E’ radicalmente nulla quella parte della delibera assembleare che, nel decidere l’adeguamento alle norme di legge dell’impianto elettrico comune, prevede interventi nelle parti private

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riferimenti normativi: art.  1123 c.c.

precedenti giurisprudenziali: Cass. civ., Sez. II, Sentenza n. 14815 del 09/10/2014

La vicenda

L’assemblea di un condominio, in sede di approvazione dei lavori di adeguamento alla legge dell’impianto elettrico, deliberava anche opere nelle parti private (cioè l’installazione di interruttori magnetotermici), stabilendo di ripartire la spesa totale (comprensiva degli interventi nelle proprietà esclusive) in base ai millesimi.

Alcuni condomini si rivolgevano al Tribunale per chiedere che la delibera sopra detta fosse dichiarata nulla perché imponeva opere nelle parti private; in ogni caso pretendevano, relativamente alle opere elettriche eseguite su beni di proprietà esclusiva, che l’impianto interruttori fosse configurato in modo tale da consentire ai singoli condomini di provvedere autonomamente all’adeguamento alle prescrizioni di legge.

Il Tribunale respingeva le richieste dei condomini, mentre la Corte d’appello accoglieva solo in parte le ragioni degli attori e, in riforma dell’appellata sentenza, in ogni altra parte confermata, annullava la delibera solo nella parte in cui, aveva ripartito in base ai millesimi anche le spese relative ad interventi su parti di proprietà esclusiva.

Secondo la Corte di appello, quindi, era errato il criterio di ripartizione spese ma era validità la delibera per il rifacimento dell’impianto elettrico, poiché lo stesso, pur interessando le parti di privata proprietà, era migliorativo ed innovativo; inoltre affermava che l’ammodernamento dell’impianto elettrico era un intervento urgente di straordinaria manutenzione.

A condomini non rimaneva che ricorrere in cassazione, facendo presente come la decisione avesse violato i diritti dei singoli condomini su porzioni di proprietà esclusiva.

La questione

E’ validità la delibera di spesa per il rifacimento dell’impianto elettrico comune che prevede anche opere nelle parti di privata proprietà?

La soluzione

La Cassazione ha ritenuto radicalmente nulla la delibera nella parte in cui ha deciso l’installazione di interruttori magnetotermici in tutte le unità immobiliari private. I giudici supremi, infatti, hanno ricordato che i poteri dell’assemblea non possono invadere la sfera di proprietà dei singoli condomini, sia in ordine alle cose comuni sia a quelle esclusive, a meno che tale “sconfinamento” sia stato da loro specificamente accettato o nei singoli atti di acquisto o mediante approvazione del regolamento di condominio che lo preveda.

Del resto secondo la Cassazione tale interferenza nella sfera di proprietà esclusiva del condomino è comunque illegittima anche se  “la sostituzione degli interruttori era volta soltanto a migliorare od ammodernare l’impianto”.

Le riflessioni conclusive

Per comprendere la decisione in commento sembra opportuno partire dall’analisi di un caso concreto.

Non si può escludere in un box la presenza di impianti comuni, correnti sotto il piano di calpestio e dei quali la stessa unità immobiliare fruisce; l’intercapedine, nella quale sono inseriti gli impianti tecnologici, separata dal box da una soletta, è parte comune del fabbricato condominiale: dall’accertata proprietà condominiale dell’intercapedine discende che l’unità immobiliare di loro proprietà non è soggetta a vincoli o limitazioni inerenti al regime condominiale di cui all’articolo 1117 n. 3 c.c.

Di conseguenza non è consentito alla maggioranza dei condomini deliberare una diversa collocazione delle tubazioni comuni nel locale box di proprietà esclusiva, con pregiudizio di tale proprietà, senza il consenso del proprietario del locale stesso.

La delibera che dispone la diversa collocazione delle tubazioni dell’impianto comune di riscaldamento all’interno del box di esclusiva proprietà dei ricorrenti senza il consenso dei medesimi è radicalmente nulla.

