Esami di abilitazione: non è fondata la questione di legittimità costituzionale della norma che prevede l’iscrizione all’albo dei candidati che hanno superato le prove in forza di provvedimenti cautelari del g.a.

Scarica PDF Stampa
E’ quanto ha stabilito la CORTE COSTITUZIONALE con sentenza 9 aprile 2009 n. 108 – Pres. ********, Red. ******* – nel giudizio promosso dal C.G.A. per la Regione siciliana sul ricorso proposto dal Ministero della Giustizia, con ordinanza del 5 giugno 2008, iscritta al n. 328 del registro ordinanze 2008.
In particolare per la Corte costituzionale non è fondata la questione di legittimità costituzionale – sollevata con riferimento agli articoli 3, 24, 25, 103, 111, secondo comma, 113 e 125 della Costituzione – dell’art. 4, comma 2-bis, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115 (Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 agosto 2005, n. 168, il quale stabilisce che: «Conseguono ad ogni effetto l’abilitazione professionale o il titolo per il quale concorrono i candidati, in possesso dei titoli per partecipare al concorso, che abbiano superato le prove d’esame scritte ed orali previste dal bando, anche se l’ammissione alle medesime o la ripetizione della valutazione da parte della commissione sia stata operata a seguito di provvedimenti giurisdizionali o di autotutela».
Ha rilevato infatti la Corte che la disposizione impugnata ha lo scopo di evitare che il superamento delle prove di un esame di abilitazione venga reso inutile dalle vicende processuali successive al provvedimento, con il quale un giudice o la stessa amministrazione, in via di autotutela, abbiano disposto l’ammissione alle prove di esame o la ripetizione della valutazione. Per raggiungere questo scopo, la disposizione rende irreversibili – secondo la giurisprudenza amministrativa – gli effetti del superamento delle prove scritte e orali previste dal bando. Essa, quindi, rende irreversibili anche gli effetti dei provvedimenti giurisdizionali (pure di natura cautelare) o di autotutela amministrativa che abbiano disposto l’ammissione alle prove stesse, precludendo l’ulteriore prosecuzione del processo eventualmente avviato. Così facendo, la disposizione estende agli esami di abilitazione professionale un principio già elaborato dalla giurisprudenza amministrativa per gli esami di maturità.
Essa non contiene una norma di sanatoria, in quanto dispone per il futuro, disciplinando in via generale gli effetti di adempimenti amministrativi, e non intende sanare vizi o irregolarità già verificatisi.
Come confermato anche dalla giurisprudenza amministrativa, la disposizione censurata non si applica ai concorsi pubblici, ma solo agli esami di abilitazione. Questi ultimi sono volti ad accertare l’idoneità dei candidati a svolgere una determinata attività professionale. Accertata questa idoneità, tale attività deve potersi liberamente esplicare. L’accertamento deve essere compiuto da un organo imparziale e dotato di adeguate competenze: è necessario che l’accertamento vi sia, mentre non è decisivo che esso abbia luogo nel corso dell’ordinario procedimento amministrativo di esame o a seguito di un provvedimento giurisdizionale o di autotutela amministrativa.
La disposizione impugnata evita che gli effetti di un simile accertamento, già compiuto, vengano travolti dal risultato del processo, eventualmente avviato in conseguenza della conclusione negativa di un precedente accertamento. Su questo, essa fa prevalere quello successivo, avente esito positivo. Si tratta di una scelta operata dal legislatore in sede di bilanciamento di interessi contrapposti.
Tale bilanciamento di interessi, secondo il Giudice delle leggi, non è irragionevole. Il diritto di difesa dell’amministrazione è sì compresso, ma non eliminato, in quanto esso può comunque esplicarsi fino all’eventuale superamento delle prove. E la sua compressione è giustificata dal fatto che dell’interesse pubblico all’accertamento dell’idoneità del candidato, di cui l’amministrazione stessa è portatrice, la disposizione si fa comunque carico, richiedendo il superamento della prova: è solo a seguito della ripetizione della stessa o della nuova valutazione, con esito positivo – e non semplicemente sulla base di un provvedimento giurisdizionale – che il candidato consegue l’abilitazione. Vi è, quindi, comunque un accertamento dell’idoneità del candidato, affidato alla stessa amministrazione o ad altra egualmente portatrice dello stesso interesse pubblico.
