È del tutto legittima la previsione di un bando che attribuisca alla indicazione della parte della prestazione da eseguirsi da ciascuna impresa, una rilevanza decisiva, dal momento che non soltanto impone che ciascuna impresa indichi nella domanda di part

Lazzini Sonia 05/10/06
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Il Consiglio di Stato con la decisione numero 4668 del 25 luglio  2006, in tema di tipologia di requisiti che debbono essere posseduti da tutte le imprese partecipanti ad un’ Ati, ci insegna che:
 
<Strettamente collegata a tali previsioni è quella, sempre contenuta al punto 6, che impone, a pena di esclusione dalla gara, la produzione di un “certificato in originale o in copia autentica del sistema di qualità aziendale UNI EN ISO 9001.2000 della ditta che partecipa alla gara”: appare evidente che tale certificato deve essere prodotto da ciascuna impresa e inerire alla tipologia e quantità di prestazione che essa è chiamata ad erogare.
 
E’ noto, in proposito, il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui i requisiti tecnici devono essere posseduti da ciascuna impresa e commisurati alla parte della prestazione che essa deve erogare: più in particolare si è affermato che “la certificazione di qualità rientra tra i requisiti tecnici di carattere soggettivo che le imprese partecipanti a gare pubbliche devono possedere, al fine di garantire un certo livello qualitativo delle prestazioni considerato in ciascuna delle singole fasi di svolgimento del rapporto contrattuale, con la conseguenza che in caso di partecipazione di un raggruppamento di imprese, tale certificazione deve essere posseduta singolarmente da ciascuna delle imprese associate, a meno che non risulti che essa sia incontestabilmente riferita solo ad una parte delle prestazioni, eseguibili soltanto da alcune di dette imprese”>
 
A cura di *************
 
REPUBBLICA ITALIANA     IN NOME DEL POPOLO ITALIANO  
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta  
 
ha pronunciato la seguente
 
DECISIONE
 
sul ricorso in appello n. 2239/2005 del 21/03/2005, proposto dalle società ****SPA IN Q. C.G. ATI ATI **** S.R.L. rappresentate e difese dall’avv.ssa *************** l’avv. ******************** con domicilio eletto in Roma viale Gorizia n. 25/D presso l’avv. **************;
 
CONTRO
– il **** S.N.C. rappresentato e difeso dall’avv. **************** con domicilio eletto in Roma via L. Mantegazza, 24 presso il Sig. ************ – il COMUNE DI TORRE S. SUSANNA non costituitosi;
 
per la riforma
 
della sentenza del TAR PUGLIA – LECCE, SEZIONE II, n. 263/2005 del 26 gennaio 2005, resa tra le parti, concernente GARA PER LA FORNITURA ED INSTALLAZIONE OPERE DI ARREDO C/O CINE-TEATRO COMUNALE;
 
Visto l’atto di appello con i relativi allegati;
 
Visti gli atti di costituzione in giudizio di **** S.N.C.
 
Visti gli atti tutti della causa;
 
Viste le memorie difensive;
 
Visto il dispositivo di decisione n. 465/05;
 
Alla pubblica udienza del 5 luglio 2005, relatore il Consigliere ************ ed uditi, altresì, gli avvocati ***************, ***********;
 
F A T T O
Con delibera G.M. n. 15 del 5 febbraio 2004 il Comune di Torre ********** ha approvato il progetto, redatto dall’UTC, relativo alla fornitura ed installazione di attrezzature ed arredi per il completamento funzionale del Cinema-Teatro comunale per un importo complessivo di € 190.228,45.
 
Con determinazione n. 312 del 20 aprile 2004 è stata indetta la gara per l’affidamento del relativo contratto con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa di cui all’art. 19, co. 1, lett. b), d.lgs. n. 358/92, fissando il prezzo a base d’asta nella misura di € 155.000,00.
 
Alla gara sono state ammesse l’odierna appellante, Ati **** s.p.a.-**** sr.l. e l’odierna appellata, società ****. Espletate le relative operazioni, la commissione procedeva all’apertura della busta n. 2, contenente l’offerta tecnica e provvedeva a fissare i parametri di valutazione ribadendo pedissequamente quelli individuati nel bando di gara:
 
– qualità del progetto;
 
– qualità e valore tecnico del prodotto;
 
– valore funzionale e valore estetico.
 
