Età avanzata: automatica circostanza aggravante della minorata difesa?

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Il dibattito giurisprudenziale sull’elemento dell’età avanzata della vittima quale automatica ed esclusiva circostanza aggravante della minorata difesa.

Di recente la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi su un particolare tema, già oggetto di passato interessamento, con tanto di ferventi dibattiti e contrasti in materia, all’interno della stessa giurisprudenza di legittimità.

Come si avrà modo di approfondire in seguito, il fulcro su cui gli Ermellini sono stati nuovamente chiamati a decidere è stato in merito ad una presunzione assoluta (solo in virtù dell’elemento oggetto dell’età avanzata della vittima) o relativa (altresì, sulla scorta di ulteriori elementi probatori) di configurazione della circostanza aggravante della minorata difesa, di cui all’art. 61, primo comma, n. 5 c.p.

Indice:

  1. La fase di merito ed il ricorso di legittimità dinanzi la Corte di Cassazione
  2. Le considerazioni in diritto della Suprema Corte in materia di circostanza aggravante della minorata difesa di cui all’art. 61, primo comma, n. 5, c.p.
  3. Conclusioni

La fase di merito ed il ricorso di legittimità dinanzi la Corte di Cassazione

Con sentenza del 11/02/2019, il Tribunale di Milano, all’esito di giudizio abbreviato, condannava il prevenuto D.S. alla pena di mesi 8(otto) di reclusione ed euro 80,00 di multa, in quanto ritenuto colpevole del delitto di tentata truffa aggravata, ai sensi dell’art. 640, comma 2, bis c.p.

La pronuncia del giudice di prime cure veniva impugnata dall’imputato dinanzi la Corte di Appello di Milano, la quale, tuttavia, confermava, in data 06/02/2020, la sentenza in primo grado di giudizio.

L’imputato ricorreva, quindi, dinanzi la Suprema Corte, impugnando, tramite il proprio difensore di fiducia, la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Milano, deducendo due motivi:

  1. violazione di legge circa la ritenuta configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 61, n. 5, c.p. (veniva rilevato come la Corte di appello avesse riconosciuto tale aggravante, senza, tuttavia, sufficientemente motivare in merito e senza operare alcun riferimento alle evidenze probatorie offerte dalla difesa circa gli elementi fattuali attestanti la totale lucidità della persona offesa);
  2. difetto di motivazione in punto di trattamento sanzionatorio.

Sulla scorta di tali motivi, la Corte di Cassazione riteneva, tuttavia, di rigettare il ricorso, osservando come il primo motivo (oggetto di nostro maggiore interesse) fosse, complessivamente, privo di fondamento e, parimenti, come il secondo fosse manifestamente infondato.

Le considerazioni in diritto della Suprema Corte in materia di circostanza aggravante della minorata difesa di cui all’art. 61, primo comma, n. 5, c.p.

Con riferimento al primo motivo, il Collegio richiamava le argomentazioni contenute in una precedente pronuncia emessa dalle Sezioni Unite della stessa Corte (Cass. pen., sez, un., n. 40275 del 15/07/2021 ud. (dep. 08/11/2021, Rv., 282095-01), in materia di presupposti necessari per l’integrazione della circostanza aggravante della minorata difesa, di cui all’art. 61, primo comma, n. 5, c.p.

Nello specifico, veniva ricordato come l’art. 1, comma 7, della Legge 15 luglio 2009, n. 94, recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, conformemente al maggioritario indirizzo giurisprudenziale precedentemente formatosi, abbia introdotto, all’interno del testo dell’art. 61, primo comma, n. 5, c.p., il riferimento all’età della vittima, inserendovi le parole “anche in riferimento all’età”.

Tale novella, seppur apparentemente priva di intrinseche dubbiosità, ha portato alla luce una nuova problematica ovvero stabilire se il riferimento all’età della persona offesa dal reato comportasse l’integrazione, in via automatica, della circostanza aggravante in esclusiva considerazione del suindicato elemento oggettivo oppure se il legislatore del tempo avesse voluto introdurre una presunzione relativa di minorata difesa all’età della vittima.

Ad avviso di un orientamento che, per molto tempo, ha predominato la scena giurisprudenziale di legittimità (ex multis, Cass. pen., Sez. 2, n. 35997 del 23/09/2010, Licciardello, Rv. 248163; Cass. pen., Sez. 5, n. 38347 del 13/07/2011, Cavò, Rv. 250948; Cass. pen., Sez. 2, n. 8998 del 18/11/2014, dep. 2015, Genovese, Rv. 262564 e Cass. pen., Sez. 2, n. 47186 del 22/10/2019, Bona, Rv. 277780), l’età avanzata della vittima non era in grado di integrare una presunzione assoluta di minorata difesa per la ridotta capacità di resistenza della persona offesa, dal momento che devono essere valutate altre situazioni, tra cui la particolare vulnerabilità dell’anziano, la sua scarsa lucidità o capacità di orientamento, con una conseguente agevolazione della condotta criminosa da parte del soggetto agente.

