Efficienza, efficacia e libertà? Efficienza (in)naturale

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            Per iniziare la riflessione sul rapporto spesso ambiguo tra efficienza, efficacia e libertà è forse bene partire dal clima culturale che a fine ‘800 pervadeva l’Italia e in particolare l’ex provincia imperiale del Lombardo-Veneto, così la descrive Gigliobianco : “ La vittoria della Prussia sulla Francia del 1870, dopo quella sull’Austria del 1866, alimentò l’interesse per tutto ciò che era tedesco: la Germania sembrava avere risolto brillantemente i problemi di costruzione nazionale che ancora affliggevano l’Italia . Così Benedetto Croce descrisse il clima degli anni ottanta: “la Germania era allora da me, come dai miei maestri e dagli italiani tutti, stimata e riverita, per potenza militare, per dottrina, per capacità tecnica e per serietà nel modo di intendere la vita”. Non per caso questo richiamo fu sentito più fortemente da alcuni intellettuali lombardi e veneti: l’ammirazione per il successo tedesco si saldava naturalmente con il sentimento austroungarico che animava il Risorgimento, mentre il rapporto culturale con Berlino era favorito da una buona conoscenza della lingua, retaggio della dominazione austriaca” (85, Via Nazionale. Banca d’Italia e classe dirigente. Cento anni di storia, Donzelli, 2006).

            L’efficienza di per sé neutra è considerata positivamente ai fini evoluzionistici, tuttavia occorre valutare l’oggetto dell’efficienza, il fine verso cui è diretta, accanto quindi alla pura efficacia economica vi è una valutazione etica comunque necessaria se si vogliono evitare gli orrori che una efficienza asettica può causare, come nel caso della fusione del mito della forza e della supremazia con l’efficienza tecnica propria della Germania guglielmina, prodromo di due guerre mondiali e degli orrori conseguenti delle dittature che insanguinarono l’Europa.

            Il sentimento della libertà è qualcosa che nasce dal rapporto con l’oppressione e può essere rafforzato dall’efficienza ma anche oppresso dalla fredda efficienza economica e tecnica, dobbiamo considerare che vari possono essere i metodi per raggiungere una determinata efficienza, come la stessa sia un cristallo poliedrico che presenta facce e luci diverse, essa ha in sé la necessità di un raffronto come lo ha la libertà; il prototipo ideale costruito sulle necessità ed osservazioni sociali o tecniche che siano, viene misurato, soppesato e quale punto di riferimento valutato e modificato, la mancanza di un prototipo crea il caos fino all’impossibilità gestionale e all’esplosione, la rigidità dello stesso la sclerosi e l’implosione, il modello diventa essenziale sia nelle scienze esatte che nelle scienze sociali, per arrivare agli aspetti educativi propri della formazione.

            Anche l’informatica, simbolo dell’efficienza per antonomasia, presenta il lato oscuro di un controllo impalpabile fondato sulla tracciabilità ed accumulo dell’informazione, una potenziale manovrabilità occulta di masse crescenti di individui fondata su una apparente libertà, la sottile possibilità di predeterminare le scelte fornendo un senso di assoluta libertà nelle potenziali scelte stesse, ma al contempo modifica il valore dei beni consentendo schedature e controlli sui beni materiali, comprimendone eventualmente il valore nelle possibili tassazioni e controlli, in perfetta antitesi alle esponenziali possibilità di movimento di quel bene immateriale che è la finanza, un’ulteriore occasione di crescita, si viene pertanto a creare una piramide in cui al vertice si pongono pochi grandi gruppi finanziari da cui dipendono in via decrescente le banche centrali, il ceto politico, i mass media e infine la base, una massa nell’insieme indifferenziata nella sua complementare settorializzazione.

