Gli atti di alta amministrazione e gli atti politici. Analogie e differenze

Sgueo Gianluca 26/07/07
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PARTE I – Gli atti politici – 1. Definizione e fondamento normativo degli atti politici – 2. La differenza degli ati politici dagli atti di alta amministrazione – 3. Classificazione degli atti politici – 4.1 La tutela dei privati contro gli atti politici – 4.2 La posizione della giurisprudenza
 
PARTE II – Gli atti di alta amministrazione – 1. Definizione e fondamento normativo degli atti di alta amministrazione – 2. Le caratteristiche fondamentali – 3. Le tipologie di atti di alta amministrazione – 4. La tutela dei privati contro gli atti di alta amministrazione
 
 Conclusioni
 
 
PARTE I – Gli atti politici
 
1. Definizione e fondamento normativo degli atti politici
La dottrina tradizionale del Guicciardi individuava gli atti politici sulla base del fineda questi perseguiti, ovvero della causa di questi, arrivando a configurarli come sottocategoria di atti amministrativi.
La dottrina oggi prevalente invece, in particolare quella del Sandulli, li qualifica come “quella tipologia di atti in cui si estrinseca l’attività di direzione suprema della cosa pubblica e l’attività di coordinamento e di controllo delle singole manifestazioni in cui la direzione stessa si estrinseca”.
La stessa giurisprudenza ha più volte ribadito questo concetto[1].
Il fondamento normativo di questi atti si rinviene nell’ art. 31 del Regio Decreto 1054 del 1924, il quale prevede l’inammissibilità del ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale avverso atti e provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico.
 
2. La differenza degli atti politici dagli atti di alta amministrazione
La differenza dagli atti amministrativi si rinviene dunque nella estrema libertà del fine che caratterizza questi atti. Infatti, per quanto ampia possa presentarsi la discrezionalità amministrativa della pubblica amministrazione, quest’ultima sarà sempre vincolata dal necessario perseguimento delle finalità pubbliche, nonché nell’impossibilità di utilizzare un atto per fini diversi da quelli per i quali il potere stesso è stato concesso.
Oltre a ciò, osserva il Virga, gli atti politici (a differenza di quelli amministrativi) sono caratterizzati dal fatto di provenire da autorità di governo e di essere concreta realizzazione del potere politico.
 
3. Classificazione degli atti politici
Per classificare gli atti politici si possono seguire due criteri.
Il primo è il criterio soggettivo che considera l’organo emanante quale elemento di differenziazione. Sono legittimati all’adozione di questi atti il Governo, il Presidente della Repubblica, il Parlamento, la Corte Costituzionale, le Regioni e il Corpo Elettorale.
Il secondo è il criterio oggettivo. Questa classificazione del Sandulli parte dal presupposto della natura giuridica dell’atto politico. Questa non è univoca. Si rinvengono dunque A) atti politici aventi forza di legge (come le leggi del parlamento o i decreti legge) ; B) atti politici aventi forza giurisdizionale (come le sentenze della Corte Costituzionale) ; C) atti politici amministrativi privi di forza legislativa o giurisdizionale (come la proposta di nomina di un Ministro, la dichiarazione dello stato di guerra, le nomine dei sottosegretari, ecc).
Va detto che questo criterio (oggi comunemente accettato in dottrina) non trova riscontro nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, che continua a considerare atti politici i soli atti di indirizzo politico emanati dall’esecutivo che non rivestano natura amministrativa.
 
