E’ pacifica la natura di debito di valore dell’importo del risarcimento del danno da responsabilità extra contrattuale, e quindi il relativo credito va maggiorato degli accessori destinati a conservarne la consistenza.

Lazzini Sonia 26/10/06
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Il Consiglio di Stato con la decisione numero 3796 dell’ 8 luglio 2002 ci insegna che:
 
<La giurisprudenza amministrativa, confortata dall’avviso della Corte di Cassazione (Sez. I Civ. n. 1115 del 1995), ha ritenuto, infatti, che, sebbene sia previsto per l’ipotesi di esercizio da parte della amministrazione committente della facoltà di recesso, e quindi per pregiudizio da atto legittimo, la corresponsione del 10% come utile presunto possa essere utilizzato come parametro del lucro cessante dell’appaltatore anche nelle ipotesi di responsabilità risarcitoria per inadempimento.
Il riferimento all’inadempimento rende, poi, irrilevante che nella specie si trattasse di un appalto di servizi e non di opera pubblica, come sottolineato dall’Amministrazione.
Merita invece accoglimento la doglianza con la quale si lamenta che la decisione non rechi la statuizione relativa alla condanna al pagamento degli interessi e della svalutazione monetaria sulla somma dovuta a titolo risarcitorio. E’ pacifica la natura di debito di valore dell’importo del risarcimento del danno da responsabilità extra contrattuale, e quindi il relativo credito va maggiorato degli accessori destinati a conservarne la consistenza.
Il computo degli interessi e della svalutazione va effettuato con decorrenza dalla data di inizio del servizio da parte della impresa originariamente aggiudicataria, a seguito del provvedimento successivamente annullato>
 
A cura di *************
 
 
 
