Esiste nel nostro ordinamento un’ autonomia di giudizi e quindi l’inesistenza di un rapporto di pregiudizialità tra processo penale e processo per responsabilità amministrativo-contabile: i pagamenti avvenuti con prelievo da fondi pubblici e per finalità

Lazzini Sonia 09/11/06
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La Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale della Basilicata, con la sentenza numero 188 del 30 giugno 2006 ci insegna che:
 
<allorquando pendano nei confronti della medesima persona un procedimento penale ed uno per responsabilità amministrativo-contabile, quest’ultimo non deve essere necessariamente sospeso, sia perché detta sospensione non risulta essere imposta da una specifica disposizione di legge (vedasi quanto più ampiamente precisato sul punto in Sez. ********** n. 49/2005, i cui principi si intende in questa sede confermare), sia perché la definizione del procedimento penale non costituisce l’indispensabile antecedente logico giuridico del giudizio innanzi alla Corte dei Conti, il quale si fonda sul diverso presupposto della violazione di obblighi di servizio e non di norme penali.>
 
 
a cura di *************
 
                        REPUBBLICA ITALIANA Sent. n. 188/2006/E.L.
 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE DELLA BASILICATA
        composta dai seguenti Magistrati:
 
Dott. ****************             Presidente f.f.(relatore)
 
Dott. ********************    Consigliere
 
Dott. *************                    Primo Referendario
 
ha pronunciato la seguente
 
                                    SENTENZA
nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 6419/EL del Registro di Segreteria, instaurato ad istanza della Procura regionale presso questa Sezione nei confronti di *** ********, nato a Colobraro (MT) il 17.8.1953, rappresentato e difeso dall’avv. ********* *** e presso il cui studio, sito in Matera in via del Corso n. 26, elettivamente domiciliato, *** Leonardo, nato a Pisticci (MT) l’8.2.1958 e *** Rosa, nata a Rotondella (MT) il 9.1.1963, entrambi rappresentati e difesi dagli avv.ti ******** *** e ***** ***, ed elettivamente domiciliati presso lo studio             dell’avv. *****************, sito in Potenza in via Crispi n. 33;
 
Visto l’atto introduttivo del giudizio, nonché tutti gli altri atti e documenti della causa;
 
Uditi, nella pubblica udienza del 15.11.2005, ed in quella successiva del 13.6.2006, con l’assistenza del Segretario ************************, il Consigliere relatore dr. ****************, il pubblico ministero nella persona del Procuratore Regionale dott. ****************, nonché gli avv.ti ***, *** e *** per i convenuti;
 
Ritenuto in
 
 
 
FATTO
La Cooperativa “La Grande ***” di Matera, ai sensi della legge 7.3.1996 n.108, faceva parte del novero dei “confidi”, cioè di quegli enti (cooperative o consorzi) “dotati di fondi antiusura, separati dai fondi rischi ordinari, al fine di garantire fino all’80% le banche e gli istituti di credito che concedono finanziamento a favore delle piccole e medie imprese a elevato rischio finanziario”. Nella suddetta qualità la Cooperativa, nel corso del 1998, ha ricevuto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze la somma di £ 639.470.000 accreditata su conti correnti bancari attivati dalla cooperativa presso la Banca di Roma di Matera. In particolare, in ottemperanza di quanto previsto dall’art. 15 della l.n. 108/1996 e dall’art. 7 del relativo Regolamento di attuazione emanato con D.P.R. n. 315/1997, la Cooperativa e la Banca di Roma stipularono, in data 23.1.1998, una convenzione che, tra l’altro prevedeva che “La “Cooperativa” a garanzia dei finanziamenti che potranno essere concessi dalla “Banca” ad imprese ad alto rischio finanziario …omissis… costituisce presso la “Banca” il fondo speciale antiusura, di cui all’art.7 del D.P.R. 11 giugno 1997 n. 315, depositando in un conto corrente intestato “cooperativa Artigiana di Garanzia la Grande *** c/antiusura” le somme destinate a tale finalità ( art.1 della convenzione); ed inoltre “Le somme depositate sul conto corrente, di cui al precedente art.1), nonché gli interessi maturati sulle stesse, sono costituite in pegno a favore della Banca a garanzia dei finanziamenti che la “Banca” medesima concede ad imprese ad elevato rischio finanziario socie della “Cooperativa” (art. 2). Successivamente, poiché non risultava che la Cooperativa avesse effettuato alcuna operazione nell’arco di due anni consecutivi, essa veniva fatta oggetto di richiesta di restituzione della dotazione economica precedentemente conferitale da parte del competente Ministero.
 