 
 
Avv. ****************
 
SENTENZA N. 108
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
– *****************************
– *********************
– *************** "
– ***************** "
– **************** "
– Franco GALLO "
– ************** "
– ***************** "
– ************** "
– ***************** "
– **************** "
– ********************** "
– ************** "
– ******************** "
– ************ "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 2-bis, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115 (Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 agosto 2005, n. 168, promosso dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana sul ricorso proposto dal Ministero della Giustizia ed altri contro L. B., con ordinanza del 5 giugno 2008, iscritta al n. 328 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2008.
Visto l’atto di costituzione di L. B. nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 10 marzo 2009 il Giudice relatore **************;
uditi l’avvocato *************** per L. B. e l’avvocato dello Stato ************** per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana ha sollevato, con riferimento agli articoli 3, 24, 25, 103, 111, secondo comma, 113 e 125 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 2-bis, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115 (Disposizioni urgenti per assicurare funzionalità di settori della pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 agosto 2005, n. 168.
La disposizione impugnata stabilisce che «Conseguono ad ogni effetto l’abilitazione professionale o il titolo per il quale concorrono i candidati, in possesso dei titoli per partecipare al concorso, che abbiano superato le prove d’esame scritte ed orali previste dal bando, anche se l’ammissione alle medesime o la ripetizione della valutazione da parte della commissione sia stata operata a seguito di provvedimenti giurisdizionali o di autotutela».
2. – Il Collegio rimettente espone che dinanzi a esso pende il ricorso in appello contro la sentenza con la quale il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia ha accolto il ricorso presentato da un candidato che non era stato ammesso alle prove orali dell’esame di abilitazione all’esercizio della professione forense, per l’insufficiente punteggio riportato nelle prove scritte. Il Collegio riferisce che dopo la proposizione dell’appello, ma prima della camera di consiglio fissata per l’esame dell’istanza di sospensione dell’efficacia della sentenza, in esecuzione della sentenza stessa, gli elaborati del candidato sono stati nuovamente corretti ed egli è stato ammesso alle prove orali, che ha superato, per poi iscriversi all’Albo degli avvocati. L’istanza cautelare è stata successivamente accolta dal Collegio rimettente, che ha sospeso gli effetti della sentenza gravata sino all’esito del presente giudizio di legittimità costituzionale.
3. – In ordine alla rilevanza della questione di legittimità costituzionale, il Collegio rimettente rileva innanzitutto la differenza tra il giudizio a quo e quello nel corso del quale la questione di legittimità costituzionale della stessa disposizione era stata precedentemente sollevata dallo stesso Consiglio di giustizia amministrativa, per poi essere dichiarata manifestamente inammissibile dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 312 del 2007, in quanto la disposizione non era rilevante nel giudizio principale.
Il rimettente osserva poi che, se si dovesse applicare la disposizione impugnata, la domanda cautelare andrebbe respinta per carenza del fumus boni juris, in quanto sarebbe improcedibile lo stesso atto di appello. Infatti, nel caso al suo esame, la nuova correzione delle prove scritte e il successivo superamento delle prove orali sono avvenuti dopo la proposizione dell’appello, ma prima che il giudice di secondo grado potesse esaminare il gravame anche solo in fase cautelare. La disposizione impugnata, comportando il definitivo conseguimento dell’abilitazione professionale da parte del candidato, farebbe cessare ex lege ogni interesse dell’amministrazione appellante alla decisione.
L’applicazione della disposizione impugnata, quindi, precluderebbe la pronuncia di merito sulla correttezza della sentenza impugnata e, quindi, sulla legittimità degli atti impugnati con il ricorso di primo grado.
