Ambiti applicativi della fattispecie ex art. 172 lett. d) D.Lgs. 174/2016

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Si vuole esaminare in questo scritto la particolare categoria di giudizi ad istanza di parte già normata dall’art. 58 del R.D. n. 1038/1933 ed attualmente disciplinata dagli artt. 172 e segg. del D.Lgs. n. 174/2016, segnatamente alla previsione di cui alla lettera d).

Il citato art. 172, lett. d) dopo aver elencato alle lettere a), b) e c) le tipologie di ricorsi ascrivibili a questo giudizio, prevede che la Corte dei conti giudica “su altri giudizi ad istanza di parte, previsti dalla legge e comunque nelle materie di contabilità pubblica, nei quali siano interessati anche persone o enti diversi dallo Stato”.

La previsione normativa è tanto ampia da prestarsi ad essere interpretata nel senso che, una volta ravvisata la riconducibilità della fattispecie al genus della “contabilità pubblica”, il rimedio giudiziale per la tutela dei diritti controversi, non potendo che passare attraverso la giurisdizione esclusiva della magistratura contabile secondo le linee tracciate dall’art. 103, co. 2, della Costituzione, finirebbe col trovare nel ricorso ad istanza di parte un mezzo giudiziale in ogni caso sempre esperibile.

Premettendo che la Corte dei conti si pone quale giudice naturale rispetto alla previsione contenuta nell’art. 103, co. 2 Cost., per la quale “la Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica”, si ricorda la norma in questione conferisce al giudice contabile una giurisdizione tendenzialmente generale (ancorché entro ambiti la cui concreta determinazione è rimessa alla discrezionalità del legislatore) in materia di contabilità pubblica. Ne è seguita una giurisprudenza unanime del giudice regolatore della giurisdizione (ed anche della Corte dei conti), che ha sempre affermato la competenza del giudice contabile in ogni controversia inerente alla gestione di denaro di spettanza dello Stato o di enti pubblici da parte di un agente contabile (cfr. tra le altre Consiglio Stato sez. IV n. 5744 del 20/11/2008, Cass., Sez. Un., 7/5/2003, n. 6956; analogamente, Cass., SS.UU., 29/5/2003, n. 8580 e 11/7/2006, n. 15658).

In particolare, la pretesa dell’Ente impositore nei confronti dell’esattore, fondata nel rapporto di concessione esattoriale e nel maneggio di denaro pubblico, viene ricondotta alle materie di contabilità pubblica, rientranti nella giurisdizione della Corte ex art. 103 Cost., come ampiamente statuito dalla giurisprudenza contabile in applicazione del principio generale espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 237/1999 e dalla stessa ribadito con successive pronunce (cfr. ex plurimis sent. n. 23302/2016).

“Il giudizio relativo alla verifica dei rapporti di dare ed avere tra l’ente impositore e la società, nonché del risultato contabile finale di detti rapporti, va promosso innanzi all’autorità competente a giudicare sui rapporti riguardanti i conti di coloro che abbiano avuto maneggio di danaro dello Stato o di altra pubblica amministrazione, cioè alla Corte dei conti” (sent. Cass. SS.UU. n.15658 del 11/7/2006; sent. Cass. SS.UU. n. 237 del 10/4/1999; sent. Cass. SS.UU. n. 1866 del 4/7/1973; tra le tante della giurisprudenza contabile, si ricorda la sent. n. 1008/2009 della Corte dei conti – Sez. Sardegna). Ancora, sempre le Sezioni Unite della Cassazione con ordinanza n. 26280/2009, dopo aver precisato che tra l’ente territoriale e la società di riscossione si instaura un rapporto di servizio, dichiara che sussiste la “giurisdizione della Corte dei Conti in materia di responsabilità patrimoniale per danno erariale, non rilevando in contrario la natura privatistica dell’ente affidatario e/o dello strumento contrattuale con il quale si è costituito ed attuato il rapporto in questione”.

Ciò posto, il rimedio processuale per dirimere le controversie avviate dall’ente pubblico impositore nei confronti dell’agente della riscossione ai fini dell’accertamento dell’inadempimento degli obblighi di esazione, riversamento e rendicontazione dell’agente contabile è quello previsto dall’art. 172 lett. d).

Quanto sopra sembra trovare, peraltro, supporto in quella parte della citata norma che, legittimando ad agire “anche persone o enti diversi dallo Stato”, è ordinariamente interpretata come disposizione di completamento o, se si vuole, di chiusura del sistema predisposto a tutela delle pubbliche finanze (sent. n. 69/2018 Corte dei conti – Sez. Calabria).

A questa stregua, è stata ritenuta ammissibile innanzi la Corte dei conti l’azione esercitata dall’ente locale ai sensi dell’art. 58 del R.D. n. 1038/1933 per ottenere dal concessionario il pagamento di somme non riscosse in forza dell’obbligo del non riscosso come riscosso (Corte dei conti, Sez. I d’appello, sent. n. 201/2007); allo stesso modo è stato ammesso il ricorso su istanza di un Comune che aveva citato il concessionario della riscossione per “alcuni danni derivanti da inadempimenti contrattuali” dovuti alla “mancata riscossione della imposta sulla pubblicità”, e “per sottrazione di assegni” da parte di un incaricato del concessionario medesimo (sent. Corte dei Conti, Sez. II d’appello, n. 347/2011).