Poiché tali richieste rimanevano prive di riscontro, veniva disposta apposita ispezione amministrativo-contabile in esito alla quale emergeva un ammanco di €.111.029,5 a causa dell’utilizzo di fondi vincolati “antiusura” per finalità diverse da quelle in relazione alle quali erano stati espressamente conferiti dal Ministero dell’Economia.
 
Gli Ispettori rilevavano, infatti, che vi erano state due operazioni bancarie improprie: la prima, in data 10.9.2002 aveva comportato un prelievo di €.127.887,37 dal c/c                   n. 65089939 in conseguenza della procedura esecutiva               n. 152/2000 presso terzi promossa dalla Cassa Rurale ed Artigiana di Castellana Grotte in danno della cooperativa “Grande ***”, procedura conclusasi con il provvedimento di assegnazione emesso dal G.E. del Tribunale di Matera il 16.5.2002; la seconda, in data 15.11.2002 era consistita in un addebito sul medesimo   conto di   un   importo di   €.1.734,37 per emissione di un assegno circolare a favore di *** ********, in conseguenza   della   procedura esecutiva             n. 233/2002 presso terzi, procedura conclusasi con il provvedimento di assegnazione emesso dal G.E. del Tribunale di Matera il 18.10.2002 .
 
Dopo aver evidenziato che in entrambi i casi innanzi descritti i pagamenti erano avvenuti per cause del tutto estranee alle finalità di cui alla legge n. 108/1996, e che l’uso di fondi pubblici per uso diverso da quello a cui erano inderogabilmente destinati costituisce un ingiusto e dannoso depauperamento del pubblico erario, l’atto introduttivo del presente giudizio precisa che: “la cooperativa “Grande ***” aveva gravemente violato il disposto di cui all’art.15 della legge n.108/1996, nonché quello recato dal relativo regolamento di attuazione (D.P.R. 11.6.1997 n.315) utilizzando o non opponendosi all’uso improprio di parte dei fondi che le erano stati conferiti dallo Stato per uno scopo vincolato previsto dalla legge 108/1996, cioè concessione di garanzie per l’accesso         al   credito   di piccole   e   medie imprese ad   elevato   rischio
 
finanziario”.
 
Il danno subito dall’erario, secondo la ricostruzione attorea, è pari alla somma dei due pagamenti “impropri”              (€ 129.621,74), da cui va detratta la parte di fondo di provenienza privata (€ 18.592,45) usata in compensazione dell’ammanco in occasione della restituzione del fondo inutilizzato al competente Ministero, per cui il danno va quantificato in € 111.029,5.
 
Relativamente alle responsabilità personali per il suddetto danno, sostiene la Procura che: “esse non possono che essere individuate nel legale rappresentante della cooperativa “Grande ***” e nel vertice amministrativo della stessa, cioè negli odierni convenuti: dunque, innanzitutto nelle persone di *** Giuseppe ed *** Leonardo che, a prescindere dalla strana circostanza emersa dalla visura camerale effettuata dalla Guardia di Finanza per cui risultano rivestire contemporaneamente la qualifica di “presidente” della cooperativa nel primo semestre del 2002, sono da considerarsi entrambe responsabili perché hanno omesso ogni forma di comunicazione al Ministero in ordine alle azioni intraprese sul fondo vincolato ed hanno omesso ogni tutela del relativo patrimonio a fronte di azioni esecutive protrattesi dal 1998 al 2002.
 
Egualmente può ritenersi responsabile la *** Rosa che si è essa stessa definita – in sede di audizione effettuata dalla Guardia di Finanza- “coordinatore generale” della cooperativa nel periodo in esame, cioè suo vertice amministrativo, che pure non ha posto in essere alcun atto volto a tutelare il patrimonio pubblico gestito in base alla legge n.108/1996”.
 
Pertanto la Procura ha citato nel presente giudizio i sig.ri ***, *** e *** “per quivi sentirli condannare in parti uguali al pagamento della somma complessiva di                   €. 111.029,5 oltre accessori di legge, a titolo di risarcimento di danno erariale, in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze”.
 