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO     
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, (Quinta Sezione)         ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso n. 11751 del 2001, proposto dal sig. *** Vincenzo, titolare dell’Impresa individuale ***, rappresentato e difeso dall’ avv. ************** e dall’avv. ***************, elettivamente domiciliato presso il secondo in Roma, Viale Tiziano 80
contro
il Comune di Castiglione della Pescaia, rappresentato e difeso dagli avv.ti ************ e ***************, elettivamente domiciliato presso il secondo in Roma, ******************** in ***** 10,
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sez. II, 6 giugno 2001, n. 716, resa tra le parti.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Castiglione della Pescaia;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 26 febbraio 2002 il consigliere *************, e udito l’avv. ********* per l’appellante.
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza in epigrafe è stato accolto in parte il ricorso proposto dal sig. ******** ***, quale titolare dell’Impresa ***, per ottenere la condanna del Comune di Castiglione della Pescaia al risarcimento del danno subito per effetto della aggiudicazione di un contratto di appalto a diversa impresa, aggiudicazione successivamente riconosciuta illegittima con sentenza passata in giudicato.
I primi giudici, riconosciuti sussistenti i presupposti della responsabilità dell’Amministrazione ai sensi dell’art. 2043 c.c., hanno ritenuto che il danno subito dal ricorrente dovesse essere quantificato nella misura del 10% dell’importo annuale dell’appalto, per gli anni nei quali il servizio di nettezza urbana è stato illegittimamente affidato a diversa impresa.
Avverso la sentenza, nella parte relativa alla quantificazione del risarcimento spettante, il *** ha proposto appello chiedendo: a) che l’Amministrazione venisse condannata al pagamento degli interessi e della svalutazione monetaria sul credito riconosciuto; b) che fosse risarcita la perdita subita in misura corrispondente ai ricavi effettivamente non conseguiti ed ai maggiori oneri finanziari sopportati, come sarebbe attestato dalla perizia e dai bilanci prodotti.
Il Comune di Castiglione della Pescaia si è costituito in giudizio per resistere al gravame, proponendo altresì appello incidentale per contestare il capo di sentenza recante l’affermazione della responsabilità per atto illecito.
Alla pubblica udienza del 26 febbraio 2002 la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
L’appello incidentale dell’Amministrazione è volto ad ottenere la riforma della sentenza nella parte in cui ne ha accertato la responsabilità per il danno subito dalla appellante principale a causa della illegittima attribuzione dall’appalto ad altra impresa. La doglianza, mettendo in discussione il presupposto del diritto azionato con l’appello principale, deve essere esaminata per prima.
Sostiene dunque il Comune che la sentenza ha stabilito la colpa dell’Amministrazione in base alla mera illegittimità del provvedimento di aggiudicazione, senza darsi carico di verificare se tale determinazione fosse stata assunta in effettiva violazione delle comuni regole di correttezza, diligenza, imparzialità.
Tale ipotesi, secondo l’assunto, sarebbe da escludere in quanto il Comune ha ritenuto di poter ammettere l’offerta di un’impresa priva dei mezzi tecnici e del personale richiesto dal disciplinare in applicazione di un indirizzo giurisprudenziale che riterrebbe legittima la partecipazione alla gara indicando il possesso di mezzi posseduti da altri soggetti ad essa collegati.
Il motivo va disatteso.
Alla denunciata laconicità della motivazione della sentenza sul punto della sussistenza dell’elemento della colpa, infatti, non può attribuirsi la rilevanza voluta dall’appellante, allorché, come nella specie, la parte non è in condizione di dedurre ragioni per escludere l’elemento soggettivo della responsabilità.
L’indirizzo giurisprudenziale cui si fa riferimento, con citazione di sentenza della Corte di Giustizia CE (Sez. V, 2 dicembre 1999 in causa C-176/98), non poteva nella specie trovare applicazione.
Se è vero, infatti, che è consentito ad una impresa comprovare il possesso dei requisiti economici, finanziari e tecnici necessari per partecipare ad una gara di appalto pubblico mediante riferimento alle capacità di altri soggetti, qualunque sia la natura giuridica dei vincoli che ha con essi, è però necessario che l’impresa interessata sia in grado di provare di disporre effettivamente dei mezzi di tali soggetti che siano necessari alla esecuzione dell’appalto.
Era quindi onere dell’Amministrazione accertarsi, in ossequio all’indirizzo giurisprudenziale invocato, a lei noto ed esente da incertezze, che l’aggiudicataria avesse provato di poter effettivamente disporre dei mezzi meccanici e del personale necessario allo svolgimento del servizio.
Ma la sentenza n. 512 del 1996 del TAR Toscana, passata in giudicato, ha stabilito come risultasse dagli atti che tale disponibilità non era stata dimostrata, sicché correttamente i primi giudici hanno ravvisato l’estremo della colpa.
Il diverso motivo dedotto nella via incidentale, allegante una pretesa contraddizione della decisione, che avrebbe condannato al risarcimento pur avendo affermato (pag. 17) la mancanza di “certi ed univoci elementi di rappresentazione del pregiudizio”, sembra frutto di un equivoco.
Le proposizioni citate, infatti, vanno riferite, non già all’inesistenza di un qualunque danno, bensì alla impossibilità di configurare un pregiudizio di più elevato ammontare, che il ricorrente aveva prospettato in termini di perdita di redditività.
Il punto quindi non merita ulteriore indugio.
L’appellante incidentale impugna anche la statuizione relativa alla quantificazione del danno, osservando che, versandosi in ipotesi di responsabilità precontrattuale, doveva essere risarcito solo il danno derivante dalla c.d. perdita di chance.
Sotto diverso profilo si contesta che il risarcimento forfettario nella misura del 10%, previsto per gli appalti di lavori pubblici dall’art. 345 della legge 1865 n. 2248, all. F, possa essere automaticamente applicato anche agli appalti di servizi.
Tali doglianze possono essere esaminate congiuntamente a quella, dedotta con l’appello principale, afferente alla mancata condanna dell’Amministrazione ad un risarcimento in misura maggiore a quella ottenuta, e corrispondente ai mancati ricavi che l’appellante sostiene avrebbe realizzato con l’esecuzione dell’appalto.
La pretesa dell’Amministrazione di rispondere del danno solo nella misura della perdita di chance e delle spese sopportate dalla parte danneggiata non può essere accolta.
