Freedom of Information Act (FOIA): osservazioni critiche e proposte di modifica

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Il 23 dicembre u.s. è finalmente entrato in vigore il Freedom of Information Act (FOIA), introdotto dal decreto legislativo 25 maggio 2016 n. 97 (di seguito nuovo decreto) che ha modificato sostanzialmente il decreto legislativo 14 marzo 2013 n. 33 “Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”. Le linee guida recanti indicazioni operative in tema di definizioni delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico adottate dall’ANAC, d’intesa con il Garante per la protezione dei dati personali e sentita la Conferenza Unificata, sono state pubblicate il 29 dicembre u.s.

 

Leggi il FOIA (D.Lgs. 25 maggio 2016, n. 97).

 

Il nuovo decreto stabilisce all’articolo 1 (Principio generale di trasparenza) che la trasparenza è intesa come accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ed è finalizzata a tutelare i diritti dei cittadini e a promuovere la partecipazione degli stessi all’attività amministrativa. All’articolo 2 evidenzia che le disposizioni del nuovo decreto disciplinano la libertà di accesso di chiunque ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati giuridicamente rilevanti, attraverso l’accesso civico e tramite la pubblicazione di documenti, informazioni e dati concernenti l’organizzazione, l’attività delle pubbliche amministrazioni e le modalità per la loro realizzazione.

Il successivo articolo 3 (Pubblicità e diritto alla conoscibilità) dispone che tutti i documenti, le informazioni e i dati oggetto di accesso civico, ivi compresi quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa vigente sono pubblici e chiunque ha diritto di conoscerli, di fruirne gratuitamente di utilizzarli e di riutilizzarli.

L’accesso civico generalizzato ovvero il Freedom of Information Act (FOIA), è disciplinato dal novellato articolo 5 (Accesso civico a dati e documenti), in base al quale tutti i cittadini (chiunque, è specificato al comma 1) avranno la possibilità di chiedere documenti, informazioni o dati nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione obbligatoria ai sensi del Capo I-TER, ma anche, ed è questa la novità, dati, informazioni o documenti che la Pubblica Amministrazione non ha l’obbligo di pubblicare. Tutto ciò potrà avvenire senza che il richiedente debba dimostrare il possesso di una situazione giuridicamente rilevante collegata al documento o dato, e senza specificare la motivazione della richiesta. Viene finalmente cancellato il silenzio–diniego: il procedimento di accesso civico deve concludersi con provvedimento espresso e motivato dell’Amministrazione (comma 6).

Riassunte brevemente le principali innovazioni dell’accesso civico, è doveroso rimarcare l’opportunità mancata con l’approvazione del d.lgs 97/2016, di coordinare e integrare le disposizioni del d.lgs 33/2013 con le norme della legge 241/190, al fine di giungere ad un unico istituto di accesso a dati, informazioni e documenti.

Tornando all’Accesso civico effettivamente ampliato rispetto al testo presente nella precedente versione del d.lgs 33/2013, occorre sottolineare le incongruenze e alcuni importati limiti osservati nella novella del 2016 in esame.

Infatti, sorge a parere dello scrivente: 1) un problema interpretativo in merito a quale sia realmente l’oggetto dell’accesso da parte del richiedente;

2) si riscontra una disparità di trattamento dei richiedenti circa la possibilità di usufruire del rimedio stragiudiziale (ricorso al difensore civico) in caso di diniego all’accesso.

3) non viene fissato un termine entro cui presentare il ricorso stragiudiziale al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (comma 7), o al Difensore civico (comma 8).

4) non viene data una definizione di controinteressato (in tal senso anche: L. Olivieri, “D.lgs. 97 del 2016: come cambia l’accesso civico”, Il Mensile delle Amministrazioni Pubbliche, n. 6-2016).

 

Punto 1) confusione dell’oggetto dell’Accesso civico. A “cosa” possono accedere i richiedenti?

Il nuovo decreto al comma 1 dell’articolo 5 (Accesso civico a dati e documenti) prevede l’obbligo in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati e il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione.

Inoltre, prevede al successivo comma 2, che allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali sull’utilizzo delle risorse pubbliche e per promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione.

Al comma 3 il decreto dispone che l’istanza di accesso civico identifichi i dati, le informazioni o i documenti richiesti.

Possiamo ben vedere che nei primi tre commi dell’articolo 5 (rubricato chiaramente: Accesso civico a dati e documenti), al comma 1 l’acceso è consentito per documenti, informazioni o dati, al comma 2 si riferisce soltanto a dati e documenti, e al comma 3 si torna a parlare di accesso a dati, informazioni e documenti.

