È legittimo che non si rispetti l’obbligo di pubblicazione, nel caso di variazione di giunta allo schema di programmazione deliberato dalla giunta stessa, sol perché si tratti di autonome fonti di finanziamento (project financing)?

Redazione 01/05/04
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inserito in Diritto&Diritti nel maggio 2004
di Lino Bellagamba
consulente e formatore in pubblici appalti e in project financing
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Risposta positiva alla domanda è stata data da T.A.R. Campania, I, 11 marzo 2004, n. 2836, che in integrale si riporta in calce.
Come nasce la questione?
«I ricorrenti (…) deducono che» la «delibera n. 29/2003, pur prevedendo quattro nuove opere rispetto allo schema di programma triennale delle opere pubbliche di cui alla precedente delibera n. 309/2002, non è stata pubblicata all’Albo Pretorio per i sessanta giorni previsti dall’art. 14 della legge n. 109/1994».
In sostanza, nella fattispecie, era stato pubblicato nel termine previsto solo il primo schema di programmazione (deliberazione di giunta), ma non anche la sua variazione (seconda deliberazione di giunta), prima dell’approvazione finale di competenza del consiglio.
Il collegio campano ritiene che «la variazione del programma delle opere pubbliche è stata ampiamente giustificata dalla sopravvenienza ed autonomia delle fonti di finanziamento relative alle quattro nuove opere, per cui non necessitava di alcun rinnovo della pubblicazione».
La motivazione, però, non appare condivisibile, in quanto «la facoltà di verifica dei cittadini, singoli o associati, sulla congruità e correttezza delle scelte effettuate» – rispetto a cui è funzionale l’obbligatorietà della piena publicazione preventiva per n. 60 giorni, di cui alla L. 109/1994, art. 14, comma secondo, ultimo periodo – prescinde dal fatto che si tratti di opere suscettibili di project financing che non pongano nessun onere finanziario a carico dell’Amministrazione.
Se fosse accoglibile la tesi del collegio campano, non solo i cittadini non potrebbero fare osservazioni sulle opere che comunque la giunta ha programmato per la concessione (mentre, con ingiustificata asimmetria, potrebbero farlo solo in sede di prima pubblicazione), ma, in particolare, la giunta avrebbe sempre la possibilità del blitz dell’ultimo minuto.