Sulla base di tali parametri, e senza fissare alcun ulteriore criterio specificativo, la commissione ha assegnato alle imprese concorrenti il medesimo punteggio per ogni singolo parametro e, quindi, l’eguale punteggio complessivo per l’offerta tecnica pari a p. 60.
 
Nella seduta dell’1 giugno 2004 la ha commissione proceduto all’apertura della busta contenente l’offerta economica e, verificato il maggior ribasso proposto dall’ATI appellante (€ 102.966,40) rispetto a quello proposto dalla appellata (€ 148.071,00), e ha individuato nella offerta della prima quella economicamente più vantaggiosa.
 
Con determinazione n. 458 del 2 luglio 2004 il Responsabile del Servizio del Comune di Torre Santa Susanna ha approvato i verbali di gara ed aggiudicato l’appalto in via definitiva all’Ati ****.
 
La società **** ha proposto ricorso innanzi al TAR Puglia, sezione staccata di Lecce, con atto del 2 novembre 2004, impugnando tale determinazione (n. 458 del 2 luglio 2004) e il verbale di gara n. 2 dell’1 giugno 2004, nonché il provvedimento ammissivo alla gara dell’ATI ****. Ha assunto, in particolare, la società **** che l’impresa mandante non aveva prodotto in gara il certificato di qualità aziendale che, invece, era richiesto dal bando a pena di esclusione; contestualmente la società **** ha inoltrato all’A.C. di ******************* un’istanza di accesso per conoscere il contenuto dei documenti presentati dalla concorrente aggiudicataria, riservandosi la proposizione di motivi aggiunti a valle dell’accesso.
 
Tale impugnativa è stata proposta con atto del 22 dicembre 2004, dopo che **** ha verificato la mancata produzione del certificato di qualità aziendale da parte dell’ATI aggiudicataria.
 
Con il ricorso introduttivo, inoltre, ****, in via gradata, ha censurato l’attività della commissione di gara laddove questa aveva assegnato all’offerta tecnica delle imprese partecipanti un punteggio numerico senza offrire alcuna adeguata motivazione e senza avere preventivamente definito i contenuti dei criteri che nel bando erano definiti soltanto in via generale.
 
Con sentenza n. 263/05 del 26 gennaio 2005, emessa in forma abbreviata, il TAR Lecce, rigettate le eccezioni processuali e di merito dell’Amministrazione resistente e della controinteressata ATI ****, nonché il ricorso incidentale proposto da quest’ultima, ha accolto il ricorso proposto da **** con specifico riguardo al primo motivo, assorbendo così la censura proposta in via subordinata.
 
Avverso tale sentenza, non notificata, ha proposto appello l’ATI controinteressata, che ripropone le eccezioni processuali e di merito, nonché il motivo di ricorso incidentale avverso la presunta illegittima ammissione del ***.
 
Quest’ultimo si è costituito, chiedendo il rigetto dell’appello e, per l’effetto, la conferma della sentenza impugnata.
 
Il Comune di Torre **********, invece, non si è costituito nel presente grado di giudizio.
 
Prima dell’udienza di discussione le parti hanno depositato memorie illustrative.
 
Alla pubblica udienza del 5 luglio 2005 la causa è stata trattenuta in decisione.
 
Il dispositivo di decisione è stato pubblicato col n. 465/05.
 
D I R I T T O
L’appello è infondato e va rigettato.
 
Con il primo motivo di gravame l’appellante ribadisce i profili di irricevibilità del ricorso introduttivo di primo grado riguardanti il presunto tardivo deposito dello stesso: sostiene l’appellante, in particolare, che il termine dimidiato di 15 giorni per il deposito del ricorso sarebbe dovuto decorrere dal giorno in cui il ricorrente ha consegnato il ricorso all’ufficiale giudiziario per le formalità delle notifiche. Per sostenere tale assunto, tuttavia, l’appellante richiama un orientamento giurisprudenziale che invece individua detto termine dal giorno in cui l’ufficiale giudiziario ha curato la spedizione del plico per la notifica, intervenuta nel caso di specie in data 3 novembre 2004. Conclude l’appellante che, essendo il deposito del ricorso intervenuto in data 20 novembre 2004, il ricorso medesimo sarebbe irricevibile, in quanto l’ufficiale giudiziario avrebbe ricevuto l’atto per la notifica (invero, come si è detto, ha curato la spedizione) in data 3 novembre 2004.
 