Dunque è palese che nei tre commi dell’articolo 5 non è individuato univocamente l’oggetto dell’accesso civico, ossia non è chiaro se le informazioni (presenti in due commi su tre) siano oggetto di acceso civico oppure no. Tutto ciò non può che creare incertezza al richiedente l’accesso e confusione all’ufficio che deve esaminare ed esprimersi sulla richiesta.

Chiarire se le informazioni possano essere oggetto di Accesso civico non è cosa da poco, perchè la possibilità di richiederle alla pubblica amministrazione può significare per la stessa un ulteriore costo da sostenere: infatti in caso affermativo si dovrà attivare una procedura di elaborazione dei dati e della documentazione in suo possesso (impiego di risorse umane).

 

Punto 2) disparità di trattamento dei richiedenti circa la possibilità di usufruire del rimedio stragiudiziale (ricorso al difensore civico).

Il comma 7 dell’articolo 5 dispone che nei casi di diniego totale o parziale dell’accesso o di mancata risposta da parte di una amministrazione statale centrale o periferica, il richiedente può presentare richiesta di riesame al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, il quale decide con provvedimento motivato, entro il termine di venti giorni.

Il comma 8 dispone che, qualora si tratti di atti delle amministrazioni delle regioni o degli enti locali, il richiedente può presentare ricorso al difensore civico competente per ambito territoriale, ove costituito. Qualora tale organo non sia stato istituito, la competenza è attribuita al difensore civico competente per l’ambito territoriale immediatamente superiore.

Appare subito evidente che nel caso di cui al comma 7 si è scelta la via del ricorso gerarchico proprio, viceversa nel caso di cui al comma 8 si è deciso per il ricorso gerarchico improprio (il ricorso al Difensore civico è assimilabile al ricorso gerarchico improprio in tal senso: Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2938 del 2003; T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, Sez. 1, 2 novembre 2009, n. 452; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 3 novembre 2009, n. 10747; Consiglio di Stato Parere n. 1920 del 14 settembre 2016).

Quindi sarebbe stato opportuno scegliere anche per i ricorsi di cui al comma 7 la via del ricorso gerarchico improprio per due motivi:

1)      la decisione sul ricorso adottata da un’autorità diversa, non legata da un rapporto di gerarchia con quella dalla quale il provvedimento è stato emanato, avrebbe dato maggiore garanzia d’imparzialità al ricorrente.

2)      Visto che ai sensi dell’articolo 27 della legge 7 agosto 1990 n. 241 e s.m.i è stata istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, per vigilare affinché sia attuato il principio di piena conoscibilità dell’attività della pubblica amministrazione sarebbe stato opportuno affidare alla Commissione stessa i ricorsi di cui all’articolo 7.

Per quanto concerne il ricorso al Difensore civico previsto dal comma 8 qualora il diniego all’accesso civico sia emanato da amministrazioni delle regioni o degli enti locali, occorre considerare che alcune regioni come l’Umbria, il Molise, la Puglia e la Calabria non hanno istituito questa figura di garanzia, dunque i cittadini residenti nelle stesse in caso di diniego di accesso civico non possono usufruire del rimedio stragiudiziale e pertanto sono costretti ad adire esclusivamente al Tribunale amministrativo regionale ai sensi dell’articolo 116 del Codice del processo amministrativo ex decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 con evidente disparità di trattamento e possibile violazione dell’articolo 3 della Costituzione.

Se il ricorso contro i dinieghi all’accesso emanati da un’amministrazione statale centrale o periferica fosse stato affidato alla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, la stessa avrebbe anche potuto estendere la propria competenza anche ai ricorsi contro i dinieghi delle amministrazioni regionali e degli enti locali nel caso in cui sia a livello provinciale, (il difensore civico comunale è stato abrogato dalla lettera a, comma 186 dell’art. 2 della legge 191/2009) che regionale non sia presente la figura del difensore civico.

Peraltro, la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi con direttiva del 28 dicembre 2015 prot. 0032603 P-4.8.1.8.4 inviata a tutti i Difensori civici regionali e delle Provincie autonome, in assenza di specifica disposizione legislativa ha riconosciuto la propria piena competenza a decidere, nel merito, anche sulle istanze di riesame presentate ai sensi dell’articolo 25, comma 4 della legge 241/1990, avverso i dinieghi di accesso degli enti locali, nel caso di accertata assenza del difensore civico sia nell’ambito territoriale di riferimento che regionale.

