applicabilità delle disposizioni del codice e, tra esse, anche di quelle relative alla verifica di anomalia, che mal si attagliano a casi in cui è l’aggiudicatario che deve versare un corrispettivo all’amministrazione.

6. Con altro motivo viene dedotta la violazione dell’art. 84 del d.lgs. n. 163 del 2006, nonché dei principi in tema di collegio perfetto, nell’assunto che la Commissione giudicatrice nelle sedute del 3 febbraio 2009 e del 12 maggio 2009 si sarebbe riunita in composizione non integra.

Come correttamente rilevato dal Tar, alcuna attività valutativa è stata svolta dalla Commissione in composizione non integra, con conseguente irrilevanza dell’assenza di alcuni componenti della stessa in sedute, caratterizzate da attività solo preparatoria o comunque vincolata (in questo senso, Consiglio Stato , sez. IV, 12 maggio 2008 , n. 2188).

7. Sono, infine, prive di fondamento le censure dirette contestare i criteri di attribuzione dei punteggi e le valutazioni della Commissione ai fini di tale valutazione, in quanto:

a) contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, la lettera di invito, tra i criteri per l’aggiudicazione, contemplava espressamente l’”adeguamento locali ed impiantistica” e la voce “arredi ed attrezzature”, dando quindi rilievo alla componente relativa all’investimento economico per i lavori di adeguamento funzionale e per le attrezzature e gli arredi;

b) non sussiste alcuna illogicità nel meccanismo di determinazione del punteggio relativo al prezzo, basato sull’attribuzione del punteggio massimo (pari a 40) al concorrente che ha offerto il canone annuo complessivo più alto, ed agli altri concorrenti di un punteggio inversamente proporzionale, non sussistendo alcuna irragionevolezza nel peso attribuito all’elemento prezzo (40 su 100) e nella formula utilizzata per l’attribuzione del punteggio;

c) i coefficienti di attribuzione del punteggio relativo alla qualità sono stati predeterminati dall’art. 2 della lettera invito, avendo poi la Commissione proceduto solo ad applicare detti criteri, motivando il giudizio attribuito alle singole componenti dell’offerta, attraverso alcuni dati utilizzati – in esecuzione dei criteri – al fine di rendere meglio comprensibile l’iter logico seguito nella valutazione e comparazione delle offerte;

d) le contestazioni mosse ai singoli punteggi attribuiti all’aggiudicataria sono in parte formulate in modo generico e privo di adeguati riscontri probatori e, in parte, inidonee a porre in dubbio l’ampio divario di punteggio tra prima e seconda classificata (prova di resistenza richiamata dal Tar e non superata con il ricorso in appello), motivato in modo puntuale dall’amministrazione, che in effetti ha attribuito all’appellante un punteggio maggiore per i profili contestati.

8. In conclusione, il ricorso in appello deve essere respinto.

Alla soccombenza seguono le spese del presente grado di giudizio nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.

Condanna l’appellante alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio, liquidate nella somma di Euro 5.000,00, oltre *** e ****, in favore di ciascuna parte appellata costituita.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

*****************, Presidente

**************, Consigliere

***************, ***********, Estensore

Angelica Dell’Utri, Consigliere

****************, Consigliere

 

 

 

L’ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 25/01/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Lazzini Sonia

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