Già tale incertezza nella tesi difensiva dell’appellante, che confonde il momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, con quello, necessariamente successivo, in cui quest’ultimo procede alla spedizione del plico raccomandato, consente di anticipare quanto in prosieguo più dettagliatamente si dirà, in ordine alla questione dell’oggettiva incertezza interpretativa, insorta a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 477/02 – invocata a fondamento dell’eccezione – secondo la quale “ad ogni tipo di notificazione ed in particolare a quella eseguita a mezzo del servizio postale” si applica il principio per cui la notifica per il notificante si perfeziona “con il compimento delle sole formalità che non sfuggono alla sua disponibilità”.
 
La censura non è condivisibile.
 
Sono sin troppo note le ragioni sottese al nuovo orientamento della Corte Costituzionale, volte ad escludere che l’alea della notifica ricada sul richiedente sino al punto di addossargli gli oneri di formalità di cui egli non ha la disponibilità (in tal senso anche Corte Costituzionale n. 69/94 e n. 358/96): in definitiva, le pronunce della Corte hanno introdotto una nuova disciplina del procedimento notificatorio, da leggersi in chiave esclusivamente garantistica, il cui effetto è quello – più limitato di quanto ritenuto dall’appellante – di impedire decadenze a carico del notificante per ritardi ad esso non imputabili.
 
Una diversa interpretazione di dette pronunce – ed, in particolare, quella propugnata dall’appellante, secondo la quale gli incombenti successivi alla notifica e, quindi, il deposito del ricorso, decorrerebbero da un momento precedente rispetto a quello in cui la notifica si è perfezionata anche nei confronti del destinatario – snaturerebbe la loro finalità garantistica, addossando al notificante un onere la cui insorgenza risulterebbe ancora una volta collegata ad adempimenti ad esso non riferibili e da esso non gestibili né controllabili: si introdurrebbe, per altra via, una disciplina anch’essa connotata da un notevolissimo grado di aleatorietà, che la Corte Costituzionale ha inteso espungere dal procedimento notificatorio.
 
Per rendersi conto dell’infondatezza dell’eccezione dell’appellante, riproposta nel presente grado di giudizio come motivo di gravame, è opportuno richiamare il passaggio della sentenza della Corte Costituzionale n. 28/04 (strettamente collegata alla sentenza n. 477/02 quanto all’oggetto del decisum), nella quale si legge: “resta fermo che la produzione degli effetti che alla notificazione stessa sono ricollegati è condizionata al perfezionamento del procedimento notificatorio anche per il destinatario” (in tal senso anche Corte Cost. 23 gennaio 2004, n. 28).
 
Tale passaggio della sentenza spiega chiaramente il significato dell’orientamento della Corte: la pronuncia di incostituzionalità, risalente alla sentenza n. 477/02, si risolve nell’impedire decadenze a carico del notificante (e non nel crearne di nuove) per un’attività che dallo stesso non può essere nè gestita, né controllata, ma lascia fermi tutti gli altri effetti, ivi compreso l’onere per il deposito del ricorso (ovvero nel processo civile per l’iscrizione a ruolo), che la legge ricollega alla esecuzione della notifica, intesa, quantomeno, come momento in cui il destinatario ha conosciuto l’atto.
 
Ciò posto deve precisarsi che la formalità, per il notificante, che non sfugge alla sua disponibilità ed il cui adempimento consente di ritenere, per esso soltanto, perfezionata la notifica al solo fine di impedire decadenze a suo carico e, per quel che interessa per impedire il decorso del termine di impugnazione, è quella della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario e, quindi, il momento in cui, quest’ultimo, appone sull’atto medesimo la timbratura contenente la specifica, relativa al costo della notifica, e la data di ricezione dell’atto.
 
Che con tali formalità si sia perfezionato il procedimento notificatorio per il notificante e, quindi, si siano evitate tutte le decadenze previste dalla legge collegate alla notifica dell’atto introduttivo del giudizio, non può, ovviamente, significare che dallo stesso momento insorgano, a carico del notificante medesimo, quegli oneri che la legge stessa ricollega alla esecuzione della notifica e, quindi, al perfezionamento del procedimento notificatorio anche nei confronti del destinatario.
 