In difesa del sig. *** si è costituito in giudizio        l’avv. *** che, nella memoria scritta, ha innanzitutto affermato che nessuna responsabilità può essere addebitata al suo assistito, in considerazione del fatto che era cessato dalla carica di Presidente della Cooperativa al momento dell’assegnazione delle somme al creditore, avendo presentato dimissioni dalla carica divenute efficaci sin dal 18 ottobre 2001. Ha sottolineato che responsabilità possono ritenersi sussistenti nei confronti sia della Banca di Roma che del magistrato che ha erroneamente disposto l’assegnazione senza tener conto del vincolo di destinazione delle somme, pur rappresentato nel corso del processo di esecuzione. Relativamente alla posizione della Banca di Roma (terzo chiamato in giudizio per rendere la dichiarazione prevista dall’art. 547 c.p.c.) sostiene il difensore che “la responsabilità si trasferiva sull’istituto di credito che aveva un potere indiscusso sull’utilizzo delle somme, ed un potere di controllo sull’uso delle stesse per cui poteva esercitare un veto non modificabile……Il Banco di Roma non può ritenere esaurito il proprio compito con la dichiarazione che ha reso dinanzi al Giudice nella quale ha dichiarato che il conto presentava un vincolo di destinazione ma non ha specificato, documentando con contratto, la natura di pegno che è cosa ben diversa dal fatto che sul conto affluiscono somme da parte del Ministero del Tesoro”. Dopo aver sottolineato che “seguire l’andamento delle azioni non era un compito istituzionale dello *** ma della Coordinatrice” il difensore ha concluso per il rigetto dell’avversa domanda.
 
In difesa di *** e ***, gli avv.ti *** e *** hanno evidenziato che gli organi della cooperativa convenuti nell’odierno giudizio, “sforniti come sono delle necessarie conoscenze delle basilari norme di diritto”, avevano affidato al legale di fiducia della Cooperativa avv. *** la difesa in entrambi i giudizi dalla cui soccombenza sarebbe derivato il danno secondo la tesi attorea; tale comportamento, indice della circostanza che “la cooperativa ha assolto il suo obbligo di attivarsi prontamente….per la tutela di quei fondi specifici” unitamente alla considerazione che “la cooperativa si è completamente affidata alle decisioni del suo legale in ordine all’intrapresa o meno di azioni giudiziarie avverso la pretesa della BBC e di queste decisioni si è ovviamente fidata, richiamata la natura squisitamente fiduciaria di un tale rapporto”, è idoneo ad escludere che essi abbiano agito con colpa grave. Sottolineano i difensori che spettava al legale incaricato di opporsi ai procedimenti intrapresi contro la cooperativa l’obbligo di informare il Ministero circa le azioni giudiziarie in corso che gravavano sui fondi vincolati, concludendo per il rigetto della domanda attorea.
 
Alla pubblica udienza del 15.11.2005, gli avv.ti *** e *** hanno preliminarmente chiesto la sospensione del presente giudizio in attesa della definizione del giudizio penale pendente per gli stessi fatti, hanno poi illustrato e specificato le considerazioni svolte nelle memorie scritte, con particolare riferimento alle responsabilità delle banche intervenute nei giudizi e del magistrato che ha disposto le assegnazioni, confermando, infine, le conclusioni precedentemente rassegnate.
 
Il rappresentante del P.M., nell’intervento orale, dopo aver manifestato la propria contrarietà alla richiesta di sospensione, ha illustrato e confermato l’impianto accusatorio esplicitato in citazione.
 
All’esito dell’udienza del 15.11.2005, fu emessa l’ordinanza istruttoria n. 6/2005 per acquisire documentate e precise notizie circa l’attività difensiva promossa dalla Cooperativa nei due giudizi di esecuzione in cui era stata convenuta, fissandosi contestualmente l’udienza del 13.6.2006 per la prosecuzione del giudizio.
 
All’odierna pubblica udienza sia il rappresentante del P.M., sia i difensori dei convenuti intervenuti (avv.ti *** e ***) hanno sostanzialmente ribadito le tesi e le conclusioni precedentemente rassegnate.
 
