Gli albori della Scienza applicata alla Giustizia: il processo Verlaine

Redazione 17/03/17
Scarica PDF Stampa
L’attuale sistema processuale è saldamente basato e sostenuto dalle conquiste fatte nel ramo scientifico. Soprattutto oggi, grazie alle tecnologie di indagine legate al DNA, la valutazione scientifica dei dati forensi assume un ruolo chiave all’interno del processo penale, portando alla costruzione di solide tesi di dinamica degli eventi accaduti o ex contrariis  alla confutazione di tesi sostenute da una delle parti all’interno del processo.
Onde fare un appropriato focus sulla co-evoluzione dei sistemi Giustizia e Scienza, è opportune ben descrivere da dove tali due branche  hanno iniziato a “collaborare”.
Scienza e Giustizia: l’inizio della “collaborazione”
Nel 1873, quasi 150 anni orsono, il celebre poeta Paul Verlaine fu oggetto di processo penale,  imputato di tentato omicidio senza premeditazione nei confronti di Arthur Rimbaud, suo giovane collega d’arte col quale intratteneva una relazione di tipo sentimentale.
Nello specifico, Rimbaud fu ferito da Verlaine mediante colpo d’arma da fuoco al polso. Un altro colpo fu esploso ma non lo attinse.
Nel processo Verlaine si dichiarò innocente, invocando una serie di scriminanti, tra cui il non aver mai voluto tentare di arrecar danno alla vita dell’amante, tant’è che il colpo di pistola  lo aveva attinto all’avanbraccio. Inoltre il secondo colpo fu accidentale, provocato dalla caduta della stessa rivoltella al suolo. Versione contrastante fornita da Rimbaud, il quale sosteneva che il suo aggressore, a seguito del primo colpo, lo avrebbe inseguito e solo fortunatamente non venne colpito con il secondo sparo.
L’approccio scientifico: la perizia
Fu, dunque, disposta dalla corte una perizia di tipo balistico e medico-legale (per quanto all’epoca si poteva). I primi risultati di balistica forense risalgono al 1835 quando Alexandre Lacassagne estrasse il proiettile da un vittima da arma da fuoco uccisa in Inghilterra. Una volta divenuta una prova schiacciante, il sospettato dell’omicidio confessò il delitto.
La perizia nel processo Verlaine, con i dovuti limiti intrinsechi all’evoluzione del tempo di quel tipo d’indagine, fornì ai giudicanti informazioni circa la dinamica degli atti e portò, alla fine, la Corte a derubricare il reato di tentato omicidio in percosse e ferite volontarie tali da procurare lesioni guarite in 10 giorni, condannando Verlaine a due anni di reclusione.
E’ il  caso di un processo al tempo eclatante in cui approcci di tipo specialistico scientifico (provenienti da diverse discipline) sono stati utilizzati come “pilastro” su cui far fondare ai giudicanti il proprio convincimento.
Ovviamente era un sistema di scienza forense molto “rurale”, visti i notevoli limiti, ma tuttavia importante da analizzare perché configura l’incipit della stretta collaborazione dei settori Giustizia e Scienza.
Ad oggi tali perizie provenienti dalle diverse discipline delle scienze forensi sono davvero raffinatissime, ma continua a sussistere un problema di base, ossia:  “Che grado di certezza i giudicanti possono riporre nella singola perizia scientifica e nel totale delle inferenze derivatene, onde formare a dovere il proprio convincimento?”
Attualmente noti esponenti del settore della magistratura affermano che le evidenze forensi di tipo scientifico andrebbero strettamente regolate e valutate, anche secondo un preciso “tabulato di credibilita’”, onde far sì che la scienza conservi un giusto suo collocamento  all’interno del sistema procedurale. Solo così si potranno evitare potenziali e pericolosi abusi, inevitabili quando si consideri il dato scientifico coi connotati quasi della sacralità.
Scienza e Giustizia a Teatro
Per disaminare tale tematica e renderla nota in forma artistica, verrà  proposta in questi giorni la versione teatrale di quanto accaduto nel caso Verlaine. Tale evento culturale avverrà al teatro Agorà di Roma dal 21 al 26 marzo con l’opera GLI AMICI DEL ROSPO (Processo e cattività di Paul Verlaine per l’attentato  ad Arthur Rimbaud)  scritta dal giudice drammaturgo Gennaro Francione per la regia di Antonella De Angelis .
Francione è stato  indicato dalla Fondazione Betti come il naturale erede di Ugo Betti, anch’egli magistrato, uno dei tre grandi drammaturghi del secolo scorso insieme a Eduardo e Pirandello.
Francione non solo è artista ma è  noto esponente di teorie in dottrina giurisprudenziale che analizzano lo status quo processuale e tendono a combattere il processo indiziario, “romanzato” com’egli afferma, a favore di un processo postmoderno strutturato su prove forti e su base nettamente scientifica.

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento