Funzioni e compiti dei consiglieri di parità

sentenza 02/09/10
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Le funzioni e i compiti dei consiglieri di parità (nazionale e locali) si sostanziano nella rilevazione di situazioni di squilibrio di genere al fine di svolgere funzioni di promozione e garanzia contro le discriminazioni nel mondo del lavoro, nella formazione e progressione professionale e di carriera, nella promozione di progetti di azioni positive anche per garantire la coerenza della programmazione delle politiche di sviluppo territoriale rispetto agli indirizzi comunitari, nazionali e regionali in materia di pari opportunità, nel sostegno delle politiche attive del lavoro, nella promozione dell’attuazione delle politiche di pari opportunità da parte di soggetti pubblici e privati che operano nel mercato del lavoro, nello svolgimento di inchieste indipendenti, relazioni indipendenti e raccomandazioni in tema di discriminazioni sul lavoro.

La figura del consigliere nazionale di parità (insieme ai consiglieri regionali e provinciali) è disciplinata dal d. lgs. n. 198/2006, che agli artt. 12 e 13 detta la procedura della nomina da parte del Ministro per il lavoro di concerto con quello delle pari opportunità, in capo a soggetti (di ambo i sessi) in possesso di determinati requisiti professionali e specifiche esperienze. Per le nomine dei consiglieri a livello locale si provvede su designazione delle regioni e delle province. Il mandato è di quattro anni ed è rinnovabile una sola volta. Secondo la modifica introdotta dall’art. 1 del d. lgs. n. 5/2010 la rinnovazione è consentita per non più di due volte.

Le funzioni e i compiti dei consiglieri di parità (nazionale e locali) sono specificati nell’art. 15 e si sostanziano nella rilevazione di situazioni di squilibrio di genere al fine di svolgere funzioni di promozione e garanzia contro le discriminazioni nel mondo del lavoro, nella formazione e progressione professionale e di carriera, nella promozione di progetti di azioni positive anche per garantire la coerenza della programmazione delle politiche di sviluppo territoriale rispetto agli indirizzi comunitari, nazionali e regionali in materia di pari opportunità, nel sostegno delle politiche attive del lavoro, nella promozione dell’attuazione delle politiche di pari opportunità da parte di soggetti pubblici e privati che operano nel mercato del lavoro, nello svolgimento di inchieste indipendenti, relazioni indipendenti e raccomandazioni in tema di discriminazioni sul lavoro.

I consiglieri di parità regionali e provinciali presentano annualmente un rapporto sull’attività svolta agli organi che hanno provveduto alla designazione e alla nomina. In caso di mancata presentazione del rapporto decadono dalla nomina con provvedimento interministeriale.

All’ ufficio del consigliere nazionale di parità e alla relativa provvista di personale e strutture provvede il Ministero del lavoro presso cui l’organismo opera, con autonomia funzionale.

I tre livelli, nazionale, regionale e provinciale, sono collegati tra di loro attraverso un sistema di rete al cui vertice è collocato l’organismo nazionale.

L’art. 6 della legge n. 145/2002 prevede che le nomine degli organi di vertice dell’amministrazione pubblica, di altri organismi comunque denominati, di rappresentanti governativi o ministeriali in ogni organismo e a qualsiasi livello, conferite dal Governo o dai Ministri negli ultimi sei mesi antecedenti la scadenza naturale della legislatura o nel mese antecedente lo scioglimento anticipato di entrambe le Camere, possono essere “confermate, revocate, modificate o rinnovate” dal nuovo Governo entro sei mesi dal suo insediamento e cioè dal voto sulla fiducia.

 

N. 05031/2010 REG.DEC.

N. 08952/2009 REG.RIC.

  

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)


ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 8952 del 2009, proposto da:
*****************, rappresentata e difesa dall’avv. *********************, con domicilio eletto presso la stessa in Roma, via della Vite N.7;

contro

Ministero del lavoro, salute e politiche sociali e Ministro per le pari opportunita’ rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

********************;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE III BIS n. 05780/2009, resa tra le parti, concernente REVOCA DELLA NOMINA A CONSIGLIERA NAZIONALE DI PARITÀ.