Non può, in altri termini, ritenersi che dal momento della consegna dell’atto all’Ufficiale Giudiziario insorga a carico del notificante l’onere di procedere al deposito del ricorso: in proposito la pronuncia in questa sede impugnata correttamente afferma che “ad impedire una tale interpretazione delle scansioni temporali inerenti l’attività notificatoria del ricorso è la stessa lettera della legge (art. 21, co. 2, L. TAR) laddove, nel prescrivere che il ricorso unitamente alle eseguite notifiche deve essere depositato in segreteria, lascia chiaramente intendere … che la notifica utile ai fini del decorso dell’ulteriore termine per il deposito è quella che si compie in confronto del destinatario dell’atto”.
 
Né sembra potersi sostenere che l’esecuzione della notifica e, quindi, il conseguente onere di depositare il ricorso insorga dal momento in cui l’ufficiale giudiziario provvede alla spedizione del plico: ed infatti, non sembra potersi dubitare che anche tale momento è riconducibile a quelle formalità che sfuggono alla disponibilità e al controllo del notificante.
 
Ed infatti se la formalità della spedizione del plico è ricostruibile in termini di certezza temporale dell’adempimento, è pur vero che di tale adempimento il notificante può venire a conoscenza soltanto in epoca successiva anche, in ipotesi, alla scadenza del termine per il deposito del ricorso: se, in altri termini, si è sostenuto che la difficoltà di ricongiungere temporalmente l’onere del deposito del ricorso con la ricezione dello stesso da parte del destinatario della notifica, espone, in caso di notifica a mezzo del servizio postale, al rischio che a tale incombente il notificante possa provvedere soltanto in un momento in cui il termine per il deposito (per disservizi postali) sia già decorso, è pur vero che il medesimo rischio può rappresentarsi (per disservizi, questa volta, dell’ufficio notifiche) ove si ricongiunga l’onere in questione alla data di spedizione del plico, anch’esso non meccanicamente e immediatamente conoscibile e gestibile dal notificante.
 
Vero è che se la ratio individuabile nelle varie ed omogenee pronunce della Corte Costituzionale è quella di coordinare esigenze di certezza temporale del procedimento notificatorio con le esigenze di conoscibilità e gestibilità dei dati temporali da parte dei soggetti del procedimento, tale ratio, al di là di ogni altra considerazione, deve indurre a distinguere il momento di perfezionamento della notifica non solo tra notificante e destinatario, ma anche per lo stesso notificante, in relazione alle diverse attività che esso deve compiere: in tal senso deve essere inteso il passaggio della sentenza n. 28/04, innanzi richiamato, secondo cui resta fermo che “la produzione degli effetti cha alla notificazione stessa sono ricollegati è condizionata al perfezionamento del procedimento notificatorio anche per il destinatario”.
 
Se, quindi, la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario costituisce il momento in cui si preclude, tra gli altri, il pericolo di decadenza dall’impugnazione di un provvedimento amministrativo, resta fermo che il momento in cui insorge l’onere per il deposito del ricorso non può che essere quello successivo della eseguita notifica, che, per quanto esposto, non può coincidere con il momento in cui l’ufficiale giudiziario ha curato la spedizione del plico.
 
I principi esposti dalla Corte Costituzionale devono indurre ad escludere non solo alcuna rilevanza all’adempimento dell’ufficiale giudiziario, ma addirittura, almeno nel caso di notifica a mezzo del servizio postale, al momento della ricezione dell’atto da parte del destinatario, atteso che neanche tale momento è controllabile e gestibile dal notificante: in proposito è necessario precisare che il ricorso introduttivo è stato depositato nel termine dimezzato decorrente dalla data in cui il destinatario ha ricevuto l’atto, sicchè il ricorso anche con riferimento a tale dato temporale risulterebbe ricevibile (il ricorso in esame, notificato al Comune di S. Susanna in data 4 novembre 2004 ed alla società **** spa in data 5 novembre 2004, risulta depositato nella Segreteria del TAR in data 20 novembre 2004, e quindi nel rispetto del prefato termine dimidiato di gg. 15).
 