Considerato in
 
DIRITTO
 
Preliminarmente il Collegio ritiene di doversi pronunciare negativamente sull’istanza di sospensione del presente giudizio, in attesa della definizione del giudizio penale pendente per gli stessi fatti, avanzata dalle difese di tutti i convenuti. Al riguardo va infatti evidenziato che – dopo la riforma del codice di procedura penale del 1988, che ha abolito la pregiudiziale penale prevista dall’art. 3 del previdente c.p.p., e la nuova formulazione dell’art. 295 c.p.c., nel testo sostituito dall’art. 35 della l.n. 353/1990 – la giurisprudenza ( ex plurimis Sez. I n. 336/A/2002) è pressochè unanime nel ritenere l’autonomia dei giudizi e l’inesistenza di un rapporto di pregiudizialità tra processo penale e processo per responsabilità amministrativo-contabile. Assumono rilievo sul punto anche i principi enunciati dalle SS. UU. della Corte di Cassazione con sentenza n. 1532 del 19.2.1997. Le SS. UU. della Suprema Corte si sono espresse nel senso che la sospensione del processo è necessaria (art. 295 c.p.c.) solo quando la previa definizione di altra controversia pendente davanti allo stesso od ad altro giudice, sia imposta da espressa disposizione di legge, ovvero quando per il suo carattere pregiudiziale, costituisce l’indispensabile antecedente logico giuridico dal quale dipende la decisione della causa pregiudicata ed il cui accertamento sia richiesto con efficacia di giudicato. Al di fuori di questi presupposti, sempre secondo i principi illustrati dalla Cassazione, la sospensione cessa di essere necessaria, diventando meramente facoltativa, rientrando quindi nel potere discrezionale del giudice di merito. Logica conseguenza di quanto innanzi illustrato è che, allorquando pendano nei confronti della medesima persona un procedimento penale ed uno per responsabilità amministrativo-contabile, quest’ultimo non deve essere necessariamente sospeso, sia perché detta sospensione non risulta essere imposta da una specifica disposizione di legge (vedasi quanto più ampiamente precisato sul punto in Sez. ********** n. 49/2005, i cui principi si intende in questa sede confermare), sia perché la definizione del procedimento penale non costituisce l’indispensabile antecedente logico giuridico del giudizio innanzi alla Corte dei Conti, il quale si fonda sul diverso presupposto della violazione di obblighi di servizio e non di norme penali.
 
Sgombrato il campo dall’ipotesi di ricorrenza della c.d. sospensione necessaria, si ritiene opportuno precisare che il Collegio ritiene del tutto assenti i presupposti per applicare la c.d. sospensione facoltativa, atteso che elementi utili per decidere sono stati acquisiti autonomamente anche attraverso l’ordinanza istruttoria di cui si è fatto cenno nella parte in fatto, e non appare necessario attendere la definizione del giudizio penale.
 
Passando all’esame del merito della controversia, indubbie appaiono al Collegio l’esistenza di un danno per l’erario e la quantificazione di esso operata nell’atto introduttivo del giudizio. Infatti i pagamenti avvenuti con prelievo da fondi pubblici e per finalità del tutto estranee a quelle a cui erano inderogabilmente destinati (vedasi l’art. 15, c. 2, della l.n. 108/1996 recante disposizioni in materia di usura e l’art. 7, c. 1 lettera b, del relativo Regolamento di attuazione emanato con D.P.R. n. 315/1997: concessione di garanzie per l’accesso al credito di piccole e medie imprese ad elevato rischio finanziario) costituiscono indubbio danno per l’erario. Corretta appare la quantificazione del danno esposta nell’atto introduttivo del giudizio nella misura di € 111.029,5, pari alla somma dei due pagamenti “impropri” (€ 129.621,74), da cui va detratta la parte di fondo di provenienza privata (€ 18.592,45) usata in compensazione dell’ammanco, in occasione della doverosa restituzione del fondo inutilizzato al competente Ministero.
 