4.1 La tutela dei privati contro gli atti politici
Uno dei problemi principali è quello della tutela dei privati contro gli atti politici. Aspetto questo reso particolarmente importante dal fatto che si tratterebbe di atti insindacabili, conseguentemente non soggetti ad alcun sindacato.
Nello specifico si possono avere due tipi di ricorsi. Anzitutto ci sono i ricorsi amministrativi. Questi comprendono il ricorso in opposizione che, trattandosi di rimedio straordinario limitato alle sole ipotesi tassativamente previste, non figurando tra queste la categoria in esame, deve dunque escludersi.
C’è poi il ricorso gerarchico che, trattandosi di ricorso che prevede la necessaria presenza di un organo superiore nella scala gerarchica cui rivolgersi, ed essendo gli atti in oggetto emanati da organi che rispondono al principio del superiorem non recognoscentes, l’ipotesi appare da escludersi.
Cè, infine, il ricorso straordinario al Capo dello Stato che, trattandosi di ricorso alternativo a quello giurisdizionale, ed essendo escluso nelle ipotesi di inesperibilità di quest’ultimo (come avviene, appunto, per gli atti politici), non può essere preso in considerazione.
Tra i ricorsi giurisdizionali bisogna distinguere tra le ipotesi di ricorso al giudice amministrativo, che però l’art. 31 del Regio Decreto 1054/1924 lo esclude espressamente[2].
Circa, invece, i ricorsi al giudice ordinario, essendo la fruibilità di questa tutela rimessa alle sole ipotesi in cui il ricorrente lamenti la lesione di un diritto soggettivo, ed essendo estremamente remota (per non dire inesistente) l’ipotesi che un atto di indirizzo generale possa incidere su posizioni giuridiche soggettive, tale ipotesi appare da escludersi[3].
La soluzione in realtà va ricercata nell’utilizzo di sistemi di controllo diversi da quelli tradizionali. In particolare, si rileva l’operatività rispetto a tali atti di forme di controllo e sanzione a loro volta politiche, di competenza del Corpo Elettorale o del Parlamento (es: voto di sfiducia o mancata riconferma elettorale degli organi ritenuti responsabili di atti politici illeciti).
 
4.2 La posizione della giurisprudenza
In merito va rilevato che negli ultimi anni la Giurisprudenza, per limitare al massimo il deficit di tutela, ha optato per una rigorosa interpretazione restrittiva del concetto di atto politico (al punto che si è parlato di erosione degli atti politici), riconducendo i casi dubbi (es: nomina dell’avvocato generale dello Stato o scioglimento di un’associazione politica) alla figura degli atti di alta amministrazione che sono sindacabili in sede giurisdizionale.
Da ultimo il problema ha interessato una posizione interpretativa assunta dalla Corte di Giustizia della CE in merito alla mancata attuazione, da parte di uno stato membro, delle c.d direttive autoesecutive. La Corte avrebbe affermato il principio della responsabilità dello Stato per mancato recepimento delle disposizioni comunitarie, con conseguente obbligo di risarcimento del danno per inadempimento qualora questo dia luogo a compromissione di posizioni giuridiche riconosciute ai singoli dall’Ordinamento sovranazionale.
Questa posizione, che sembrava aver aperto la strada ad un nuovo sgretolamento del principio di insindacabilità degli atti politici, è stata stigmatizzata tanto dalla dottrina che dalla giurisprudenza.
In dottrina si è sostenuto che in realtà non può parlarsi di sgretolamento del principio di insindacabilità degli atti politici perché, nelle questioni di specie, l’atto normativo interno, ove sussista una fonte comunitaria sovraordinata, deve considerarsi meramente esecutivo di scelte già compiute dal legislatore comunitario (al quale livello si sposterebbero dunque le valutazioni politiche).
La giurisprudenza, invece, non ha condiviso la posizione del Giudice comunitario. Con la sentenza 10617 del 1995 la Cassazione ha negato che dalla mancata attuazione di una direttiva possa derivare un obbligo di risarcimento del danno per lo Stato ex art. 2043 cc. Non essendo ravvisabili situazioni di diritto soggettivo si può dunque solo parlare di un obbligo di indennizzo.
 
 
PARTE II – Gli atti di alta amministrazione
 
1. Definizione e fondamento normativo degli atti di alta amministazione
Gli Atti di Alta Amministrazione costituiscono una speciale categoria di atti amministrativi, in grado di raccordare la funzione di governo e, appunto, quella amministrativa. Sono pertanto manifestazioni d’impulso all’adozione di atti amministrativi funzionali all’attuazione dei fini della legge.
Il loro fondamento normativo si rinviene in due disposizioni normative: nell’art. 95 della Costituzione, laddove attribuisce al Presidente del Consiglio dei Ministri compiti di unità di indirizzo amministrativo oltrechè di direzione politica del governo; nell’art. 2 della legge n. 400 del 1988, che che riserva al Consiglio dei Ministri la competenza in ordine a tutti i provvedimenti di fissazione dell’azione generale amministrativa. Le direttive conseguenti sono poi impartite dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
 