N. 2836/04 Reg. Sent.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania,
Sezione Prima

composto dai Giudici
Giancarlo Coraggio – Presidente
Angelo Scafuri – Consigliere rel.est.
Arcangelo Monaciliuni – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n.6176/2003 R.G. proposto da **, rappresentati e difesi dall’avv. P.M. Piccirillo;
c o n t r o
il Comune di San Giorgio del Sannio, in persona del Sindaco p.t., costituitosi in giudizio con il patrocinio dell’avv. C. Cancellario;
per l’annullamento
della delibera di Consiglio Comunale n.10 del 27 marzo 2003 avente ad oggetto “Approvazione bilancio di previsione 2003-Relazione revisionale e programmatica-Bilancio pluriennale 2003-2005 e relativi allegati” e di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti, in particolare le delibere di giunta municipale n.29 dell’11.2.2003 e n.58 del 4.3.2003 nonché le successive delibere di consiglio comunale n.16 e n.17 del 28 luglio 2003;
VISTO il ricorso, con i relativi allegati;
VISTO gli atti di costituzione in giudizio del Comune intimato;
VISTO le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive pretese;
VISTO gli atti tutti di causa;
Alla pubblica udienza del 5 novembre 2003 relatore il Cons. Scafuri e presenti gli avvocati di cui al relativo verbale;
RITENUTO e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
I ricorrenti, “cittadini del Comune di San Giorgio del Sannio e membri del Consiglio Comunale con il gruppo di minoranza”, contestano per l’omessa pubblicazione di legge la delibera di giunta (n.29 dell’11.2.2003) recante variazioni al programma delle Opere Pubbliche, a seguito della quale il Consiglio comunale ha poi approvato (delibera n.10 del 27.3.2003) il bilancio di previsione per l’esercizio 2003.
A sostegno del gravame deducono violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili, ribaditi con i motivi aggiunti depositati in data 15 ottobre 2003, con i quali è stata impugnata la successiva delibera di consiglio comunale n.17 del 28 luglio 2003 di riapprovazione della medesima integrazione.
L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio ed ha resistito al ricorso.
Alla pubblica udienza del 5 novembre 2003 la causa è stata introitata per la decisione.
DIRITTO
I ricorrenti – consiglieri comunali di minoranza -impugnano il bilancio di previsione deducendo vizi dell’allegata delibera di giunta recante integrazione allo schema di programma delle opere pubbliche.
In particolare deducono che detta delibera n. 29/2003, pur prevedendo quattro nuove opere rispetto allo schema di programma triennale delle opere pubbliche di cui alla precedente delibera n. 309/2002, non è stata pubblicata all’Albo Pretorio per i sessanta giorni previsti dall’art. 14 della legge n. 109/1994 né è stata corredata dagli altrettanto prescritti studi di fattibilità, i quali “anche se la giunta ne dichiara l’approvazione nel dispositivo” non risultano allegati né ad essa – recante solo le schede contenenti la descrizione delle opere – né alla succitata delibera consiliare di approvazione del bilancio n. 10/2003.
Denunciano che in ogni caso tali studi non sono stati messi a loro disposizione prima della relativa seduta, in violazione dell’art. 12 dello Statuto e dell’art. 13 del Regolamento comunale.
Rilevano poi l’incongruità, l’inattendibilità, l’antieconomicità e l’irrealizzabilità delle opere indicate nonché evidenziano, sotto il profilo tecnico-contabile, che tra le entrate figurano le sanzioni per violazioni al codice della strada – di pertinenza dell’Unione dei Comuni ai sensi della delibera di giunta n. 53/2003 -e che il prezzo di concessione di 5 alloggi popolari è di gran lunga inferiore alle spese affrontate per la ristrutturazione dei medesimi.
Il Comune eccepisce che la delibera n. 29 non è stata fatta oggetto di approvazione nella seduta incriminata – ove ha solo “formato oggetto di discussione al fine di consentire ai consiglieri di conoscere in via preventiva l’esatta programmazione triennale ed annuale delle OO.PP.”, variata per l’inclusione di 4 nuove opere che utilizzano sopravvenute “fonti autonome di finanziamento non destinate ad incidere sullo schema di bilancio da approvare” – bensì con la successiva delibera consiliare n. 17 del 28 luglio 2003.
Dal canto loro con i motivi aggiunti del 13 ottobre 2003 i ricorrenti hanno impugnato anche tale ultima delibera, insistendo sulle censure originarie – in particolare l’omessa pubblicazione per 60 giorni consecutivi e la mancanza degli studi di fattibilità – nonché deducendo che lo schema della delibera giuntale n. 29 “non corrisponde a quello approvato con la delibera consiliare n. 17 del 28.7.2003” né viene documentata la dichiarazione che i finanziamenti delle nuove opere sono sopravvenuti ed autonomi.
Va verificata innanzitutto l’ammissibilità del gravame.
Per pacifica risalente giurisprudenza i consiglieri comunali non sono legittimati in quanto tali ad agire contro l’Amministrazione di appartenenza in quanto il processo amministrativo ha riguardo a controversie intersoggettive e non è di regola aperto al contenzioso tra organi o componenti di organi di uno stesso ente, salva l’ipotesi nella quale vengano in rilievo atti incidenti in via diretta sul diritto all’ufficio di questi ultimi, in quanto destinati ad interferire con le loro attribuzioni e prerogative (ex plurimis Consiglio di Stato sez. VI n. 383 del 25 maggio 1993, Sez.V, n.358 del 31/1/2001; TAR Campania, Napoli, Sez.V, n.1328/2002, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 18 novembre 2002 n. 7203).
Il condivisibile orientamento giurisprudenziale regge anche a volere prestare maggiore sensibilità alle esigenze di tutela giurisdizionale a compensazione dell’indirizzo legislativo ispirato a sempre minori forme di controllo degli atti degli enti locali.