4. – Con riferimento alla non manifesta infondatezza della questione, il rimettente ripropone le censure già espresse nella precedente ordinanza di rimessione, alla quale è conseguita la menzionata ordinanza n. 312 del 2007, e ne aggiunge di nuove.
La disposizione impugnata violerebbe, in primo luogo, l’art. 3 Cost., poiché, non rispettando i principi del giusto processo, lederebbe l’interesse dell’amministrazione che ha indetto il concorso o la sessione d’esame a far sì che la misura cautelare eventualmente accordata conservi il suo carattere strumentale rispetto alla decisione di merito, mentre la disposizione censurata renderebbe avulsa la misura cautelare dal giudizio di merito. Inoltre, la disposizione, consolidando gli effetti prodotti dall’ordinanza cautelare favorevole all’interessato, si porrebbe in contrasto con il dovere dell’amministrazione di tutelare la par condicio degli esaminandi.
La violazione dell’art. 3 Cost. viene lamentata anche sotto il profilo dell’eguaglianza e della ragionevolezza. Il rimettente osserva al riguardo che la disposizione impugnata fa sì che la possibilità, per la parte soccombente, di ottenere la decisione di merito sull’appello dipende da un elemento di fatto come i tempi entro i quali l’amministrazione dà esecuzione alla decisione del giudice di primo grado: si tratterebbe di un elemento inidoneo a giustificare una simile disparità di trattamento.
La disposizione violerebbe, in secondo luogo, gli artt. 24 e 111 Cost., che garantiscono il diritto al contraddittorio e la sua effettività. Secondo il Collegio rimettente, la disposizione denunciata introduce un modello di processo nel quale viene attribuita efficacia di giudicato all’esito di un giudizio che non è neppure a cognizione piena. Non a caso, prosegue il rimettente, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 427 del 1999, ha ritenuto che la finalità di accelerare lo svolgimento dei processi amministrativi non pregiudica il rispetto di precise regole – quali l’integrità del contraddittorio, la completezza delle prove, gli adempimenti processuali per la tutela del diritto di difesa di tutte le parti – che postulano un’effettiva e completa tutela giurisdizionale, ferma restando l’appellabilità della decisione.
La lesione degli artt. 24 e 111 Cost. viene lamentata anche sotto il profilo della parità delle parti nel processo. Non è accettabile, secondo il rimettente, che, secundum eventum litis, una sola parte venga privata del diritto di appello. Al riguardo, viene richiamata la sentenza n. 26 del 2007, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della norma che escludeva che il pubblico ministero potesse appellare le sentenze di proscioglimento.
La disposizione impugnata violerebbe, in terzo luogo, l’art. 25 Cost., in quanto la rivalutazione delle prove scritte può avvenire per effetto di una decisione cautelare emessa da un giudice incompetente, e in quanto la possibilità che sia precluso il giudizio di appello «distoglie la parte pubblica dal suo giudice naturale precostituito per legge che, in questa materia, è in grado di appello il Consiglio di Stato».
La disposizione violerebbe, in quarto luogo, gli artt. 24, 111 e 113 Cost., in quanto la decisione cautelare favorevole al candidato diverrebbe sostanzialmente inimpugnabile una volta che egli abbia superato le prove concorsuali scritte e orali, con ciò verificandosi, da un lato, che un’ordinanza di sospensiva produca effetti definitivi e irreversibili e, dall’altro lato, che la parte interessata perda la possibilità di ottenere il riesame della decisione cautelare, ogni qualvolta la rivalutazione con esito positivo delle prove scritte si concluda – com’è nella normalità dei casi – prima della decisione sull’appello avverso l’ordinanza cautelare (e, ovviamente, prima della celebrazione del giudizio di merito, talché verrebbe meno anche la esperibilità del ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., il quale non è ammesso contro decisioni a carattere strumentale e interinale).