 

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni dello Stato;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 aprile 2010 il Consigliere ****************** e uditi per le parti l’ avvocato ****** e l’avvocato dello Stato ********;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con la sentenza n. 5780 del 2009, il Tar del Lazio, sede di Roma, ha respinto il ricorso proposto dalla prof.ssa ***************** per l’annullamento (unitamente agli atti connessi e conseguenti) del decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, adottato di concerto con il Ministro per le pari opportunità il 30 ottobre 2008, con il quale è stata disposta la revoca della sua nomina a Consigliera nazionale di parità

La sentenza è appellata dall’originaria ricorrente, la quale, dopo aver ripercorso tutta la vicenda fattuale (sua nomina del 22.1.2008 da parte del precedente Governo, svolgimento dei compiti prescritti, “perplessità” manifestate in ordine ad alcuni decreti legge del 2008 adottati dal nuovo Governo, avviso dell’avvio del procedimento di revoca, sue controdeduzioni), denuncia l’errore del giudice di primo grado nell’aver respinto tutti i motivi originariamente dedotti.

Si sono costituite in giudizio le Amministrazioni dello Stato, opponendosi all’appello con diffuse argomentazioni.

Con successive memorie le parti hanno ribadito le rispettive tesi difensive.

All’udienza del 9 aprile 2010 la causa è passata in decisione.

 

DIRITTO

1. 1. L’appello è da respingere.

1. 2. Viene all’attenzione del Collegio la questione della “revoca” della Consigliera nazionale di parità disposta con provvedimento del Ministero del lavoro di concerto con quello delle pari opportunità in data 30 ottobre 2008.

La nomina era stata disposta dagli omologhi Ministri del precedente governo in data 22.1.2008; pochi giorni dopo le Camere sono state sciolte anticipatamente con d.p.r. 6 febbraio 2008 e sono state indette nuove elezioni all’esito delle quali si è avuta una diversa maggioranza parlamentare e un nuovo governo.

Con decreto ministeriale del 30 ottobre 2008 si è avuta la “revoca”, da intendersi, come si vedrà al di là del nomen iuris, come “non conferma” dell’incarico all’attuale appellante da parte dei nuovi ministri.

2. 1. La disciplina regolatrice della materia è la seguente.

La figura del consigliere nazionale di parità (insieme ai consiglieri regionali e provinciali) è disciplinata dal d. lgs. n. 198 del 2006, che agli artt. 12 e 13 detta la procedura della nomina da parte del Ministro per il lavoro di concerto con quello delle pari opportunità, in capo a soggetti (di ambo i sessi) in possesso di determinati requisiti professionali e specifiche esperienze. Per le nomine dei consiglieri a livello locale si provvede su designazione delle regioni e delle province. Il mandato è di quattro anni ed è rinnovabile una sola volta. Secondo la modifica introdotta dall’art. 1 del d. lgs. n. 5 del 2010 la rinnovazione è consentita per non più di due volte.

Le funzioni e i compiti dei consiglieri di parità (nazionale e locali) sono specificati nell’art. 15 e si sostanziano nella rilevazione di situazioni di squilibrio di genere al fine di svolgere funzioni di promozione e garanzia contro le discriminazioni nel mondo del lavoro, nella formazione e progressione professionale e di carriera, nella promozione di progetti di azioni positive anche per garantire la coerenza della programmazione delle politiche di sviluppo territoriale rispetto agli indirizzi comunitari, nazionali e regionali in materia di pari opportunità, nel sostegno delle politiche attive del lavoro, nella promozione dell’attuazione delle politiche di pari opportunità da parte di soggetti pubblici e privati che operano nel mercato del lavoro, nello svolgimento di inchieste indipendenti, relazioni indipendenti e raccomandazioni in tema di discriminazioni sul lavoro.

I consiglieri di parità regionali e provinciali presentano annualmente un rapporto sull’attività svolta agli organi che hanno provveduto alla designazione e alla nomina. In caso di mancata presentazione del rapporto decadono dalla nomina con provvedimento interministeriale.

All’ ufficio del consigliere nazionale di parità e alla relativa provvista di personale e strutture provvede il Ministero del lavoro presso cui l’organismo opera, con autonomia funzionale.

I tre livelli, nazionale, regionale e provinciale, sono collegati tra di loro attraverso un sistema di rete al cui vertice è collocato l’organismo nazionale.

2. 2. L’art. 6 della legge n. 145 del 2002 prevede che le nomine degli organi di vertice dell’amministrazione pubblica, di altri organismi comunque denominati, di rappresentanti governativi o ministeriali in ogni organismo e a qualsiasi livello, conferite dal Governo o dai Ministri negli ultimi sei mesi antecedenti la scadenza naturale della legislatura o nel mese antecedente lo scioglimento anticipato di entrambe le Camere, possono essere “confermate, revocate, modificate o rinnovate” dal nuovo Governo entro sei mesi dal suo insediamento e cioè dal voto sulla fiducia.