2. Le caratteristiche fondamentali
Le caratteristiche fondamentali degli atti di alta amministrazione sono la subordinazione ed il carattere ampiamente discrezionale.
La subordinazione si intende sia nei confronti anzitutto della legge ordinaria che degli atti di direzione politica, nel cui rispetto sono tenuti ad operare (essendo vincolati, come tutti gli atti amministrativi, ai fini che devono perseguire).
Sono inoltre assoggettati ai principi costituzionali degli articoli 97 e 113 della Costituzione[4].
Sono poi caratterizzati da ampia discrezionalità. Questo profilo, ed il fatto che tali atti fossero astrattamente in grado di incidere negativamente su posizioni giuridiche soggettive, aveva indotto la giurisprudenza amministrativa ad affermare che, pur non potendosi ricondurre tali atti tra quelli soggetti ad obbligo motivazionale, tuttavia si palesava l’esigenza di una sia pure sommaria indicazione delle ragioni della decisione assunta.
Il problema è stato risolto dall’articolo 3 della legge 241/1990, che ha generalizzato l’obbligo di motivazione per i provvedimenti amm., sennza esclusione degli atti di alta amministrazione.
 
3. Le tipologie di atti di alta amministrazione
Esistono 5 principali tipologie di atti di alta amministrazione.
Tra queste sono comprese le decisioni dei Comitati interministeriali; le decisioni con cui il Consiglio dei Ministri risolve i conflitti di competenza e le decisioni di ricorsi straordinari in dissenso dal parere del Consiglio di Stato
Molto interessante è il caso delle nomine dei dirigenti di livello verticistico. A tale proposito giova ricordare che, in riferimento ai provvedimenti di nomina dei direttori generali delle Unità Sanitarie Locali, con la sentenza del Consiglio di Stato 1139 del 1998, questo ha ribadito la loro importante funzione di espressione della potestà di indirizzo e governo delle Regioni in ambito sanitario. Il giudice ha poi esteso le proprie valutazioni in merito a tutte le ipotesi di adozione di atti di nomina di dirigenti di vertice svolte intuitu personae (non basate cioè su scelte di carattere comparativo all’esito di procedura concorsuale). Al proposito ha specificato che la motivazione di scelta non deve dare conto della ragione dell’esclusione di altri candidati, ma deve concretarsi nelle spiegazioni che hanno indotto l’amministrazione a considerare le doti del soggetto in parola tali da consentire l’ottimale espletamento dell’incarico.
Vi sono, infine, gli atti governativi di annullamento di atti amministrativi illegittimi per motivi eccezionali collegati alla preservazione dell’ordinamento amministrativo. Questa tipologia di atti trova una collocazione nell’art. 138 D.lgvo n. 267 del 2000 per quanto riguarda gli atti degli enti locali ; 2) art. 2, comma 3, lett. P, della legge n. 400 del 1988 per quanto attiene gli atti di tutte le altre amministrazioni[5].
 
4. La tutela dei privati contro gli atti di alta amministrazione
In ordine alla tutelabilità dei privati contro tali atti., in ragione della loro riconducibilità agli atti amministrativi, essi sono pienamente assoggettabili al regime giuridico di questi ultimi.
In particolare dunqueè proponibile il ricorso giurisdizionale amministrativo contro gli atti successivi emanati per dare esecuzione agli atti di alta amm. (che non sono direttamente impugnabili). Tuttavia la dottrina e la giurispr. Sono concordi nel ritenere impugnabili anche direttamente gli atti di alta att. Nell’ipotesi in cui contengano disposizioni sufficentemente puntuali per arrecare giudizio a situazioni giuridiche individuali. L’esempio è quello degli atti di nomina delle cariche dirigenziali, sia per quanto riguarda le ipotesi di nomina, sia di revoca (limitatamente alle ipotesi di sindacato sull’opportunità delle considerazioni svolte dall’amministrazione, perché per gli aspetti contrattuali legati ad eventtuali forme di inadempimento del funzionario sarà competente il giudice ordinario)
È poi ammissibile il ricorso giurisdizionale ordinario,benchè difficilmente ipotizzabile, vista la scarsa possibilità di incidenza di questi atti su posizioni definite.
Infine è da escludersi l’esperibilità del ricorso gerarchico poiché questi atti promanano da organi che rispondono al principio del superiorem non recognoscentes.
 