Il singolo componente non ha una funzione di controllo sulle modalità e sul risultato dell’azione collegiale e l’eventuale contrasto tra il singolo consigliere ed il collegio amministrativo di cui fa parte non può essere risolto prescindendo dalla volontà del collegio medesimo. Il singolo consigliere può esercitare i suoi diritti nel corso del procedimento di formazione della delibera e soltanto durante la seduta; fuori ed oltre la seduta egli non gode di quei diritti che sono attinenti all’ufficio, tranne la qualifica che gli deriva dall’ufficio stesso, ad eccezione dei diritti che spettano personalmente al componente (ad esempio il diritto di parola e di dissenso).
Ciò perché la disciplina dei collegi amministrativi è diversa da quella dei collegi privati in ragione dell’interesse pubblico che è sotteso alle deliberazioni dei primi.
Nei collegi di diritto privato l’oggetto delle deliberazioni si riferisce ad una cosa comune – cioè ad una cosa di tutti i soci, allo stesso tempo componenti del collegio – nei collegi amministrativi invece i componenti non deliberano su cose proprie ma su un interesse pubblico, che li trascende, per cui difetta un loro interesse personale e concreto all’impugnazione dell’atto collegiale, al di fuori del caso, già indicato, di lesione della loro funzione (Consiglio di Stato, sez. V, cit. n. 358 del 31 gennaio 2001).
Nè potrebbe pervenirsi a diversa conclusione alla luce del disposto dell’art. 9 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con D.Lgvo n267 del 18 agosto 2000 – secondo il quale “ciascun elettore può far valere in giudizio le azioni ed i ricorsi che spettano al Comune” – perché alcun potere sostitutivo della specie può venire in evidenza di fronte ad un provvedimento della medesima Amministrazione Comunale di cui i ricorrenti fanno parte.
Va, dunque, esclusa la legittimazione dei consiglieri comunali ad impugnare in sede giurisdizionale le delibere dell’organo di appartenenza al di là della specifica area della denunzia dei vizi propri del subprocedimento di deliberazione, che si concretino in violazioni procedurali direttamente lesive del munus rivestito dagli stessi (ad es. irritualità della convocazione dell’organo, violazione dell’ordine del giorno, difetto di costituzione del collegio) interferenti sul corretto esercizio del mandato (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, cit. 18 novembre 2002 n. 7203).
In definitiva l’impugnabilità delle deliberazioni collegiali da parte dei componenti dell’organo medesimo non è mai ammessa per motivi attinenti in via esclusiva al contenuto intrinseco della deliberazione mentre per i vizi del procedimento solo allorché incidano sulla loro posizione giuridica.
Alla stregua di tali principi sono inammissibili tutti i rilievi inerenti l’opportunità e l’attendibilità delle opere pubbliche e degli altri elementi del bilancio approvato.
Si possono invece ritenere ammissibili le doglianze concernenti il rispetto dell’iter procedurale, vale a dire quella di omessa pubblicazione della delibera modificativa della giunta nonché quella di difetto di informativa circa gli studi di fattibilità.
Tali censure si appalesano peraltro infondate.
Per quanto riguarda gli studi di fattibilità, in disparte la considerazione che la presunta mancanza è contraddetta, per stessa ammissione di parte, dalle attestazioni riportate nelle delibere impugnate che in quanto tali sono assistite da pubblica fede fino a querela di falso, la doglianza è prospettata in termini generici e comunque indimostrata.
In senso contrario la conoscibilità degli studi di fattibilità in questione risulta sia dall’avviso di convocazione (“gli atti relativi agli affari da trattare sono depositati presso gli Uffici di Segreteria”) sia dal verbale della seduta consiliare ove la discussione ha avuto ad oggetto fra l’altro proprio la delibera giuntale di variazione del programma delle opere pubbliche (all. 1 e 2 del ricorso).
A sua volta la variazione del programma delle opere pubbliche è stata ampiamente giustificata dalla sopravvenienza ed autonomia delle fonti di finanziamento relative alle quattro nuove opere, per cui non necessitava di alcun rinnovo della pubblicazione, la quale peraltro si è comunque protratta per i sessanta giorni di legge (dal 6 marzo al 5 maggio del 2003: cfr. attestato Ufficio Messi Comunali in allegato memoria difensiva del 5.11.2003).
Del pari risultano infondati anche i motivi aggiunti, atteso che la successiva delibera di approvazione n.17/2003 risulta preceduta dalla debita ed opportuna informativa (cfr. in allegato citata memoria del 5.11.2003 avviso di convocazione ed attestato del Segretario Generale dell’8.7.2003) così come “da atto che le fonti di finanziamento …. (fonti P.O.R.) sono autonome e sopravvenute” e che lo schema depositato contiene “oltre le integrazioni di cui alla deliberazione n.29 anche le opere contenute nel programma già approvato … e rettificato di alcuni errori materiali”; il gravame non contiene invece alcuna specificazione in ordine ai pretesi elementi di diversità rispetto allo schema approvato con la ripetuta delibera n.29.
Le spese di causa seguono la regola della soccombenza.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania-sede di Napoli, sez.I,
DICHIARA INAMMISSIBILE
il ricorso n.6176/2003 di cui in epigrafe.
Le spese del giudizio, liquidate in € 4.000,00= (quattromila), sono poste a carico dei ricorrenti soccombenti.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla Autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nelle camere di consiglio del 5 novembre e del 11 dicembre 2003.
IL PRESIDENTE
IL CONSIGLIERE

Redazione

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