3. 1. Ciò premesso sul piano normativo, si possono trattare i motivi di appello da esaminare congiuntamente per la loro intrinseca complementarietà e, a volte, ripetitività.

3. 2. In particolare si denuncia l’illegittimità della revoca in quanto adottata sulla base di una norma (art. 6 della legge n. 145 del 2002) inapplicabile al caso di specie e quindi in violazione del principio di legalità; l’appellante chiarisce di non aver mai sostenuto che l’autonomia propria della figura della Consigliera nazionale di parità sia tale da configurare la stessa alla stregua di un’Autorità amministrativa indipendente; precisa che lo spoils system incontra limiti ben precisi e contrasta col carattere di indipendenza e di imparzialità e con l’autonomia che ne deriva dall’Amministrazione; l’incarico della Consigliera di parità è estraneo dal novero degli incarichi revocabili attraverso detto sistema, a causa delle funzioni conferite direttamente dalla legge alla figura in esame, che rappresenta un organo tecnico, chiamato a verificare l’attuazione del principio generale di parità di trattamento e di non discriminazione in modo necessariamente neutrale e non soggetto all’indirizzo politico; la durata del suo mandato è disancorata da quella della legislatura; è prevista un’unica tassativa ipotesi di decadenza dall’ufficio in caso di mancata presentazione della relazione annuale al Ministro; le sue funzioni sono caratterizzate dalla “trasversalità” rispetto alle competenze delle amministrazioni pubbliche e trascendono quelle dei Ministeri del lavoro e delle pari opportunità e dalla neutralità rispetto alle linee di indirizzo politico espresse dal governo in carica; la autonomia funzionale dell’organismo tecnico è posta a presidio di un diritto costituzionalmente protetto e necessariamente neutrale rispetto all’indirizzo politico; è da contestare che la nomina avvenga intuitu personae così da giustificare un carattere di precarietà della nomina stessa e consentire all’esecutivo di rinnovare, entro i limiti temporali dell’art. 6 della legge n. 145 del 2002, la valutazione di affidabilità compiuta dal precedente governo anche revocando anzi tempo l’incarico conferito; è errato ritenere, come fa il giudice di primo grado, che le competenze del Comitato nazionale per la parità (art. 10 del d. lgs. n. 198 del 2006) incidono sull’autonomia della Consigliera nazionale di parità in modo da renderla condizionata dalla predeterminazione delle delibera del Comitato stesso, perché quest’ultimo svolge funzioni consultivo-propositive, non assimilabili a quelle svolte dalla Consigliera di parità alla quale è affidato il compito anche di promuovere azioni positive di conciliazione di controversie collettive ed anche di agire in giudizio contro le discriminazioni riscontrate; l’unica ipotesi di revoca anticipata prevista dalla specifica disciplina testimonia la particolarità delle funzioni attribuite alla speciale figura e l’inapplicabilità ad essa di altre discipline.

Ancora si denuncia l’incostituzionalità dell’art. 6 della legge n. 145 del 2002, se ritenuto applicabile, per violazione degli artt. 97 e 98 della Costituzione. L’incarico, in virtù delle funzioni di garanzia e di controllo dell’attuazione di un diritto costituzionalmente protetto che la legge gli affida, è per sua natura privo di qualsiasi elemento di fiduciarietà e quindi estraneo all’ambito di applicazione dello spoils system, il cui legittimo utilizzo è stato dalla Corte costituzionale circoscritto ai soli incarichi per i quali assume decisiva importanza la sintonia tra l’organo di indirizzo e l’organo di attuazione.

Altro motivo è quello del contrasto con la disciplina comunitaria (art. 8 bis della direttiva n. 207 del 1976, introdotto dalla direttiva n. 73 del 2002) che ha enfatizzato il profilo dell’indipendenza degli organismi di parità, chiamati ad esprimere avvisi e raccomandazioni indipendenti o a svolgere inchieste indipendenti su questioni connesse all’attuazione del principio di parità e di non discriminazione nei rapporti di lavoro. Soltanto una surrettizia interpretazione delle norme nazionali e comunitarie da parte delle Amministrazioni dello Stato avrebbe consentito l’applicazione a danno dell’appellante dello spoils system e non sarebbe stato garantito il raggiungimento del risultato imposto dalle norme comunitarie e cioè l’assoluta indipendenza dal potere di indirizzo e di controllo dell’esecutivo. Ove il giudice non ritenga di disapplicare le norme interne incompatibili, si chuiede di rimettere la questione interpretativa alla Corte di giustizia CE ai sensi dell’art. 234, comma 3, del Trattato.