Ancora, sul presupposto che i giudizi ad istanza di parte costituiscono “una categoria eterogenea, e soprattutto, “aperta”, non disciplinando essi in maniera esclusiva specifiche e nominate controversie”, la giurisprudenza contabile d’appello (sent. Corte dei conti, Sez. III centrale, n. 34/2018) ha ritenuto la legittimazione di un Comune ad agire in giudizio, ex art. 58 avverso inadempienze contrattuali del concessionario per la mancata formazione dei ruoli e per il maturare della prescrizione a carico dei crediti in esazione.

A questo punto è da chiedersi se rientri nella cognizione del giudice della Corte dei conti qualsiasi controversia tra l’ente impositore e il concessionario sulla base della considerazione che il sistema ha previsto, alla lett. d) dell’art. 172, una norma “aperta”, a prescindere, cioè, dalla considerazione del petitum posto a base dell’azione giudiziaria.

Si ricorda che nel previgente testo dell’art. 58 la locuzione “altri giudizi ad iniziativa di parte” era interpretata da giurisprudenza e dottrina unanime al fine di configurare l’istituto processuale de quo, quale strumento per la risoluzione di controversie che non trovassero nel giudizio di conto, nel giudizio di responsabilità ovvero nelle ipotesi specificamente disciplinate dalla legge un possibile azionamento, purché vertenti in materia di competenza della Corte dei conti (ex multis cfr. Corte dei Conti Sez. Veneto n. 147/2014; Sez. II Centrale n. 347/2011; Sez. Calabria n. 237/2012; Sez. I n. 201/2007; Sez. Giur. Sardegna n.1008/2009; Sez. Calabria n. 120/2009; Giur. Puglia n. 2076/2008; Sez. Giur. Emilia Romagna sent. n. 1139/2006; Sez. I Centrale n. 36/1994). Elemento necessario e sufficiente, quindi, era la sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti ed ai fini dell’individuazione della stessa bisognava avere riguardo alla causa petendi ed al petitum sostanziale e non piuttosto alla prospettazione soggettiva della parte in giudizio (Corte Cassazione a Sez. Unite, sent. n. 10189 del 15/10/1998).

Nell’ordinamento normativo vigente, per la legittimazione ad instaurare una controversia mediante il ricorso ad istanza di parte, non può considerarsi sufficiente la natura “aperta” della previsione di cui alla lett. d) dell’art. 172 o anche il ruolo di agente contabile rivestito dal concessionario. “Non si possono, infatti, ritenere ammissibili quei ricorsi con cui si sottoponga alla cognizione della giudice [contabile] una vertenza promossa per la rivendicazione di un petitum che, seppur traente origine dal rapporto di dare – avere tra il concessionario e l’ente pubblico impositore, finisca però per esprimere una domanda che trascende il rapporto esattoriale strictu sensu considerato, per involgere profili di domanda ad esso estranei. E tali non possono che essere quelle controversie in cui, come nel caso di specie, l’ente impositore domandi l’accertamento della responsabilità contrattuale o, in subordine, extracontrattuale dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione per il riconoscimento risarcitorio di un danno postulato in relazione alla mancata “cartellazione” delle entrate pubbliche iscritte a ruolo e che, dunque, sembra attagliarsi a pieno titolo ad una paradigmatica fattispecie di responsabilità amministrativa, con tutte le implicazioni da ciò derivanti, sia sotto il profilo processuale che sostanziale” (sent.  Corte dei conti, Sez. Calabria n. 69/2018).

La citata sentenza della Corte dei conti sez. Calabria n. 69 del 13/2/2018 evidenzia che “una cosa è l’ambito delle condotte, degli obblighi e delle conseguenze giuridiche previste dal sistema per l’agente contabile che non le osservi in relazione al cosiddetto “maneggio” di risorse, altro è, invece, il pregiudizio che l’ente pubblico può subire da azioni od omissioni di obblighi realizzate con colpa dall’agente della riscossione nel corso della sua attività gestoria. Detto in altri termini, può ben darsi che nei confronti di uno stesso soggetto si configuri un unico rapporto di servizio con la pubblica amministrazione, e tale è appunto il caso del concessionario per il servizio di riscossione, ma ciò non esclude che quell’unico rapporto possa a sua volta comportare diversi obblighi sul piano funzionale con altrettanti differenti profili di disciplina in ordine alle eventuali responsabilità, quali appunto quelli previsti dagli artt. 140 e seg. c.g.c. per l’agente contabile, da tenere distinti rispetto a quelli cui lo stesso può soggiacere per i danni cagionati nella gestione del rapporto oggetto del servizio di riscossione”.

In sintesi, secondo il recente orientamento in esame, la richiesta di risarcimento danni per un pregiudizio (nella specie connesso alla necessità di aver dovuto fare ricorso alle anticipazioni di tesoreria a causa della crisi di liquidità ed i relativi danni di immagine), derivante da inadempimento del concessionario, costituiscono profili che esulano dal binomio di “dare avere” su cui si fonda il rapporto gestorio tra l’agente della riscossione e l’ente pubblico, per riguardare, invece, la responsabilità per un danno da condotte omissive configurate come inescusabilmente negligenti. In merito a quest’ultima non è azionabile lo strumento processuale di cui all’art. 172 lett. d), bensì altri mezzi giudiziali predisposti dall’ordinamento.

 

Avv. Testa Maria

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