Senonchè coerenza impone di affermare che il termine di deposito non poteva che decorrere dal momento in cui il notificante ha avuto conoscenza, attraverso la restituzione dell’avviso di ricevimento, dell’eseguita notifica: è appena il caso di precisare che tale momento, analogamente a quello in cui il destinatario ha ricevuto la notifica, è, per regola, attestato con processo verbale fidefaciente redatto dall’operatore postale, sicché, al pari del momento in cui l’ufficiale giudiziario cura la spedizione del plico, anche la ricezione di quest’ultimo da parte del destinatario soddisfa le esigenze di certezza temporale.
 
Risulta più coerente con le esigenze di conoscibilità del notificante e, quindi, con i principi affermati dalla Corte Costituzionale, lo slittamento della decorrenza del termine per il deposito del ricorso al successivo momento in cui il ricorrente ha conosciuto la data di ricezione dell’atto da parte del destinatario, attraverso l’esame dell’avviso di ricevimento: soltanto in tale momento, infatti, può aversi certezza del fatto che il ricorrente ha preso atto dell’eseguita notifica ed escludersi, quindi, che ogni eventuale e successivo ritardo non sia ad esso addebitabile.
 
Potranno, invero, insorgere inconvenienti di coordinamento delle iniziative processuali delle parti, ma è pur vero che la prevalenza delle esigenze rappresentate dalla Corte impone di risolvere tali eventuali (quanto eccezionali ed ipotetici) inconvenienti attraverso il ricorso a strumenti (altrettanto) eccezionali offerti dall’ordinamento, primo fra tutti lo strumento della rimessione in termini, applicabile, peraltro, ex officio (si è affermato, in proposito, che nel diritto processuale amministrativo, contrariamente a quanto dispone l’art. 184 bis c.p.c. la concessione dell’errore scusabile e la conseguente rimessione in termini non è condizionata dalla domanda della parte interessata “atteso che sia l’art. 34, co. 1, R.D. 1054/24, sia l’art. 34, co. 2, L. 1034/71, sono strutturati come norme permissive indirizzate al giudice e silenti circa l’istanza di parte”: cfr. Cons. St., V, 28 maggio 2004, n. 3451).
 
Si vuol dire, in definitiva, che ogniqualvolta le esigenze di certezza, rappresentate dalla Corte Costituzionale e, sin qui, rievocate, risultino per una parte del procedimento notificatorio impeditive per la proposizione di iniziative processuali, il Giudice ben potrà riconoscere la sussistenza dei presupposti per la rimessione in termini.
 
Parimenti infondata è l’eccezione di inammissibilità per genericità del primo motivo di ricorso: sostiene l’appellante che il ricorrente in primo grado si sarebbe limitato ad affermare che “l’ATI non avrebbe adempiuto esattamente alla previsione di gara per cui doveva essere esclusa”.
 
L’assunto è strettamente conseguente alla disamina della previsione del bando nella quale si disponeva che nella domanda di partecipazione le imprese raggruppate dovevano indicare la parte/quota del servizio che dovevano svolgere, nonché della previsione del bando nella quale si disponeva che ciascuna impresa, a pena di esclusione, doveva dimostrare il possesso del requisito tecnico riferito alla parte di prestazione assegnata, attraverso la produzione in originale o in copia autenticata del certificato di qualità aziendale.
 
Appare, dunque, evidente che la censura mossa riguardava l’irregolarità della produzione da parte dell’ATI di tale certificato: che, poi, nel ricorso introduttivo il ricorrente non fosse in grado di conoscere quale delle due imprese componenti l’ATI non avesse ottemperato alla produzione documentale non è circostanza che possa inficiare il ricorso sotto il profilo della genericità.
 
Vero è, invece, che soltanto a seguito dell’accesso ai documenti la ricorrente, odierna appellata, ha avuto modo di confermare la censura, individuando nello specifico quale tra le imprese raggruppate non avesse adempiuto all’onere documentale: ma ciò evidentemente non significa che la censura fosse ab origine generica.
 
Passando ad esaminare le censure di merito, l’appellante sostiene che nel caso di specie il requisito tecnico doveva essere posseduto soltanto dall’impresa mandataria, affermando che “in base al bando il requisito della certificazione aziendale …, in caso di ATI, doveva essere posseduto – contrariamente a quanto ritenuto dal TAR – dalla sola capogruppo o mandataria”.
 