Da ultimo sono stati riproposti i motivi di eccesso di potere per erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria e sviamento in relazione alla motivazione contenuta nel provvedimento impugnato in prime cure e alla mancanza di sintonia con gli indirizzi politici del Governo ivi evidenziata.

4. 1. L’infondatezza della complessa censura è desumibile in primo luogo dalla legislazione prima ricordata.

Non è plausibile ritenere che un organismo, che non ha la natura di autorità indipendente, possa essere del tutto avulso dalla sfera di influenza dell’organo che lo ha nominato; e, se tale organo muta nel tempo per cause naturali (fine della legislatura) o per eventi comunque previste (scioglimento anticipato delle Camere) e tale organo corrisponda al nuovo governo, l’ordinamento ha dettato una procedura di salvaguardia delle sue attribuzioni consentendogli di confermare o non confermare gli incarichi conferiti dal precedente esecutivo.

4. 2. Nella ristretta fase temporale dell’avvicendamento tra un governo ed un altro (art. 6 legge n. 145 del 2002) è del tutto legittima la rimozione dell’incarico, se non confermato dal rapporto di fiducia che ne aveva giustificato la nomina.

Decorso il prescritto termine di sei mesi dall’insediamento del nuovo governo, gli incarichi negli organismi che in qualsiasi modo si ricollegano all’indirizzo amministrativo del governo – nonostante che la norma reciti che essi “per i quali non si sia provveduto” alla conferma, revoca, modifica o rinnovo, “si intendono confermati sino alla loro naturale scadenza” – lungi dall’essere intoccabili possono essere soggetti agli ordinari mezzi che l’ordinamento prescrive; in primo la revoca, propriamente intesa, che è subordinata alla presenza dell’interesse pubblico attuale e diretto e ad una congrua motivazione.

Ma nell’arco dei sei mesi di c.d. stabilizzazione del governo, non si richiede una specifica motivazione per la determinazione di non confermare il soggetto nell’incarico, rientrando ciò nell’esercizio del potere straordinario del nuovo esecutivo di rivalutare le nomine compiute dal precedente governo nello scorcio della legislatura.

Si tratta di un potere molto circoscritto nei tempi e nei contenuti, sia perché riguarda nomine conferite dal governo o dai ministri soltanto alla fine della legislatura, e che può essere esercitato entro sei mesi dal voto sulla fiducia al nuovo governo, sia perché non è previsto nessun apprezzamento sulla capacità dei titolari degli incarichi soggetti a conferma, bensì solo una valutazione sulla persistenza del rapporto fiduciario che era richiesto al momento della nomina.

5. Nel caso concreto la disciplina comunitaria non ha imposto una specifica procedura per la nomina di siffatto soggetto e legittimamente lo Stato italiano ha scelto di affidarla alla determinazione ampiamente discrezionale e alla responsabilità di due Ministri, con l’unico limite che si debba trattare di persona in possesso di idonei requisiti professionali.

Non ritiene il Collegio di sollevare questione interpretativa alla Corte di giustizia CE, come richiesto dall’appellante, poiché l’indipendenza e l’autonomia riconosciuta al consigliere nazionale di parità dalla disciplina comunitaria non è compromessa dalla normativa interna che tiene nel doveroso conto le prerogative del Governo nell’affidamento dell’incarico de quo e tende ad evitare che nomine intervenute nello scorcio della legislatura possano condizionare scelte ampiamente discrezionali del nuovo esecutivo.

