Giudizio abbreviato: disciplina giuridica e Legge n. 33/2019

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Premessa : la ratio dei riti speciali/alternativi

Il processo penale ordinario è definito quale fase del procedimento susseguente alle indagini preliminari,  che ha origine nel momento in cui l’organo accusatorio esercita l’azione penale, attraverso la richiesta di rinvio a giudizio ovvero mediante la notifica del decreto di citazione diretta a giudizio nei casi previsti dall’art. 550 c.p.p., e concludendosi con il passaggio in giudicato della sentenza di condanna o di proscioglimento/assoluzione. La peculiarità del rito ordinario è costituita dalla fissazione da parte del giudice di un’udienza preliminare e di un’udienza dibattimentale, con la ineludibile precisazione che nelle ipotesi contemplate dall’art. 550 c.p.p., l’elusione dell’udienza preliminare non fa venir meno il carattere “ordinario” del rito de quo.  Orbene, specularmente al giudizio ordinario, il legislatore ha creato un regime procedurale cosiddetto “speciale”, introdotto secondo principi orientati in ottica deflattiva nonché secondo criteri improntati sulla massima celerità e su aspetti di economia processuale. Tale regime risulta contrassegnato dalla legittimazione attribuita all’imputato nonché al Pubblico Ministero di poter avanzare, nel rispetto dei presupposti applicativi, un’istanza prodromica all’instaurazione di un rito processuale alternativo/speciale, il cui sostrato risulta rappresentato dall’assenza dell’udienza preliminare o dell’udienza dibattimentale ovvero di entrambe, a seconda della tipologia del rito adito. Su tale scia, la normativa prevede la sussistenza dei seguenti riti alternativi: giudizio immediato (promosso dal Pubblico Ministero, nonché, seppure  in rarissimi casi, dall’imputato), procedimento per decreto (instaurato dal Pubblico Ministero), giudizio “per direttissima” (instaurato dal Pubblico Ministero), applicazione della pena su richiesta della parti e nota come “patteggiamento” (intentato, previo accordo, sia dal Pubblico Ministero che dall’imputato), sospensione del procedimento con messa alla prova (richiesta dall’imputato), giudizio abbreviato (promosso in via esclusiva dall’imputato).

Il giudizio abbreviato: la disciplina giuridica

La specialità che contraddistingue il rito abbreviato attiene all’elusione dell’udienza dibattimentale ed alla definizione del procedimento allo stato degli atti, attraverso l’acquisizione al fascicolo del giudice di tutta la documentazione probatoria in possesso dell’organo inquirente/requirente nonché del difensore dell’imputato. Tale rito è considerato “premiale”, in quanto nei casi di condanna comporta una diminuzione di pena di un terzo o della metà, a seconda che il reato contestato sia rispettivamente un delitto ovvero una contravvenzione. Inoltre, è una tipologia speciale di procedimento che trova la sua base costituzionale nell’art. 111, comma 5, reticolo normativo ove sono elencate specifiche ed eccezionali ipotesi derogatorie al principio della formazione della prova in contraddittorio tra le parti. Invero, la littera legis prevede espressamente che la formazione della prova non abbia luogo in contraddittorio nei casi di accertata impossibilità di natura oggettiva, per effetto di provata condotta illecita nonché, ed è ciò che interessa in tale sede, nei casi di consenso dell’imputato. In tal senso, data la natura di atto personalissimo, la richiesta dell’imputato di accedere al rito abbreviato deve essere espressa personalmente o per mezzo di un procuratore speciale, precisandosi d’altra parte che allorché la stessa sia avanzata in udienza preliminare (alla luce dell’art. 438, comma 2, sino a che non siano formulate le conclusioni), è in tale sede che l’organo decidente provvederà a pronunciarsi in ordine all’accertamento o meno della responsabilità penale del prevenuto. Di converso, se la volontà di accedere al giudizio speciale è manifestata, nei casi di citazione diretta a giudizio ex art. 550 c.p.p. (e dunque nelle ipotesi di assenza ordinaria dell’udienza preliminare), prima della dichiarazione di apertura del dibattimento nonché, secondo quanto disposto ex art. 461, co. 3 c.p.p., mediante atto di opposizione avverso il decreto penale di condanna, il giudice procederà (nelle ipotesi ex art. 550 c.p.p.), alla immediata definizione del procedimento salvo probabile rinvio di udienza, ovvero (nel caso di cui all’art. 461, co. 3, c.p.p.) alla fissazione di un’apposita udienza “camerale”.