L’unica circostanza in cui è ammissibile una simile ingerenza nel diritto dominicale altrui si verifica allorché i beni di proprietà esclusiva incidano sulle cose comuni impedendone un uso adeguato.

Al di fuori di questa particolare ipotesi però si deve affermare che i poteri dell’assemblea, i quali sono fissati tassativamente dal codice, non possono invadere la sfera di proprietà dei singoli condomini, sia in ordine alle cose comuni che a quelle esclusive, tranne che una siffatta invasione sia stata da loro specificamente accettata o nei singoli atti di acquisto o mediante approvazione del regolamento di condominio che la preveda.

Una simile delibera non può che considerarsi nulla, tenuto conto del fatto che la citata delibera incide sulla proprietà esclusiva dei condomini ingiunti.

Il principio è stato confermato dalla Cassazione secondo cui l’assemblea condominiale non può validamente assumere decisioni che riguardino i singoli condomini nell’ambito dei beni di loro proprietà esclusiva, salvo che non si riflettano sull’adeguato uso delle cose comuni; così nel caso di lavori di manutenzione di balconi di proprietà esclusiva degli appartamenti che vi accedono, è valida la deliberazione assembleare che provveda al rifacimento degli eventuali elementi decorativi o cromatici, che si armonizzano con il prospetto del fabbricato, mentre è nulla quella che disponga in ordine al rifacimento della pavimentazione o della soletta dei balconi, che rimangono a carico dei titolari degli appartamenti che vi accedono.

Allo stesso modo la delibera adottata a maggioranza di ripartizione in parti uguali (ovvero con regime “capitario”) degli oneri derivanti dalla manutenzione di parti comuni, in deroga ai criteri di proporzionalità fissati dall’art. 1123 c.c., è nulla. Infatti , a tal fine, è necessaria una convenzione approvata all’unanimità, che sia espressione dell’autonomia contrattuale .

In entrambi i casi si discute se il giudice in sede di opposizione a decreto ingiuntivo possa sindacare o rilevare le ragioni di nullità delle delibere assembleari di ripartizione delle spese sulle quali sono basati i provvedimenti monitori, o se invece tale ufficio debba limitarsi a verificare la sussistenza della delibera, riservandone ogni valutazione di merito all’eventuale giudice del processo ai sensi dell’articolo 1137 c.c.

E’ noto infatti il principio in ragione del quale nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di contributi per spese, il condomino opponente non può far valere questioni attinenti alla annullabilità della delibera condominiale di approvazione dello stato di ripartizione” (Cass. civ., sez. II, 07/11/2016, n. 22573) e che la verifica del giudice debba limitarsi all’ambito della “perdurante esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere” (Cass. civ., Sez. Unite, 18/12/2009, n. 26629).

Secondo una tesi nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di oneri condominiali, il limite alla rilevabilità, anche d’ufficio, dell’invalidità delle sottostanti delibere non opera allorché si tratti di vizi implicanti la loro nullità, trattandosi dell’applicazione di atti la cui validità rappresenta un elemento costitutivo della domanda (nel senso della rilevabilità della nullità della delibera, ad esempio, Cass. civ., Sez. II, 12/01/2019, n. 305; Cass. civ., Sez. II, 12/01/2016, n. 305. Nel senso che ogni forma di invalidità della delibera sarebbe sottratta alla cognizione del giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo, invece si veda: Cass. civ., Sez. II, 09/08/2019, n. 21240; Cass. civ., Sez. II, 28/03/2019, n. 8685; Cass. civ., Sez. II, 23/02/2017, n. 4672).

Dato l’evidente contrasto di orientamenti la Cassazione ha quindi disposto la trasmissione degli atti al primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. II, 01/10/2019, n. 24476)

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Consulente legale condominialista Giuseppe Bordolli

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