Conseguentemente l’ordinanza istruttoria disposta in occasione della prima udienza di trattazione era diretta a verificare l’esistenza dell’elemento soggettivo dell’invocata responsabilità, tenendo conto anche di alcuni argomenti difensivi svolti dalle parti convenute, tendenti ad escludere il ricorrere nella fattispecie di un comportamento gravemente colposo. Ritenendosi necessario ottenere documentate e precise notizie circa l’attività difensiva promossa dalla Cooperativa nei due giudizi di esecuzione in cui era stata convenuta, l’ordinanza n. 6/2005/E.L., in particolare, disponeva l’acquisizione presso la Cooperativa “La Grande ***” di Matera dei mandati difensivi specificamente conferiti con riferimento ai giudizi di esecuzione n. 152/2000 (poi sfociato nel provvedimento giudiziale di assegnazione n. 481 del 16.5.2001) e n. 233/2002 (poi sfociato nel provvedimento giudiziale di assegnazione n. 1023 del 18.10.2002), nonché degli atti relativi all’attività difensiva svolta dall’avvocato incaricato nei due giudizi innanzi specificati.
 
Orbene, tra i documenti trasmessi in esecuzione dell’ordinanza istruttoria non c’è alcun mandato difensivo per tutelare le ragioni della Cooperativa (rectius: la non utilizzabilità da parte dei creditori procedenti dei fondi individuati presso il terzo pignorato, atteso il vincolo di destinazione che su tali fondi gravava). Il che smentisce la tesi difensiva su cui gli avv.ti *** e *** si sono lungamente soffermati, tesi tendente ad escludere la colpa grave in quanto gli organi della cooperativa convenuti nell’odierno giudizio, “sforniti come sono delle necessarie conoscenze delle basilari norme di diritto”, avevano affidato al legale di fiducia della Cooperativa avv. *** la difesa in entrambi i giudizi, e che ciò facendo “la cooperativa ha assolto il suo obbligo di attivarsi prontamente….per la tutela di quei fondi specifici”.
 
Il comportamento gravemente colposo dei vertici della Cooperativa che hanno omesso di tutelare adeguatamente l’integrità dei fondi pubblici, gestiti in base alla l.n. 108/1996, ed “aggrediti” dai creditori della Cooperativa stessa, con azioni esecutive che trovavano origine in ragioni del tutto estranee alla finalità perseguita dalla succitata legge, trova conferma nei verbali delle udienze relative ai due procedimenti di cui trattasi e nei provvedimenti finali di assegnazione delle somme, atti acquisiti al fascicolo di causa. Infatti, relativamente al giudizio di esecuzione n. 152/2000, dal verbale dell’udienza del 23.6.2000, per conto della Cooperativa risulta “comparso” il legale rappresentante ************ (odierno convenuto, che in quell’occasione si è limitato a confermare la dichiarazione del Banco di Roma, terzo pignorato, dichiarazione ritenuta dal Giudice insufficiente per non disporre l’assegnazione, come si avrà modo di chiarire nel prosieguo della trattazione), mentre relativamente al giudizio di esecuzione n.233/2002, dal verbale dell’udienza del 28.6.2002, risulta che nessuno è “ comparso” per la Cooperativa. Parimenti dai due provvedimenti finali di assegnazione delle somme (n. 481/2001 e n. 1023/2002) non risulta alcuna attività difensiva svolta da un avvocato nell’interesse della Cooperativa. Il primo atto dell’avv. ***, che si riferisce al giudizio di esecuzione n. 152/2000, è una lettera datata 2.9.2002 – indirizzata alla Cooperativa esprimendo il parere che la Cooperativa stessa non aveva legittimazione ad impugnare il provvedimento di assegnazione – quindi, da quanto risulta dagli atti acquisiti al fascicolo della causa, l’intervento dell’avvocato è successivo alla conclusione del procedimento di esecuzione sfociato nel provvedimento di assegnazione delle somme n. 481 del 16.5.2002.
 
Va ora esaminato un argomento svolto dal difensore del convenuto ***, che al fine di evidenziare l’assenza di ogni responsabilità per il suo assistito, ha affermato che responsabilità possono ritenersi sussistenti nei confronti sia del Banco di Roma, sia del magistrato che ha erroneamente disposto l’assegnazione senza tener conto del vincolo di destinazione delle somme, pur rappresentato nel corso del processo di esecuzione dalla Banca suddetta, sottolineando in particolare che “la responsabilità si trasferiva sull’istituto di credito che aveva un potere indiscusso sull’utilizzo delle somme, ed un potere di controllo sull’uso delle stesse per cui poteva esercitare un veto non modificabile……”.
 