La tesi, invero, presuppone l’inquadramento sistematico della responsabilità per danno da atto amministrativo illegittimo nella figura della responsabilità precontrattuale, che si risolve nel diritto al risarcimento nei limiti del c.d. interesse negativo, ma tale ricostruzione si pone in contrasto con l’indirizzo seguito in proposito dalla più autorevole e recente giurisprudenza.
La sentenza n. 500 del 1999, della Corte di Cassazione a SS. UU., ha affermato, come è noto, che, quando sia arrecato un danno non jure, ossia inferto in assenza di una causa di giustificazione, ad una posizione soggettiva riconosciuta dall’ordinamento meritevole di tutela, indipendentemente dalla qualificazione della stessa in termini di diritto soggettivo, il danneggiato può invocare a suo favore l’applicazione dell’art. 2043 c.c., qualificato come “norma (primaria) volta ad apprestare una riparazione del danno ingiustamente sofferto da un soggetto per effetto dell’attività altrui.”.
All’applicabilità dell’art. 2043 c.c. alla lesione dell’interesse legittimo consegue, evidentemente, che la valutazione del danno risarcibile sia effettuata ai sensi dell’art. 2056 c.c., e quindi, deve comprendere sia il danno emergente che il lucro cessante, a norma dell’art. 1223 c.c..
Va anzi aggiunto che la giurisprudenza amministrativa (Cons. St., Sez. V, 6 agosto 2001, n. 4239) ha colto alcune peculiarità della responsabilità della p.a. per ingiusta lesione di interessi legittimi, individuando l’esistenza di profili sui generis che ne consentirebbero, in taluni casi, l’accostamento alla responsabilità per inadempimento contrattuale. Si è osservato, infatti, che la responsabilità aquiliana presuppone, di regola, una lesione dall’esterno della posizione giuridica della parte interessata, ossia derivante da condotte di soggetti non legati da una precedente relazione giuridica, mentre la vicenda procedimentale destinata a concludersi con il provvedimento che amplia la sfera giuridica del privato è caratterizzata dallo svolgimento di un complesso rapporto amministrativo, nel quale sono individuabili particolari obblighi di comportamento del soggetto pubblico.
La tesi sembra assai attendibile nelle ipotesi, come quella in esame, nelle quali, ove non avesse adottato un illegittimo provvedimento di aggiudicazione, l’Amministrazione non avrebbe potuto esimersi dall’attribuire il bonum al soggetto richiedente, secondo uno schema logico assimilabile all’adempimento.
Può ritenersi accertato, quindi, che al titolare dell’interesse legittimo leso non jure spetta il risarcimento per tutti i danni che siano conseguenza diretta dell’atto illegittimo.
Con l’avvertenza – secondo la perspicua precisazione dettata dalla sentenza n. 500/1999 delle SS.UU. cit. – che la risarcibilità dell’interesse legittimo non può essere affermata in via indiscriminata e generalizzata. “Potrà infatti pervenirsi al risarcimento soltanto se la attività illegittima della P.A. abbia determinato la lesione dell’interesse al bene della vita, al quale l’interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell’ordinamento”.
In altri termini, poiché nella individuazione del danno risarcibile occorre tener presente il contenuto dell’interesse leso, il soggetto illegittimamente escluso dalla gara di appalto, non potrà rivendicare lo stesso risarcimento di chi, come nella specie, sia stato privato della aggiudicazione che gli spettava, perché diverso è in contenuto della posizione soggettiva pregiudicata.
Con riguardo al caso in esame, la sentenza di primo grado ha correttamente ritenuto che l’appellante avesse diritto al risarcimento del danno conseguente alla mancata aggiudicazione, e, sul punto della concreta commisurazione del pregiudizio, ha statuito: a) che non fosse stato adeguatamente dimostrato un danno pari a L. 599.218.470=; b) che trattandosi di danno di incerto ammontare, il giudice può esercitare la facoltà di cui all’art. 1226 c.c., di liquidarlo in via equitativa; c) che un corretto criterio per tale liquidazione sia individuabile, sulla scorta della giurisprudenza della Corte di Cassazione, nella disposizione di cui all’art. 345 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, All. F, che quantifica il quantum dovuto all’impresa appaltatrice nel 10% dell’ammontare a base d’asta (come fissato dall’offerta dell’appaltatore medesimo).
Ritiene il Collegio che tali proposizioni meritino conferma.
Va osservato, infatti, che sia la documentazione prodotta dall’appellante, sia la perizia di parte, sia l’eventuale esito di una consulenza tecnica d’ufficio costituiscono fattori inidonei a pervenire con apprezzabile certezza ad una quantificazione corrispondente al danno effettivamente subito, posto che si risolverebbero, in ogni caso, in proiezioni previsionali ricavabili da eventi trascorsi, e quindi inevitabilmente aleatorie.
Il ricorso alla liquidazione in via equitativa si rendeva dunque necessario, oltre che esplicitamente consentito, e, a tal fine, il criterio adottato si rivela esente da mende.
La giurisprudenza amministrativa, confortata dall’avviso della Corte di Cassazione (Sez. I Civ. n. 1115 del 1995), ha ritenuto, infatti, che, sebbene sia previsto per l’ipotesi di esercizio da parte della amministrazione committente della facoltà di recesso, e quindi per pregiudizio da atto legittimo, la corresponsione del 10% come utile presunto possa essere utilizzato come parametro del lucro cessante dell’appaltatore anche nelle ipotesi di responsabilità risarcitoria per inadempimento.
Il riferimento all’inadempimento rende, poi, irrilevante che nella specie si trattasse di un appalto di servizi e non di opera pubblica, come sottolineato dall’Amministrazione.
Merita invece accoglimento la doglianza con la quale si lamenta che la decisione non rechi la statuizione relativa alla condanna al pagamento degli interessi e della svalutazione monetaria sulla somma dovuta a titolo risarcitorio. E’ pacifica la natura di debito di valore dell’importo del risarcimento del danno da responsabilità extra contrattuale, e quindi il relativo credito va maggiorato degli accessori destinati a conservarne la consistenza.
Il computo degli interessi e della svalutazione va effettuato con decorrenza dalla data di inizio del servizio da parte della impresa originariamente aggiudicataria, a seguito del provvedimento successivamente annullato.
In conclusione deve respingersi sia l’appello incidentale sia l’appello principale, salvo che per la parte appena indicata.
 La spese del giudizio di appello possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta,   rigetta l’appello incidentale e accoglie in parte, come in motivazione l’appello, in epigrafe;
dispone la compensazione delle spese;
ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del  26 febbraio 2002
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il………………….. 08/07/2002…………………….

Lazzini Sonia

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