Famiglia di fatto e matrimonio tra omosessuali: un passo avanti della Suprema Corte verso il superamento delle disuguaglianze (Nota a Corte di Cassazione – Sezione Prima Civile, Sentenza n. 4184 del 15 marzo 2012.)

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La sentenza n. 4184 del 15 marzo 2012 della Prima Sezione civile della Cassazione affronta la delicata questione delle unioni tra omosessuali celebrate all’estero e del loro riconoscimento nell’ordinamento interno.

Nel caso di specie, la Suprema Corte si è pronunciata sulla trascrivibilità nei registri dello stato civile italiano del matrimonio celebrato, da due persone dello stesso sesso, in Olanda, secondo le norme vigenti in quel Paese.

La trascrizione dell’atto richiesta al comune di residenza, Latina, era stata, tuttavia, respinta in forza dell’art. 18 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, recante l’ordinamento dello stato civile, a norma del quale gli atti formati all’estero non possono essere trascritti “se sono contrari all’ordine pubblico”.

Avverso il provvedimento di diniego alla trascrizione, fu proposto ricorso dinanzi al Tribunale di Latina, che rigettò la domanda. Ed anche il successivo reclamo presentato alla Corte d’appello di Roma fu respinto con la seguente motivazione: il matrimonio in questione difettava di “uno dei requisiti essenziali per la sua configurabilità come matrimonio nell’ordinamento interno”, ovverosia “la diversità di sesso tra i coniugi”.

Tale questione giunge dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione, che, pur rigettando il ricorso presentatole, spiana la strada alla tutela giuridica del diritto delle coppie omosessuali a contrarre matrimonio, ripercorrendo in maniera certosina l’intero quadro normativo e giurisprudenziale, da cui prende vita un tale riconoscimento.

La Carta Costituzionale italiana riconosce e garantisce, espressamente all’art. 29, soltanto la famiglia fondata sul matrimonio, mancando di prevedere una specifica regolamentazione giuridica per la famiglia di fatto, che, negli ultimi tempi, ha assunto sempre maggiore rilevanza.

In considerazione della crescente importanza che, a livello sociale, ha acquisito tale fenomeno, si è reso indispensabile per l’ordinamento interno un adeguamento normativo, che qualifica la famiglia di fatto come “una qualunque unione stabile e comunione di vita spirituale e materiale tra due persone non fondata sul matrimonio”, caratterizzata da alcuni elementi essenziali quali la comunità di vita, la stabilità temporale, l’assenza del vincolo formale del matrimonio.

Inoltre, in tema di coppie di fatto, è apparsa determinante l’influenza che la legislazione europea ha esercitato sulla normativa interna, la quale non ha potuto fare a meno di attribuire alla famiglia di fatto rilevanza anche dal punto di vista giuridico, stante il suo riconoscimento come istituzione sociale ai sensi dell’art. 2 Cost,. in virtù del principio di solidarietà e di tutela delle formazioni sociali in cui si sviluppa la persona umana.

In riferimento a ciò, occorre sottolineare come l’evoluzione normativa e giurisprudenziale abbia posto particolare attenzione alla posizione giuridica dei conviventi, a tutela dei quali la Suprema Corte è intervenuta, con precedenti pronunce, a rimarcare la necessità di parificare la condizione soggettiva del convivente a quella del coniuge, laddove la convivenza assuma i caratteri della stabilità, continuità, e regolarità, sufficienti ad accostarla al rapporto di coniugio.

La convivenza, dunque, acquista specifica meritevolezza, con riguardo all’aspetto della tutela giuridica nei confronti dei terzi, alla stregua del rapporto di coniugio, sempre che essa si caratterizzi per un equilibrio affettivo e patrimoniale tale da presupporre una comunanza di vita e di affetti con vicendevole assistenza materiale e morale tra i conviventi, oltre a una serietà di impegno e regolarità di frequentazioni che consente di assimilarla alla famiglia legittima (cfr. Cass. Civ. Sez. III n. 12278/11; Cass. Civ. sez. III n.8876/05).

La giurisprudenza della Cassazione getta solide basi per la piena parificazione dello status di convivente a quello di coniuge, rappresentando l’orientamento sopra citato un importante passo in avanti per il superamento nell’ordinamento italiano delle disuguaglianze, in particolare sul tema delle coppie gay.

Gli omosessuali, conviventi in una stabile relazione di fatto, se non possono far valere il diritto a contrarre matrimonio né quello alla trascrizione delle nozze contratte all’estero, essendo tuttavia titolari del diritto alla vita familiare, del diritto a vivere liberamente una condizione di coppia, nonché del diritto a ricevere tutela per qualsiasi specifica situazione giuridica soggettiva riconosciuta, possono assicurarsi un trattamento egualitario rispetto a quello assicurato ai coniugi, in virtù dei principi fondamentali contenuti nella Carta Costituzionale.

Nella sentenza in commento, infatti, i Giudici Ermellini hanno, chiaramente, specificato che un matrimonio contratto da una coppia gay all’estero, sebbene non possa considerarsi produttivo di effetti giuridici nell’ordinamento interno per l’assenza di una legislazione che consente le nozze alle coppie omosessuali, tuttavia non può ritenersi “inesistente”.

Una tale pronuncia si inserisce nel solco già tracciato dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale con la sentenza n. 138/2010, nella quale, richiamando l’art. 2 Cost. e con esso il concetto di formazione sociale – idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione-, ha specificato che una simile nozione deve essere utilizzata anche per qualificare l’unione omosessuale, allorquando consista in una stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, attribuendole il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri.

Di seguito si riporta il testo integrale della sentenza.

Sentenza collegata

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Di Micco Antonella

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