Al riguardo è utile riportare le considerazioni svolte dal Giudice dell’Esecuzione che, nelle premesse del provvedimento di assegnazione n. 481/2002, si esprime nei seguenti termini:
 
“ritenuta positiva la dichiarazione resa dal terzo pignorato Banco di Roma – sede di Matera, avendo lo stesso riferito dell’esistenza di somme dovute al debitore e non dovendo tenere in alcun conto le valutazioni da lui fatte in ordine alla pignorabilità delle somme dovute in favore del debitore esecutato.
 
Il terzo, infatti, è un soggetto estraneo alla procedura esecutiva, chiamato al solo scopo di specificare di quali cose o di quali somme è debitore o si trova in possesso;
 
rilevato che il debitore, a verbale, ha dedotto l’impignorabilità delle somme sottoposte al vincolo del pignoramento senza, tuttavia, spiegare formale opposizione all’esecuzione né avanzare istanza di sospensione della stessa;
 
ritenuto, pertanto di poter procedere all’assegnazione”.
 
Assume rilievo al riguardo il principio più volte autorevolmente posto dalla Corte di Cassazione, che, ad esempio, con sentenza della Sez. L. n. 6667/2003, afferma: “…la Corte ha già avuto modo di affermare il principio di diritto secondo cui nell’espropriazione di crediti, il terzo debitore del debitore esecutato, non è legittimato a far valere la non pignorabilità del bene – neanche sotto il profilo dell’esistenza di vincoli di destinazione, in caso di somme depositate presso istituto di credito tesoriere di un ente pubblico -, la questione attenendo al rapporto tra creditore esecutante e debitore esecutato, il quale ultimo si può avvalere dell’opposizione all’esecuzione, prevista dall’art. 615 cod. proc. civ.. Correlativamente l’indicazione dell’esistenza di un vincolo di destinazione, in occasione della dichiarazione resa dal terzo ai sensi dell’art. 547 cod. proc. civ., non fa venir meno alla dichiarazione il carattere della positività (Cass. 9623 del 15.11.94)”. 
 
Circa l’estraneità del terzo pignorato e la legittimazione del debitore esecutato a proporre opposizione all’esecuzione (ovvero agli atti esecutivi), ex plurimis, vedasi anche Cassazione Sez. 3 n. 9215/2001 e n. 3655/2006.
 
Orbene, dal raffronto tra la parte motiva del provvedimento di assegnazione n. 481/2002 ed i surriportati principi affermati dalla Suprema Corte di Cassazione, emerge inequivocabilmente che il Giudice dell’esecuzione ha fatto puntuale e corretta applicazione dei principi fissati dalla Cassazione e, conseguentemente, che la tesi difensiva, tendente ad evidenziare un “errore” del Giudice ed una responsabilità del Banco di Roma, è da disattendere.
 
Ed è anche nell’affermazione difensiva che gli organi della cooperativa, convenuti nell’odierno giudizio, erano sforniti delle necessarie conoscenze delle basilari norme di diritto (vedasi pag. 3 della memoria degli avv.ti *** e ***) che il Collegio trova motivo per individuare come gravemente colposo il comportamento degli odierni convenuti. Infatti, su tale presupposto, un comportamento minimamente diligente avrebbe dovuto indurre i vertici amministrativi e burocratici della Cooperativa – di fronte all’intervenuto pignoramento dei “fondi pubblici” – ad affidare tempestivamente ad un legale la difesa tecnica del debitore nei procedimenti di esecuzione all’esame, affinchè fosse sollevata formale opposizione ex art. 615 c.p.c. per far valere l’impignorabilità delle somme, in considerazione del vincolo di destinazione che su di esse gravava. Invece, relativamente al giudizio di esecuzione n. 152/2000, la Cooperativa è inadeguatamente intervenuta nel giudizio per mezzo del Presidente *** (vedasi verbale di udienza del 23.6.2000) e si è rivolta ad un avvocato tardivamente, come precedentemente evidenziato, e, come si rileva dal più volte citato provvedimento di assegnazione, è proprio l’assenza di una formale opposizione ex art. 615 c.p.c. che ha indotto il giudice dell’esecuzione a disporre l’assegnazione delle somme richieste, ritenendo, evidentemente, insufficienti le mere dichiarazioni affermanti il vincolo di destinazione. Invece relativamente al giudizio n 233/2002 non si è mai costituita per tutelare i “fondi a destinazione vincolata”, come risulta dagli atti del predetto giudizio acquisiti interamente al fascicolo di causa, anche attraverso l’ordinanza istruttoria precedentemente richiamata.
 