La disposizione violerebbe, in quinto luogo, gli artt. 111 e 113 Cost. sulla garanzia del doppio grado di giurisdizione, oltre che i principi comunitari relativi alla qualità e all’efficacia della tutela giurisdizionale nell’ordinamento comunitario.
La violazione dell’art. 113 Cost. deriverebbe altresì dalla lesione del principio di non limitabilità della tutela giurisdizionale a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti, che deriverebbe dall’inappellabilità delle statuizioni rese dal giudice di prime cure.
La disposizione impugnata violerebbe, infine, l’art. 125 Cost. Al riguardo, il Collegio osserva che la disposizione impugnata impedisce di fatto, almeno potenzialmente, lo svolgimento del giudizio di appello in tutti i casi di accoglimento in prime cure di ricorsi avverso l’esito negativo degli esami. In questo modo, i tribunali amministrativi regionali verrebbero a operare come giudici di unico grado. Ciò contrasterebbe con l’invocata previsione costituzionale, secondo la quale essi sono organi di giustizia amministrativa di primo grado, che il legislatore ordinario non può trasformare in giudici di unico grado, come confermato dalla giurisprudenza costituzionale relativa ai caratteri della giurisdizione amministrativa (sentenza n. 8 del 1982).
5. – Nel giudizio dinanzi alla Corte si è costituita, per il Presidente del Consiglio dei ministri, l’Avvocatura generale dello Stato.
Dopo avere riconosciuto che, a differenza del caso deciso dalla Corte con l’ordinanza n. 312 del 2007, la questione è rilevante per il giudizio principale, l’Avvocatura afferma l’infondatezza della questione, osservando che la disposizione impugnata è stata concepita come una norma di sanatoria, da valutare alla luce della relativa giurisprudenza costituzionale, che non esclude in via di principio le leggi di sanatoria, ma le sottopone a un rigoroso scrutinio di costituzionalità (sentenze nn. 14 del 1999, 94 del 1995, 402 del 1993, 474 del 1988, 100 del 1987). La disposizione impugnata, introdotta per esigenze organizzative e di celerità, per evitare gravi disfunzionalità e consolidare posizioni acquisite, sarebbe coerente con i principi stabiliti da questa giurisprudenza.
Con riferimento alle censure formulate dal Consiglio di giustizia amministrativa, la difesa statale nega che vi sia violazione del principio di eguaglianza, in quanto il presupposto per l’applicazione della disposizione è comunque il superamento dell’esame, sia pure in sede di nuova correzione. Nega anche che vi sia lesione del diritto di difesa, in quanto la disposizione si applica solo agli esami di abilitazione, non essendovi quindi la necessità di tutelare l’integrità del contraddittorio nei confronti dei controinteressati. Esclude, poi, che sia violato il principio del giudice naturale, osservando che è irrilevante la circostanza che, in singoli casi concreti, possa essere adito un giudice incompetente e che, nel giudizio amministrativo, le regole sulla competenza territoriale non sono applicabili in sede cautelare. Ritiene, infine, che non sia violato il principio del doppio grado di giurisdizione, in quanto la disposizione non preclude la proposizione dell’appello, ma può solo renderlo improcedibile, e d’altra parte i tempi della giustizia non possono determinare l’illegittimità costituzionale di una norma.
6. – Si è costituito anche il ricorrente nel giudizio a quo, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.
La questione sarebbe inammissibile, secondo la difesa del ricorrente, per via dell’inammissibilità del ricorso nel giudizio principale, derivante dal fatto che la commissione esaminatrice avrebbe spontaneamente proceduto alla nuova valutazione delle prove. La questione sarebbe inammissibile anche perché le conseguenze della disposizione, lamentate nell’ordinanza di rimessione, sarebbero inconvenienti di fatto. L’inammissibilità deriverebbe, ancora, dalla perplessità e contraddittorietà della stessa ordinanza, che fa riferimento all’ipotesi in cui l’ammissione agli esami sia stata disposta con provvedimento cautelare, e dal fatto che il rimettente non avrebbe tenuto conto che altri giudici hanno escluso l’incostituzionalità della disposizione impugnata.