            L’efficienza informatica permette quella che in meccanica quantistica è l’entanglement e nella relatività generale il wormhole ( J.M. Maldacena, Entanglement quantistico e geometria, 46 – 53, in Le Scienze, 570, 2/2016), ma l’efficienza così raggiunta può essere anche causa dello svuotamento del controllo democratico, una proiezione della libertà di decisione apparente in cui vi è uno scambio tra possibilità di scelta e controllo di ultima istanza, l’illusione che la tecnica di per sé possa essere positiva e risolvere i limiti delle risorse ambientali è un ulteriore aspetto relativo al mito dell’efficienza, quale totem in grado di risolvere i conflitti che il solo esistere comporta.

            La tecnica è di per sé l’accrescere di un determinato rischio che viene controllato attraverso il progredire dell’efficienza, ma questa ultima in termini economici può essere letta attraverso il “prezzo” del mercato, tuttavia il prezzo è un elemento manovrabile in cui possono essere ricompresi o meno i costi esternabili del rischio, come nel caso dei rischi ambientali che la necessità del raffronto tra due piani di tempi, a breve e a lungo, nonché dei relativi interessi concentrati nell’arco della vita, fa sì che prevalga una “determinata” efficienza, l’efficienza tecnica nello sfruttamento delle risorse non rinnovabili come all’opposto l’aumento dell’efficienza nello sfruttamento delle risorse rinnovabili può essere tale da condurre al’impossibilità del rinnovo della risorsa, l’efficienza stessa nella rapidità del rinnovo delle tecnologie può impedirne la valutazione degli effetti e condurre a cambiamenti e collassi repentini, basti pensare al raggiungimento del “punto climatico critico del non ritorno” dei 2° C (National Oceanic and Atmospheric Administration – NOAA, USA, 2005).

            L’efficienza può risolversi in incertezza e irreversibilità, una vulnerabile di sistema anche a minime modifiche, essa si basa su una migliore utilizzazione delle risorse ma il progresso tecnico consiste anche in una progressiva crescita dell’utilizzo delle stesse, nella ricerca continua di fonti di energia, il rapporto tra ecosistemi e sistemi umani sono raramente lineari e prevedibili, quindi controllabili dall’uomo, vi è in essi una complessità che sfugge alla nostra capacità di controllo ma anche di una prevedibilità sufficientemente precisa, non si può d’altronde puntare sulla sola efficienza di un “mercato perfetto”  che attraverso i prezzi dia razionalità all’agire umano, i costi unitari da cui misurare l’efficienza non considera i costi esternati, equità e resilienza della natura risultano variabili imponderabili e da non valutare, prevale l’orizzonte temporale a breve della fusione tra interessi politici e delle grandi corporazioni nella distorsione dei prezzi.

            I paesi emergenti nella loro spinta ad una crescita accelerata, da non confondere con il progresso, seguono le vecchie procedure energetiche già consolidate dell’Ottocento/Novecento, previste per  paesi e popolazioni di dimensioni inferiori, si ha così che il progresso tecnico dell’aumento della produttività del lavoro dell’uomo si risolva nella divaricazione dalla natura e nella distruzione non rinnovabile delle risorse ambientali, con una conseguente ulteriore complicazione, si supera pertanto la visione ottimistica del primo ‘900 e l’efficienza tecnologica acquista una dimensione ambivalente tra “positivo” e “negativo”, solo ad elevati livelli di PIL pro-capite comincia ad emergere la problematicità dell’efficienza tecnologica, attraverso la Conferenza ONU di Stoccolma del 1972 sull’ambiente e la Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 sull’ambiente e sviluppo, si cominciò a riflettere sul concetto di efficienza economica in relazione all’utilizzo delle risorse dell’ecosistema, sganciando il concetto di efficienza tecnologica da una visione sempre e comunque positiva indipendente sia dalla natura che dai sistemi umani, rimane tuttavia la difficoltà del diffondersi di una tale cultura e dell’intreccio degli interessi consolidati tra vecchie corporazioni e nuove potenze emergenti, si che solo gravi crisi sistematiche e notevoli costi umani potranno indurre a nuove valutazioni.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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