Per sapere tutto su questo argomento leggi anche “Quando scegliere un rito penale alternativo” di Antonio Di Tullio D’Elisiis, Gabriele Esposito, Alfonso Laudonia.

Stante la legittimazione della eventuale parte civile di non accettare il rito abbreviato e non applicandosi la disposizione di cui all’art. 75, comma 3, si sottolinea che alla stregua di quanto statuito dalla Legge n. 103/2017 (Riforma “Orlando”), la richiesta del giudizio alternativo formulata in udienza preliminare comporta quale conseguenza la sanatoria delle nullità che non siano assolute, la non rilevabilità delle inutilizzabilità (salve quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio) nonché la preclusione di ogni questione sulla competenza per territorio del giudice. La stessa riforma ha evidenziato che allorché la richiesta venga presentata successivamente al deposito dei risultati delle indagini difensive, il giudice provvederà solo dopo che sia decorso il termine non superiore a sessanta giorni, eventualmente richiesto dal Pubblico Ministero, per lo svolgimento di indagini suppletive limitatamente ai temi introdotti dalla difesa, riservando d’altro canto all’imputato circa la facoltà di revocare la richiesta.

Giova rammentare inoltre che, ante riforma L. n. 479/1999 (denominata nata Legge “Carotti”), la facoltà di intentare il giudizio abbreviato era riservata non soltanto all’imputato, bensì anche al Pubblico Ministero, legittimato tra l’altro ad esprimere il consenso o il dissenso laddove la scelta provenisse dall’imputato. In senso opposto, con l’entrata in vigore della Legge “Carotti” alla fine degli anni novanta, il potere decisionale di cui poteva “vantare” l’organo accusatorio aveva perso la sua rilevanza, con la conseguente statuizione legislativa sia di affidare in via esclusiva all’imputato la facoltà di scegliere o meno la definizione del processo con il rito abbreviato, sia di eliminare qualsivoglia consenso/dissenso di cui era portatore il Pubblico Ministero.

Secondo quanto disposto ai sensi dell’art. 438, comma 5, emerge ictu oculi la possibilità per l’imputato di ottenere il rito abbreviato, subordinato ad un’integrazione probatoria; pertanto, la domanda di ammissione al rito premiale può essere anche condizionata/complessa. A differenza di quella semplice, la richiesta condizionata è sottoposta al vaglio dell’organo giurisdizionale, avendo quest’ultimo il potere di disattenderla laddove ritenga che la domanda de qua non risulti necessaria ai fini della decisione e non sia compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento. Per evitare siffatta evenienza, la normativa riserva al soggetto interessato la possibilità di poter proporre, in subordine all’eventuale rigetto, una domanda semplice di ammissione al giudizio abbreviato ovvero una richiesta di “patteggiamento”. Al fine di impedire domande pretestuose, risulta ormai granitico l’orientamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte secondo cui la prova che si richiede ad integrazione della domanda deve essere assolutamente indispensabile per dare un decisivo supporto alla deliberazione in merito ad un qualsiasi aspetto dei fatti in valutazione. Sulla scia di quanto appena evidenziato, in caso di accoglimento della domanda condizionata, può sopravvenire in seguito l’esigenza di procedere ad eventuali contestazioni previste dall’art. 423, co. 1, c.p.p. Può sussistere tale esigenza allorché, a seguito dell’integrazione probatoria, risulti che il fatto sia diverso da come descritto nell’imputazione, rilevi una circostanza aggravante ovvero emerga un reato connesso a norma dell’art. 12, comma 1, lett. b). Nelle ipotesi testé elencate, il Pubblico Ministero modifica l’imputazione contestandola all’imputato, aprendosi per quest’ultimo un duplice scenario. L’imputato può chiedere immediatamente che il procedimento prosegua nelle forme ordinarie ovvero, anche per il tramite del suo difensore, può avanzare istanza per ottenere un termine non superiore a dieci giorni funzionale alla scelta da assumere al riguardo. Laddove decida di proseguire con il rito ordinario, il giudice revoca l’ordinanza con cui era stato disposto il giudizio abbreviato, altrimenti il procedimento continua secondo il rito speciale, con la possibilità attribuita all’imputato di poter chiedere l’ammissione di nuove prove, in relazione alle contestazioni effettuate. E’ da precisare che la modifica dell’imputazione può avvenire non solo in tale contesto, ma anche nei casi di domanda semplice di ammissione al rito abbreviato. Ciò accade qualora, secondo la disposizione di cui all’art. 441, comma 5,  il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti, assumendo pertanto, anche d’ufficio, gli elementi necessari ai fini della decisione.  Un ultimo breve sguardo è riservato ai casi di appellabilità della sentenza emessa dal giudice. In caso di condanna, il provvedimento può essere liberamente appellato dall’imputato, mentre per il Pubblico Ministero sussiste tale potere solo nelle ipotesi di modifica del titolo del reato. In caso di proscioglimento ed in ossequio alle pronunce emesse dalla Corte Costituzionale, se il Pubblico Ministero può impugnare la sentenza in ogni caso, l’imputato può farlo solo nelle ipotesi di assoluzione per difetto di imputabilità, derivante da vizio totale di mente.