Come cristallizzato dalla Suprema Corte (Cass., pen., Sez. 2, n. 37865 del 23/09/2020, Chiaramida, non mass.), “l’età avanzata che – sulla base di massime di esperienza – risulta associata ad una minore reattività fisica e cognitiva e rileva dunque nei reati che richiedono una interazione diretta con la vittima, è un indice “relativo” di vulnerabilità che deve essere sottoposto ad un vaglio giudiziale che ne confermi o svaluti la rilevanza. Il processo di invecchiamento non è infatti omogeneo e, mentre alcune persone possono avere un rapido (e persino anomalo) decadimento cognitivo, altre possono mantenere lucidità e capacità reattiva a lungo, nonostante l’incedere dell’età; meno discontinuità si rinvengono nella perdita di reattività “fisica”, inevitabile con l’incedere dell’età. Ricondotta l’età avanzata ad indice non assoluto, ma relativo di vulnerabilità sarà compito del giudice di merito valutare se nella interazione con l’autore del reato l’età della vittima abbia svolto un ruolo agevolatore a causa del decadimento fisico o cognitivo dell’offeso”.

In senso contrario, si è espresso, tuttavia, un diverso indirizzo giurisprudenziale di legittimità (Cass. pen., sez. 5, n. 12796 del 21/02/2019, De Paola, Rv. 275305; Cass. pen., Sez. 5, n. 1555 del 15/10/2019, dep. 2020, Gaglioti, non mass. e Cass. pen., sez. 5, n. 40476 del 24/06/2019, Giudici, non mass.), ritenendo come, in relazione ai soli reati presupponenti un’interazione tra il soggetto agente e la vittima (nel caso di specie, furto con strappo), per l’integrazione della circostanza aggravante di cui all’art. 61, primo comma, n. 5, c.p., l’agevolazione alla condotta delittuosa, derivante dall’età avanzata della persona offesa, fosse intrinseca, non gravando sul giudice di merito alcun ulteriore onere probatorio e motivazionale rispetto all’elemento oggettivo dell’età della vittima.

A metà strada tra i due orientamenti, si è posta una linea di pensiero (Cass. pen., sez. fer., n. 43285 del 08/08/2019, Diana, non mass.; Cass. pen., sez. 2, n. 46677 del 20/09/2019, Ariolfo, non mass. e Cass. pen., sez. 2, n. 3851 del 13/12/2019, dep. 2020, Bruccoleri, non mass.) che è stata in grado di bilanciare i principi opposti alla base dei primi due indirizzi, sulla scorta di cui la contestazione della circostanza aggravante di cui all’art. 61, primo comma, n. 5, c.p., non poteva essere effettuata solo in relazione all’età avanzata delle persone offese bensì, a seconda delle diverse fattispecie, valorizzando, ad esempio, la circostanza di temporaneo isolamento delle vittime (giacché a passeggio da sole in strada), di uno stato di malattia, di una pregressa conoscenza o di appartenenza comune ad un determinato gruppo.

Richiamando i sopra esposti rilievi circa il dibattito giurisprudenziale sorto in materia di minorata difesa, gli Ermellini affermavano come i giudici di merito non avessero riconosciuto l’integrazione della circostanza aggravante solo in ragione dell’età della vittima (al tempo dei fatti, sessantanovenne) bensì in virtù delle modalità degli accadimenti e delle generali condizioni di fragilità della già menzionata.

Segnatamente, i giudici avevano correttamente osservato come la vittima avesse fissato l’appuntamento “ignara che si trattasse di una possibile truffa”, aggiungendo come le modalità della condotta criminosa fossero finalizzate a ricavare vantaggio dall’età e dal senso di solitudine della persona offesa (sul punto, venivano richiamate una scheda lavori contenente una lista composta, maggiormente, da persone anziane e da una sorta di “vademecum” posseduto dall’imputato ove veniva richiesto l’accertamento dei familiari della vittima); elementi, questi, a supporto della tesi per cui la condotta era stata agevolata da un’inferiore capacità di orientamento dell’anziana signora.

Conclusioni

Dall’analisi di tale pronuncia di legittimità emerge come ci sia ancora molta incertezza, all’interno della stessa Suprema Corte, rispetto alla configurazione, automatica o meno, della circostanza aggravante della minorata difesa, nell’ambito di tutte quelle condotte illecite comportanti un contatto tra il soggetto agente e la persona offesa dal reato in stato avanzato d’età.

Ciò che, senza dubbio, può ritenersi, al fine di evitare pericolosi giudizi di responsabilità oggettiva, è come il ruolo del giudicante assuma un significato ancor più pregnante, con un preciso onere motivazionale ai fini di un corretto decisum, soprattutto, in quei casi ove la valutazione di un mero dato anagrafico, non calato nella singola fattispecie e, pertanto, nel complessivo contesto spazio-temporale, altresì probatorio, ove si sono sviluppate le azioni di reato, possa portare a giudizi eccessivamente gravosi, a seconda dei diversi punti di vista, sia per il soggetto agente che per la vittima.

Sentenza collegata

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Avv. Antonio Di Santo

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