Il motivo è infondato.
 
Dispone il bando di gara che in caso di ATI:
 
– nella dichiarazione di partecipazione – da inserirsi nella busta n. 1 “documenti per l’ammissione alla gara” – “dovranno essere specificate le parti del servizio che saranno eseguite dalle singole imprese” (punto 6) lett. c);
 
– “l’offerta congiunta deve essere sottoscritta da tutti i soggetti raggruppati e deve specificare la parte/quota che sarà eseguita dalle singole imprese…” (punto 6, ultimo capoverso relativo al contenuto della busta n. 1).
 
Con tutta evidenza il bando attribuisce alla indicazione della parte della prestazione da eseguirsi da ciascuna impresa una rilevanza decisiva, dal momento che non soltanto impone che ciascuna impresa indichi nella domanda di partecipazione, in via generale, la tipologia della prestazione che avrebbe eseguito, ma impone che anche nell’offerta siano indicate le modalità di attribuzione a ciascuna impresa delle parti della stessa.
 
Le due clausole, infatti, assolvono ad una specifica e precisa funzione e, cioè, offrire all’Amministrazione la possibilità di conoscere ex ante non soltanto il tipo di prestazione svolta da ciascuna impresa, ma anche la quantità della stessa, nel caso in cui una medesima prestazione fosse ripartita tra più imprese.
 
Strettamente collegata a tali previsioni è quella, sempre contenuta al punto 6, che impone, a pena di esclusione dalla gara, la produzione di un “certificato in originale o in copia autentica del sistema di qualità aziendale UNI EN ISO 9001.2000 della ditta che partecipa alla gara”: appare evidente che tale certificato deve essere prodotto da ciascuna impresa e inerire alla tipologia e quantità di prestazione che essa è chiamata ad erogare.
 
E’ noto, in proposito, il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui i requisiti tecnici devono essere posseduti da ciascuna impresa e commisurati alla parte della prestazione che essa deve erogare: più in particolare si è affermato che “la certificazione di qualità rientra tra i requisiti tecnici di carattere soggettivo che le imprese partecipanti a gare pubbliche devono possedere, al fine di garantire un certo livello qualitativo delle prestazioni considerato in ciascuna delle singole fasi di svolgimento del rapporto contrattuale, con la conseguenza che in caso di partecipazione di un raggruppamento di imprese, tale certificazione deve essere posseduta singolarmente da ciascuna delle imprese associate, a meno che non risulti che essa sia incontestabilmente riferita solo ad una parte delle prestazioni, eseguibili soltanto da alcune di dette imprese” (cfr. Cons. St., V, 18 ottobre 2001, n. 5517).
 
Nel caso di specie il bando non limita il riferimento della certificazione di qualità ad alcune prestazioni, sicché essa deve essere riferita a tutte.
 
Il capitolato speciale, infatti, prevede due diversi tipi di prestazioni: la fornitura e la posa in opera di arredi e attrezzature e rispetto ad entrambe le prestazioni doveva essere prodotto il certificato richiesto.
 
Infondata è, inoltre, la censura avverso il capo della sentenza che ha rigettato il ricorso incidentale proposto dalla intimata ATI, con il quale essa aveva gravato la stessa ammissione della ricorrente alla gara per asserita carenza o insufficienza della dichiarazione attestante l’espletamento di una fornitura analoga (e per un importo almeno pari) a quella oggetto d’appalto ed aveva chiesto per tal via la declaratoria di inammissibilità del mezzo principale per mancanza di legittimazione processuale.
 
Per converso, come correttamente rilevato dai primi giudici, la predetta dichiarazione richiesta dal bando (p. 6) a corredo della offerta si deve ritenere utilmente prodotta dalla ricorrente posto che il certificato rilasciato in data 8 maggio 2002 dal Consorzio dei Comuni della Grecia salentina, letto in abbinata al contenuto specifico del capitolato speciale d’appalto (sistemi espositivi, attrezzature e arredi vari per il Palazzo Ducale, per la sala convegni del Comune di Martano e a servizio dei Comuni della Grecia salentina), comprova che, dal punto di vista oggettuale, deve ritenersi integrato il presupposto della analogia (e non dell’identità) richiesto dalla lex specialis quale requisito per la partecipazione alla gara de qua, relativa alla fornitura ed alla installazione delle opere di arredo presso il cine-teatro di ****************.
 