Il comportamento gravemente negligente tenuto in occasione dei due procedimenti esecutivi si pone in evidente nesso di causalità con il depauperamento dei fondi pubblici destinati per legge esclusivamente a contrastare il fenomeno dell’usura, indipendentemente dalla valutazione dell’omissione anche di ogni forma di comunicazione al Ministero in ordine alle azioni esecutive promosse a carico dei fondi a destinazione vincolata, sottolineata dall’attore e che comunque emerge dagli atti di causa; premesso che l’art. 10 del già richiamato regolamento approvato con D.P.R. n. 315/1997 pone a carico dei “confidi” un obbligo di relazionare periodicamente all’allora Ministero del Tesoro sull’operatività e sullo “stato” dei fondi concessi, dagli atti acquisiti al fascicolo di causa emerge chiaramente l’omissione di tale obbligo; sul punto, tra gli altri documenti acquisiti, si richiamano la nota del Ministero dell’Economia e delle Finanze n. 651689 del 23.9.2002 e l’invito- diffida dello stesso Ministero n. 38716 del 21.4.2004 che, tra l’altro, stigmatizza la “condotta omissiva dei responsabili della cooperativa i quali tra l’altro non hanno inteso effettuare alcuna informativa al Ministero dell’Economia e delle Finanze della vicenda giudiziaria, anzi la stessa è stata occultata fino a quando ha avuto luogo la visita ispettiva presso la sede della stessa nei giorni 10, 11 e 12 marzo 2004”; tale condotta omissiva è comunque indice del grave disinteresse e trascuratezza tenuta dai vertici della Cooperativa rispetto agli obblighi di legge che gravavano su di essi in conseguenza dell’ottenuta disponibilità di fondi pubblici; al riguardo davvero singolare (e pertanto da disattendere) appare l’affermazione difensiva degli avv.ti *** e *** che l’obbligo di informare il Ministero incombeva al legale a cui era stata affidata le difesa del sodalizio nei giudizi di esecuzione; infatti, in disparte la riferita circostanza relativa alla del tutto tardiva investitura del legale rispetto allo svolgersi dei giudizi, l’art. 10 del citato D.P.R. n. 315/1997 demanda agli Enti destinatari (quindi ai legali rappresentanti) dei fondi antiusura l’obbligo di relazionare, e non certo ad un soggetto esterno professionalmente investito di un singolo affare.
 
Precisato quanto innanzi circa l’elemento soggettivo della responsabilità dei vertici amministrativi e burocratici della Cooperativa, è necessario procedere ad alcune puntualizzazioni circa la responsabilità di ciascuno dei convenuti, in considerazione dell’apporto causale del loro comportamento rispetto alle due distinte fattispecie dannose, tenendo conto dell’arco temporale in cui hanno svolto le loro funzioni.
 
La difesa del sig. *** ha affermato che nessuna responsabilità può essere addebitata al suo assistito, in considerazione del fatto che era cessato dalla carica di Presidente della Cooperativa al momento dell’assegnazione delle somme. Al riguardo, rilevato che il sig. *** ha presentato dimissioni dalla suddetta carica, divenute efficaci dal 18.10.2001, va constatato che la suddetta circostanza sicuramente lo esclude da ogni responsabilità rispetto agli effetti dannosi prodotti dal giudizio di esecuzione n. 233/2002, iniziato ed interamente svoltosi quando non rivestiva più il ruolo di vertice del sodalizio, ma certo non esclude la sua responsabilità rispetto al giudizio di esecuzione n. 152/2000, considerato che esso si è svolto per la maggior parte durante la sua presidenza e lo *** stesso è comparso personalmente all’udienza del 23.6.2000 rendendo la dichiarazione insufficiente ad impedire la distrazione dei fondi pubblici dalla loro cogente destinazione; palese quindi l’apporto causale dello *** all’effetto dannoso prodotto dall’esito del giudizio di esecuzione n. 152/2000.
 
Indubbio l’apporto causale al danno prodotto dall’esito di entrambi i giudizi di esecuzione da parte della sig.ra *** che ha rivestito la funzione di “coordinatrice generale” della Cooperativa durante l’intero periodo in cui sono state promosse e si sono svolte tutte e due le procedure esecutive.
 
