Con la sentenza n. 29746 del 2025, la Prima Sezione civile della Corte di cassazione torna ad affrontare una questione di particolare rilevanza pratica nell’ambito delle procedure di sovraindebitamento disciplinate dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: la possibilità per il fideiussore di debiti societari di accedere al piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore ex art. 67 CCII. Il fulcro della decisione è rappresentato dalla verifica della qualifica soggettiva del debitore e, in particolare, dall’individuazione di un eventuale collegamento funzionale tra la garanzia prestata e l’attività imprenditoriale della società garantita.
La pronuncia si inserisce in un filone giurisprudenziale ormai consolidato, che valorizza un approccio sostanziale alla nozione di “consumatore”, rifiutando automatismi fondati sulla sola forma giuridica del rapporto obbligatorio e imponendo un accertamento concreto delle finalità sottese all’assunzione del debito. Per approfondire l’argomento, consigliamo il volume Composizione negoziata della crisi – Guida pratica per l’esperto con casistica giurisprudenziale, modelli, strumenti e prassi applicativa, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon, e il volume Le tutele del nuovo sovraindebitamento: come uscire dal debito disponibile su Shop Maggioli e su Amazon.
Indice
- 1. Il contesto processuale e la revoca dell’omologazione
- 2. La nozione di consumatore nel Codice della crisi: un accertamento sostanziale
- 3. Il collegamento funzionale come criterio dirimente
- 4. Continuità interpretativa e onere probatorio
- 5. Profili processuali e limiti del giudizio di legittimità
- 6. Considerazioni conclusive
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1. Il contesto processuale e la revoca dell’omologazione
Nel caso sottoposto all’esame della Corte, una persona fisica aveva ottenuto dal tribunale l’omologazione del piano del consumatore, fondato su una situazione di sovraindebitamento derivante in larga parte da fideiussioni prestate a favore di due società successivamente fallite. Avverso il provvedimento di omologa, alcuni creditori proponevano reclamo, contestando la sussistenza dei presupposti soggettivi richiesti dall’art. 67 CCII.
La Corte d’appello accoglieva il reclamo, revocando l’omologazione sul presupposto che la debitrice non potesse qualificarsi come consumatore, in quanto le garanzie personali risultavano strettamente funzionali all’attività imprenditoriale delle società garantite. Da qui il ricorso per cassazione, articolato in plurimi motivi, incentrati sull’erronea interpretazione della nozione di consumatore, sull’omesso esame di fatti decisivi e su presunte violazioni procedurali. Per approfondire l’argomento, consigliamo il volume Composizione negoziata della crisi – Guida pratica per l’esperto con casistica giurisprudenziale, modelli, strumenti e prassi applicativa, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon, e il volume Le tutele del nuovo sovraindebitamento: come uscire dal debito disponibile su Shop Maggioli e su Amazon.
2. La nozione di consumatore nel Codice della crisi: un accertamento sostanziale
Nel rigettare il ricorso, la Cassazione muove da un chiarimento preliminare di carattere sistematico: la definizione di consumatore contenuta nell’art. 2, lett. e), CCII non introduce una nozione nuova o più restrittiva rispetto al passato, ma si pone in linea di continuità con la disciplina previgente e con la nozione elaborata dal Codice del consumo, anche alla luce della giurisprudenza unionale.
La Corte ribadisce che il fideiussore persona fisica non può essere automaticamente qualificato come professionista solo perché garantisce debiti di un’impresa. Tuttavia, la qualifica di consumatore deve essere esclusa ogniqualvolta la prestazione della garanzia risulti inserita in un contesto funzionale all’attività imprenditoriale, in presenza di un interesse diretto o indiretto del garante alla vita economica della società.
Ne deriva che l’accertamento non può arrestarsi alla verifica formale della cessazione delle cariche sociali o del fallimento dell’impresa garantita, ma deve concentrarsi sulla genesi del debito e sulla sua concreta finalizzazione.
3. Il collegamento funzionale come criterio dirimente
Applicando tali principi al caso concreto, la Corte valorizza l’analisi compiuta dal giudice del reclamo, che aveva individuato una pluralità di indici sintomatici del collegamento funzionale tra la debitrice e le società garantite. In particolare, emergeva che la ricorrente fosse stata socia di maggioranza di entrambe le società e avesse ricoperto nel tempo ruoli amministrativi di rilievo, partecipando attivamente alle scelte gestionali.
Ulteriore elemento significativo era rappresentato dal fatto che le fideiussioni fossero state rinnovate a brevissima distanza temporale dalla cessazione delle cariche sociali, circostanza idonea a escludere una netta cesura tra la posizione personale della garante e l’attività imprenditoriale. Le garanzie, inoltre, erano preordinate a sostenere operazioni finanziarie strettamente connesse alla gestione ordinaria delle società.
Secondo la Cassazione, tali elementi, valutati nel loro insieme, giustificano l’esclusione della qualifica di consumatore e rientrano nell’apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione coerente e non apparente.
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4. Continuità interpretativa e onere probatorio
Particolarmente rilevante è il passaggio in cui la Corte sottolinea la continuità interpretativa tra la legge n. 3/2012 e il nuovo Codice della crisi. L’orientamento maturato sotto la previgente disciplina conserva piena validità: anche nel nuovo assetto normativo, il socio o l’amministratore può accedere alle procedure riservate al consumatore solo se dimostra che il debito garantito è del tutto estraneo all’attività sociale.
L’onere della prova della mancanza di qualsiasi collegamento funzionale incombe sul debitore, e non può ritenersi assolto mediante il solo riferimento alla cessazione formale del rapporto con l’impresa.
5. Profili processuali e limiti del giudizio di legittimità
Quanto ai motivi relativi all’omesso esame di fatti decisivi e alle asserite violazioni del contraddittorio, la Cassazione ne dichiara l’inammissibilità, rilevando come la Corte d’appello avesse espressamente considerato gli elementi dedotti dalla ricorrente, giungendo a una valutazione difforme ma logicamente motivata. Le censure si risolvevano, in sostanza, in una richiesta di rivalutazione del merito, incompatibile con i limiti del giudizio di legittimità.
6. Considerazioni conclusive
La sentenza in commento conferma un principio ormai stabile: il piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore è uno strumento riservato a chi versi in una situazione di sovraindebitamento derivante da obbligazioni assunte per scopi personali. Quando le fideiussioni risultano strutturalmente e funzionalmente collegate all’attività di un’impresa, soprattutto in presenza di un ruolo significativo del garante nella società, la qualifica di consumatore deve essere esclusa, con conseguente inammissibilità della procedura e legittima revoca dell’omologazione.
La decisione offre così un’ulteriore conferma dell’impostazione rigorosa adottata dalla giurisprudenza di legittimità, orientata a preservare la coerenza sistematica delle procedure di sovraindebitamento e a impedirne un utilizzo distorto in ambito imprenditoriale.
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