Legge n. 33/2019: inapplicabilità del rito abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo

Come sostenuto in precedenza, il giudizio abbreviato costituisce per l’imputato l’occasione per ottenere, in caso di condanna, uno sconto di pena. Se il reato contestato concerne un delitto, la diminuzione di pena sarà pari ad un terzo; di contro, se il reato è contravvenzionale, lo sconto della pena sarà equivalente alla metà. Orbene, sino al 20 aprile del 2019, la disciplina codicistica era chiara nello stabilire che nelle ipotesi di condanna alla pena dell’ergastolo “semplice”, la scelta del rito abbreviato comportava la sostituzione della pena de qua con quella della reclusione ad anni trenta. Di converso, nei casi di condanna alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno, nelle ipotesi di concorso di reati e di reato continuato,  il rito speciale determinava la sostituzione di suddetta pena con quella dell’ergastolo semplice. Codesta situazione è notevolmente mutata a seguito dell’entrata in vigore della Legge n. 33 del 20 aprile 2019, la quale ha ridisegnato il quadro di ammissibilità del giudizio abbreviato sul versante del “fine pena mai”. Il legislatore ha imposto uno sbarramento a carico dell’imputato, creando un regime di sfavore laddove l’imputazione abbia per oggetto delitti puniti con la pena dell’ergastolo, come ad esempio i delitti di devastazione, saccheggio e strage, il delitto nella forma aggravata di sequestro di persona, nonché il delitto di omicidio aggravato. In suddetti casi, alla luce di quanto disposto ai sensi del nuovo comma 1-bis ex art. 438 c.p.p., risulta preclusa all’imputato la scelta di chiedere che il processo venga definito nelle forme del rito abbreviato. Duole precisare che tale preclusione non è assoluta, in quanto nulla esclude che, all’esito dell’udienza preliminare, l’originaria contestazione per delitto punito con l’ergastolo venga derubricata dal giudice attraverso una definizione giuridica del fatto differente da quella contenuta nell’imputazione. In suddetta ipotesi, il giudizio abbreviato risulterà ammissibile ed il giudice  provvederà ad avvisare l’imputato, attraverso il decreto di rinvio a giudizio, circa la possibilità di richiedere, entro quindici giorni, il rito di cui sopra. In senso opposto, laddove ab origine l’imputazione concerneva un delitto non punito con la pena dell’ergastolo, nel caso di modifica dell’imputazione e di contestazione di un delitto per il quale è prevista la pena perpetua, il giudice procederà alla revoca, anche d’ufficio, dell’ordinanza con cui era stato disposto il giudizio alternativo, fissando l’udienza preliminare o la sua eventuale prosecuzione.

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Dott. Raffaele Pellino

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