Il requisito della analogia della fornitura per cui è stata indetta la gara con la fornitura da comprovare sussiste perché entrambe hanno ad oggetto arredi simili, tali essendo gli arredi di un cine-teatro e quelli forniti al Consorzio dei Comuni della Grecia salentina.
 
Il documento prodotto, come si è detto, attesta che la ricorrente, odierna appellata, ha eseguito la fornitura di arredi vari e, quindi, una fornitura analoga a quella oggetto dell’appalto: il bando, infatti, non richiedeva la fornitura di arredi identici a quelli in questione, sicchè del tutto irrilevante è la circostanza che detta fornitura dovesse essere funzionale all’esercizio di un Cine-Teatro ovvero di un museo di prodotti tipici.
 
L’appellante cerca di ingenerare un equivoco laddove fa riferimento ai prodotti tipici esposti nel museo, facendo quasi immaginare che oggetto della fornitura eseguita dalla appellata siano appunto prodotti tipici: cosa evidentemente non vera in quanto oggetto della fornitura erano arredi funzionali all’allestimento della sala e non alla esposizione.
 
In ogni caso, il documento poteva al più sollecitare i poteri istruttori dell’Amministrazione e giammai dar luogo ad una immediata esclusione: ed infatti in tal modo la ricorrente principale, odierna appellata, avrebbe avuto modo di dimostrare, ove ve ne fosse stato bisogno, il possesso del requisito richiesto.
 
Ed infatti non vi è dubbio che ove il documento prodotto avesse potuto ingenerare un qualche dubbio in ordine alla sua idoneità probatoria la commissione, in ossequio ai principi di cui all’art. 6 L. 241/90, avrebbe dovuto chiedere l’acquisizione di elementi integrativi e giammai, come preteso dall’appellante, avrebbe potuto procedere all’immediata esclusione.
 
Infine, l’importo della fornitura 2001 eseguita dall’appellata società **** (Euro 353.631,15), desumibile dal certificato medesimo, è notevolmente superiore a quello oggetto specifico dell’appalto di fornitura per cui è causa.
 
La ricorrente principale ha proposto in primo grado ricorso incidentale condizionato, anch’esso, evidentemente, assorbito dalla pronuncia di rigetto del ricorso incidentale, ed ha in questa sede riproposto in via di eccezione e sempre in via gradata – nell’ipotesi in cui, cioè, questo Consiglio ritenesse di poter esaminare ed accogliere il ricorso incidentale – la questione relativa alla illegittimità della clausola del bando, ove dovesse essere interpretata nel senso ritenuto dalla controinteressata appellante, vale a dire come impositiva dell’obbligo per l’Amministrazione di procedere all’immediata esclusione nel caso di tempestiva e rituale produzione documentale che, tuttavia, non desse piena ed immediata contezza del suo contenuto.
 
Pertanto, in considerazione del carattere condizionato dell’impugnativa e dell’esito negativo dell’esame della censura dell’appellante relativa al rigetto del ricorso incidentale proposto in primo grado, deve essere ritenuta improcedibile, per difetto di interesse, l’eccezione dell’appellata di cui si è detto, con cui essa ha riproposto le questioni avverso il bando di gara, nella parte in cui lo stesso non consentirebbe ai concorrenti di integrare la documentazione.
 
Deve, invece, essere assorbita la censura, riformulata dall’appellata in via di eccezione ed in via gradata, avverso le determinazioni della Commissione di gara, nella parte in cui avrebbe assegnato alla offerta tecnica un punteggio numerico senza offrire alcuna motivazione e senza aver compiutamente definito i contenuti dei criteri, soltanto in via generale
 
C individuati dal bando.
 
In conclusione, l’appello in esame deve essere rigettato e per l’effetto deve essere confermata l’impugnata sentenza.
 
Sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione fra le parti delle spese, competenze ed onorari del presente grado di giudizio.
 
P.Q.M.
 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
 
Spese del grado compensate.
 
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
 
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 5 luglio 2006
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 
Il 25 luglio 2006

Lazzini Sonia

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