L’infondatezza della questione viene argomentata, oltre che con la circostanza che il ricorrente ha superato le prove orali, con l’interesse dell’amministrazione a una pronta definizione dei procedimenti concorsuali, con l’esigenza di tutela del candidato ricorrente. Secondo la difesa del ricorrente, la disposizione impugnata assicura un soddisfacente bilanciamento delle esigenze di verifica della preparazione del candidato e di difesa in giudizio dello stesso.
Considerato in diritto
1. – Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana ha sollevato, con riferimento agli articoli 3, 24, 25, 103, 111, secondo comma, 113 e 125 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 2-bis, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115 (Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 agosto 2005, n. 168.
La disposizione impugnata stabilisce che «Conseguono ad ogni effetto l’abilitazione professionale o il titolo per il quale concorrono i candidati, in possesso dei titoli per partecipare al concorso, che abbiano superato le prove d’esame scritte ed orali previste dal bando, anche se l’ammissione alle medesime o la ripetizione della valutazione da parte della commissione sia stata operata a seguito di provvedimenti giurisdizionali o di autotutela».
Secondo il rimettente, la disposizione viola l’art. 3 Cost., ledendo i princìpi del giusto processo, della par condicio tra gli esaminandi, dell’eguaglianza e della ragionevolezza, gli artt. 24 e 111 Cost., sotto i profili del diritto al contraddittorio e della parità delle parti nel processo, l’art. 25 Cost., sotto il profilo del giudice naturale, nonché gli artt. 24, 111, 113 e 125 Cost., sotto i profili del diritto di difesa, del doppio grado di giurisdizione e della non limitabilità della tutela giurisdizionale a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti.
2. – Vanno preliminarmente disattese le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla parte privata. Non è argomentata in modo convincente la tesi dell’irrilevanza derivante dall’inammissibilità del ricorso nel giudizio principale, dato che la commissione esaminatrice si è limitata a eseguire la sentenza del giudice di primo grado. Le conseguenze della disposizione impugnata, lamentate nell’ordinanza di rimessione, non costituiscono inconvenienti di fatto, accidentalmente prodotti dalla disposizione stessa, ma il risultato che essa intende raggiungere. L’ordinanza di rimessione, pur riportando anche letteralmente le censure già contenute nella precedente ordinanza di rimessione dello stesso Consiglio di giustizia amministrativa, consente di identificare agevolmente le censure stesse. Infine, il fatto che altri giudici avessero precedentemente dichiarato la manifesta infondatezza della questione non impediva certo al collegio rimettente di sollevarla, né impedisce a questa Corte di esaminarla nel merito.
3. – Nel merito, la questione non è fondata.
La disposizione impugnata ha lo scopo di evitare che il superamento delle prove di un esame di abilitazione venga reso inutile dalle vicende processuali successive al provvedimento, con il quale un giudice o la stessa amministrazione, in via di autotutela, abbiano disposto l’ammissione alle prove di esame o la ripetizione della valutazione. Per raggiungere questo scopo, la disposizione rende irreversibili – secondo la giurisprudenza amministrativa – gli effetti del superamento delle prove scritte e orali previste dal bando. Essa, quindi, rende irreversibili anche gli effetti dei provvedimenti giurisdizionali (pure di natura cautelare) o di autotutela amministrativa che abbiano disposto l’ammissione alle prove stesse, precludendo l’ulteriore prosecuzione del processo eventualmente avviato. Così facendo, la disposizione estende agli esami di abilitazione professionale un principio già elaborato dalla giurisprudenza amministrativa per gli esami di maturità.
Essa non contiene una norma di sanatoria, in quanto dispone per il futuro, disciplinando in via generale gli effetti di adempimenti amministrativi, e non intende sanare vizi o irregolarità già verificatisi.