 

Punto 3) non viene fissato un termine entro cui presentare il ricorso stragiudiziale. 

Al comma 7 non viene individuato un termine entro cui il richiedente può presentare ricorso al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, anzichè adire il TAR.  La stessa lacuna la ritroviamo al comma 8 per quanto riguarda il ricorso al Difensore civico.

Considerato che stiamo ragionando di un ipotetico ricorso gerarchico ex d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, appare ragionevole che lo stesso debba essere proposto nel termine di trenta giorni dalla data della notifica o della comunicazione in via amministrativa dell’atto impugnato, ai sensi del comma 1 dell’articolo 2 (Termine di presentazione) del citato d.P.R.

 

Punto 4) non viene data una definizione di soggetti controinteressati.

Il novellato d.lgs 33/2013 non contiene definizioni, quindi non troviamo nessuna indicazione che ci permetta d’individuare coloro che potrebbero essere qualificati come “soggetti controinteressati”. Tuttavia all’articolo 5 del nuovo decreto è chiaramente scritto che l’Amministrazione cui è rivolta la richiesta se individua soggetti controinteressati, deve dare loro comunicazione (comma 5). Lo stesso controinteressato ai sensi del successivo comma 9 può presentare ricorso nei caso di accoglimento della richiesta.

Quindi risulta indispensabile inserire nel nuovo decreto una definizione di soggetti controinteressati e la seguente giurisprudenza amministrativa relativa all’accesso agli atti ex legge 241/10, può fornire utili indicazioni: “In materia di accesso ai documenti amministrativi l’art. 22, comma 1, lett. c), legge n. 241/1990 (come sostituito dalla legge n. 15/2005) impone di riconoscere qualità di controinteressato non già a tutti coloro che, a qualsiasi titolo, siano nominati o comunque coinvolti nel documento oggetto dell’istanza ostensiva, ma solo a coloro che per effetto dell’ostensione vedrebbero pregiudicato il loro diritto alla riservatezza. Non basta, perciò, che taluno venga chiamato in qualche modo in causa dal documento in richiesta, ma occorre in capo a tale soggetto un quid pluris, vale a dire la titolarità di un diritto alla riservatezza sui dati racchiusi nello stesso documento” (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 21 febbraio 2013, n.1065; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 1° febbraio 2013, n. 310; Cons. Stato, Sez. V, 27 maggio 2011, n. 3190).

 

In conclusione, si propongono le seguenti modifiche all’articolo 5 del d.lgs 33/2013 così come modificato dal d.lgs 97/2016:

 

1) Sostituire nella rubrica del Capo I-bis e dell’art. 5, nonché in tutti i commi dello stesso articolo le parole: “dati e documenti” con le parole: “documenti, informazioni e dati”;

 

2) Al comma 5 dopo le parole: “accertata la ricezione della comunicazione.” inserire le seguenti: “I controinteressati sono soggetti individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza, indipendentemente dalla menzione formale nell’atto”.

 

3) Sostituire il comma 7 con il seguente:

7. Nei casi di diniego totale o parziale dell’accesso o di mancata risposta entro il termine indicato al comma 6, il richiedente entro trenta giorni può presentare richiesta di riesame alla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi istituita ai sensi dell’articolo 27 della legge 7 agosto 1990 n. 241 e s.m.i presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, che decide con provvedimento motivato, entro il termine di venti giorni. Se l’accesso è stato negato o differito a tutela degli interessi di cui all’articolo 5-bis, comma 2, lettera a), la Commissione provvede sentito il Garante per la protezione dei dati personali, il quale si pronuncia entro il termine di dieci giorni dalla richiesta. A decorrere dalla comunicazione al Garante, il termine per l’adozione del provvedimento è sospeso, fino alla ricezione del parere del Garante e comunque per un periodo non superiore ai predetti dieci giorni. Avverso la decisione dell’amministrazione competente o, in caso di richiesta di riesame, avverso quella della Commissione, il richiedente può proporre ricorso al Tribunale amministrativo regionale ai sensi dell’articolo 116 del Codice del processo amministrativo di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104. La Commissione è competente a decidere nel merito sulle istanze di riesame presentate ai sensi del comma 8 del presente articolo, avverso i dinieghi di accesso civico nel caso di accertata assenza del Difensore civico regionale.

 

4) Al comma 8 dopo le parole: “Qualora si tratti di atti delle amministrazioni delle regioni o degli enti locali, il richiedente” inserire le parole: “entro trenta giorni”.

 

Albanese Fulvio

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