E’ viziata la sentenza che nulla dispone in merito alle spese di giudizio.

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Qualora il difensore della parte, come comunemente avviene, nel proprio atto tra le conclusioni chieda la condanna di controparte al pagamento delle spese del procedimento civile, il giudice deve necessariamente provvedere in merito alla richiesta e, qualora intenda compensarle tra le parti deve darne adeguata motivazione, tale evenienza non può, infatti, ritenersi desumibile dalla omessa pronuncia sul punto.

Peraltro, l’anzidetta omissione non risulta neppure sanabile con la procedura per correzione dell’errore materiale, proprio in virtù del fatto che non ci si troverebbe dinnanzi ad un svista, ma ad un vero e proprio vizio della sentenza che, in quanto tale, necessiterebbe di una ordinaria impugnazione.

Questo il principio stabilito dalla Corte di Cassazione, Sez. II, nella sentenza n. 12625, pubblicata in data 17 giugno 2016.

A tal proposito, occorre osservare come l’art. 91, I comma, c.p.c., dispone che: “Il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa”, così come il successivo art. 92 c.p.c., al comma I e II, specifica come: “Il giudice, nel pronunciare la condanna di cui all’articolo precedente, può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, se le ritiene eccessive o superflue; e può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, che, per trasgressione al dovere di cui all’articolo 88, essa ha causato all’altra parte. Se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero”.

Ciò posto, la Suprema Corte, richiamando un proprio precedente (Cass. sent. n. 13513/2005), statuisce come: “la mancata statuizione sulle spese del giudizio integra una vera e propria omissione di carattere concettuale e sostanziale e costituisce un vizio della sentenza, stante la mancanza di qualsiasi decisione da parte del giudice in ordine ad una domanda che è stata ritualmente proposta e che richiede pertanto una pronuncia di accoglimento o di rigetto. Ne consegue che l’omessa pronuncia sulle spese in un provvedimento a contenuto decisorio che definisce il giudizio non costituisce mero errore materiale emendabile con la speciale procedura di correzione prevista dagli arti. 287 e ss. cod. proc. civ., ma vizio di omessa pronuncia da farsi valere solo con i mezzi d’impugnazione”.

La vicenda trae origine dalla difesa predisposta da un legale, in favore di un cittadino extracomunitario, ammesso provvisoriamente al gratuito patrocinio a spese dello Stato, in un giudizio di opposizione avverso il decreto di espulsione, definitosi dinnanzi alla Suprema Corte che, tuttavia, nulla disponeva sulle spese di giudizio in assenza di attività difensiva da parte dell’intimato.

Il legale depositava istanza per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione, dinnanzi al giudice di pace del luogo, che respingeva la domanda e, successivamente, impugnava il provvedimento davanti al Tribunale, che effettivamente liquidava le spese del giudizio di Cassazione, ma non quelle del giudizio di opposizione, nonostante l’espressa richiesta e il deposito di apposita nota spese.

Il Supremo Collegio, al quale il legale ricorreva, come detto accoglieva il ricorso, evidenziando come l‘ordinanza sentenza del Tribunale fosse meritevole di censura nella parte in cui aveva omesso di disporre sulle spese del giudizio di opposizione, se pur ritualmente richieste, bollando la sentenza come viziata per violazione degli art. 91 e 92 c.p.c.

Avv. Paolo Accoti – Trebisacce (CS)

Avv. Accoti Paolo

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