Come confermato anche dalla giurisprudenza amministrativa, la disposizione censurata non si applica ai concorsi pubblici, ma solo agli esami di abilitazione. Questi ultimi sono volti ad accertare l’idoneità dei candidati a svolgere una determinata attività professionale. Accertata questa idoneità, tale attività deve potersi liberamente esplicare. L’accertamento deve essere compiuto da un organo imparziale e dotato di adeguate competenze: è necessario che l’accertamento vi sia, mentre non è decisivo che esso abbia luogo nel corso dell’ordinario procedimento amministrativo di esame o a seguito di un provvedimento giurisdizionale o di autotutela amministrativa.
La disposizione impugnata evita che gli effetti di un simile accertamento, già compiuto, vengano travolti dal risultato del processo, eventualmente avviato in conseguenza della conclusione negativa di un precedente accertamento. Su questo, essa fa prevalere quello successivo, avente esito positivo. Si tratta di una scelta operata dal legislatore in sede di bilanciamento di interessi contrapposti.
Da un lato, vi è l’interesse alla piena e definitiva verifica della legittimità degli atti compiuti dall’amministrazione nel corso del procedimento di esame e, quindi, della correttezza della precedente valutazione, che abbia in ipotesi condotto all’esclusione del candidato. Questo interesse indurrebbe a consentire la prosecuzione del processo fino alla sua naturale conclusione. Allo stesso esito condurrebbe la piena esplicazione del diritto di difesa di entrambe le parti, nell’interesse di ciascuna delle quali sono predisposti i diversi gradi di giudizio e le diverse fasi processuali.
Dall’altro lato, vi sono l’interesse a evitare che gli esami si svolgano inutilmente, quello a evitare che la lentezza dei processi ne renda incerto l’esito e, soprattutto, l’affidamento del privato, il quale abbia superato le prove di esame e – in ipotesi – avviato in buona fede la relativa attività professionale. Dal punto di vista dell’interesse generale, vi è anche un’esigenza di certezza, sia in ordine ai tempi di conclusione dell’accertamento dell’idoneità dei candidati, sia in ordine ai rapporti instaurati dal candidato nello svolgimento dell’attività professionale.
Il legislatore ha ritenuto di contemperare i diversi interessi rilevanti, accordando una particolare tutela all’affidamento del cittadino. Questo comporta indubbiamente una certa compressione del diritto di difesa, in quanto si introduce una dissimmetria tra le due parti del processo amministrativo eventualmente avviato: al ricorrente, che soccomba in primo grado o nel giudizio cautelare, è assicurata la possibilità di ricorso o di esame nel merito; se, invece, è l’amministrazione a soccombere, è possibile che il giudizio di secondo grado o di merito non abbia luogo, perché il superamento delle prove può determinare l’estinzione del processo.
Queste conseguenze vanno valutate alla luce dei principi costituzionali, che non escludono una ragionevole limitazione del diritto di difesa dell’amministrazione.
Come osservato da questa Corte con riferimento al processo penale, ma con argomenti che possono essere parzialmente estesi al processo amministrativo, il principio di parità tra le parti nel processo non comporta necessariamente l’identità dei rispettivi poteri processuali: «stanti le differenze fisiologiche fra le due parti, dissimmetrie sono, così, ammissibili anche con riferimento alla disciplina delle impugnazioni, ma debbono trovare adeguata giustificazione ed essere contenute nei limiti della ragionevolezza» (sentenza n. 26 del 2007). Simili limitazioni – è stato ribadito – per essere rispettose dei princìpi di parità delle parti, eguaglianza e ragionevolezza e del diritto di difesa, devono essere sorrette da una razionale giustificazione (sentenza n. 85 del 2008).
Con specifico riferimento al processo amministrativo, una ragionevole dissimmetria può essere giustificata alla luce dell’art. 113 Cost. Questo parametro, invocato dal rimettente a tutela del diritto di difesa dell’amministrazione, è in effetti rivolto – all’inverso – a garantire il cittadino contro gli atti della pubblica amministrazione.