Anche il sig. *** deve essere chiamato a rispondere del danno prodotto dall’esito di entrambi i giudizi di esecuzione; infatti è subentrato nella carica di Presidente dopo il 18.10.2001, quando era ancora in corso il giudizio n. 152/2000, e sotto la sua presidenza si sono svolte udienze in cui la Cooperativa è rimasta colpevolmente assente, invece di intervenire per tutelare adeguatamente i fondi a destinazione vincolata (vedasi verbale dell’udienza del 19.3.2002); palese la sua responsabilità per il danno prodotto dall’esito del giudizio n. 233/2002, instaurato ed interamente svolto durante la sua presidenza, con l’assenza della Cooperativa nel corso del giudizio.
 
Pertanto, ritiene il Collegio che del danno derivante dall’esito del giudizio di esecuzione n. 152/2000 devono rispondere in parti uguali tutti e tre gli odierni convenuti, mentre del danno derivante dall’esito del giudizio di esecuzione n. 233/2002 devono rispondere in parti uguali i convenuti *** e ***.
 
Passando a determinare più specificamente le somme che ciascun convenuto deve rimborsare all’Amministrazione danneggiata, va ricordato che il danno è pari alla somma dei due pagamenti “impropri” (€ 129.621,74), da cui va detratta la parte di fondo di provenienza privata (€ 18.592,45) usata in compensazione dell’ammanco in occasione della restituzione del fondo inutilizzato al competente Ministero, per cui il danno va quantificato in € 111.029,5. Pertanto, volendo quantificare ciascuna delle due poste di danno, tenendo conto dell’incidenza proporzionale di ciascuna partita di danno, così da detrarre da ognuna, sempre in proporzione, la parte di fondo di provenienza privata usata in compensazione dell’ammanco, va rilevato che il prelievo dal fondo a destinazione vincolata conseguente all’esito del giudizio di esecuzione n. 152/2000       (€ 127.887,37), costituisce il 98,7% del depauperamento totale del fondo stesso (€ 129.621,7), per cui il relativo danno va determinato in € 109.586,1 (pari al 98,7% di € 111.029,5), somma che va ripartita in parti uguali tra tutti e tre gli odierni convenuti; ne deriva che ognuno dei tre convenuti deve rimborsare all’Amministrazione danneggiata € 36.528,71 oltre agli accessori di legge.
 
Invece il prelievo dal fondo a destinazione vincolata conseguente all’esito del giudizio di esecuzione n. 233/2002 (€ 1.734,37), costituisce l’ 1,3% del depauperamento totale del fondo stesso (€ 129.621,7), per cui il relativo danno va determinato in € 1.443,38 (pari all’ 1.3% di € 111.029,5), somma che va ripartita in parti uguali tra i convenuti *** e ***; ne deriva che ognuno deve rimborsare all’Amministrazione danneggiata € 721,69 oltre agli accessori di legge.
 
Conseguentemente il danno da doversi risarcire da ciascun convenuto va complessivamente determinato nelle seguenti misure: *** ******** € 36.528,71, *** Leonardo € 37.250,40, *** Rosa € 37.250,40, il tutto aumentato degli accessori di legge.
 
Le spese di giustizia seguono la soccombenza.
 
P.Q.M.
 
La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Basilicata, ogni contraria domanda ed eccezione respinte:
 
a)      Condanna al risarcimento del danno provocato al
 
Ministero dell’Economia e delle Finanze, *** ******** nella misura di € 36.528,71, *** Leonardo nella misura di € 37.250,40, *** Rosa nella misura di € 37.250,40; le predette somme vanno aumentate della rivalutazione monetaria, oltre agli interessi legali che sono dovuti dalla data della presente pronuncia e sino al soddisfo;
 
b)      Le spese di giustizia seguono la soccombenza e vengono determinate nella misura di € 723,24______________
 
( Euro Settecentoventitre/24).
 
Così deciso in Potenza, nella Camera di Consiglio del 13 giugno 2006.
 
   Il Presidente f.f. ed estensore                                   
 
       (dott. ****************)              
 
   *********************
 
 
 
Depositata in Segreteria il 30.06.2006
 
Il Dirigente
 
(dott.*************a)
 
F.to *************

Lazzini Sonia

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