Conclusioni
Dopo aver delineato lecaratteristiche principali degli atti politici e di quelli di alta amministrazione, è possibile chiarire quali siano le differenze tra le due tipologie.
Si tratta di una distinzione complessa, a causa del carattere estremamente evanescente delle due categorie. Secondo il Gallisarebbe dunque inutilizzabile un criterio di natura soggettiva, attesa la circostanza che spesso gliorgani detentori del potere politico esercitano anche funzioni di alta aministrazione. Viceversa potrebbe applicarsi un criterio oggettivo, basato sulla diversa natura degli interessi curati dai due atti. Mentre infatti l’atto politico realizza una sintesi di tutti gli interessi della collettività (trascendendo la gestione di settori determinati della P.A.), l’atto di alta amm. è caratterizzato dalla settorialità degli interessi presi in considerazione dall’organo preposto al coordinamento.
Nota il Caringellache, nonostante questa utile distinzione, il criterio è comunque spesso inidoneo a consentire una corretta distinzione, in particolare per quegli atti di alt amm. dal contenuto estremamente sfumato e generico. Ad ogni modo la giurisprudenza, preoccupata dal vuoto di tutela che si ha con gli atti politici, nei casi dubbi è propensa a qualificare gli atti come atti di alta amm.
 
 
 
 


[1] In particolare risalta la SENT. 98/1992 TAR LOMBARDIA che li definisce come quei provvedimenti che attengono a superiori esigenze di carattere generale che afferiscono alla direzione suprema dello Stato e che hanno lo scopo di tutelare gli interessi della collettività.
[2] Alcuni autori, tra cui il Cerulli Irelli, avrebbero contestato la vigenza della norma in questione, atteso che l’ART. 113 COST. ammette sempre la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi contro gli atti della PA. A conferma di ciò vi sarebbe la circostanza che nella legge istitutiva dei TAR non ha riproposto lo sbarramento dell’ART. 31.
In realtà, ha sostenuto il Galli, la richiamata norma costituzionale va appunto intesa come esclusivamente riferita agli atti amministrativi e non a quelli politici, per cui non vigerebbe l’ordinario sistema di garanzie. Né, del resto, sarebbe opportuno il riferimento alla legge istituenda dei TAR, dacchè questa rinvia espressamente al TU del 1924, per quanto non espressamente regolato.
[3] Sostiene il Galli che nella remota possibilità che tali atti contengano disposizioni puntuali in grado di pregiudicare posizioni individuali, il loro contenuto potrà essere portato all’attenzione della magistratura attraverso lo strumento del conflitto di attribuzione, oppure (se l’atto riveste carattere legislativo) dell’eccezione di incostituzionalità, entrambi presso la Corte Costituzionale.
Del tutto isolata dunque la posizione del Virga, secondo il quale la ricorrenza di un atto politico non impedirebbe al GO di conoscere delle relative controversie, seppur limitatamente ai soli effetti patrimoniali derivanti dal comportamento illecito dell’organo emanante.
 
[4] Questo inquadramento (unitamente alla considerazione sull’eterogeneità della categoria) ha spinto il Quadri a dubitare della utilità di una loro collocazione autonoma. Nonostante ciò la dottrina prevalente ritiene invece necessario il ricorso ad una figura autonoma, in virtù della particolarità della funzione svolta.
 
[5] La giurisprudenza ha dibattuto lungamente sulla natura giuridica di questo atto. Originariamente lo si era ritenuto a tutti gli effetti un atto di Alta Amministrazione, in considerazione dell’elevata discrezionalità del Governo. Tuttavia questo orientamento è stato modificato con la sent. 229/1999 della Corte costituzionale., la quale ha dichiarato l’illeggittimità costituzionale di tale potere nella misura in cui si estende agli atti amministrativi delle regioni, e lo ha qualificato come potere di controllo. Ciò sulla base della considerazione che questo potere fa capo ad un soggetto diverso da quello da cui l’atto è emanato e che la valutazione verte sull’illeggittimità dell’atto stesso. In base a ciò dunque si è venuto ad escludere, seppur indirettamente, la natura di questi atti come atti di alta amministrazione, per affermarne invece la natura di atti amministrativi (di controllo) in senso stretto. Nonostante ciò non sono mancate successive pronunce giurisdizionali volte a tentare di qualificare questi atti come atti di alta amministrazione.
 

Sgueo Gianluca

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