Alla luce di questi princìpi, il bilanciamento di interessi operato dal legislatore, con la disposizione denunciata, non è irragionevole. Il diritto di difesa dell’amministrazione è sì compresso, ma non eliminato, in quanto esso può comunque esplicarsi fino all’eventuale superamento delle prove. E la sua compressione è giustificata dal fatto che dell’interesse pubblico all’accertamento dell’idoneità del candidato, di cui l’amministrazione stessa è portatrice, la disposizione si fa comunque carico, richiedendo il superamento della prova: è solo a seguito della ripetizione della stessa o della nuova valutazione, con esito positivo – e non semplicemente sulla base di un provvedimento giurisdizionale – che il candidato consegue l’abilitazione. Vi è, quindi, comunque un accertamento dell’idoneità del candidato, affidato alla stessa amministrazione o ad altra egualmente portatrice dello stesso interesse pubblico.
Presupposto per l’applicazione della disposizione impugnata è che, a seguito di un provvedimento giurisdizionale o di iniziativa della stessa amministrazione, vi sia stato un nuovo accertamento dell’idoneità del candidato, con la ripetizione delle prove o con una nuova valutazione di esse. È questo accertamento amministrativo, e non il provvedimento del giudice, a produrre l’effetto di conseguimento dell’abilitazione, che la disposizione rende irreversibile. Il legislatore ha ritenuto che, una volta operato il nuovo accertamento, la prosecuzione del processo, avviato per contestare l’esito del precedente accertamento, fosse superflua e potesse andare a detrimento dell’affidamento del privato e della certezza dei rapporti giuridici. Ciò spiega perché la disposizione possa trovare applicazione anche quando il nuovo accertamento è stato operato a seguito di un provvedimento cautelare del giudice.
Da quanto precede deriva l’infondatezza delle censure, relative agli artt. 3, 24, 111 e 113 Cost., basate sulla presunta lesione del diritto di difesa dell’amministrazione.
Non è fondata la censura relativa all’art. 3 Cost., con la quale si lamenta la violazione della par condicio tra gli esaminandi, perché la disposizione si applica a tutti i candidati e non produce alcuna disparità di trattamento tra candidati che si trovino nella stessa posizione. È infondata, poi, la censura relativa all’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, perché l’effetto di porre un limite temporale alla conclusione della vicenda giudiziaria è proprio lo scopo, non irragionevole, della disposizione.
Non sono altresì fondate le censure relative all’art. 25 Cost. Da un lato, il fatto che la decisione favorevole al candidato possa conseguire a un provvedimento giurisdizionale di natura cautelare non elimina il fatto che essa consegue comunque a un nuovo accertamento di natura amministrativa. Dall’altro, giudice naturale delle controversie in esame non è solo il Consiglio di Stato, ma anche, in primo grado, il tribunale amministrativo regionale.
Non sono fondate, infine, le censure relative agli artt. 24, 113 e 125 Cost., sotto il profilo del doppio grado di giurisdizione. È vero, infatti, che la Costituzione impedisce di attribuire ai tribunali amministrativi regionali competenze giurisdizionali in unico grado (sentenze n. 395 del 1988 e n. 8 del 1982). La disposizione impugnata, tuttavia, non esclude l’appello e non impedisce lo svolgimento né la prosecuzione del processo, ma produce un effetto sostanziale, consistente nel consolidamento di un effetto giuridico, che costituisce un limite alla prosecuzione del processo che non sia ancora concluso.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 2-bis, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115 (Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 agosto 2005, n. 168, sollevata, con riferimento agli articoli 3, 24, 25, 103, 111, secondo comma, 113 e 125 della Costituzione, dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’1 aprile 2009.
F.to:
******************, Presidente
**************, Redattore
*****************, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 9 aprile 2009.

Matranga Alfredo

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento