E’ possibile per il condannato che risiede all’estero essere affidato in prova al servizio sociale?

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Premessa

Per rispondere al quesito formulato in forma interrogativa nel titolo, si pone prima di tutto il problema di capire prima di tutto se sia possibile per il condannato per un reato in Italia, ma che risiede all’estero, essere sottoposto all’affidamento in prova ai servizi sociali all’estero e, in caso di risposta non positiva, cosa è richiesto per potere accedere a questa misura alternativa qui in Italia.

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Il condannato può essere affidato in prova al servizio sociale all’estero?

Ciò posto, procedendo per gradi, e quindi esaminando la prima problematica, la risposta è senza ombra di dubbio alcuno negativa.

Difatti, secondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione in diverse pronunce, l’“esecuzione della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale implica il necessario svolgimento della stessa in Italia” [Cass. pen., sez. I, 26/09/2017, n. 54508; in senso conforme: Cass. pen., sez. VII, 11/12/2014, n. 34747 (“L’esecuzione della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale implica il necessario svolgimento della stessa in Italia”); Cass. pen., sez. I, 24/11/2010, n. 45585 (“L’esecuzione della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale implica il necessario svolgimento della stessa in Italia”); Cass. pen., sez. I, 27/03/2007, n. 18862 (“L’esecuzione dell’affidamento in prova al servizio sociale implica il necessario svolgimento in Italia”); Cass. pen., sez. I, 28/04/1999, n. 3278 (“Non è consentito l’affidamento in prova al servizio sociale di condannato residente all’estero, dovendo l’esperimento svolgersi nel territorio dello Stato”); Cass. pen., sez. I, 6/10/1998, n. 4802 (“Non è ammissibile la concessione dell’affidamento in prova presso un paese straniero in cui il condannato risiede, in quanto si tratta di una misura alternativa alla detenzione e, come tale, non può svolgersi in una nazione diversa da quella in cui la pena dovrebbe essere espiata”)] poiché “per il soggetto normalmente soggiornante all’estero il competente centro di servizio sociale per adulti non può svolgere i compiti di controllo e di accertamento demandatigli dalla legge e poiché gli stessi non possono essere affidati ai competenti uffici consolari” (Cass. pen., sez. I, 26/10/1999, n. 5895)

Del resto, a conferma di quanto sin qui esposto, va rilevato come anche la Corte costituzionale abbia asserito che “l’esecuzione di una misura restrittiva di carattere penale, come l’affidamento in prova, comporta l’esercizio di poteri autoritativi per il controllo sull’osservanza delle prescrizioni imposte (art. 47, commi 5, 6 e 9, della legge 26 luglio 1975, n. 354), sotto la vigilanza del magistrato di sorveglianza (art. 47, comma 10), e con informazione dell’autorità di pubblica sicurezza (art. 58 della stessa legge), poteri che non potrebbero essere esercitati al di fuori del territorio nazionale in mancanza di accordi con le autorità di altro Stato” (Corte cost., 17/05/2001, n. 146).

In particolare, va osservato che il servizio sociale, da un lato, “controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficolta’ di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita” (art. 47, c. 9, legge n. 354/1975), dall’altro, “riferisce periodicamente al magistrato di sorveglianza sul comportamento del soggetto” (art. 47, c. 10, legge n. 354/1975).

Ebbene, va da sé che un’attività di questo genere non potrebbe mai essere posta in essere nei confronti di un soggetto che venga affidato in prova in un altro Stato difettando meccanismi (normativi, ma non solo) di raccordo tra questo servizio e il suo omologo operante nel paese estero.

Tal che ne consegue che non “è ammissibile la concessione di affidamento in prova presso un consolato italiano nel Paese estero in cui il condannato risieda, in quanto l’affidamento in prova è una misura alternativa alla detenzione e, come tale, non può svolgersi in uno Stato diverso da quello in cui la pena dovrebbe essere espiata” [Cass. pen., sez. I, 29/01/1997, n. 631; in senso conforme: Cass. pen., sez. I, 3/02/1988, in Cass. pen., 1989, 286 (“Non è ammissibile l’affidamento in prova presso un consolato italiano, se l’interessato sia residente all’estero, in quanto destinatari di detto affidamento possono essere soltanto i centri di servizio sociale dipendenti dall’amministrazione penitenziaria”)].

Quanto appena esposto non vale però nella misura in sussista una convenzione internazionale tra l’Italia e il paese dove risiede il condannato in cui si riconosca la possibilità per il condannato in Italia di essere affidato in prova ai servizi sociali nel paese ove costui risiede.

Va a tal proposito rilevato che avendo l’Italia, con il decreto legislativo, 15 febbraio 2016, n. 38, dato attuazione alla decisione quadro 2008/947/GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze e alle decisioni di sospensione condizionale in vista della sorveglianza delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive, la Cassazione “ha ritenuto l’assimilabilità della misura dell’affidamento in prova al servizio sociale alla categoria della “sanzione sostitutiva” descritta dall’art. 2, lett. e) del citato d.lgs., rilevando, altresì, la compatibilità della disciplina relativa agli obblighi e alle prescrizioni imposte, nonché ai relativi controlli, con la disciplina interna dell’affidamento in prova” (Cass. pen., sez. I, 16/05/2018, n. 15091).

E’ dunque possibile, perlomeno alla stregua di questo approdo ermeneutico, che il condannato all’estero possa essere affidato in prova ai servizi sociali in uno degli Stati che ha dato attuazione a questa decisione quadro.

Il condannato che risiede all’estero può accedere all’affidamento in prova al servizio sociale in Italia?

Ciò posto, venendo ad esaminare l’altra problematica, vale a dire se anche colui che risiede in un altro Stato, ma abbia commesso un reato in Italia, possa comunque accedere alla misura alternativa alla detenzione (qual è l’affidamento in prova ai servizi sociali) qui in Italia, va rilevato che la stessa Cassazione ha postulato, perlomeno in talune pronunce, che la “residenza nel territorio dello Stato del condannato istante per l’affidamento in prova al servizio sociale non è prevista dalla legge come condizione per la concessione di detta misura alternativa” (Cass. pen., sez. I, 29/01/2004, n. 46022) facendone conseguire da ciò l’illegittimità del provvedimento di inammissibilità dell’istanza, presentata da persona non residente in Italia, emesso “de plano” dal presidente del tribunale di Sorveglianza a norma dell’art. 666, comma 2, c.p.p. (sempre: Cass. pen., sez. I, 29/01/2004, n. 46022).

Si deve però al contempo far presente che, in altre decisioni, il Supremo Consesso ha rilevato che è “inammissibile per manifesta infondatezza la richiesta di affidamento in prova al servizio sociale di persona dichiaratamente residente all’estero e privo di stabili rapporti con il territorio nazionale, poiché la misura in questione presuppone accertamenti preventivi da parte dei servizi territoriali sulle prospettive di rieducazione del condannato e di garanzie dal pericolo di recidiva, nonché successivi continui controlli” (Cass. pen., sez. I, 25/03/2014, n. 18225) nel senso che, in “in difetto di una stabile residenza di fatto nel territorio non è concedibile la misura alternativa dell’affidamento in prova, ed è legittima la declaratoria pronunciata de plano di inammissibilità della domanda che manchi di un tale presupposto (cfr. Cass. Pen. Sez. 1, n. 6584 in data 22.12.1998, Rv. 213368, omissis: “E’ inammissibile per manifesta infondatezza la richiesta di affidamento in prova al servizio sociale ove la stessa sia priva della indicazione della residenza e dell’ambiente di inserimento, lavorativo o meno. Tale carenza, infatti, impedisce la valutazione delle prospettive di rieducazione e di prevenzione, cui è subordinata l’ammissione al beneficio, e non consente neppure di acquisire le necessarie notizie attraverso informativa dei competenti servizi sociali, a norma dell’art. 666 c.p.p., comma 5. D’altra parte, la mancanza di una stabile residenza non consente neppure il necessario supporto ed il costante controllo del servizio sociale e del magistrato di sorveglianza del luogo, competente ad adeguare le prescrizioni alle concrete esigenze trattamentali (Nell’enunciare il principio di cui in massima, la S.C. ha ritenuto legittima la declaratoria di inammissibilità della istanza adottata “de plano” a norma dell’art. 666 c.p.p., comma 2)”” (Cass. pen., sez. I, 25/03/2014, n. 18225).

Di conseguenza, alla luce di tale approdo ermeneutico, i giudici di legittimità ordinaria hanno postulato che l’indicazione di un domicilio meramente anagrafico in Italia e comunque la mancanza – allo stato – di un stabile rapporto con il territorio legittimano una decisione di inammissibilità.

In altre decisioni ancora, è stata diversamente affermato come non sia necessario avere la residenza essendo sufficiente la fruizione di alloggio gratuito presso un connazionale ritenendosi una situazione di questo genere “assimilabile al difetto di residenza che renderebbe inammissibile la richiesta” (Cass. pen., sez. I, 29/01/2009, n. 8484) mentre, in una pronuncia adottata in sede di merito, invece, è stato stabilito che non “sussistono i presupposti di legge per l’applicazione in Italia della misura dell’affidamento in prova al servizio sociale o della detenzione domiciliare nei confronti di un soggetto dimorante all’estero, ma avente un domicilio in Italia, poiché queste misure presuppongono la presenza nello Stato del condannato e contatti diretti con il Centro di servizio sociale preposto a funzioni di ausilio e controllo a norma dell’art. 47 comma 9 (in caso di affidamento in prova) e di sostegno ai sensi dell’art. 47-ter comma 2 (nell’ipotesi della detenzione domiciliare) della legge sull’ordinamento penitenziario” (Trib. Sorv. Firenze, 17/05/2005, in Giur. merito, 2007, 6, 1727).

Ad ogni modo, quando viene redatta la richiesta di affidamento in prova ai servizi sociali in casi di questo tipo, per evitare che essa venga dichiarata inammissibile, ad avviso dello scrivente, è consigliabile che il condannato all’estero, nella richiesta di affidamento in prova al servizio sociale, faccia presente la sua volontà di trasferirsi in Italia (indicando già un domicilio ove potrà dimorare) per lo svolgimento della prova.

Invero, come rilevato dalla Cassazione, in “tema di affidamento in prova al servizio sociale, non avendo alcun rilievo l’attualità della presenza del condannato in Italia al momento della domanda, in quanto devesi comunque verificare in concreto se la prova, una volta accertata la sussistenza dei presupposti di legge, possa o meno avere regolare svolgimento in Italia, è illegittimo il decreto del presidente del tribunale di sorveglianza che abbia dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 666 comma 2 c.p.p., la richiesta di affidamento in prova al servizio sociale sulla sola base del fatto che il richiedente sia domiciliato all’estero, quando dalla stessa richiesta non risulti esclusa la possibilità che egli intenda trasferirsi in Italia per lo svolgimento della prova” (Cass. pen., sez. I, 17/06/2003, n. 29655) e costui non abbia “chiesto di effettuare la prova all’estero” (Cass. pen., sez. I, 17/06/2003, n. 29655).

Il condannato affidato in prova ai servizi sociali in Italia può lavorare all’estero?

Oltre a ciò, al di là della necessità di adottare cautele di questo genere, non può non farsi presente che la stessa Corte costituzionale, nell’affermare che “non è violato il principio di rieducatività della pena, di cui all’art. 27, terzo comma, della Costituzione, per il solo fatto che l’affidamento in prova al servizio sociale – come ogni altra misura restrittiva di esecuzione penale può avvenire solo sul territorio nazionale e può perciò rivelarsi, in fatto, di più difficile applicazione, pur essendo, in diritto, sempre possibile, nei confronti di un condannato che vive e lavora all’estero” (Corte cost., 17/05/2001, n. 146), lascia chiaramente intendere che il condannato il quale lavora all’estero, seppur con tutte le difficoltà del caso, può essere affidato in prova in Italia.

Del resto, anche in pronunce emesse dai giudici di merito (e proprio il Tribunale di Sorveglianza che dovrebbe decidere la sua situazione), non è stato escluso che l’affidato in prova possa lavorare all’estero, come si evince dalle seguenti decisioni: a) Sezione Sorveglianza Milano, 20/07/2000, in Foro ambrosiano 2001, 91 (“Il condannato che svolge attività lavorativa all’estero con pernottamento durante la settimana ma mantiene la propria residenza nel territorio dello Stato dovendovi pernottare durante il fine settimana può ottenere la concessione della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale”); b) Sezione Sorveglianza Milano, 12/11/2001, in Foro ambrosiano, 2002, 107 (“Può essere consentito all’affidato in prova ai servizi sociali di recarsi temporaneamente all’estero per motivi di lavoro quando la permanenza all’estero è breve e finalizzata all’esecuzione della misura ed al reinserimento del condannato”).

Orbene, come emerge da queste stesse ordinanze, le richieste di lavoro all’estero dovrebbero comunque essere circoscritte temporalmente e tali, si ripete, da non pregiudicare il periodo di prova.

Conclusioni

In conclusione di quanto sin qui enunciato, si può fare presente come sia possibile che il condannato all’estero possa chiedere di essere affidato in prova ai servizi sociali purchè: a) indichi uno stabile domicilio in Italia dove costui dovrà effettivamente vivere durante il periodo di affidamento in prova; b) ove lavori all’estero, faccia richiesta di svolgere un’attività lavorativa all’estero nella misura in cui ciò però non pregiudichi la regolare esecuzione di questa misura alternativa alla detenzione (altrimenti si renderà necessario per questi trovarsi un lavoro qui in Italia).

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