E’ “privata dimora” anche una casa ove è in corso un trasloco

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     Indice

  1. La questione
  2. La soluzione adottata dalla Cassazione
  3. Conclusioni

1. La questione

La Corte di Appello di Brescia confermava una condanna pronunciata dal Tribunale di Bergamo in composizione monocratica a seguito di giudizio abbreviato disapplicandosi, però, al contempo, la contestata recidiva, rideterminando, conseguentemente, la pena in mesi 6 di reclusione.

Ciò posto, va altresì rilevato che l’accusa concerneva una violazione di domicilio, così diversamente qualificato un tentativo di furto in abitazione, per la quale, previa concessione delle circostanze attenuanti equivalenti alle contestate aggravanti di cui all’art. 61 n.11 quater cod. pen. e la recidiva specifica reiterata infraquinquennale, il ricorrente era stato condannato in primo grado alla pena di anni 1 di reclusione.

Avverso il provvedimento emesso dalla Corte territoriale bresciana proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato che, tra i motivi ivi addotti, prospettava la violazione dell’art. 606 lett c) ed e) cod. proc. pen. per inosservanza delle norme processuali e vizio di motivazione in ordine all’affermazione della penale responsabilità in relazione alla violazione di domicilio, deducendosi a tal riguardo che, sotto tale profilo, i fatti di cui all’imputazione si sarebbero consumati all’interno di una casa in cui era in corso un trasloco e quindi disabitata con la conseguenza che sarebbero difettati i necessari requisiti per considerarla “privata dimora“.

2. La soluzione adottata dalla Cassazione 

La Suprema Corte riteneva la doglianza summenzionata inammissibile in quanto, a suo avviso, manifestamente infondata non confrontandosi con il contenuto della sentenza impugnata e con il consolidato orientamento della giurisprudenza della Cassazione in tema di definizione di “privata dimora“.

In particolare, il Supremo Consesso faceva presente innanzitutto come il ricorrente non avesse tenuto conto delle indicazioni fornite, successivamente alla pronunzia indicata in ricorso (Cass. sez. 5 n.21062/2014), dalla Suprema Corte a Sezioni unite e dell’interpretazione ivi contenuta, sia pure con riferimento alla fattispecie di cui all’art. 624 bis cod. pen., della nozione di privata dimora (Cass. SU, n. 31345 del 23/3/2017).


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In effetti, rilevavano gli Ermellini nella pronuncia qui in commento, pur constatando l’ampio campo semantico rilevante ai fini della identificazione del concetto di «privata dimora», le Sezioni Unite hanno rifiutato l’impostazione logico-interpretativa che ampliava la fattispecie astratta includendovi tanto i luoghi che erano strutturati in guisa da inibire l’accesso al pubblico (portoni, saracinesche o altri meccanismi) quanto i luoghi adibiti ad atti della vita privata (specificandosi che atti della vita privata non erano soltanto quelli della vita intima o familiare, ma anche quelli dell’attività professionale o lavorativa, o quelli posti in essere a contatto con altri soggetti, quali l’acquisto di merce in un supermercato, la fruizione di una prestazione professionale, il compimento di operazioni bancarie).

La Suprema Corte ha, dunque, sposato un significato restrittivo, muovendo dalla lettera del testo normativo, ritenendo che nella previsione dell’art. 624 bis cod. pen. debbano includersi i luoghi che siano stati adibiti «in modo apprezzabile sotto il profilo cronologico allo svolgimento di atti della vita privata, non limitati questi ultimi soltanto a quelli della vita familiare e intima (propri dell’abitazione)» nonché i luoghi che, ancorché non destinati allo svolgimento della vita familiare o domestica, abbiano, comunque, le caratteristiche dell’abitazione.

In definitiva, affermavano i giudici di piazza Cavour nella pronuncia in esame, si è ritenuto che, per poter sussumere il fatto nell’ipotesi delittuosa contemplata dall’art. 624 bis cod. pen. in relazione alla nozione di privata dimora, dovessero concorrere indefettibilmente tre elementi: a) l’utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere) in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne; b) la durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) la non accessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare.

Orbene, premesso ciò, la Corte di legittimità riteneva come l’essersi introdotto il ricorrente nell’appartamento ove era in corso un trasloco, alla luce delle indicazioni fornite dalla richiamata pronunzia, non escludesse la qualificazione dello stesso quale luogo di “privata dimora“, quale abitazione della persona offesa ove la stessa svolgeva la sua vita privata, non potendo rilevare il trasloco in corso ai fini della esclusione della fattispecie contestata 

3. Conclusioni 

La decisione in esame è assai interessante essendo ivi formulate alcune precisazioni in relazione a cosa debba intendersi per luogo di “privata dimora”.

Difatti, si afferma in tale pronuncia, alla luce delle coordinate ermeneutiche elaborate dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 31345 del 23/3/2017, che anche un appartamento (o casa che dir si voglia) ove in corso un trasloco rientra in una “privata dimora”, non potendo rilevare siffatta circostanza, ossia il fatto che per l’appunto si stia traslocando, per escludere la configurabilità del delitto di violazione di domicilio.

E’ dunque sconsigliabile intraprendere una linea difensiva – perlomeno alla luce di quanto affermato dalla Cassazione in tale provvedimento – che, al contrario, sostenga l’insussistenza di codesto illecito penale solo perché, nella “privata dimora” violata, è in corso un trasloco.

Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in questa sentenza, proprio perché prova a fare chiarezza su tale peculiare tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere positivo.

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