6. E’ errato ritenere che il Consigliere nazionale di parità goda di un grado di autonomia e indipendenza totale dall’indirizzo e dalla politica del Governo, perché diversamente non si spiegherebbe l’esistenza di un Ministro per le pari opportunità, che non è un’invenzione dell’ultimo Governo bensì una realtà esistente anche in epoca precedente, al quale sono necessariamente attribuite funzioni di elaborazione e di attuazione di politiche di pari opportunità e di non discriminazioni tra sessi nel mondo del lavoro e non solo. Ecco dunque che il Consigliere di parità non può porsi in contrasto con le linee programmatiche delineate dal Ministro ed anche dal Comitato nazionale per la parità che è un organismo tecnico consultivo istituito sempre nell’ambito dell’esecutivo, cui è attribuito tra l’altro il compito di promuovere, nell’ambito della competenza statale, la rimozione dei comportamenti discriminatori per sesso e di ogni altro ostacolo che limiti di fatto l’uguaglianza tra uomo e donna nel mondo del lavoro, nonché quello di formulare proposte sulle questioni generali relative all’attuazione degli obiettivi di parità unitamente ad un programma obiettivo delle proposte di azioni positive (artt. 8 e 10 della legge n. 198 del 2006). Proprio per non ipotizzare nessun contrasto con le linee direttive votate dal Comitato, di esso fa parte il Consigliere nazionale di parità tenuto a darvi esecuzione.

7. Non è significativa l’affermazione, a dimostrazione del grado di massima autonomia e indipendenza dall’esecutivo, che la nomina in esame sia riservata a persone di particolare competenza ed esperienza specifica, perché ciò ricorre in molte ipotesi di nomine di incarichi conferiti dal governo e dai ministri.

E nemmeno è significativa la riconosciuta autonomia funzionale e organizzativa dell’ufficio (art. 16 della legge n. 198 del 2006), perché questa non è rara in vari organismi che ruotano nella sfera di influenza del potere esecutivo, come non è raro il potere di conciliare le liti, riconosciuto anche alle direzioni provinciali del lavoro, o di promuovere giudizi come avviene per altri organi amministrativi, o l’obbligo di segnalare reati all’autorità giudiziaria che è tipico di ogni pubblico ufficiale.

8. Resta da esaminare la dedotta questione illegittimità costituzionale dell’art. 6 cit., posto alla base del provvedimento lesivo impugnato, che è manifestamente infondata.

In proposito è sufficiente ricordare che il c.d. spoils system è stato dalla Corte costituzionale censurato nei casi in cui le varie leggi esaminate ne hanno fatto applicazione diretta ed automatica, mentre diversa è l’ipotesi in cui siffatto sistema non deriva direttamente dalla legge, ma consente al Governo di valutare, entro limiti temporali ristretti, la conferma o meno delle nomine fatte dal precedente esecutivo nello scorcio della legislatura.

9. In conclusione, al di là di ogni qualificazione e quantificazione del grado di autonomia e di indipendenza del Consigliere nazionale di parità dal Governo – nella cui area certamente rientra, non potendosi la figura assimilare ad una delle autorità indipendenti come configurate dal legislatore – una corretta lettura della norma (art. 6 della legge n. 145 del 2002), di generale applicazione nei confronti di ogni organismo rientrante nella sfera di influenza e di responsabilità del Governo e dei Ministri, fa propendere per un’interpretazione rispettosa delle prerogative dell’esecutivo nel periodo temporale circoscritto, nel corso del quale gli incarichi già conferiti dal precedente esecutivo nello scorcio della legislatura possono essere confermati o meno, con ciò intendendosi che possono anche essere “non confermati” senza che ciò richieda una specifica motivazione.

Successivamente ai sei mesi dal voto di fiducia, si deve intendere che lo stesso art. 6 non escluda la possibile “revoca” di detti incarichi (che ovviamente sono stati implicitamente confermati anche per silentium), ma detta misura deve essere assistita dai consueti requisiti (interesse pubblico attuale e diretto e congrua motivazione).

10. Ciò posto, nessun rilievo deve essere attribuito alla pur discutibile motivazione cui è ricorso il Ministro del lavoro nel non riconfermare l’appellante nella carica ricoperta, rientrando la decisione nella discrezionalità piena del nuovo Governo e dei Ministri responsabili.

E l’appellante era titolare consapevole di una carica che poteva anche non essere confermata per scelta non irragionevole del legislatore, ed in forza di un provvedimento adottato nei ristretti termini inidonei a consolidarne la posizione.

11. Le spese del giudizio devono essere interamente compensate in considerazione della novità della questione trattata.

 

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sesta sezione, definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo respinge; spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2010 con l’intervento dei Signori:

***************, Presidente

************************, Consigliere

Maurizio Meschino, Consigliere

****************, Consigliere

******************, ***********, Estensore

 

 

 

L’ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

Il Segretario

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 29/07/2010

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Dirigente della Sezione

sentenza

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